Cass. Civ. sez. I, 22 luglio 2004, n. 13644, sui
requisiti della violenza per l’invalidità del contratto
In data 9.12.1993 i coniugi Antonio Pelino e Silvia Trilli si
separavano consensualmente, stabilendo che il marito corrispondesse
alla moglie, per il mantenimento della stessa e dei tra figli, con lei
conviventi, un assegno mensile di £ 4.000.000.
Con scrittura privata sottoscritta sempre in data 9.12.1993 i coniugi,
oltre a disciplinare i loro rapporti patrimoniali, convenivamo che
l'assegno di mantenimento dovesse essere incrementato di altri
8.000.000 al mese "con versamento od impegno dei familiari del dott.
Pelino che contribuiranno in tal modo al mantenimento del massimo
benessere della nuora e dei nipoti". Prima della sottoscrizione dalla
scrittura in data 9.12.1993 i coniugi Pelino avevano sottoscritto il
20.5.1993 altra scrittura da valere come "bozza" i nella quale era
precisato che "ad integrazione dell'assegno stabilito dalla sentenza di
separazione Antonio Pelino verserà a Silvia Trilli la somma di
£. 8.000.000 (quattro per sè e quattro per i figli").
Tale bozza per espressa volontà della parti avrebbe poi dovuto
essere confermata con successiva scrittura privata.
La somme indicate nella scrittura privata del 9.12.1993, eccedenti
£ 4.000.000 mensili, venivano temporaneamente corrisposte alla
Trilli a mezzo di assegni tratti su un c/c intestato ad Olindo Pelino,
padre di Antonio, e da quest'ultimo girati alla moglie. Interrottisi i
pagamenti Silvia Trilli, sulla base della scrittura del 9.12.1993
chiedeva al Presidente del Tribunale di Sulmona decreto ingiuntivo a
carico di Antonio Pelino, che veniva concesso.
Avverso detto decreto ingiuntivo proponeva opposizione il Pelino
assumendo di non avere mai assunto l'impegno di corrispondere alla
moglie la somma di £ 8.000.000 al mese, posto che l'obbligo di
pagamento era riferito ai suoi familiari, i quali peraltro non avevano
sottoscritto la scrittura privata del 9.12.1993, precisando al tempo
stesso che la scrittura del 20.5.1993 costituiva solo una bozza, come
tale priva di rilevanza giuridica.
L'opposto decreto ingiuntivo veniva dichiarato provvisoriamente
esecutivo dal G.T. e, al termine dell'istruttoria, con sentenza in data
14.2.2000, il Tribunale di Sulmona respingeva l'opposizione sul
presupposto che il Pelino si fosse impegnato in proprio a pagare la
somma di £. 9000.000 al mese, in aggiunta all'assegno mensile di
mantenimento di £ 4.000.000, stabilito all'atto della separazione
consensuale.
Avverso la sentenza del Tribunale proponeva appello Antonio pelino,
contestando:
a) la rilevanza giuridica della bozza del 20.5.1993;
b) la possibilità di porre a fondamento del decreto ingiuntivo,
emesso a suo carico, la scrittura privata del 9.12.1993, dato il chiaro
tenore letterale della stessa che prevedeva l'obbligo del pagamento,
della somma di £ 8.000.000 mensili, esclusivamente a carico dei
suoi familiari;
c) l'invalidità dalle due scritture sottoscritte a seguito della
minaccia della moglie di togliersi la vita.
Con sentenza in data 24.4.2001 la Corte d'appello dell'Aquila, ritenuta
la validità dalle scritture private, sottoscritte dalle parti,
respingeva il gravame rilevando che, dal contenuto delle scritture
stesse, si desumeva che l'obbligo del pagamento delle somme indicate
nei due documenti gravasse direttamente su Antonio Pelino.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello propone
ricorso, fondato su due motivi, Antonio Felino.
Resiste con controricorso Silvia Trilli.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di cassazione il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., violazione e falsa
applicazione degli artt. 1173 e 1321 c.c., nonchè insufficiente
o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Assume il ricorrente che la Corte di appello dell'Aquila era chiamata a
stabilire se sussistesse a carico di Antonio Pelino l'obbligo di
corrispondere alla moglie, in aggiunta all'assegno di mantenimento,
stabilito in £ 4.000.000 mensili, anche l'ulteriore somma mensile
di £ 9.000.000, sulla base della scrittura privata sottoscritta
in data 9.12.1993 dalle parti.
In relazione a tale quesito la Corte territoriale ha fornito una
risposta positiva, dando per provato ciò che invece era
l'oggetto del giudizio.
In particolare la Corte di merito, in contrasto con il disposto
dell'art. 1362 c.c., non ha iniziato la propria indagine dall'esame
letterale della clausola contenuta nella scrittura del 9.12.1993 che
faceva riferimento al "versamento ad impegno dei familiari del dott.
