Aggiornamento - Civile

 

 

Cass. civ., Sez. III, Sentenza n. 16031 del 2007, in materia di errore e dolo nella compravendita di azioni

 

Va premesso che in materia di compravendita delle azioni di una società, che si assuma stipulata  ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato  alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico  dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429 cod. civ., n. 2, relativo all'errore  essenziale. Pertanto, non è configurabile un'azione di annullamento della compravendita basata su  una pretesa revisione del prezzo tramite la revisione di atti contabili per dimostrare quello che  non è altro che un errore di valutazione da parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della  società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda una situazione, in forza della quale  debbono applicarsi le norme in materia di riduzione e perdita del capitale sociale.

Quanto, poi, al tema del dolo - i cui elementi nell'ambito negoziale non divergono da quelli che  concorrono a concretizzare, sotto il profilo soggettivo, il reato di truffa, - il cui mancato

 esame da parte della Corte di merito censura la ricorrente - deve rilevarsi che il dolo

 costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, nè sotto il profilo intensivo, diverso da

 quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati

 dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso (Cass.

 10.12.1986 n. 7322). Inoltre, le false od omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è

 indispensabile alla controparte per una corretta formazione della sua volontà contrattuale possono  comportare l'annullamento del contratto per dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse  stata a conoscenza delle circostanze maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o  possono comportare l'obbligo per il contraente mendace o reticente di risarcire il danno, ove la  controparte si sarebbe comunque determinata a concludere l'affare ma a condizioni diverse, salvo  che il contraente mendace non provi che la controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui  maliziosamente occultati o che avrebbe potuto conoscerli, usando la normale diligenza.

 

 

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con atto di citazione notificato il 3-10 febbraio 1993 la srl Ircoss conveniva, davanti al

 tribunale di Roma, la spa Iritech esponendo che:

 a) il 24 maggio 1991 aveva acquistato dalla Iritech 6.028 azioni della partecipata Tecno.s.san al

 prezzo di L. 15.000 ciascuna (in luogo di quello nominale di L. 10.000), per un totale di L.

 90.420.000;

 b) il successivo 31 maggio 1991 aveva acquistato ulteriori 17.972 azioni, al prezzo unitario di L.

 15.000, per un importo di L. 269.580.000;

 c) il pagamento di tale secondo acquisto era stato differito al 31 maggio 1992, gravato degli

 interessi del 15% e garantito da due distinte fideiussioni accese dalla stessa Ircoss presso la

 Banca di Roma il 28 maggio 1991, per L. 150.000.000 e per L. 119.580.000, oltre interessi ed

 accessori;

 d) la Iritech aveva assicurato un rapido ripianamento delle perdite, esposte in bilancio per L.

 566.620.000, mediante il pronto impiego di macchine di cui aveva la disponibilità in forza di

 contratti di leasing;

 e) alla chiusura del bilancio dell'esercizio 1991, invece, era stato appurato che le perdite

 ammontavano a L. 1.135.000.000;

 f) le macchine, che costituivano i mezzi strumentali per l'attività della Tecno.s.san, non

 potevano essere usate, a seguito della decisione del Tar Lazio del 16.6.1990.

 Sulla base di tali premesse la società attrice denunciava che la indicata condotta, tenuta dagli

 amministratori, concretizzava gli estremi della culpa in contrahendo, nonché del reato di truffa,

 per il quale si riservava di agire in separata sede.

 Chiedeva, quindi, che, accertata l'esistenza di uno scorretto comportamento della controparte, il

 tribunale dichiarasse tenuta e condannasse la Iritech al risarcimento di tutti i danni subiti, in

 misura da accertare in corso di causa; inoltre che fosse accertato il suo legittimo rifiuto di non

 corrispondere il saldo del prezzo convenuto.

 Con successivo atto di citazione, poi, la stessa Ircoss conveniva, sia la Iritech, sia la Banca di

 Roma affinché, sulla base delle stesse premesse in fatto, fosse accertato e dichiarato il vizio

 del proprio consenso al momento della conclusione del contratto di acquisto delle azioni e,

 conseguentemente, fossero annullati i due contratti, con la condanna della Iritech alla

 restituzione della somma ricevuta in conto prezzo, ed al risarcimento dei conseguenti danni.

