Aggiornamento - Amministrativo |
CORTE DI CASSAZIONE,
SEZ. UNITE CIVILI - sentenza 16 febbraio 2011 n. 3813, sui beni demaniali,
del patrimonio indisponibile e disponibile e sulla necessità di integrare la
disciplina pubblicistica con le altre fonti dell’ordinamento - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione
notificato in data 1/7/1994, la soc. Zappa s.r.l. conveniva in giudizio
innanzi al Tribunale di Venezia il Ministero delle Finanze, il Ministero dei
Trasporti e della Navigazione ed il Ministero dei Lavori Pubblici, per sentir
accertare la sua proprietà sul complesso immobiliare denominato "Valle
Zappa", sito nella zona marginale della laguna veneta, in Comune di
Campagna Lupia, e per sentir accertare l'invalidità degli atti di diffida e
di intimazione inviati dalle Amministrazioni convenute e l'illecito
comportamento tenuto dalle stesse, e dunque per sentirle condannare al
risarcimento dei danni derivati dall'illecita affermazione della demanialità
della valle (e dalle conseguenti richieste di risarcimento del danno per
occupazione senza titolo del bene), allegando la natura privata della
"Valle Zappa", regolarmente acquistata da essa attrice con
contratto 14/7/1972. Le predette
Amministrazioni si costituivano chiedendo il rigetto delle domande e
chiedendo in via riconvenzionale l'accertamento della natura demaniale della
valle, con condanna di Zappa S.r.l. al rilascio del bene ad al pagamento
dell'indennità per l'occupazione senza titolo, da liquidarsi in separato
giudizio. Disposta consulenza
tecnica d'ufficio, ed intervenuta a giudizio l'Agenzia del Demanio (divenuta
titolare dei rapporti già facenti capo al Ministero delle Finanze in virtù
del D.Lgs. n. 300 del 1999) l'adito Tribunale di Venezia, con sentenza n.
864/2004, dichiarato il difetto di legittimazione del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, accertava Ici proprietà della Valle in capo
al demanio, così rigettando le domande attoree, con condanna della Zappa al
rilascio dell'immobile ed al pagamento delle somme conseguentemente dovute
(da liquidarsi in separato giudizio); in particolare, il primo giudice
osservava che le lagune sono bene rientranti nel demanio marittimo, ai sensi
dell'art. 28 c.n., e ciò indipendentemente dalla loro concreta utilizzabilità
per esigenze pubbliche. Proponeva appello MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo si
deduce "carenza di giurisdizione per mancato previo esperimento della
fase conciliativa-amministrativa, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 1 e
all'art. 32 c.n.". Si fa presente in proposito che detta ultima norma
prescrive il procedimento conciliativo-amministrativo, come adempimento
prodromico alla rivendicabilità giudiziale della demanialità. Quesito di
diritto: dica e stabilisca Con il secondo motivo
si deduce "nullità della sentenza e del procedimento per difetto di
processualità, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4 nonchè agli artt. 100 e
101 c.p.c. per sopraggiunta irregolarità del contraddittorio". Si fa
presente in proposito che detta censura prospetta due profili, l'uno
sostanziale e l'altro processuale: il primo riguarda l'impossibilità di
continuare il processo in contraddittorio con lo Stato, avendo lo stesso
perduto la titolarità del bene controverso per effetto della riforma
costituzionale; il secondo attiene alla titolarità del bene in questione
quale spettante ad una delle tre nuove componenti della Repubblica
individuata sulla base della collocazione geografica della Valle. Quesito di
diritto: dica e stabilisca il bene è passato ad
una delle altre componenti della Repubblica concorrenti con lo Stato, possa
continuare in contraddittorio solo dello Stato (che non ne ha più comunque la
titolarità), in assenza della nuova componente della Repubblica alla quale a
seguito della riforma costituzionale spetta; traendo nel caso negativo la
conseguenza della cassazione senza rinvio della sentenza gravata. Con il terzo motivo si
deduce "violazione dell'art. 42 Cost., commi 2 e 3 e del Protocollo 1
della Dichiarazione dei diritti dell'Uomo"; si afferma in particolare
che "i danti causa dell'attuale attrice abbiano acquistato Con il quarto motivo si
deduce violazione dell'art. 829 c.c. e art. 23 c.n. sulla necessità dell'atto
di formale sdemanializzazione per la cessazione della demanialità". Si fa presente in
proposito che il motivo si rifà a vari rilievi dell'esposto di fatto; qui
ricapitolati: dica e stabilisca Con il quinto motivo si
deduce "violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c; violazione del principio
di disponibilità della prova e della probatorietà del comportamento anche
extraprocessuale univocamente". Dopo aver premesso che
lai censura in questione "si riallaccia alla precedente, di cui
costituisce la prospettazione sotto profilo processuale", si afferma in
proposito che "prima dei codici del 1942, nel codice civile del 1865, la
laguna non era compresa tra i beni formalmente dichiarati demaniali".
