Cassazione
civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 21/04/2017,
dep.20/06/2017), n. 15268 Il negozio affetto da annullabilità
assoluta non è convalidabile giacché, da un lato, la convalida dovrebbe
provenire da tutti i soggetti legittimati a far valere l'annullabilità e,
dall'altro, la sanzione è finalizzata alla tutela di interessi di natura
diversa e trascendenti da quelli meramente individuali dei contraenti
2. Con il
secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione
della L. n. 379 del
1967, art. 4, nonchè dell'art. 1444 c.c.,
comma 2,
in quanto la Corte d'Appello ha ravvisato la nullità di
ogni accordo intercorso tra le parti, in quanto posto in essere al fine di
eludere l'applicazione delle suddette previsioni.
Tuttavia,
deve reputarsi che il contratto concluso in violazione del cennato art. 4, sia affetto da annullabilità, con la conseguenza che
la successiva sottoscrizione dell'atto di divisione del 23 ottobre 1978
implica una convalida del negozio, in conseguenza della sua volontaria
esecuzione.
Anche tale
motivo deve essere disatteso.
2.1 In primo luogo deve
evidenziarsi, trattandosi di punto che si pone con carattere preliminare
rispetto anche ai successivi motivi di ricorso, che appare effettivamente
erroneo il richiamo compiuto dal giudice di merito alla fattispecie della
nullità per giustificare l'improduttività di effetti degli accordi
intercorsi tra il Be. ed il B., per effetto della
violazione di cui alla L. n. 379 del
1967, art. 4, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte, come si avrà modo di illustrare in occasione della disamina del
quarto motivo di ricorso, che il
legislatore ha inteso sanzionare l'atto in contrasto con il divieto di
cessione non autorizzata ed a soggetto privo della qualifica di coltivatore
diretto, con la previsione dell'annullamento del contratto, così come
chiaramente disposto dall'art. 6 della medesima legge.
Trattasi
però di errore che impone unicamente la correzione della motivazione della
sentenza impugnata, ma che non risulta in alcun
modo idoneo ad inficiare la sostanziale correttezza della soluzione
raggiunta dal giudice di appello.
Infatti, e
ribadito che nella fattispecie l'annullabilità
dell'accordo era stata puntualmente eccepita dal convenuto (il che rileva
ai fini della fondatezza della contro-eccezione di prescrizione), non
appare possibile invocare la convalida quale conseguenza dell'atto di
divisione successivamente intervenuto tra le parti in relazione al medesimo
fondo.
Osta a
tale possibilità, in primo luogo la circostanza che anche l'atto dal quale si vorrebbe ricavare l'effetto convalidante, e
cioè la divisione, è stato correttamente dichiarato nullo già dal
Tribunale, in quanto in evidente contrasto con la previsione di cui alla L. n. 1078 del
1940, art. 3, che prevede la nullità degli atti che abbiano ad
oggetto il frazionamento dell'unità poderale, quale quella oggetto di
causa, il che induce ad elidere anche il preteso effetto del negozio ai
sensi dell'art. 1444
c.c..
2.2 In secondo luogo, come si ricava
chiaramente dalla previsione di cui alla L. n. 379 del 1967, art. 6, la fattispecie di invalidità
prevista dal legislatore è riconducibile ad un'ipotesi di annullabilità
assoluta, essendone rimessa l'iniziativa finalizzata alla sua declaratoria
(ovvero alla deduzione dell'eccezione volta a paralizzare la domanda
finalizzata all'esecuzione del contratto annullabile) oltre che all'Ente
che ha proceduto all'assegnazione, a chiunque vi abbia interesse, e ciò in
considerazione anche dell'interesse a tutela del quale la sanzione è
prevista, che trascende gli interessi meramente individuali dei contraenti.
Ne
consegue che, laddove si verta in un'ipotesi di annullabilità assoluta,
così come evidenziato dalla più accorta dottrina, la convalida risulta impedita, non solo e non tanto per la necessità
che la convalida sia attuata da tutti i soggetti investiti della
legittimazione a far valere l'annullabilità, ma altresì in ragione della
finalità della sanzione che è posta a tutela di interessi di natura diversa
da quelli dei soli contraenti, essendo quindi preclusa la possibilità di
valutare la conformità dell'assetto programmato al proprio interesse reale,
in funzione del quale è appunto conferito il potere di convalida.
3. Con il
terzo motivo si denunzia la violazione dell'art. 2907 c.c.,
in quanto il Tribunale di Pisa aveva stabilito che
la violazione della L. n. 379 del
1967, art. 4, era motivo di annullabilità e non di nullità,
senza che la decisione fosse stata sul punto gravata.
Con il
quarto motivo si denunzia l'omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonchè la
violazione e falsa applicazione della L. n. 379 del
1967, art. 4.
Si
evidenzia che la Corte
d'appello ha erroneamente ravvisato un'ipotesi di nullità, anzichè di
semplice annullabilità negli accordi intercorsi tra le parti, trascurando
che la norma de qua prevede una fattispecie di annullabilità.