 Chiedeva, inoltre, che fossero dichiarati l'annullamento e l'inefficacia, ex artt. 1462 e 1941

 c.c., della condizione prevista nei contratti di fideiussione, in base alla quale, al fine di

 sospenderne l'efficacia, alla garante Banca di Roma non poteva essere opposta alcuna eccezione,

 relativa alla validità del contratto di compravendita.

 Chiedeva, ancora, che fosse dichiarata anche la nullità delle clausole dei due contratti

 fideiussori che stabilivano, l'una, l'obbligo dell'Istituto di credito fideiussore di rimborsare

 al creditore garantito Iritech le somme che fossero state incassate e che dovessero essere

 restituite, a seguito dell'annullamento o della revoca dei pagamenti stessi; l'altra, l'obbligo

 del medesimo fideiussore di pagare alla Iritech la somma garantita a semplice richiesta scritta,

 anche in caso di opposizione, conservando la garanzia anche in deroga all'art. 1939 c.c..

 Da ciò l'attrice desumeva l'inesistenza di qualunque obbligo per la Banca di Roma, di adempiere a

 richieste di attivazione della garanzia fideiussoria che le fossero rivolte dalla garantita

 Iritech, chiedendo, in via subordinata, la declaratoria dell'inesistenza di un diritto di regresso

 nei suoi confronti.

 Si costituivano la Iritech e la Banca di Roma in entrambi i giudizi, poi riuniti, contestando il

 fondamento delle domande proposte, delle quali chiedevano il rigetto.

 Nelle more di tale giudizio, la Iritech, con ricorso del 5- 11.10.1993, chiedeva ed otteneva

 decreto ingiuntivo nei confronti della Banca di Roma, per il saldo prezzo.

 Avverso il decreto ingiuntivo la Banca di Roma proponeva opposizione convenendo, oltre la Iritech  anche, per manleva, il debitore principale Ircoss.

 In corso di causa era dichiarata la provvisoria esecuzione del decreto opposto, e la Banca di Roma

 corrispondeva alla Iritech, con salvezza dell'esito del giudizio di opposizione, la relativa

 somma. Con riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il tribunale, con sentenza

 n. 21649/99 del 5.11.1999 - ritenuta la validità delle garanzie fideiussorie e dei contratti di

 compravendita - confermava il decreto ingiuntivo e condannava la Ircoss a pagare alla Banca di

 Roma le somme da questa corrisposte alla Iritech in forza delle attivate garanzie.

 Con altra sentenza in pari data (n. 21654-99), poi, lo stesso tribunale rigettava tutte le domande

 proposte dalla Ircoss con l'atto di citazione 3-10.2.1993.

 Con atto di appello notificato il 21.2.2000, la Ircoss impugnava la sentenza n. 21649/99, avverso

 la quale la Banca di Roma proponeva appello incidentale condizionato.

 La Corte d'Appello, con sentenza n. 3570/2002 del 15.10,2002, rigettava la impugnazione proposta

 dalla Ircoss.

 Contemporaneamente, con atto di appello notificato lo stesso 21.2.2000, la Ircoss impugnava anche

 la sentenza n. 21654/99 chiedendone la riforma.

 Si costituivano la Iritech e la Banca di Roma che, viceversa, ne chiedevano la conferma.

 La Corte d'Appello, con sentenza n. 3569/02 del 15.10.2002, rigettava la proposta impugnazione.