Quesito di diritto: dica e stabilisca Con il sesto motivo si
deduce difetto di motivazione in relazione "ai vari elementi di censura
disseminati nei vari mezzi di ricorso. Si afferma in particolare che "il
regime storico della Valle Zappa fosse demaniale nel senso attualmente dato
al termine dall'art. 823 c.c.; che i contratti di
compravendita delle Valli anche anteriori ai codici del 1942 siano
improduttivi di qualsivoglia effetto giuridico in forza delle disposizione
introdotte da quei due codici; che Nel controricorso si
deduce, tra l'altro, l'inammissibilità del ricorso per erronea formulazione
dei quesiti. Il ricorso non merita
accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze. Deve innanzitutto individuarsi,
sulla base delle argomentazioni esposte dalla Corte di merito, la ratio
decidendi dell'impugnata decisione, anche al fine di una compiuta
valutazione delle censure in esame. In proposito, In detto regolamento
risulta espressamente affermata la demanialità della laguna, concepita quale
comprendente anche le valli da pesca; la laguna difatti è descritta quale
"seno di acqua salsa che si estende dalla foce del Sile alla Conca di
Brontolo, che è compreso tra il mare e la terraferma" e presenta quindi
quelle caratteristiche di unitarietà che non consentono di enucleare singoli
beni acquei in esso ricadenti, al fine di farne risultare caratteristiche
differenti. Il che comporta, come
ineludibile conseguenza, l'affermazione per cui tutte le situazioni
determinatesi sotto la vigenza della normativa sopra indicata (riconfermata
in tempi più recenti dalle ulteriori disposizioni di legge: v. In definitiva, va
rilevato che l'appartenenza di un bene al demanio naturale marittimo
(necessario) si pone quale conseguenza della presenza delle connotazioni
fisiche considerate dalla legge, e ciò indipendentemente da atti ricognitivi
dell'amministrazione o da formalità pubblicitarie". In definitiva, sul
punto, Tale ratio non è
di per sè censurabile (e "resiste" alle censure della società ricorrente),
pur se A fronte di tale ratio,
con il primo motivo si deduce l'imprenscindibilita del procedimento ex art.
32 c.n. in tema di demanialità. La censura è
manifestatamene infondata secondo il consolidato giudizio giurisprudenziale
di questa Corte, in base al quale il procedimento di delimitazione non è
costitutivo della demanialità di un bene ma ha uma mera funzione di
accertamento dei relativi confini; si è affermato infatti (tra le altre,
Cass. n. 10817/2009) che il procedimento di delimitazione del demanio
marittimo, previsto dall'art. 32 cod. nav., tendendo a rendere evidente la
demarcazione fra tale demanio e le proprietà private finitime, si presenta
quale proiezione specifica della normale azione di regolamento dei confini di
cui all'art. 950 c.c., e si conclude con un atto di delimitazione, il quale
ha una funzione di mero accertamento, in sede amministrativa, dei confini del
demanio marittimo rispetto alle proprietà dei privati, senza l'esercizio di
in potere discrezionale della P.a.. Con il secondo motivo
di ricorso della società Zappa si deduce nullità della sentenza e del
procedimento per "difetto di processualità", nel senso che si
sostiene che il giudizio sulla natura demaniale di un bene precedentemente
appartenente per codice (civile e della navigazione) allo Stato, instaurato
contro lo Stato, ora che per effetto della riformulazione dell'art. 114 Cost.