Con il
quinto motivo si denunzia la sussistenza del vizio motivazionale nonchè la violazione e falsa applicazione dell'art. 112
c.p.c., in relazione alla L. n. 379 del 1967, art. 4, nonchè degli artt. 1476,
1477 e 1498 c.c..
Infatti il Be. con un motivo di
appello aveva dedotto l'erroneità della decisione del Tribunale che aveva
rilevato d'ufficio l'invalidità delle intese intercorse tra le parti.
Peraltro,
il convenuto si era limitato ad eccepire la sola
annullabilità del contratto, ma non la nullità, sicchè la pronunzia
adottata dal Tribunale violava la previsione di cui all'art. 112
c.p.c..
Inoltre la
deduzione del B. era avvenuta a distanza di oltre dieci anni dall'accordo, ed allorquando, con la propria condotta, aveva
manifestato la volontà di rinunziare a far valere l'invalidità dell'intesa.
3.1 I
motivi che per la loro connessione devono essere esaminati congiuntamente
sono infondati.
Effettivamente, come già sopra
evidenziato, erronea appare la qualificazione della previsione di cui alla L. n. 379 del 1967, art. 6, come idonea a dar
vita ad una fattispecie di nullità negoziale, essendo del tutto
pacifico nella giurisprudenza della Corte, come peraltro confermato dal
tenore letterale della norma, che in tal caso il legislatore abbia
configurato un'ipotesi di annullabilità, ancorchè assoluta, del contratto
idoneo a violare le previsioni di cui agli artt. 4 ed 8 della stessa legge,
e quindi, per quanto rileva in questa sede, del contratto con il quale le
parti abbiano inteso trasferire, ovvero si siano impegnate a trasferire
(prima della scadenza del vincolo trentennale) la proprietà di un terreno
oggetto di assegnazione fondiaria, senza l'autorizzazione dell'ente che ha
proceduto all'assegnazione ed a favore di soggetto privo della qualifica di
coltivatore diretto, come il Be. (cfr. Cass. n.
10577/2012; Cass. n. 14564/2004, secondo cui se il fondo è
alienato a soggetto, condizioni e prezzo diversi da quelli indicati
nell'art. 4, di quest'ultima legge, il contratto è
annullabile, ai sensi dell'art. 6 della medesima, e l'azione, esperibile da
chiunque vi ha interesse, si prescrive in cinque anni dalla sua
stipulazione).
Tuttavia
essendo pacifico, come riconosciuto dallo stesso ricorrente che il
convenuto aveva eccepito l'invalidità del contratto ai sensi della norma de
qua, e che le conseguenze del suo rilievo, anche se solo sotto il profilo
dell'eccezione, sono idonee a privare l'accordo stesso della sua efficacia,
impedendo quindi di riconoscere la comproprietà del bene ovvero, nella alternativa ipotesi configurata dall'attore,
l'esistenza di un obbligo del convenuto a trasferire in suo favore la quota
del 50%, avere affermato che si tratti di nullità costituisce un mero
errore qualificatorio, emendabile con la correzione della motivazione della
sentenza, senza che ciò abbia ripercussioni sulla correttezza della
soluzione raggiunta.
Ne viene,
una volta ricondotta la qualificazione della patologia di cui è affetto
l'accordo tra le parti, alla previsione di annullabilità del contratto, che
risultano immediatamente privi di fondatezza sia
il terzo motivo (posto che si conferma la conclusione circa l'annullabilità
del negozio, come sostenuto dal giudice di primo grado), sia il quarto
motivo.
In merito
poi al quinto motivo, premesso che come si rileva dalla formulazione delle
conclusioni di parte convenuta quali riportate nella sentenza non
definitiva del Tribunale del 3 febbraio 1996, nell'invocare la
violazione della L. n. 379 del
1967, art. 4, si chiedeva dichiararsi la nullità ovvero
l'annullamento della cessione in favore del Be.,
il che denota che era stata avanzata anche richiesta di annullamento, deve
escludersi che sussista violazione del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato.
Ed, infatti, oltre a doversi richiamare il principio per
il quale, a fronte della deduzione dei fatti ad opera della parte, compete
al giudice stabilire quali siano le conseguenze in iure derivanti dagli
stessi, sicchè, anche a fronte dell'affermazione della sussistenza di una
causa di nullità, ben avrebbe potuto il giudice di ufficio pervenire alla
declaratoria di annullamento, deve ricordarsi che secondo la giurisprudenza
di questa Corte, non può essere individuata una violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nel caso in cui il giudice, pur
investito di una domanda di nullità, provveda ad accertare l'annullabilità
del contratto (in tal senso Cass. n.
15981/2007, citata anche nella sentenza gravata e la conforme Cass. n.
16708/2002, a mente della quale la domanda giudiziale con cui la
parte intenda far accertare la nullità di un contratto, al fine di poterne
disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un'ipotetica domanda di
annullamento di quel medesimo contratto dipendente da una invalidità meno
grave, nei termini di maggiore a minore).
Ne
consegue che non eccede i limiti della domanda la
sentenza che, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità di
un contratto, ne pronunci l'annullamento, ove quest'ultimo risulti fondato
sui medesimi fatti.