 Osservava la Corte di merito che:

 a) la compravendita aveva avuto ad oggetto un pacchetto azionario, e non il patrimonio della

 società, ne' il risultato della sua attività imprenditoriale. L'acquirente di tale pacchetto,

 pertanto, non poteva dolersi, ne' del fatto che il patrimonio della società non rispondesse alle

 sue aspettative, ne' che la società, della quale aveva acquistato azioni, non producesse utili;

 b) dell'insita aleatorietà dell'affare, l'acquirente delle azioni non poteva non essere

 consapevole, sia perché la società le cui azioni erano state compravendute, era stata costituita

 da appena un anno per svolgere un'attività innovativa ad alto contenuto tecnologico, sia perché

 l'amministratore unico dell'acquirente Ircoss aveva più di un'occasione per accertare i fatti

 ritenuti fondanti il dolo della cedente nella conclusione della vendita;

 c) in ipotesi di vendita di azioni, il difetto di qualità della cosa venduta deve attenere

 unicamente alle "qualità" dei diritti e degli obblighi che in concreto la partecipazione azionaria

 è idonea ad attribuire, e non il patrimonio sociale o la redditività dell'impresa. Nella specie,

 mentre, da un lato, la venditrice Iritech non aveva prestato alcuna garanzia al riguardo,

 dall'altro, l'acquirente Ircoss, visti i fatti che avevano preceduto la conclusione della

 compravendita delle azioni, non poteva invocare l'esistenza di un dolo del venditore in termini di

 violazione dei doveri di informativa relativi alla reale consistenza patrimoniale della

 Tecno.s.san;

 In particolare, sempre nell'ottica della culpa in contrahendo, non aveva alcun rilievo la

 circostanza che la Iritech non avesse informato l'acquirente del sequestro cui era stato

 sottoposto l'unico macchinario installato e l'esito delle analisi sul suo funzionamento. Infatti,

 per un verso l'attività della Tecnossan si poneva in termini di sperimentazione di una tecnologia

 altamente innovativa, ed in fase di messa a punto; per altro verso, poi, l'amministratore della

 Ircoss era uno dei maggiori esperti italiani del settore della sterilizzazione dei rifiuti

 ospedalieri;

 d) in ogni caso, il legale rappresentante della Ircoss aveva avuto modo di esaminare i libri

 contabili della Tecno.s.san ed il bilancio del primo esercizio sociale;

 e) la piena legittimità delle fideiussioni prestate dal Banco di Roma; ed in particolare della

 clausola cd. " a prima richiesta". Avverso la sentenza n. 3569/2002 ha proposto ricorso per

 Cassazione la Ircoss srl affidato a due motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso

 la spa Iritech e Capitalia spa (già Banca di Roma spa).

 Anche avverso la sentenza n. 3570/2002 la Ircoss srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a

 due motivi.

 Resistono con controricorso, in entrambi i giudizi, la Iritech spa e Capitalia spa (già Banca di

 Roma spa) che - nel giudizio di R.G. n. 6419/03 - ha anche proposto ricorso incidentale

 condizionato. La ricorrente ha, inoltre, chiesto la riunione del giudizio di R.G. 6419/03 +

 7809/03 a quello di R.G. 6415/03, considerato che le motivazioni delle due decisioni impugnate,

 sono coincidenti e trattano identici argomenti.

 MOTIVI DELLA DECISIONE

 Preliminarmente va disposta la riunione del giudizio di R.G. n. 6419- 03 + 7809 - 03 a quello di

 R.G. n. 6415/03, riguardando cause connesse per l'oggetto e per i soggetti.

 Infatti, l'istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall'art.

 274 cod. proc. civ., in quanto volto a garantire l'economia ed il minor costo dei giudizi, oltre

 alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a

 ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto

 costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione

 semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale

 sulla domanda di giustizia, ed in conformità al ruolo istituzionale della Corte di Cassazione,

 che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l'esatta osservanza e

 l'uniforme interpretazione della legge, nonché l'unità del diritto oggettivo nazionale (Cass.

 19.1.2007 n. 1237).

 Nel merito.

 Con il primo motivo di entrambi i ricorsi la società ricorrente denuncia la violazione dell'art.

 112 cod. proc. civ. e degli artt. 1337, 1391 e 1439 cod. civ. - omessa, insufficiente e

 contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalla parte in

 relazione ai nn. 3 e 5 cod. proc. civ..

