Aggiornamento - Civile

Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2004, n. 22418, sulla eccezione riconvenzionale di usucapione nel caso di domanda di rivendicazione 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 13 giugno 1996 Maura da Zara e Carla da Zara citavano Rodolfo Martini davanti al Tribunale di Roma, chiedendo la condanna dello stesso al rilascio del terreno di loro proprietà abusivamente occupato dal convenuto, con condanna dello stesso a demolire le opere realizzate su tale terreno, nonché all’eliminazione di una porta-finestra e di una finestra realizzate nella facciata del suo fabbricato a confine con la proprietà di esse attrici, in quanto a distanza non legale.
Il convenuto, costituitosi, deduceva di essere diventato proprietario per usucapione della zona di terreno rivendicata dalle attrici.
Con sentenza in data 10 luglio 1999 il Tribunale di Roma accoglieva le domande.
Rodolfo Martini proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in data 9 maggio 2001, in base alla seguente motivazione:
Secondo i principi generali era l'appellante che doveva provare l'eccepita usucapione del terreno di cui è causa, in assolvimento del proprio onere probatorio (art. 2697 c.c.); onde è del tutto irrilevante che la sua pretesa, priva del benché minimo elemento di prova, non risulti esclusa dalle dichiarazioni rese dai testi in 1° grado.
Contro tale decisione Rodolfo Martini ha proposto ricorso per cassazione, con un unico complesso motivo.
Resistono con controricorso Maura da Zara e Carla da Zara.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente deduce che, avendo le attrici agito in revindica, sulle stesse incombeva, ai sensi dell'art. 948 cod. civ., l'onere di provare l'acquisto in base ad un titolo originario della proprietà del terreno rivendicato.
La doglianza è infondata.
Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che, secondo l'orientamento prevalente nella giurisprudenza di questa S.C., l'onere probatorio gravante sull'attore in revindica non é, di regola, attenuato dalla proposizione da parte del convenuto di una domanda riconvenzionale (o di un’eccezione) di usucapione, a meno che il convenuto non invochi un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo a quello del titolo di acquisto del rivendicante perché in tal caso, attenendo il thema disputandum all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell'invocata usucapione e non già dell'acquisto da parte dell'attore, l'onere probatorio del rivendicante può legittimamente ritenersi assolto, nel fallimento dell’avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare (cfr. sent. 10 settembre 2002 n. 13186; in senso sostanzialmente conforme cfr. sent.: 8 febbraio 2001 n. 12327; 28 giugno 2000 n. 8806; 4 febbraio 2000 n. 1250; 5 gennaio 2000 n. 43; 29 agosto 1997 n. 8246; 26 giugno 1997 n. 5711).
Non può condividersi l'orientamento più rigoroso, secondo il quale la mancata prova da parte del convenuto dell’invocata usucapione non attenua l'onere probatorio gravante sull'attore in revindica, in quanto l'invocare un proprio diritto sulla cosa rivendicata non implica comunque alcuna rinunzia al principio possideo quia possideo (cfr. sent.: 12 aprile 2001 n. 5472; 23 maggio 1996 n. 4748).
Quando, infatti, il convenuto in revindica, per paralizzare la domanda dell'attore, invoca l'avvenuta usucapione in suo favore, non si limita ad opporre la tutela che la legge garantisce al possessore anche se non espressione di un diritto di proprietà, ma deduce di possedere in quanto proprietario; nel caso in cui, poi, l'usucapione sia oggetto di una domanda riconvenzionale, chiede addirittura l'accertamento di tale diritto di proprietà con efficacia di giudicato. Poiché, peraltro, l'usucapione non può che maturare che nei confronti di chi è proprietario al momento dell'inizio del possesso utile, il convenuto in revindica che la invochi riconosce che l'attore è stato proprietario, per cui, da un lato, questi è esentato dall'onere probatorio da cui diversamente sarebbe gravato e, dall'altro, il convenuto non può che soccombere nei confronti dell'attore se non fornisce la prova dell’avvenuta usucapione.
Il ricorrente si duole, poi, dell’omessa motivazione da parte della Corte d’appello di Roma in ordine alla richiesta di revoca dell'ordine del Tribunale di chiusura della porta finestra e della finestra.
La doglianza è infondata, in quanto, a prescindere dal fatto che dalla sentenza impugnata non risulta che tale doglianza sia stata proposta con l'atto di appello, il rigetto della stessa non aveva bisogno di motivazione specifica essendo la logica conseguenza dell'accoglimento della conferma della domanda di revindica, venendo tali aperture a trovarsi a distanza non legale.
Il ricorrente, infine, si duole dalla mancata ammissione delle prove testimoniali di cui all'atto di appello.
Anche tale doglianza è stata infondata.
La richiesta di ammissione di prove testimoniali è stata rigettata dalla Corte d’appello in quanto verteva, per quanto riguarda un capitolo, come già rilevato dai giudici di primo grado, che per la sua estrema genericità avrebbe chiamato i testi ad esprimere delle mere valutazioni e per quanto riguarda l'altro capitolo su circostanze del tutto ininfluenti ai fini della decisione. Per contrastare l’esattezza di tale motivazione il ricorrente (che non solo non ha trascritto i capitoli di cui si discute, ma non ne ha indicato neppure l'oggetto) nessuna specifica censura ha svolto.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
In considerazione delle particolarità della controversia, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Roma, 3 novembre 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 29 NOVEMBRE 2004



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