Pelino che contribuiranno in tal moda al mantenimento del massimo
benessere dalla nuora e dei nipoti", omettendo così di spiegare
perchè l'esame letterale della scrittura non fonte sufficiente
ad individuare la comune intenzione delle parti.
Rileva ancora Antonio Pelino che la Corte territoriale ha anche violato
gli artt. 1173 e 1321 c.c. allorchè ha ritenuto che
poichè la scrittura del 9.12.1993 era diretta a regolare i
rapporti economici delle parti ed ad integrare le condizioni di
separazione, omologate dal Tribunale, il suo contenuto non poteva che
riferirsi alle parti stesse.
Al contrario, qualora la Corte avesse proceduto all'esame del tenore
letterale della scrittura avrebbe poi potuto integrare tale esame con
le emergenze dell'interrogatorio formale della Trilli e con la prova
per testi, articolati proprio per dimostrare che il Pelino non era in
grado di soddisfare il pagamento di una somma di £ 12.000.000 al
mese e che viceversa tale somma poteva essere pagata dai suoi
familiari.
Deduce inoltre il ricorrente che la Corte di appello ha desunto la
natura di assegno di mantenimento della somma di £ 8.000.000,
prevista nella scrittura, dalla parola "dovute", senza considerare la
altre espressioni contenute nella scrittura stessa quali "impegno dei
familiari" "massimo benessere", “nuora e nipoti” che sono del tutto
incompatibili con la natura di assegno di mantenimento della somma in
questione.
Precisa infine il Pelino che la Corte merito ha preteso di desumere
l'effettiva volontà delle parti dalla scrittura del 20.5.1993
che costituiva solo una "bozza", il cui contenuto non è stato
dai coniugi riprodotto nella scrittura del 9.12.1993 e che doveva
quindi ritenersi priva di valore giuridico, omettendo così
ancora una volta di fornire una valida spiegazione del perché
fosse possibile superare il chiaro tenore letterale della scrittura
privata del 9.12.1993, unica rilevante nella specie.
Il motivo è infondato e va pertanto respinto. Invero va
preliminarmente precisato che nel giudizio di legittimità non
è consentito il riesame del contenuto dei documenti posti dal
giudice di merito a fondamento della sua decisione, ma solo la
valutazione dei vizi logici o giuridici della motivazione
dell'impugnata sentenza.
Nella specie la Corte territoriale ha proceduto ad una disamina del
contenuto della scrittura privata del 9.12.1993, accertando l'esistenza
dell'obbligo del Pelino di versare alla moglie l'ulteriore somma di
£ 8.000.000, sulla base di quattro distinte argomentazioni, tra
di loro logicamente connesse.
Ha ritenuto infatti la Corte di merito che l'obbligo del ricorrente
discendesse:
a) dal contenuto stesso della scrittura privata del 9.1.1993,
finalizzata a definire tutti i rapporti economici dei coniugi;
b) dalla considerazione che avendo le parti definito la somma di
£ 8.000.000 come "dovuta" tale espressione evidenziava cha la
somma stessa fosso stata ritenuta dai coniugi come componente
dell'assegno di mantenimento;
c) dal rapporto delle due scritture del 20.5.1993 e del 9.12.1993, la
prima delle quali evidenziava come i coniugi avessero inteso, fin
dall'inizio dalla separazione, che l'integrazione dell'assegno di
mantenimento gravasse sul Pelino;
d) dalla circostanza che il pagamento dell'intera somma di £
12.000.000 fosse stata sempre corrisposta direttamente dal ricorrente,
anche ne a mezzo di assegni emessi dai suoi familiari e da lui girati
alla Trilli.
Si tratta, come appare evidente, di valutazioni di merito che, in
quanto immuni da vizi logici, non possono essere incise in questa sede
con la prospettazione da parte del ricorrente di una diversa lettura
delle risultanze probatorie, già valutate dal giudicare di
merito.
Il primo motivo va pertanto disatteso.
Con il secondo motivo il ricorrente impugna la sentenza di merito per
violazione degli artt. 324, 333, 334 e 343 c.p.c., degli artt. 1434 e
1435 c.c. nonchè per omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione su un unto decisivo della controversia.
Rileva il Pelino che, in primo grado, aveva dedotto che le scritture in
data 20.5.1993 e 9.12.1993 foriero Inidonee a suffragare la richiesta
della Trilli in quanto da questa estorte con la minaccia del suicidio.
A sostegno del proprio assunto aveva quindi articolato alcune prove
alla cui ammissione si era opposta la difesa della Trilli sul
presupposto che, trattandosi di domanda nuova, la stessa dovesse essere
dichiarata inammissibile.