4. Il
sesto motivo di ricorso lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonchè la
violazione e falsa applicazione dell'articolo unico della L. n. 191 del
1992, nonchè della L. n. 1078 del
1940, richiamata dalla L. n. 379 del
1967, art. 4, nonchè la violazione della L. n. 379 del
1967, artt. 4 e 6.
Assume il
ricorrente che l'articolo unico della L. n. 191 del
1992, ha disposto che il divieto di frazionamento delle unità
poderali di cui alla L. n. 1078 del
1940, art. 1, abbia durata trentennale
dalla sua prima assegnazione. Per l'effetto una volta trascorso il
trentennio dalla detta assegnazione, il fondo era divisibile.
Ne
discende che alla data della sentenza l'immobile oggetto di causa era
divisibile.
Risulta altresì erronea l'affermazione della sentenza
nella parte in cui afferma che la promessa di trasferimento sottoscritta
dalle parti prima della scadenza del trentennio avrebbe portata elusiva del
divieto normativo.
Inoltre
andrebbe affermata la validità del pactum fiduciae sottoscritto dal B. a
seguito dell'acquisto dell'immobile, essendo possibile rimuovere il vincolo
di indivisibilità, allorchè il bene sia divisibile
in più unità fondiarie, ai sensi della L. n. 379 del 1967, art. 10.
Infine, se
anche dovesse reputarsi che la L. n. 191 del
1992, non abbia portata retroattiva,
il negozio fiduciario è perfettamente valido, in quanto nulla impedisce
che in presenza del vincolo di indivisibilità, il bene possa appartenere a
più soggetti.
4.1 Anche
tale motivo è destituito di fondamento.
In primo
luogo parte ricorrente opera un'indebita confusione tra gli effetti della L. n. 191 del
1992, che effettivamente ha posto un limite trentennale alla
situazione di indivisibilità dei fondi, con la
diversa previsione di cui alla L. n. 379 del
1967, artt. 4 e 6, che viceversa non sono interessati dalla
novella. Quest'ultima, infatti, con una disciplina destinata ad operare solo per il futuro, ha previsto che il
divieto di frazionamento delle unità poderali di cui alla L. 3 giugno
1940, n. 1078, art. 1, ha durata trentennale dalla prima
assegnazione.
Trattasi
però di norma che è stata costantemente interpretata nel senso che abbia portata innovativa e non meramente interpretativa delle
precedenti disposizioni, poichè modifica il regime giuridico vigente,
eliminando il vincolo d'indivisibilità perpetua ed introducendo quello di
durata temporanea trentennale dalla prima assegnazione. Ne consegue che gli
atti di divisione del podere stipulati prima
dell'entrata in vigore della citata legge del 1992 sono affetti da nullità
assoluta ed insanabile, perchè contrari a norma imperativa (Cass. n.
212/2006; Cass. n.
9636/2008).
Ne
discende che in relazione alla declaratoria di
nullità della scrittura divisionale del 23/10/1978, alla quale il
ricorrente annette anche l'effetto di convalida, la norma sopravvenuta non
ha alcuna rilevanza, confermandosi pertanto la sua contrarietà alla norma
imperativa all'epoca vigente.
La novella
poi non ha in alcun modo innovato rispetto alla disposizione di cui alla L.
n. 379 del 1967, art. 4, restando quindi operante il divieto di procedere
ad alienazioni o cessioni di fondi in favore di soggetti privi della
qualifica soggettiva, ovvero senza il rispetto
delle condizioni previste dalla legge.
Ciò
comporta che l'accordo intercorso tra le parti, ed
in disparte il problema della mancanza di prova della sua esistenza
mediante la produzione di una scrittura avente i requisiti di forma ad
substantiam, questione a suo tempo rilevata dal giudice di primo grado (non
potendosi a tal fine attribuire rilievo alla dichiarazione unilaterale
ricognitiva del solo B., cfr. sul punto Cass. n.
10163/2011, secondo cui ove il patto fiduciario abbia ad oggetto
beni immobili, dovendo risultare da un atto avente forma scritta "ad
substantiam", non può essere sostituito da una dichiarazione
confessoria proveniente dall'altra parte, non valendo tale dichiarazione nè
quale elemento integrante il contratto nè - anche quando contenga il
preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto - come prova del
medesimo; conf. Cass. n.
5565/2001; Cass. n.
9687/2003), resta comunque annullabile, e come tale inidoneo a
produrre gli effetti invocati dal ricorrente.
Ne
consegue che una volta esclusa la possibilità di ritenere prodottosi
l'effetto traslativo in favore del Be., deve
escludersi altresì che alla data della sentenza ovvero all'attualità esista
una situazione di comunione tra le parti, il che rende del tutto
irrilevante la circostanza che nelle more sia decorso il termine
trentennale dall'assegnazione, e che quindi oggi sarebbe potenzialmente
possibile dividere il bene.