il bene è passato ad altre componenti della Repubblica concorrenti con lo
Stato, non può continuare in contraddittorio solo dello Stato. Il motivo non
è fondato. Ha costituito oggetto
della controversia se le valli da pesca della Laguna veneta abbiano fatto o
facciano o no parte del mare e pertanto se appartengano o no allo Stato. In ragione di questo,
come la domanda di accertamento negativo è stata svolta nei confronti dello
Stato, così quella riconvenzionaie di accertamento positivo vede come
legittimato attivo alla sua posizione lo Stato stesso. Con il terzo e quarto
motivo si deduce, rispettivamente, violazione dell'art. 42 Cost. in quanto
nessun atto statale è mai intervenuto per dichiarare la demanialità della
Valle, dopo l'entrata in vigore dei due codici del 42, e violazione dell'art.
829 c.c. in ordine alla necessità dell'atto formale di sdemanializzazione per
la cessazione della demanialità. Anche tali motivi non
meritano accoglimento. Il richiamo all'art. 42
Cost., come effettuato dalla società ricorrente, coinvolge non solo la
prospettata (e non condivisibile) tesi della necessità di un intervento
"provvedimentale" dello Stato per attribuire natura demaniale ad un
bene, oltre la mera classificazione in via legislativa, ma pone l'esigenza
(proprio al fine della suddetta necessaria integrazione della motivazione
dell'impugnata decisione) di rivisitare in via interpretativa il sistema
normativo vigente, con particolare riferimento ai dati costituzionali, al
fine della individuazione dei criteri indispensabili per attribuire natura
"non privata" ad un bene immobile. La disciplina positiva
dei beni pubblici, peraltro, risiede ancora, almeno nelle sue linee
fondamentali, nel codice civile (artt. 822-831 il quale, com'è noto, con una
classificazione non del tutto soddisfacente, divide i beni pubblici, ossia i
beni "appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti
ecclesiastici", in tre categorie: beni demaniali, beni patrimoniali
indispensabili e beni patrimoniali disponibili. I beni demaniali,
elencati nell'art. 822 c.c., secondo un criterio di tassatività, hanno come
caratteristica comune il fatto di essere beni immobili o universalità di
mobili e di appartenere necessariamente ad enti territoriali, ossia lo Stato,
le regioni, le province e i comuni (art. 824 c.c.). Questi beni sono tali o
per loro intrinseca qualità (cd. demanio necessario, ossia il demanio
marittimo, idrico e militare, art. 822, comma 1) o per il fatto di
appartenere ad enti territoriali (cd. demanio accidentale od eventuale:
strade, autostrade, aerodromi, immobili di interesse storico ed artistico,
raccolte dei musei etc., art. 822 c.c., comma 1). Il regime giuridico di
tali beni, contenuto nell'art. 823 c.c., prevede che essi sono "inalienabili
e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e
nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano", il che vuol dire
che essi non possono costituire oggetto di negozi giuridici di diritto
privato, nè possono essere usucapiti, in quanto sono del tutto non
commerciabili. Inoltre, la disciplina
del demanio marittimo si completa con la normativa di cui agli artt. 28-35
c.n.; in particolare, l'art. 28 c.n., comma 1, lett. c, stabilisce che fanno
parte del demanio marittimo "le lagune, le foci dei fiumi che sboccano
in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte
dell'anno comunicano liberamente col mare". I beni patrimoniali
indisponibili, invece, possono essere sia mobili che immobili e possono appartenere
anche ad enti pubblici non territoriali (art. 380 c.c.; a titolo
esemplificativo, si pensi ai beni appartenenti agli enti di previdenza). Essi
hanno, nella sistematica del codice, carattere residuale. L'art. 826 c.c.,
comma 1, infatti, esordisce, in negativo, osservando che i beni
"appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano
della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il
patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni".