 Tale motivo investe i punti della sentenza relativi all'esame ed alla decisione sulle domande

 proposte dalla società Ircoss, finalizzate alla dichiarazione di invalidità ed inefficacia dei

 contratti di compravendita delle azioni Tecno.s.san., dalla stessa conclusi con la Iritech, nonché

 alla restituzione del prezzo pagato ed al risarcimento dei danni.

 La ricorrente contesta alla Corte di merito il mancato esame di risultanze probatorie; in

 sostanza, lamenta la mancata pronuncia sul capo della domanda relativo all'accertamento della

 truffa, quale presupposto della domanda di annullamento dei contratti di compravendita delle

 azioni Tecno.s.san..

 Inoltre, - sostiene - la Corte ha motivato il mancato esame dei fatti dedotti e provati con

 procedimento logico errato e motivazione contraddittoria; è, cioè, incorsa in errore, allorquando,

 considerando che il valore della azioni non fosse motivo idoneo all'annullamento dei contratti, ha

 ritenuto irrilevanti gli artifici posti in essere al fine di attribuire alle azioni un valore

 superiore.

 Inoltre, ha commesso errori nella ricostruzione dei fatti di causa, in ordine ai quali ha motivato

 in maniera insufficiente così da trarre "motivo di esclusione del dolo da ciò che, invece ne

 rappresenta la prova."

 Il motivo non è fondato.

 Va premesso che in materia di compravendita delle azioni di una società, che si assuma stipulata  ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato  alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico  dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429 cod. civ., n. 2, relativo all'errore  essenziale. Pertanto, non è configurabile un'azione di annullamento della compravendita basata su  una pretesa revisione del prezzo tramite la revisione di atti contabili per dimostrare quello che  non è altro che un errore di valutazione da parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della  società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda una situazione, in forza della quale  debbono applicarsi le norme in materia di riduzione e perdita del capitale sociale (Cass.  29.8.1995 n. 9067).

 Occorre a tal fine tenere presente, sia l'oggetto della causa, vale a dire la compravendita delle

 azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo che non corrispondeva al loro

 effettivo valore -non interessa, in questa ottica, se ciò sia dipeso da false informazioni sociali

 -, nell'ipotesi in cui il venditore non abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione

 patrimoniale della società.

 La soluzione del problema si sposta, quindi, dal piano societario a quello dell'esame del

 contratto di compravendita - che pure abbia ad oggetto azioni di una società - secondo i comuni

 principi inerenti alla vendita, nella quale non sia prestata alcuna garanzia particolare da parte

 del venditore.

 I principi dettati in materia non mutano, per il solo fatto che si tratta della vendita di azioni

 di società.

 Sotto il profilo dell'errore, la circostanza che il bilancio della società pubblicato prima della

 vendita sia falso e nasconda quella situazione in forza della quale si deve applicare la

 disciplina in materia di riduzione e perdita del capitale sociale non implica il riferimento ad

 una qualità delle azioni nel senso di cui all'art. 1429 c.c., n. 2.

 Tale norma fa riferimento a due elementi: il comune apprezzamento o il riferimento alle

 circostanze.

 Il primo profilo tiene conto della tipica destinazione economica della cosa, e cioè la sua

 destinazione oggettiva a realizzare il tipico scopo del contratto prescelto.

 Deve, pertanto, trattarsi di caratteristiche inerenti alla cosa, che non consentono margini di

 opinabilità, in quanto non dipendono da una valutazione estimativa, e cioè da un criterio di

 apprezzamento del bene, alla stregua della pura e semplice "convenienza" dell'affare,

 nell'economia di una delle parti.

 Diversamente opinando, si fornirebbe tutela ad un'errata applicazione dell'autonomia contrattuale,

 e cioè ai motivi che inducono a contrattare, nonché alle personali valutazioni, di cui ciascun

 contraente deve assumersi il rischio.