Quanto,
invece alla pretesa idoneità della scrittura a firma del B. a generare
l'obbligo di trasferimento quale adempimento del pactum fiduciae intercorso
tra le parti, del tutto condivisibili appaiono le considerazioni sviluppate
al giudice di appello che avvalendosi del potere di provvedere alla genuina
interpretazione della volontà delle parti, e senza che sul punto il motivo
di ricorso risulti idoneo a confutare la
correttezza logico argomentativa dell'operazione ermeneutica compiuta dalla
sentenza gravata, ha ritenuto che le parti in ogni caso non avevano inteso
rimandare al futuro, e precisamente ad un'epoca successiva al venir meno
del vincolo, il trasferimento della proprietà in capo al Be., sicchè era
evidente la contrarietà dell'intesa alle previsioni di cui alla L. n. 379 del
1967.
Del tutto
nuova, e comunque necessitante di accertamenti in fatto, è la questione concernente la pretesa applicazione della L. n. 379 del
1967, art. 10, circa la possibilità di poter procedere alla rimozione del
vincolo di indivisibilità in via giudiziale, in quanto, in assenza di
qualsivoglia riferimento alla stessa contenuto in sentenza, la parte
avrebbe dovuto quanto meno allegare in quale fase processuale la questione
stessa era stata in precedenza dedotta in giudizio.
Tuttavia, al di là dell'inammissibilità discendente dal segnalato
profilo di novità, valga rilevare che la rimozione del vincolo de quo
presuppone la proposizione di un'autonoma domanda giudiziaria, che non
risulta essere stata avanzata, ma ancor di più, che a monte esista una
situazione di comunione, per il cui scioglimento si invoca la rimozione del
vincolo di indivisibilità, laddove, per quanto sopra esposto, la invalidità
degli accordi fiduciari intercorsi tra il Be. ed
il B. preclude la stessa insorgenza della comunione fra gli stessi.
La
ribadita nullità dell'atto di divisione, e l'impossibilità di attribuire allo stesso efficacia convalidante degli accordi in
violazione della L. n. 379 del
1967, art. 6, dà altresì contezza della possibilità per il B. di
poter sollevare l'eccezione di annullamento, non potendosi a tal fine
invocare la maturazione della prescrizione di siffatta facoltà, stante la
regola di imprescrittibilità dell'eccezione di annullamento di cui all'art. 1442 c.c.,
comma 4.
5. Il
settimo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414,
2932 e 102 c.p.c., nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Infatti, la Corte distrettuale ha
omesso di valutare la fondatezza della domanda, riproposta dal Be. in sede
di appello, finalizzata a far dichiarare l'interposizione fittizia del
contratto di acquisto del fondo del 15/3/1973,
riconoscendo che l'attore era quindi divenuto acquirente per la quota del
50%.
5.1 Il
motivo è da rigettare.
La Corte di Appello,
ancorchè in relazione alla doglianza concernente
la mancata partecipazione al giudizio del venditore del fondo, ha con ampia
ed articolata motivazione, spiegato le ragioni per le quali doveva
escludersi che nella fattispecie ricorresse un'ipotesi di interposizione
fittizia di persona, non essendosi mai dedotto che il venditore fosse
partecipe dell'accordo simulatorio, requisito indispensabile affinchè possa
rilevarsi una fattispecie di simulazione relativa soggettiva.
Con
richiamo anche a precedenti di questa Corte, si è quindi sottolineato
che l'accordo in merito alla effettiva proprietà del bene avesse un rilievo
meramente interno, che determinava l'inquadramento della vicenda
nell'ambito dell'interposizione reale di persona.
A fronte
di tale motivazione, il ricorrente in maniera apodittica sostiene che si
verta in una fattispecie di simulazione soggettiva, ma lo stesso riassunto
del contenuto della dichiarazione sottoscritta dal B., che a suo dire
fornirebbe la prova di tale assunto, conforta vieppiù la correttezza
dell'inquadramento giuridico offerto dalla Corte territoriale.
Inoltre,
l'auspicato diverso inquadramento giuridico della vicenda, in ogni caso non
sortirebbe alcun effetto favorevole per la posizione del Be.,
posto che anche laddove si reputi che il riconoscimento della comproprietà
in suo favore, sia frutto di un accordo trilaterale del quale era partecipe
anche il venditore, accordo avente natura simulatoria, lo stesso si
potrebbe egualmente in violazione della L. n. 379 del
1967, artt. 4 e 6, incorrendo le parti nella sanzione
dell'annullabilità.
6. Con
l'ottavo motivo si lamenta l'omessa, insufficiente e contradditoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè la
violazione dell'art. 1414 c.c.
e art. 102 c.p.c., atteso che la sentenza ha omesso di prendere
in considerazione la domanda di simulazione relativa soggettiva del
contratto di acquisto del fondo, sicchè il rigetto
della domanda è stato assunto in assenza di motivazione.
Inoltre,
una volta richiesto l'accertamento della simulazione, si imponeva
la partecipazione al giudizio nella qualità di litisconsorte necessario
anche del venditore del bene, sicchè sussiste una violazione del
litisconsorzio necessario che determina la nullità della sentenza.
6.1 Il
motivo è egualmente infondato.
Ed, infatti deve escludersi la dedotta violazione
dell'obbligo di motivazione ad opera del giudice del merito, avendo la
sentenza ampiamente esposto alle pagg. da 26 a 28, le ragioni per le
quali, alla luce della stessa prospettazione dei fatti operata dall'attore,
la corretta qualificazione della vicenda dovesse essere operata facendo
riferimento alla figura del negozio fiduciario, evidenziando altresì che la
deduzione solo in appello della partecipazione del b. all'intesa tra attore
e convenuto, costituiva una inammissibile modifica delle allegazioni in
fatto.