Anche per questi beni si profila una distinzione tra patrimonio necessario e
patrimonio accidentale, riconducibile in parte all'art. 826 c.c., commi 2 e
3, poichè vi sono beni patrimoniali per natura (miniere, acque minerali
termali, cave e torbiere etc.) e beni patrimoniali per destinazione (edifici
destinati a sede di uffici pubblici, arredi, dotazione del Presidente della
Repubblica etc.); l'elencazione dell'art. 826 c.c., inoltre, non è
considerata tassativa. Riguardo al regime giuridico, l'art. 828 c.c., comma
2, si limita a stabilire che tali beni "non possono essere sottratti
alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti delle leggi che li
riguardano". I beni patrimoniali indisponibili, perciò, sono
commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione
all'uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto
privato. Residuano, infine, i
beni patrimoniali disponibili, ai quali non si applica nè il regime dei beni
demaniali, nè quello dei beni patrimoniali indisponibili, ma quello ordinario
del codice civile (art. 828 c.c., comma 1); essi, proprio in quanto beni di
diritto privato, sono commerciabili, alienabili, usucapibili e soggetti ad
esecuzione forzata. Si tratta, in altre parole, di beni che possono appartenere
allo Stato e agli enti pubblici allo stesso modo in cui possono appartenere a
soggetti privati, ossia di beni per i quali non ha senso parlare di vincolo
di destinazione. Oggi però, non è più
possibile limitarsi, in tema di individuazione dei beni pubblici o demaniali,
all'esame della sola normativa codicistica del '42, risultando indispensabile
integrare la stessa con le varie fonti dell'ordinamento e specificamente con
le (successive) norme costituzionali. Tuttavia, dagli artt.
2, 9 e 42 Cost., e stante la loro diretta applicabilità, si ricava il
principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento
nell'ambito dello Stato sociale, anche nell'ambito del "paesaggio",
con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione
legislativa- codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della
"proprietà" dello Stato ma anche riguardo a, quei beni che,
indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore,
per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una
compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al
perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività. L'art. 9 Cost., in
particolare, prevede infatti che Da tale quadro
normativo-costituzionale, e fermo restando il dato "essenziale"
della centralità della persona (e dei relativi interessi), da rendere
effettiva, oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche
mediante "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale", emerge l'esigenza interpretativa di
"guardare" al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente
patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva
personale-collettivistica. Ciò comporta che, in
relazione al tema in esame, più che allo Stato- apparato, quale persona
giuridica pubblica individualmente intesa, debba farsi riferimento allo
Stato-collettività, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi
della cittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettiva
realizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in termine di sola
dicotomia beni pubblici (o demaniali) - privati significa, in modo parziale,
limitarsi alla mera individuazione della titolarità dei beni, tralasciando
l'ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa
funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati. Ne deriva quindi che,
là dove un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le
sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e
paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come sopra
delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell'ormai datata
prospettiva del dominium romanistico e della proprietà codicistica,
"comune" vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà,
strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i
cittadini. Del resto, già da
tempo, la dottrina ma anche la stessa giurisprudenza hanno fatta proprio
l'idea di una necessaria funzionalità dei beni pubblici, con la conseguente
convinzione che il bene è pubblico non tanto per la circostanza di rientrare
in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere fonte
di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizzare casi di gestione
patrimoniale dei beni pubblici (come la loro alienazione e
cartolarizzazione). In proposito vale la pena ricordare che già il codice
