Aggiornamento - Civile

Tribunale di Bologna, ordinanza del 8 maggio 2000, sul differimento dell’esecuzione degli sfratti nei confronti dei cittadini portatori di handicap

composto dai Magistrati Sigg.

Dr. Bruno Berlettano, Presidente
Dott.ssa Maria Acierno, Giudice
Dott. Giovanni Salina, Giudice

a scioglimento della riserva formulata nell’udienza del 11/4/2000 nella causa iscritta al n. 1230/2000 R.G.
 

RILEVATO CHE 

- Con ricorso depositato in cancelleria il 26/7/1999, Maurizio Panetta esponeva di abitare un appartamento a Bologna in via Mezzofanti n. 38, di proprietà di Giuseppina Righetti. 
Relativamente a tale immobile, parte locatrice aveva intimato la licenza di sfratto per finita locazione, ed il Pretore il 14/1/1998 aveva convalidato tale licenza per la data del 31/8/1998, fissando per l’esecuzione la data del 31/5/1999; successivamente, parte conduttrice aveva proposto il rinnovo del contratto con la procedura di cui agli artt. 2 e 6 L. 431/1998, ma il 17/6/1999 parte proprietaria aveva opposto il proprio diniego a tale rinnovo.
Il ricorrente, rappresentando di essere affetto da invalidità del 46% in seguito alla perdita di un occhio e di percepire un basso reddito, domandava al Giudice la fissazione di una nuova udienza di esecuzione ex art. 6 commi 4 e 5 L. 431/1998, anche in considerazione del fatto che la Righetti già viveva e risiedeva presso un diverso immobile di sua proprietà.
- Con comparsa depositata in Cancelleria in data 2/8/1999, parte locatrice deduceva l’improcedibilità del ricorso ex adverso, sul presupposto che l’ordinanza di convalida di sfratto non era stata notificata e non poteva quindi dirsi pendente il procedimento esecutivo. Nel merito, si osservava che parte conduttrice risultava morosa nel pagamento di spese condominiali, tassa rifiuti ed indennità di occupazione; inoltre, la proprietaria Giuseppina Righetti, dell’età di 84 anni, risultava invalida al 100% (cioè più del doppio rispetto al Panetta) e titolare del reddito di £. 13.1490.000 (cioè poco più della metà di quello del Panetta).
Per tali motivi, si instava per il rigetto della domanda di nuova fissazione dell’esecuzione. 
- Con provvedimento depositato il 17/12/1999, il Giudice dell’Esecuzione argomentava che l’invalidità civile non è espressamente menzionata nel testo della legge tra i motivi che, ex art. 6 comma 5 L. 431/1998, giustificano il differimento del termine dell’esecuzione. Infatti, lo stato di “portatore di handicap” previsto dalla norma in oggetto dovrebbe essere formalmente accertato, ai sensi dell’art. 4 L. n. 104/1992, dalla apposita commissione medica. Pertanto, tale stato non può puramente e semplicemente essere equiparato a quello di “invalido civile” lamentato dal ricorrente. 
Alla luce di queste argomentazioni, con decreto, il Giudice dell’Esecuzione rigettava la domanda di nuova fissazione dell’esecuzione ex art. 6 comma 5 L. 431/1998, sul presupposto della mancata dimostrazione dello stato di “portatore di handicap”; fissava invece la nuova data dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 6 comma 3 L. 431/1998, al 24/1/2000. 