Tale
affermazione non risulta in alcun modo oggetto di
censura da parte del ricorrente, il che conferma la sostanziale novità
della domanda di interposizione fittizia, avanzata solo in grado di
appello, come confermato altresì dal fatto che i mezzi istruttori destinati
a fornire la prova di tale vicenda, e di cui si fa menzione in motivo,
erano stati articolati solo in secondo grado.
Tuttavia,
deve escludersi la violazione del principio del litisconsorzio necessario,
alla luce del fatto che appare pacifico tra le parti che il prezzo della
compravendita, ancorchè in parte con denaro fornito dal Be.,
era stato integralmente versato al venditore.
Tale
situazione implica che debba farsi applicazione di quanto di recente
precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n.
11523/2013, hanno affermato, innovando rispetto alla precedente
giurisprudenza, che nel giudizio avente ad oggetto
la simulazione relativa di una compravendita per interposizione fittizia
dell'acquirente, l'alienante non riveste la qualità di litisconsorte
necessario, se nei suoi confronti il contratto sia stato integralmente
eseguito, mediante adempimento degli obblighi tipici di trasferimento del
bene e di pagamento del prezzo, e non venga dedotto ed allegato l'interesse
dello stesso ad essere parte del processo, ovvero la consapevolezza e
volontà del venditore di aderire all'accordo simulatorio, rimanendo, di
regola, irrilevante per chi vende la modifica soggettiva della parte
venditrice e perciò integralmente efficace l'accertamento giudiziale
compiuto nei soli confronti dell'interposto e dell'interponente.
Deve per
l'effetto escludersi che sussistesse un effettivo interesse del venditore
alla partecipazione al presente giudizio, e che pertanto possa invocarsi la
violazione dell'art. 102 c.p.c..
7. Il nono
motivo denunzia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della
sentenza circa un fatto decisivo per il giudizio e la violazione dell'art. 1399 c.c..
Infatti,
la sentenza gravata ha omesso di pronunciarsi sulla deduzione
dell'appellante secondo cui la successiva dichiarazione unilaterale del B.
valeva come ratifica dell'acquisto operato dallo stesso B. su mandato
dell'attore, così come valore di ratifica andava attribuito al successivo
atto di divisione.
7.1 Ed invero in disparte l'inappropriato richiamo
all'istituto della ratifica, in assenza di un acquisto operato dal B. in
nome e per conto del Be., e dovendo la ratifica in ogni caso essere
compiuta dal rappresentato, e cioè dal Be., e non anche dal rappresentante,
e cioè il B., sempre nella costruzione del motivo operata da parte
ricorrente, il ragionamento risulta in ogni caso travolto a monte dalla
rilevata invalidità di ogni accordo intervenuto tra le parti, sia sotto
forma di impegno a riconoscere la comproprietà del bene in favore
dell'attore, sia come impegno a trasferire una quota del bene medesimo, per
risultare in contrasto con le prescrizioni di cui alla L. n. 379 del
1967, art. 4.
Il motivo
deve quindi essere rigettato.
8. Il
decimo motivo denunzia l'omessa ed insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè la
violazione degli artt. 1392 e 1350 c.c., non avendo la Corte toscana preso in
esame il motivo di appello con il quale si deduceva l'esistenza di un
mandato ad acquistare conferito dall'attore al convenuto.
8.1 Le
suesposte considerazioni circa la portata assorbente dell'invalidità
riscontrata dalla sentenza di appello giustifica il rigetto del motivo,
occorrendo comunque sottolineare che
l'inquadramento della vicenda nell'ambito di un fenomeno di interposizione
reale di persona dimostra che, attesa l'evidente assimilazione che, anche
in dottrina, si compie tra pactum fiduciae e mandato ad acquistare, la tesi
di parte ricorrente è stata ben tenuta presente dalla Corte di merito, che
come detto ha tuttavia reputato risolutiva, ed in senso sfavorevole alla
tesi dell'attore, l'impossibilità di ricondurre effetti al meccanismo di
interposizione voluto dalle parti, in quanto annullabile.
9. Le
ragioni che hanno determinato il rigetto del nono e del decimo motivo,
giustificano anche il rigetto dell'undicesimo motivo che denunzia l'omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo
della controversia e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e
2932 c.c..
Ed, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal
ricorrente, la sentenza lungi dall'omettere di prendere in considerazione
la pretesa esistenza di un obbligo di trasferimento della comproprietà del
bene, quale scaturente dalle intese intervenute ab origine tra le parti, ha
ritenuto assorbente e prevalente la riscontrata invalidità per la loro
idoneità a frustrare le finalità di cui alla L. n. 379 del
1967.
10. Il
dodicesimo motivo lamenta l'omessa ed
insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia nonchè
la violazione e falsa applicazione della L. n. 379 del
1967, art. 6 e della L. n. 1078 del
1940, art. 1.
Si
richiama poi la possibilità di ottenere la rimozione del vincolo ai sensi
della L. n. 379 del 1967, art. 10 e gli effetti di
cui alla L. n. 191 del
1992.