prevede espressamente, all'art. 825, la figura giuridica dei diritti
demaniali su beni altrui; osserva questa norma che il regime del demanio
pubblico si estende ai diritti reali che spettano allo Stato, alle province e
ai comuni quando essi "sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni
indicati negli articolari precedenti o per il conseguimento di fini di
pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni
medesimi". In tal modo vengono in evidenza le servitù pubbliche e i
diritti di uso pubblico, quali le strade vicinali, gli usi civici e le
proprietà collettive. Tali figure,
generalmente assimilate fra loro, presentano singolarmente caratteristiche
peculiari. Le servitù pubbliche, soprattutto
la servitù di elettrodotto, costituiscono il tipico esempio di ius in re
aliena, cui possono per certi aspetti essere paragonate le strade vicinali,
che hanno la caratteristica di essere strade di proprietà privata e tuttavia
soggette al pubblico transito (i comuni deliberano periodicamente l'elenco di
queste strade e l'inserimento in esso fa presumere iuris tantum l'esistenza
di un diritto di uso pubblico). Mentre in dette servitù
pubbliche risulta evidente la distinzione tra titolarità del diritto di
proprietà e uso pubblico sulla cosa altrui, tale distinzione è meno netta
negli usi civici che, quali espressione della proprietà in senso collettivo
non conosciuta dal legislatore del codice civile, trova una sua specifica
disciplina nella legge (e relativo regolamento) n. 1766/1927 e nella più
recente L. n. 97 del 1994 (Nuove disposizioni per le zone montane); tali
"usi" presentano la caratteristica della non appartenenza, a titolo
di proprietà individuale, a persone fisiche od enti in quanto spettanti ad
una comunità di abitanti che ne godono collettivamente. La finalità che il
legislatore ha perseguito con detti usi è quella della liquidazione, in
realtà non raggiunta, perchè negli anni è andato sempre più emergendo il
collegamento funzionale tra disciplina degli usi pubblici e la tutela
dell'ambiente (sul punto, le sentenze della Corte Costituzionale n. 46/95,
345/97 e 310/2006). Infine, con la legge
quadro 6 dicembre 1991, 394, il legislatore è intervenuto creando e regolando
le aree protette. Sulla base di questa legge, il cui obbiettivo è quello di
dare attuazione agli artt. 9 e 32 Cost. (art. 1, comma 1), possono essere
individuate aree naturali protette sottoposte a particolari vincoli, la cui
costituzione, però, non modifica l'appartenenza proprietaria delle aree
medesime; non si creano, quindi, diritti demaniali su beni altrui, ma vincoli
finalizzati alla tutela del paesaggio e della salute dei consociati. E'
sempre necessario, però, un apposito provvedimento di individuazione e
delimitazione (v. art. 8, che prevede un decreto del Presidente della
Repubblica per l'istituzione di un parco e un decreto del Ministero
dell'ambiente per l'istituzione delle riserve naturali statali). Se quindi, da un lato,
sono già ipotizzabili nel nostro ordinamento norme caratterizzanti, il
godimento e la fruizione, a vario titolo, di beni da parte della
collettività, dall'altro lato, altre norme risultano destinate a scindere il
binomio bene pubblico demaniale- indisponibilità, nel senso che prevedono il
trasferimento, sulla base di determinati presupposti e in relazione a
specifici fini, di beni dello Stato. Pertanto, la regola
della non commerciabilità di detti beni, originariamente prevista dal
legislatore in modo assoluto, incontra sempre più eccezioni, con la
conseguenza, lungi però dal diventare "sistematica" nella normativa
civilistica ed anzi configurando una diversità di enunciati tra codice civile
e leggi ordinarie, che in alcune ipotesi la proprietà "pubblica"
del bene e la destinazione dello stesso ad usi e finalità pubbliche (della
collettività) diventano aspetti scindibili. In tale quadro vanno inserite le
leggi aventi ad oggetto la trasformazione degli enti pubblici economici in
società per azioni (tra cui il D.L. n. 386 del 1991, convertito nella L. n.
35 del 1992), quelle riguardanti la privatizzazione di enti proprietari in
maniera rilevante di beni pubblici (come l'Enel, ex lege n. 359 del 1992, e
le Ferrovie dello Stato, mediante Delib. Cipe del 92), nonchè il D.Lgs. n.
267 del 2000, che ha consentito il trasferimento a società di capitali di
beni pubblici da parte degli enti locali (con riferimento a "i comuni,
le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane
e le unioni di comuni"), il D.L. n. 63 del 2002 (convertito nella L. n.