RITENUTO CHE

- Avverso il provvedimento del G. E., il 2/2/2000 proponeva opposizione ex art. 6 comma 3 L. 431/1998 il Panetta, deducendo che lo stato di invalidità non si distingue da quello di handicap, bensì ne consegue. Poiché il 18/1/2000 parte locatrice aveva provveduto a notificare titolo e precetto per il rilascio dell’immobile, il Panetta domandava la sospensione dell’esecuzione e la fissazione di una nuova data, previa riforma del decreto del Giudice dell’Esecuzione.
Il Tribunale, in persona del Presidente di Sezione, disponeva non farsi luogo, sino all’udienza di comparizione delle parti davanti al Collegio, all’esecuzione dello sfratto. 
- Con memoria depositata in data 11/4/2000, Giuseppina Righetti contestava in fatto ed in diritto l’opposizione del Panetta. 
In rito, veniva sostenuta la tardività dell’opposizione, e conseguentemente la decadenza dalla stessa. Si argomentava infatti in proposito che, dovendo l’opposizione, giusto il dettato dell’art. 6 comma 3 L. 431/1998, essere proposta “con le modalità di cui all’art. 618 del codice di procedura civile”, l’opposizione stessa andava considerata come opposizione agli atti esecutivi. Pertanto, andava applicato anche il dettato dell’art. 617 comma 2 c.p.c., con la conseguenza di dovere proporre l’opposizione nel termine perentorio di cinque giorni dal primo atto di esecuzione. Poiché il ricorso del conduttore era stato depositato in Cancelleria il 2/2/2000, ventitre giorni dopo la comunicazione del provvedimento opposto e quindici giorni dopo la notifica di titolo e precetto, il ricorso stesso andava considerato tardivo. 
Nel merito, si sottolineavano da un lato le esigenze abitative della Righetti, pensionata ottantacinquenne invalida al 100%, bisognosa di cure e costretta a vivere in un piccolo paese dell’Appennino, lontana dalle uniche parenti in grado di assisterla, con un reddito pari alla metà di quello del Panetta; si evidenziava dall’altro lato la persistente morosità del conduttore nel pagamento di spese condominiali, di tasse rifiuti e di un canone locativo, per un importo complessivo di £. 1.654.008; si rilevava infine che, come argomentato dal G.E., sotto il profilo giuridico, lo stato di invalidità non è equiparabile allo stato di handicap, che ai sensi dell’art. 4 L. n. 1904/1992 deve essere formalmente accertato da un’apposita commissione medica. 
Per tali motivi, parte locatrice concludeva per la liberazione immediata dell’immobile ed il rigetto dell’opposizione. 
- All’udienza collegiale del 11/4/2000, dopo la discussione della causa, le parti si riportavano alle proprie conclusioni ed il Collegio si riservava di deliberare.