Si assume
che l'annullabilità del contratto non era mai stata eccepita e che comunque
l'eccezione era prescritta, sicchè la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi
sulla domanda di divisione del bene, atteso che
alla data della sentenza erano trascorsi oltre trent'anni dalla prima
assegnazione.
10.1 Il
motivo si risolve sostanzialmente nella reiterazione delle tesi difensive
di cui al sesto motivo di ricorso, occorrendo quindi pervenire al suo
rigetto, mediante rinvio alle argomentazioni già espresse al punto 5.1 che
precede.
11. L'ordine logico delle
questioni impone poi la preventiva disamina del sedicesimo motivo di
ricorso, che laddove si rivelasse fondato, determinerebbe l'assorbimento
dei tre che lo precedono.
Lo stesso
denunzia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè la
violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c..
Infatti,
si deduce che a fronte della sentenza del Tribunale che aveva disposto che
gli interessi sulle somme dovute a titolo restitutorio in favore
dell'attore, dovessero decorrere dalla data della consegna dell'importo
pari al 50% del prezzo e delle spese fatte d'intesa con il B., le
controparti avevano proposto appello solo sull'assenza di miglioramenti
tuttora in essere alla data della decisione, sicchè in assenza di impugnazione sulla data di decorrenza, la Corte d'Appello non
poteva modificarla, stante la formazione del giudicato.
11.1 La
deduzione è palesemente destituita di fondamento, atteso che, come si
ricava dalla ricapitolazione in sintesi dei motivi di appello proposti da B.S. e C., così come effettuata nella sentenza
impugnata, si evidenzia la proposizione del decimo motivo di appello, che
appunto invocava l'applicazione dell'art. 1282 c.c.,
comma 3.
12. Il
tredicesimo motivo di ricorso lamenta l'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione
dell'art. 2033 c.c.
e art. 1282 c.c., comma 3, in quanto la
sentenza gravata ha affermato che, pur ravvisandosi la mala fede del B., e
quindi prospettandosi l'applicabilità dell'art. 2033 c.c.,
tuttavia gli interessi potevano decorrere a favore del Be. sulle somme dovute a titolo di ripetizione
dell'indebito, solo a far data dalla riconsegna dei beni, reputandosi
quindi applicabile la previsione di cui all'art. 1282 c.c.,
comma 3.
La
decisione impugnata ha però erroneamente dato prevalenza all'art. 1282, a discapito
dell'art. 2033, che è noma speciale e derogatoria.
Il
quattordicesimo motivo denunzia sempre il vizio motivazionale nonchè la violazione degli artt. 1282 e 2033 c.c., in
quanto alla base del ragionamento della Corte di appello, nel dare applicazione
all'art. 1282 c.c.,
comma 3, vi sarebbe il convincimento che il ricorrente avesse goduto
dell'immobile in relazione al quale aveva maturato il diritto al rimborso
delle spese, senza versare alcun corrispettivo, trascurando però che
l'attore aveva provveduto al pagamento della metà del prezzo e delle spese
di ristrutturazione, dovendosi quindi escludere che il godimento fosse
avvenuto senza corrispettivo.
Il
quindicesimo motivo denunzia poi, sempre accanto al vizio di motivazione,
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1282 e 2033 c.c., in quanto la sentenza di appello, reputando applicabile
l'art. 1282 c.c.,
comma 3, aveva trascurato che l'importo da restituire in favore dell'attore
era costituito in parte dal corrispettivo pagato per l'acquisto del bene ed
in parte da quanto il Be. aveva speso per le opere
eseguite d'intesa con il B.. Ne consegue che per le somme dovute a titolo
di restituzione del prezzo versato non può comunque trovare applicazione la
previsione di cui all'art. 1282 c.c.
12.1 I tre
motivi attesa la intima connessione delle questioni
che involgono, possono essere congiuntamente trattati.
Ritiene il
Collegio di dover propendere per la tesi della specialità della previsione
dettata dall'art. 2033 c.c.
e con la conseguente sua prevalenza rispetto
all'applicazione della diversa previsione di cui all'art. 1282 c.c.,
comma 3, trattandosi appunto di una disposizione destinata ad approntare
una specifica sanzione per l'accipiens in mala fede.
Inoltre
non deve trascurarsi che la sentenza ha accomunato in una sola statuizione
la sorte sia delle somme dovute a titolo di rimborso spese che delle somme
dovute per rimborso prezzo per le quali invece
dovrebbero risultare inapplicabile in ogni caso alla previsione di cui all'art. 1282 c.c.,
comma 3, non trattandosi appunto di spese sostenute per le cose da
restituire Ancora l'affermazione del giudice di merito presuppone la
legittimità del titolo in base al quale è avvenuto il godimento del bene da
parte del ricorrente e la conseguente legittimità della fruizione dei
frutti, posto che la lettera e la ratio dell'art. 1282 c.c.,
sottendono che si tratti di un rimborso per spese sostenute da chi aveva un
legittimo titolo per detenere, mentre nel caso di specie si può affermare,
in ragione dell'accertata invalidità degli eventuali accordi intercorsi tra
le parti, che mancava ab initio un valido titolo giustificativo sia per il
godimento che per il contributo alle spese, sicchè il tutto è destinato ad
essere ricondotto alla disciplina in tema di ripetizione di indebito.