Il Tribunale di Sulmona aveva ritenuto ammissibile la domanda relativa
all'invalidità dalle due scritture, qualificabile quanto meno
come eccezione, ma l'aveva ritenuta infondata nel merito.
Con l'atto di appello esso ricorrente aveva riproposto la questione
dell'invalidità delle scritture e la Trilli aveva a sua volta
ribadito l'inammissibilità della domanda, senza però
svolgere sul punto appello incidentale.
La Corte di appello ha ritenuto inammissibile la questione relativa
all'invalidità delle due scritture sia in quanto costituiva
domanda riconvenzionale e non mera eccezione sia perchè,
costituendo una "mutatio libelli", avrebbe dovuto essere proposta con
l’atto di opposizione avverso il decreto ingiuntivo, non avvedendosi
però che non poteva decidere in ordine all’ammissibilità
o meno di tale questione in quanto, in difetto di appello incidentale
della Trilli, la questione stessa era sottratta alla sua cognizione
parchè coperta dal giudicato.
La Corte di appello ha comunque ritenuto la validità delle due
scrittura sul presupposto che si trattasse di un “mutus ab intrinseco”,
vale a dire di una costrizione nascente da uno stato d'animo del Pelino
e non già da minacce poste in essere dalla moglie, senza
però valutare che attraverso i capitoli 1 e 2
dell'interrogatorio formale il ricorrente intendeva provare che la
scrittura privata del 20.5.1993 era stata dai coniugi sottoscritta
quando la Trilli era ancora ricoverata presso l'ospedale di Sulmona
sicchè il Pelino aveva firmato mentre si trovava in stato di
costrizione psichica, posto che la minaccia di suicidio costituisce un
male grave non solo per chi l'attua ma anche per chi ne tema le
conseguenze per sè e per i propri figli.
Il motivo è infondato e va pertanto respinto.
Si osserva che effettivamente, come risulta dalla narrativa della
impugnata sentenza, il Tribunale di Sulmona aveva ritenuto ammissibile,
ai sensi dell'art. 183 c.p.c., la domanda del Pelino, diretta
all'annullamento delle scritture private, in quanto costituente una
nuova ragione di opposizione avverso il decreto ingiuntivo opposto,
respingendo poi nel merito la domanda di annullamento delle scritture
stesse, sicchè la Corte di appello non avrebbe dovuto più
esaminare la questione dell'ammissibilità della domanda, in
difetto di appollo incidentale della Trilli, rimasta soccombente in
punto di ammissibilità dell'eccezione di annullabilità
delle scritture, sempre proponibile ai sensi dell'art. 1442 u.c.c.c.
(Casa. civ. sez. II, 28.1.1995 n. 1027; Cass. civ. sez. II 14.8.1990 n.
8274); tuttavia tale questione non incide sulla fondatezza del motivo
in esame posto che il giudice di marito ha ritenuto inesistente il
"metus" dedotto dal Pelino.
La Corte territoriale ha infatti respinto il terzo motivo di appello,
relativo all'esistenza del vizio del consenso invalidante le scritture,
sul presupposto assorbente che nella specie il vizio della
volontà integrasse solo un "metus ab intrinseco", nel senso che
il condizionamento derivava da uno stato d'animo del ricorrente e non
da un comportamento della controparte.
Tale statuizione é fondata e va pertanto confermata.
Va infatti precisato in proposito che la minaccia, per essere idonea ad
invalidare il negozio, deve essere specificamente finalizzata ad
estorcere il consenso alla conclusione del negozio di uno dei
contraenti, provenire dal comportamento posto in essere da una delle
parti o da un terzo e risultare di natura tale da incidere con
efficienza causale sul determinismo del soggetto passivo che in assenza
della minaccia non avrebbe concluso il negozio.
Di conseguenza non costituisce minaccia invalidante il negozio, ai
sensi dell'art. 1434 e seguenti del c.c., la mera rappresentazione
interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate
circostanze oggettivamente esistenti. (Cass. civ. sez. I 21.6.2000 n.
8430; Cass. civ. 9.1.1971 n. 14).
Nella specie il Pelino non ha provato nè chiesto di provare che
il tentato suicidio della moglie fosse finalizzato esclusivamente ad
estorcere il suo consenso alla sottoscrizione delle scritture "de
quibus", ma solo che la scrittura del 20.5.1993 è stata
sottoscritta in ospedale, circostanza inidonea a fornire la prova
dell'esistenza di una violenza morale aventi le connotazioni su
descritte, come esattamente ritenuto dalla Corte di appello.
Il ricorso va pertanto interamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
respinge il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio di cui euro 100/00 per esborsi ed euro 3000/00 per onorari,
oltre alle spese generali ad agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima
Sezione Civile, in data 2 dicembre 2003.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 22 LUGLIO 2004
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