 Infatti, se per comune apprezzamento dovesse intendersi il prezzo che l'insieme degli operatori, e

 cioè il mercato di quel tipo di cose, attribuisce alle cose stesse, con riguardo alla vendita,

 l'art. 1474 c.c. anziché applicarsi alle sole ipotesi dalla norma indicate, sarebbe di

 applicazione generalizzata, perché il difetto di coincidenza fra il prezzo di mercato od il giusto

 prezzo ed il prezzo contrattuale consentirebbe sempre la possibilità di annullare il contratto.

 L'impossibilità di tutelare i meri errori di valutazione, che influiscono soltanto sul prezzo,

 dipende dalla stesso sistema dell'autonomia contrattuale che riserva alla sfera dei motivi

 individuali, ed irrilevanti, l'apprezzamento in ordine all'utilità dell'affare.

 Con riguardo alle azioni di società, le qualità delle stesse che, secondo il comune apprezzamento,

 devono ritenersi determinanti del consenso, debbono, pertanto, limitarsi a quelle che attengono

 alla funzione tipica delle azioni predette, e cioè all'insieme delle facoltà e dei diritti che

 esse conferiscono al loro titolare, nella struttura della società, senza alcun riguardo al valore

 di mercato di esse, quale può risultare dal bilancio, dallo stato patrimoniale della società e da

 tutti gli altri elementi che influiscono sul loro valore (Cass. 21.6.2006 n. 5773; Cass.

 13.12.2006 n. 26690). Proprio la varietà di detti elementi interni ed esterni - quali ad es. la

 possibilità di sviluppo dell'attività economica, la congiuntura di mercato, l'appartenenza della

 società ad un gruppo piuttosto che ad un altro - impedisce di inserire il valore economico

 dell'azione nell'ambito delle sue qualità nel senso di cui all'art. 1429 c.c..

 Il contraente che compra (o vende) le azioni, infatti, non può essere esposto al rischio di veder

 annullato il negozio che ha concluso ad un prezzo concordato, mediante un'azione di annullamento

 che pretenda di basarsi su di una revisione del prezzo, tramite la revisione degli atti contabili,

 per dimostrare quello che non è altro che un errore di valutazione.

 Nè, in tale ambito, si può distinguere fra le oscillazioni di valore che rientrano nell'ambito

 degli elementi discrezionalmente valutabili e quelle che dipendono dall'esistenza di circostanze

 tali da portare ad una modifica della funzionalità della società, quale è la perdita del capitale

 che impone la sua messa in liquidazione. Si tratta, infatti, di una differenza di "misura" che non

 incide sul contenuto giuridico delle azioni, quale titolo della partecipazione alla società.

 Si possono, infatti, ritenere rilevanti le caratteristiche che identificano le diverse categorie

 di azioni fornite di diritti diversi, ma non le utilità economiche - e cioè le aspettative di

 profitto - che l'acquirente di azioni si prefigge nella sua decisione di acquisto.

 L'art. 1429 c.c., n. 2 fa, inoltre, riferimento alle circostanze, e cioè non alle valutazioni

 soggettive del singolo contraente, ma alle caratteristiche concrete del contratto, nel quale

 possono rientrare dati di fatto e/o criteri di stima influenti sul valore della cosa venduta.

 Ora, non può dubitarsi che una cosa è la vendita di azioni, un'altra la vendita di beni della

 società -contratti del tutto autonomi e distinti -, posto che diverso è il bene oggetto della

 compravendita.

 In questa ottica, emerge, in maniera netta, la differenza tra vendita dell'azione - cui consegue

 l'acquisto della status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella

 s.p.a. - e la vendita dell'intero patrimonio o di singoli beni della società. Infatti, solo in

 quest'ultimo caso, oggetto della vendita sono i beni della società; e, quindi, non possono non

 trovare applicazione le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale.

 Nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all'oggetto immediato e, cioè

 all'azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni

 costituenti il patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto

 ricorso ad un'espressa clausola di garanzia, frutto dell'autonomia contrattuale, che consente alle

 parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare

 esplicitamente il valore dell'azione al valore dichiarato del patrimonio sociale.

 Non esiste alcuna norma, infatti, che preveda, in ipotesi di vendita di azioni, il riferimento al

 dato dell'esattezza e della veridicità del bilancio, quale necessario parametro del valore reale

 delle azioni.