CONSIDERATO CHE

1) Non può essere accolta l’eccezione di decadenza formulata dalla difesa di Giuseppina Righetti, fondata sul presupposto che l’opposizione ex art. 3 L. 431/1998 rappresenti una forma di opposizione agli atti esecutivi e sia quindi ad essa implicitamente applicabile il disposto dell’art. 617 comma 2 c.p.c..
In realtà, è facile osservare che l’art. 3 L. 431/1998 si limita semplicemente a statuire che, a seguito dell’opposizione, il Tribunale giudica “con le modalità di cui all’art. 618 c.p.c.”. Non vi è quindi alcun dato testuale che autorizzi a ritenere richiamato anche il disposto dell’art. 617 comma 2 c.p.c., che prevede il termine di decadenza di cinque giorni dal compimento del singolo atto contestato per la proposizione dell’opposizione. In mancanza allora di un termine di decadenza espressamente previsto dalla legge e posto che il solo richiamo è quello all’art. 618 c.p.c., non anche all’art. 617 comma 2 c.p.c., la voluntas legis è chiaramente indirizzata nel senso di escludere la presenza di termini decadenziali, e sarebbe allora arbitraria la surrettizia creazione da parte dell’interprete della decadenza di cinque giorni per la proposizione dell’opposizione. 
D’altronde, l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 617 comma 2 c.p.c. alla fattispecie in esame si spiega anche, in termini più generali, in ragione della inconfigurabilità delle opposizioni ex art. 3 L. 431/1998 nell’alveo delle opposizioni agli atti esecutivi. Va infatti rilevato che le opposizioni agli atti esecutivi ex art. 617 comma 2 c.p.c., riguardano solo alcune tassative fattispecie, quali la regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, la notificazione di tale titolo esecutivo e precetto, nonché i singoli atti di esecuzione; viceversa, l’opposizione ex art. 3 L. 341/1998 è di carattere generale e non solo per ipotesi tassative, potendo porsi in essere “per qualsiasi motivo”. 
La divergente natura dei due tipi di opposizione spiega perché l’art. 3 L. 341/1998 abbia operato un rimando al solo art. 618 c.p.c., al fine di disciplinare la struttura del procedimento, e non già anche all’art. 617 o più in generale all’intera disciplina delle opposizioni agli atti esecutivi.
2) Ciò posto e ritenuta la ritualità dell’opposizione, il ricorso è nel merito fondato e va pertanto accolto. 
Ritiene invero il Collegio -dopo approfondita discussione ed in assenza di decisivi contributi giurisprudenziali sul punto- che non possa essere condiviso l’orientamento del Giudice dell’Esecuzione, secondo il quale lo status di portatore di handicap, ai fini del differimento della data di esecuzione dello sfratto ex art. 6 comma 5 L. 431/1998, debba essere necessariamente attestato dalla Commissione medica di cui all’art. 4 L. 104/1992. Militano infatti in tal senso almeno tre ordini di ragioni. 
Da un punto di vista esegetico e letterale, la legge 431/1998 non indica affatto che lo status di portatore di handicap debba essere accertato ai sensi della legge 104/1992, cd. legge quadro sull’handicap, che è di ben sei anni antecedente alla legge 431 e che era per forza di cose nota al legislatore del 1998. In mancanza di un’apposita previsione in tal senso, è quindi argomentabile che la voluntas legis sia quella di non subordinare la concessione del beneficio del differimento della data di esecuzione alla previa deliberazione della Commissione di cui all’art. 4 L. 104/1992.
Da un punto di vista logico, tale conclusione trova conforto anche alla luce di una semplice argomentazione. La legge 104/1992 prevede infatti una lunga e dettagliata serie di interventi normativi a favore delle persone portatrici di handicap, ma tra questi non vi è la previsione del diritto ad ottenere il differimento dell’esecuzione di uno sfratto, che è invece stato introdotto sei anni dopo dalla legge 431/1998. Pertanto, sarebbe irragionevole inferire che la mancata attivazione del Panetta per sottoporsi all’accertamento di cui alla Commissione della legge 104/1992, precluda allo stesso l’esercizio di un diritto che al momento in cui il Panetta poteva sottoporsi all’accertamento non era riconosciuto; ed inferire che, una volta riconosciuto tale diritto dal legislatore di sei anni dopo, il Panetta non possa più fare valere la sua condizione fisica per esercitare di tale diritto, dovendo l’accertamento della condizione medica preesistere rispetto al momento della domanda di rifissazione della data di esecuzione dello sfratto.
Sotto un profilo più squisitamente giuridico, ritiene il Collegio di non potere condividere il presupposto dal quale il Giudice dell’Esecuzione sembra muovere, e cioè che l’accertamento dello status di portatore dei handicap posto in essere dalla Commissione medica ex art. 4 L. 104/1992, sia sostanzialmente un accertamento costitutivo, e che in assenza di tale accertamento non potrebbe quindi dirsi esistente lo status di handicappato. In realtà, la definizione di persona handicappata è data dall’art. 3 della legge stessa, che parla di “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. Pertanto, lo status di handicappato non può che dirsi preesistente rispetto all’accertamento della Commissione, la quale prende atto dello status stesso al fine di assicurare al soggetto i benefici previsti dalla legge. Trattasi quindi di un accertamento dichiarativo e non costitutivo, in quanto non espressione di discrezionalità tecnica della Commissione, ma mero accertamento della presenza nel caso concreto di presupposti dalla legge già dettagliatamente predeterminati.
Se così è, ben può il Giudice, alla luce di una consulenza tecnica, ovvero direttamente in prima persona quale peritus peritorum, accertare nel caso concreto lo status di portatore di handicap in un soggetto, al fine di far derivare le conseguenze previste dalla legge. Ciò posto, nella vicenda in esame ritiene il Collegio che non sia seriamente dubitabile che la mancanza di un occhio rappresenti una “minorazione fisica… o sensoriale”, “che è causa di difficoltà di… relazione o di integrazione lavorativa” e che sia “tale da determinare un processo di svantaggio sociale”.