Infine,
non deve trascurarsi quanto si osserverà in occasione della disamina del
quarto motivo del ricorso incidentale, il cui
accoglimento, come si ha modo di anticipare sul punto, implica il
riconoscimento dell'obbligo in capo al Be. di
rendere conto, quanto meno ai fini della compensazione con il credito ora
in esame, dei frutti goduti medio tempore, venendo quindi meno il
presupposto applicativo della diversa previsione di cui all'art. 1282 c.c.,
comma 3, applicata invece dal giudice di appello.
I motivi
vanno pertanto accolti con la conseguente cassazione sul punto della
sentenza impugnata.
13. Il
primo motivo del ricorso incidentale assume la rinuncia da parte del
ricorrente alla rivalutazione monetaria sulle somme allo stesso spettanti, in quanto nella trascrizione delle conclusioni del ricorso
non risulta avanzata alcuna domanda in merito alla rivalutazione.
13.1 Il
motivo è inammissibile in quanto non appare
riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di vizio suscettibile di
essere dedotto ai sensi dell'art. 360
c.p.c., denotandosi altresì l'assenza di qualsivoglia critica
alla decisione del giudice di appello, ma solo l'intento di attribuire una
determinata valenza ad una condotta processuale della controparte
successiva alla definizione del giudizio di appello.
14. Il
secondo motivo del ricorso incidentale denunzia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 565,
566, 649 e 480 c.c., in relazione al
mancato accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva di
B.S. e C., nonchè sul medesimo punto, l'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione.
Si rileva
che la sentenza gravata ha disatteso l'eccezione già sollevata in sede di
appello, assumendo che i ricorrenti incidentali, figli di B.M., e quindi nipoti di B.F., non avevano contestato la
loro qualità di eredi del defunto convenuto.
Si assume
invece che gli stessi sono intervenuti in giudizio in
quanto legatari, posto che B.F. con testamento aveva lasciato loro
in legato il podere (OMISSIS).
Deve
quindi escludersi che siano eredi del convenuto e che, a seguito della
rinunzia all'eredità da parte del genitore B.M.,
abbiano posto in essere atti di accettazione dell'eredità del nonno.
Inoltre, a
seguito della morte della nonna V.M., alla sua successione sono risultati chiamati il figlio B.M., ed i nipoti ex filia
premorta, N.M. e Donatella, dovendosi quindi escludere la loro qualità di
eredi anche rispetto a tale diverso compendio ereditario.
14.1 Il
motivo difetta di specificità ex art. 366
c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti incidentali, pur
riconoscendo di essere stati beneficati con il testamento del defunto B.F.,
assumono che la disposizione in loro favore
andrebbe qualificata in termini di legato.
Tuttavia
hanno omesso di riportare il contenuto del testamento, onde consentire a
questa Corte di apprezzare se la disposizione della quale sono beneficiari,
sebbene avente ad oggetto una res certa, possa
effettivamente essere apprezzata alla stregua di un legato ovvero se non
valga, come implicitamente opinato dal giudice di merito, ed anche in
relazione al complesso delle altre disposizioni testamentarie, quale
institutio ex certa re.
15. Il
terzo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione degli artt. 566, 481
e 521 c.c., in relazione al mancato
accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata
da B.M., N.M. e N.D., per non essere gli stessi eredi di V.M., avendo
quest'ultima rinunziato all'eredità del marito.
In relazione alla medesima affermazione si denunzia
anche l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
La
sentenza di appello ha disatteso l'eccezione de qua osservando che se il B.M. ed i N. avevano rinunziato all'eredità del
convenuto, tuttavia la di lui moglie, V.M., era rimasta a lungo nel
possesso dei beni del marito, senza redigere l'inventario, non potendo
quindi essere considerata usufruttuaria ovvero legataria. L'acquisto della
qualità di erede ne determinava la responsabilità per i debiti ereditari,
nei quali erano poi succeduti B.M. ed i N., quali
eredi della V..
Si deduce
che tale ragionamento è erroneo, in quanto la V. era stata nominata
usufruttuaria generale dei beni del marito, e che a seguito di actio
interrogatoria esperita dallo stesso Be., aveva fatto decorrere il termine
assegnato dal Pretore per la dichiarazione di accettazione, senza
effettuare alcuna dichiarazione, perdendo quindi il diritto di accettare.
15.1 Anche
tale motivo difetta di specificità.
Infatti,
il ragionamento della Corte distrettuale presuppone la qualifica di
chiamata in capo alla V., sul presupposto che la stessa non fosse semplice
legataria, avendo altresì osservato che, essendo nel possesso dei beni
ereditari, anche l'inutile decorso del termine assegnato ai sensi dell'art. 481 c.c.,
non impediva l'acquisto ex lege della qualità di erede, per effetto della
previsione di cui all'art. 485 c.c..