 La conseguenza è che, anche nella compravendita delle azioni, in mancanza di specifiche garanzie,

 assunte dal venditore, la determinazione del prezzo delle azioni è rimessa alla libera volontà

 delle parti, con conseguente irrilevanza dell'errore in ordine al valore reale dell'azione.

 Con riferimento, poi, al dolo, che può comportare - secondo la giurisprudenza di legittimità

 l'annullamento del contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante del consenso (Cass.  21.6.1996 n. 5773; Cass. 5.2.2007 n. 2479), deve precisarsi che non si nega in astratto la

 possibilità che la compravendita di azioni possa essere affetta dal vizio costituito dal dolo

 determinante, ma si precisa che il semplice mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale  della società non sono da sole sufficienti. In sostanza, ricorre il dolus malus solo se, tenuto  conto delle circostanze di fatto e delle qualità e condizioni dell'altra parte, il mendacio sia  accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno voluto ed idonee in concreto a  sorprendere una persona di normale diligenza.

 Ciò vuoi dire che il dolo è rilevante, e la parte ingannata riceve protezione, soltanto se la

 buona fede non sia costituita da negligenza o da ignoranza.

 Passando all'esame della fattispecie concreta, deve, in via preliminare, rilevarsi che la

 ricorrente indulge, nell'esposizione del motivo, ad una "rivisitazione" nella ricostruzione dei

 fatti di causa che appartiene al giudice di merito e non è consentita in questa sede, se la

 motivazione è esente da vizi logici e giuridici. Infatti, il motivo di ricorso per cassazione, con

 il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso

 a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al

 diverso convincimento soggettivo della parte.

 In particolare, non si può proporre - con tale motivo - un preteso, migliore e più appagante

 coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni

 all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei

 fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo

 di tale convincimento, rilevanti ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).

 In caso contrario, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di

 revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova

 pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di Cassazione

 (Cass. 22.2.2006 n. 3881).

 Per la soluzione del problema si deve partire da un dato incontroverso, e cioè che il venditore -

 nella specie - non aveva prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della

 società.

 Ne consegue che, applicando i principi esposti in materia di compravendita di azioni e le

 conclusioni cui si è pervenuti, nessun rilievo può essere mosso al venditore, anche per

 l'eventuale falsità dei dati esposti in bilancio.

 Quanto, poi, al tema del dolo - i cui elementi nell'ambito negoziale non divergono da quelli che  concorrono a concretizzare, sotto il profilo soggettivo, il reato di truffa, - il cui mancato

 esame da parte della Corte di merito censura la ricorrente - deve rilevarsi che il dolo

 costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, nè sotto il profilo intensivo, diverso da

 quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati

 dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso (Cass.

 10.12.1986 n. 7322). Inoltre, le false od omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è

 indispensabile alla controparte per una corretta formazione della sua volontà contrattuale possono  comportare l'annullamento del contratto per dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse  stata a conoscenza delle circostanze maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o  possono comportare l'obbligo per il contraente mendace o reticente di risarcire il danno, ove la  controparte si sarebbe comunque determinata a concludere l'affare ma a condizioni diverse, salvo  che il contraente mendace non provi che la controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui  maliziosamente occultati o che avrebbe potuto conoscerli, usando la normale diligenza.

 L'accertamento se si versi in una ipotesi di dolo determinante o incidente costituisce valutazione

 di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata (Cass. 5.2.2007 n.

 2479). Nella specie, non è contestabile al giudice di merito il mancato esame della truffa, come

 evocato dalla ricorrente, posto che lo stesso, nella valutazione dei fatti costituenti il dolo

 ipotizzato (in particolare autopromozione della società e proiezione dei ricavi futuri), ha

 implicitamente considerato gli stessi anche sotto il profilo della truffa.

 Come già detto, infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, ne'

 sotto il profilo intensivo, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi

 risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra

 parte e così a viziarne il consenso.