112 del 2002) che, tra l'altro, ha dato luogo alla costituzione di
un'apposita società per azioni ( Ed è appunto in tale
seconda prospettiva che vanno inquadrate le cd. valli da pesca che, in
virtù di un'indagine svolta dal giudice di merito e documentata da ampia
motivazione della sentenza in esame, presentano (con esclusione delle zone
emerse dall'acqua) una funzionalità e una finalità pubblica-collettivistica;
afferma, infatti, Infatti, i requisiti
della demanialità persistono sulla scorta della legislazione vigente,
trattandosi in un bacino acqueo rimasto pur sempre in collegamento con la
laguna aperta e quindi con il mare, nonostante la realizzazione di
sbarramenti più efficienti rispetto alle antiche cogolere; permane anche
l'idoneità a soddisfare gli usi marittimi, in particolare la pesca e la
navigazione (quest'ultima, ovviamente, solo con modeste imbarcazioni). Va osservato a tal
riguardo, in punto di fatto, che Dunque, la
"demanialità" esprime una duplice appartenenza alla collettività ed
al suo ente esponenziale, dove la seconda (titolarità del bene in senso
stretto) si presenta, per così dire, come appartenenza di servizio che è
necessaria, perchè è questo ente che può e deve assicurare il mantenimento
delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione. Sicchè, al fine di
riconoscere se in concreto il particolare bene di cui si discute fa parte
della realtà materiale che la norma, denominandola, inserisce nel demanio, sì
deve tener conto in modo specifico del duplice aspetto finalistico e
funzionale che connota la categoria dei beni in questione. Ne consegue ancora
che la titolarità dello Stato (come Stato-collettività, vale a dire come ente
espositivo degli interessi di tutti) non è fine a se stessa e non rileva solo
sul piano proprietario ma comporta per lo stesso gli oneri di una governance
che renda effettivi le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene. Del resto, tale
impostazione già ha avuto nella stessa giurisprudenza della Cassazione delle
preliminari "intuizioni" e previsioni come quando (tra le altre
Cass. nn. 1863/1984 e 1300/1999) si è affermato che agli effetti dell'art. 28
c.n., lett. B), secondo cui fanno parte del demanio (necessario) marittimo i
bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno
comunicano "liberamente" con il mare, l'indispensabile elemento
fisico- morfologico della comunicazione con il mare, pur essendo irrilevante
che questa sia assicurata attraverso l'opera dell'uomo che impedisca il
progressivo interramento delle acque, non costituisce di per sè solo il
fattore decisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essere
accertato e valutato in senso finalistico-funzionale, in quanto, cioè, si
presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastra le stesse
utilizzazioni cui può adempiere il mare, rilevando l'idoneità attuale, e non
meramente potenziale e futura, del bene, secondo la sua oggettiva
conformazione fisica, a servire i pubblici usi del mare, anche se in atto non
sia concretamente destinato all'uso pubblico. In definitiva, le valli
da pesca configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo
della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della
proprietà trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di
bene pubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale spettante
allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori
costituzionali. Detta natura di tali beni (come del resto per tutti i beni
pubblici) ha la sua origine costitutiva nella legge, quale ordinamento
composto da una pluralità di fonti (in particolar modo Non rilevano anche,
trattandosi di beni comunque dello Stato, eventuali atti privatistici di
trasferimento di detti beni risultando nulli per impossibilità giuridica
dell'oggetto degli atti stessi, come pure eventuali comportamenti
"concludenti" posti in essere dalla pubblica amministrazione
mediante suoi funzionari in quanto illeciti perchè ovviamente contra legrem
(con tale argomento evidenziandosi in particolare l'infondatezza del secondo
motivo). Infine, sul punto, va ricordato
che lo stesso legislatore ordinario, in particolare con In relazione alla
natura della controversia e alla complessità delle relative questioni
sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti
le spese della presente fase. P.Q.M. Così deciso in Roma, il
24 novembre 2010. Depositata in
Cancelleria il 16 febbraio 2011.
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