A nulla vale obiettare che l’art. 6 comma 5 L. 431/1998 ha natura eccezionale e deve quindi essere interpretato in senso restrittivo (cfr. Trib. Lucca, ordinanza 22/10/1999, in Arch. Locaz., 2000, pag. 1010), posto che la valutazione da parte del Giudice della presenza nel soggetto istante dei requisiti idonei a potere parlare di persona portatrice di handicap non rappresentano un’applicazione analogica della norma, ma una diretta attuazione delle prescrizioni in essa contenute.
Per mera completezza espositiva, va poi evidenziato come la Commissione medica che deve accertare lo status di portatore di handicap ai sensi della legge 104/1992, sia la stessa competente a determinare l’invalidità civile, salvo le integrazioni operate dall’art. 4 L. 104/1992 alla composizione della Commissione prevista dall’art. 1 L. 295/1990. Pertanto, la presenza di un sensibile grado di invalidità civile (che si è detto essere accertato dalla stessa Commissione competente a dichiarare lo status di handicappato), è quantomeno un indice sintomatico della presenza di un handicap. Nel caso oggetto di causa, non è quindi inutile sottolineare che il Panetta ha documentalmente provato di essere civilmente invalido al 46%, posto che il Collegio non ritiene di aderire a quel pur autorevole pronunciamento giurisprudenziale che sostiene che l’invalidità civile sfoci nell’handicap solo se superiore al 66%, a meno che trattasi di minorazione regolata da apposita norma speciale (Trib. Padova, decreto 27/9/1999, in Foro It., 2000, parte I, pag. 270). 
3) Per tutti questi motivi, reputa il Collegio che debba essere riformato il pronunciamento del Giudice dell’Esecuzione e debba essere differita la data dell’esecuzione dello sfratto ai sensi dell’art. 6 comma 5 L. 431/1998, così come modificato dal D.L 32/2000.
Giusto il disposto proprio dell’art. 1 comma 1 del D. L. 32/2000, già convertito in legge ed in vigore dal 26/2/2000, il differimento deve essere accordato per un periodo non inferiore a nove mesi e non superiore a diciotto mesi.
Nell’esercizio di tale potere discrezionale, il Collegio ritiene di non potere accordare al Panetta il termine massimo di diciotto mesi, ritenendo invece equo individuare il periodo di tredici mesi. Infatti, devono a tal fine essere tenute presenti anche le condizioni personali e le esigenze abitative della proprietaria Giuseppina Righetti, anziana ottantaquattrenne con un basso reddito, con documentati problemi di salute ed un’invalidità civile riconosciuta al 100%. Tale status personale, da un lato -contrariamente a quanto pare argomentare la difesa di parte opposta- non è idoneo ad escludere il diritto del ricorrente ad ottenere il differimento della data dell’esecuzione; dall’altro lato però, ben può orientare il potere discrezionale del Giudice nella modulazione di tale differimento, giusto anche il disposto dell’art. 11 commi 2-7 del D.L. 9/1982 convertito nella L. 94/1982 e richiamato dall’art. 6 L. 431/1998. 
Irrilevante, ai fini della soluzione della presente controversia, è invece la presunta morosità di parte conduttrice, peraltro contestata dalla difesa del Panetta in sede di discussione davanti al Collegio. Non si discute infatti del diritto della Righetti ad ottenere uno sfratto, ma semplicemente dell’applicabilità o meno ad una situazione concreta di una normativa che differisce il termine di un’esecuzione già fissata a seguito di uno sfratto incontestato: l’eventuale parziale inadempimento delle obbligazione pecuniarie a carico del Panetta, quand’anche dimostrato, non è allora elemento idoneo ad incidere sull’applicazione dell’art. 5 comma 6 L. 431/1998, non potendo qualificare in senso affermativo o negativo lo status di portatore di handicap del Panetta. La eventuale situazione di morosità di parte conduttrice potrà allora essere esclusivamente fatta valere da parte locatrice in un separato ordinario processo di cognizione, senza tuttavia che tale situazione possa in alcun modo rilevare nel presente procedimento.
I tredici mesi di differimento devono essere conteggiati a partire dal giorno di scadenza per il deposito dell’istanza di rifissazione della data di esecuzione, che il G.E. ha correttamente individuato nel 28/7/1999: pertanto, l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato deve essere fissata per il 28/8/2000. Ai sensi dell’art. 6 L. 431/1998, il presente provvedimento vale anche come autorizzazione all’ufficiale giudiziario a servirsi della forza pubblica.
Nessuna applicazione può invece essere fatta dell’art. 1 comma 2 D.L. 32/2000, relativo al differimento di nove mesi delle esecuzioni dei provvedimenti di rilascio già emessi ai sensi dell'art. 6 comma 5 L. 431/1998. Infatti, va rilevato che, rispetto al momento della data di entrata in vigore del D.L., che si è visto essere quello del giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta del 25/2/2000, nessun provvedimento di rilascio era stato emesso ai sensi dell’art. 6 comma 5 L. 431/1998.
4) Sussistono i giusti motivi di cui all’art. 92 comma 2 c.p.c., palesati dalla complessità giuridica della questione, dalla novità del tema trattato e dalle condizioni personali delle parti, per compensare integralmente le spese di lite. 
P.Q.M.
il Tribunale di Bologna, seconda sezione, ogni diversa istanza disattesa, 
- in accoglimento dell’opposizione, fissa per l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato da Giuseppina Righetti a Maurizio Panetta a Bologna, in via Mezzofanti n. 38, la data del 28/8/2000;
- compensa integralmente le spese di lite.

Bologna,  8/5/2000
                                     
(Provvedimento redatto con la collaborazione del dottor Gianluigi Morlini, uditore giudiziario).
 

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