Al fine di
contrastare tale affermazione sarebbe stato
necessario trascrivere in ricorso il contenuto del testamento di B.F., onde
apprezzare l'effettiva portata delle disposizioni testamentarie in favore
della V. (e ciò a prescindere dalla contrastata questione concernente la
corretta qualificazione da assegnare all'attribuzione della qualità di
usufruttuario generale, in termini di legato ovvero di istituzione di
erede).
Peraltro,
risalendo il decesso del convenuto alla data del 4 marzo 1996, alla
scadenza del termine di tre mesi concesso dal Pretore ai sensi dell'art. 481 c.c.,
all'esito dell'udienza del 17/1/1997, il termine di cui all'art. 485 c.c.,
sarebbe comunque abbondantemente decorso, sicchè la decadenza prevista
dalla norma richiamata dai ricorrenti incidentali
non potrebbe in ogni caso operare a fronte dell'avvenuto acquisto della
qualità di erede ex lege, per effetto della mancata redazione
dell'inventario da parte del chiamato che si trova nel possesso dei beni
ereditari. Ne consegue altresì che nei confronti della medesima non poteva a monte operare la previsione di cui all'art. 481 c.c.,
avendo già perso alla data di fissazione del termine, la qualità di
chiamata, per essere già divenuta erede.
16. Il
quarto motivo di ricorso incidentale denunzia la violazione dell'art. 1148 c.c.,
nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in merito al
mancato accoglimento dell'eccezione di compensazione delle
somme dovute al Be. con i frutti dallo stesso
percepiti, dalla data della domanda giudiziale, sino al rilascio dei beni.
In tale
ottica la Corte
distrettuale aveva omesso di dare applicazione all'art. 1148 c.c.,
che impone, dopo la proposizione della domanda giudiziale, l'obbligo del
possessore di restituzione dei frutti percepiti e
di quelli che avrebbe potuto percepire usando la diligenza del buon padre
di famiglia.
Si osserva
che tale eccezione era stata tempestivamente
sollevata nella comparsa di risposta in sede di reclamo avverso il diniego
del provvedimento di sequestro richiesto dall'attore, e reiterata nei
successivi scritti difensivi in Tribunale.
Tuttavia
la sentenza definitiva del Tribunale aveva disatteso la stessa, che era
stata poi riproposta in appello con uno specifico
motivo, laddove la Corte
di appello aveva motivato unicamente circa la pretesa applicabilità dell'art. 1282 c.c.,
comma 3, ritenendo tecnicamente non configurabile una compensazione tra le
rispettive poste creditorie.
16.1 Il
motivo è fondato atteso che a fronte della puntuale reiterazione
dell'eccezione de qua, la
Corte di Appello si è limitata a fare applicazione,
peraltro in maniera erronea della norma di cui all'art. 1282 c.c.,
comma 3, senza in alcun modo motivare circa le
ragioni del mancato accoglimento dell'eccezione de qua.
La
sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in parte qua, con rinvio
per un nuovo esame nel merito, ad altra Sezione della Corte d'Appello di
Firenze.
17. Il
quinto motivo di ricorso incidentale denunzia l'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione della sentenza in ordine all'accertamento
della mala fede del B.F., in relazione alla applicazione dell'art. 2033
c.c..
Si
sostiene che l'affermazione circa il fatto che il B. avesse tradito la
fiducia del Be. era contraddetta dal fatto che
nella stessa sentenza si dava atto che inizialmente le parti avevano invece
rispettato gli accordi presi.
Doveva
quindi ritenersi che fosse stato il Be. a non accontentarsi
più della situazione di fatto creatasi, il che esclude che possa ravvisarsi
la mala fede del loro dante causa.
17.1 Il
motivo è inammissibile posto che con lo stesso si mira surrettiziamente ad ottenere un diverso apprezzamento dei fatti di causa
così come invece operato dal giudice di merito il quale ha con motivazione
congrua e logica evidenziato le ragioni per le quali il B. doveva ritenersi
in mala fede, essendo consapevole dell'idoneità dell'accordo a violare le
previsioni sanzionate con l'annullabilità, che lui stesso aveva eccepito.
18. Il
sesto motivo di ricorso incidentale denunzia la violazione dell'art. 1150 c.c.,
nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto
concernente il diritto al rimborso delle spese sostenute dal Be. per riparazioni straordinarie e miglioramenti.
Infatti,
si sostiene che il diritto al rimborso per i miglioramenti presuppone che
gli stessi sussistano al tempo della restituzione.
Nella
specie la Corte
di merito ha errato nel non accogliere tale
eccezione, qualificando incongruamente gli interventi per i quali aveva
effettuato gli esborsi il ricorrente principale, quali interventi di
manutenzione straordinaria, recependo la determinazione sul punto del
Tribunale.
18.1 Anche
tale motivo deve essere rigettato risolvendosi in una sostanziale richiesta
di rivalutazione dei fatti di causa, e limitandosi a contestare la
qualificazione degli interventi in termini di manutenzione straordinaria in
luogo di miglioramenti, mirando anche in tal caso ad
ottenere un diverso apprezzamento di circostanze di fatto, che invece
risultano oggetto di ampia ed argomentata motivazione ad opera del giudice
di merito, con puntuale rinvio anche alle fonti del proprio convincimento.
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