 La Corte di merito, infatti, esaminando il caso concreto, è partita dal principio, pacifico, che

 il contratto di vendita di quote di società a responsabilità limitata o di azioni di società per

 azioni, ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota

 parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta, con la conseguenza che il difetto

 di qualità della cosa venduta, ai fini dell'annullamento del contratto per errore o della

 risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1497 cod. civ., deve attenere unicamente alla

 "qualità" dei diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad

 attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto questo non attiene

 all'oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti, e quindi può

 assumere rilievo giuridico solo ove siano state previste esplicite garanzie contrattuali circa la

 consistenza economica della partecipazione, ovvero nel caso di dolo di un contraente, che rende  annullabile il contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante del consenso".

 Ha, quindi, escluso la rilevanza, nel caso concreto, della prestazione di esplicite garanzie

 contrattuali, mentre, con riferimento alla ipotizzata sussistenza del dolo ha rilevato che

 "L'appellante identifica il dolo (e quindi la culpa in contrahendo) nella violazione dei doveri di

 informazione - cd. doveri di protezione - attinenti alla vera consistenza patrimoniale della

 TECNO.S.SAN, ed all'impossibilità di portare avanti l'unica attività imprenditoriale della stessa

 società per difetto originario dei presupposti tecnici".

 Ha poi aggiunto "Nello specifico la IRCOSS lamenta che l'omesso esame delle risultanze istruttorie

 avrebbe impedito al tribunale di valutare la falsa rappresentazione di un rapido sviluppo della

 TECNO.S.SAN." concludendo sul punto specifico che "per quanto sopra osservato appare evidente

 l'assoluta irrilevanza dell'attività di autopromozione della società in questione (cfr materiale

 pubblicitario allegato al fasc. di primo grado IRCOSS) e le proiezioni di futuri ricavi".

 Inoltre, sempre nell'ottica della culpa in contrahendo, relativamente all'addebito di avere

 taciuto alla futura contraente le ulteriori circostanze circa l'esito negativo delle analisi della

 campionatura sottoposta a sterilizzazione, già conosciute da Ircoss il 15 maggio 1991, nonché il

 sequestro, presso Prato, dell'unico camion in circolazione addetto al servizio, ha rilevato che

 "appare evidente che tali circostanze non possono considerarsi incidenti stalla determinazione

 dell'acquisto di una partecipazione azionaria atteso che, come messo in evidenza dal Tribunale, il

 legale rappresentante della IRCOSS, che era anche uno dei massimi esperti in campo nazionale del

 settore della sterilizzazione dei rifiuti ospedalieri, aveva avuto ogni opportunità di valutare la

 realtà economica e gestionale dell'azienda, che necessariamente lo doveva avere indotto anche a

 considerare che l'attività della IRCOSS si poneva in fase di sperimentazione di una tecnologia

 (sia pure coperta da brevetto mondiale) elaborata da altri, di tal che il camion sequestrato a

 Prato era appunto dato in gestione alla USL in virtù di sperimentazione. È da aggiungere che

 l'esito negativo delle analisi della campionatura sottoposta a sterilizzazione era parziale e che

 lo stesso consulente della IRCOSS si era riservato la facoltà di fare effettuare ulteriori

 analisi".

 Ed ha concluso "Dunque all'epoca della stipula della cessione la situazione era del tutto fluida

 (basti pensare alla riforma da parte del Consiglio di Stato (s. 28 novembre 1992 n. 951) della

 sentenza del TAR LAZIO (s. 16 giugno 1990 n. 1215) che, all'epoca venne citata dalla IRCOSS come  ulteriore elemento di valutazione della condotta della IRITECH)".

 In conclusione, tale accertamento, condotto dalla Corte d'Appello, costituisce valutazione di

 merito, adeguatamente motivata, come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. 5.2.2007 n.

 2479). Con il secondo motivo di entrambi i ricorsi la società ricorrente denuncia la violazione

 degli artt. 112 cod. proc. civ., artt. 1322, 1323, 1344, 1462, 1939, 1941, 1945 cod. civ. - omesso

 esame - insufficiente motivazione su punti decisori della controversia prospettati dalla parte in

 relazione all'art. 360 cod. proc. civ., ai punti nn. 3 e 5.

 Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che, per effetto dell'obbligo contrattualmente

 assunto di pagare a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione giudiziale o

 stragiudiziale del debitore, la Banca aveva stipulato un vero e proprio contratto autonomo di

 garanzia e non un'ordinaria fideiussione con clausola "solve et repete", la quale avrebbe fatto

 salva, una volta che il fidejubente avesse pagato, la possibilità - esclusa dalla Corte di merito

 - per il debitore principale di far valere, verso il creditore garantito, le eccezioni derivanti

 dal rapporto con questo intercorso. La censura non è fondata.

 Anche a tal fine, deve premettersi che la ricorrente, con la censura mossa, in realtà tende ad un

 riesame in ordine all'interpretazione del contratto di garanzia, che, concretandosi in un'indagine

 di fatto in ordine all'intento comune perseguito dalle parti contraenti, è riservata al giudice

 del merito e, quindi, può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della

 motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere

 ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal

 giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi

 elementi di fatto vagliati dal giudice di merito (Cass. 20.2.2007 n. 3934;

 Cass. 29.11.2001 n. 15185).

 Ora, il contratto autonomo di garanzia (performance bond), definito anche garanzia a prima

 domanda, si configura come una combinazione di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il

 destinatario della prestazione, il garante, il controgarante e il debitore della prestazione.

 Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione,

 è la carenza dell'elemento dell'accessorietà: il garante si impegna a pagare al beneficiario,

 senza opporre eccezioni, ne' in ordine alla validità, ne' all'efficacia del rapporto di base.

 Detti elementi, che caratterizzano il contratto autonomo di garanzia e lo differenziano dalla

 fideiussione devono necessariamente essere esplicitati nel contratto con l'impiego di specifiche

 clausole, quali quella "a semplice richiesta" o quella "a prima domanda", o altre analoghe, idonee  ad indicare la esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti  al debitore principale, ivi compresa l'estinzione del rapporto (Cass. 23.6.2000 n. 8540; Cass.  3.10.2005 n. 19300; nello stesso senso Cass. 20.4.2004 n. 7502; Cass. 9.11.2006 n. 23900).

 La Corte di merito ha rigettato le domande sul punto proposte dalla Ircoss ritenendo che la

 previsione contrattuale di "pagare all'IRITECH s.p.a. a semplice richiesta scritta, anche in caso  di opposizione giudiziale o stragiudiziale del debitore "non concretizza l'inserimento di una  clausola che prevede una semplice anteriorità dell'adempimento della garanzia rispetto alla  possibilità di far valere le eccezioni, bensì la stipula di una vera e propria obbligazione

 autonoma di garanzia, la cui cittadinanza nel nostro sistema giuridico è da tempo stata

 riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina come valida espressione di

 autonomia contrattuale".

 Trattasi di motivazione che, seppure succinta, non presenta vizi logici o giuridici, in ordine

 alla quale la ricorrente - alla quale incombeva l'onere - non ha specificato gli elementi

 oggettivi sui quali la diversa configurazione prospettata (fideiussione) si sarebbe fondata; ne'

 ha chiarito quali sarebbero state le violazioni delle regole di ermeneutica in cui sarebbe incorso

 il giudice di merito nell'interpretazione del contratto, fornendo, piuttosto, una diversa e più

 favorevole - per la stessa - interpretazione.

 Conclusivamente, i ricorsi principali riuniti vanno rigettati e, conseguentemente, va dichiarato

 assorbito quello incidentale condizionato proposto da Capitalia s.p.a..

 Le spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo, in virtù della soccombenza,

 vanno poste a carico della ricorrente. P.Q.M.

 La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

 Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore di ciascuna parte

 resistente, in complessivi Euro 6.100,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali

 ed accessori di legge.

 Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di

 Cassazione, il 14 giugno 2007.

 Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2007

 






 
 

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