Aggiornamento - Penale

 

Cass. Pen.,   sez. un.,24/10/2013, N. 6773, nozione di ente pubblico ai fini della truffa aggravata (non liquet ma sembra propendere per tesi sostanzialistica di ente pubblico)

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione sottoposta all'esame della Corte è la seguente: "se, ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, debba riconoscersi natura pubblica o privata ad una società per azioni partecipata da un ente pubblico e concessionaria di opera pubblica".

2. Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile.

2.1. Ai fini della decisione deve esaminarsi la questione giuridica della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, con riferimento alla s.p.a. Porto d'Imperia, tenendo presente, peraltro, che la valutazione della sussistenza dell'aggravante, pur astrattamente configurabile, non è stata evocata nel caso in esame, in relazione al danno al demanio, in base alla ritenuta impossibilità di quantificazione dello stesso, come affermato dal Tribunale del riesame; e il provvedimento, sotto questo profilo, non è stato considerato meritevole di impugnazione da parte del P.M. ricorrente.

2.2. Secondo la prospettazione dell'Ufficio ricorrente la qualifica di ente pubblico deve essere attribuita alla società per azioni, in particolare titolare di un provvedimento di concessione da parte dell'ente territoriale Comune, da cui deriverebbe la sua natura di ente pubblico; ciò comporterebbe l'attribuzione della qualità di unico soggetto passivo della truffa, aggravata per questo ai sensi dell'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, dovendosi ritenere il Comune, in quanto socio della s.p.a. Porto d'Imperia soltanto danneggiato in via indiretta.

2.3. Ritiene la Corte che, in realtà, per un corretto esame della questione, non si potrebbe prescindere dal considerare che, nell'ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, la natura pubblica o privata di un ente non risulti chiaramente dalla legge o non sia convalidata da una lunga tradizione giuridica, dovrebbe essere risolto preliminarmente il problema degli "indici di riconoscimento" della natura pubblica di un ente, variamente individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La estrema difficoltà di definire il perimetro concettuale della nozione unitaria di ente pubblico ha infatti progressivamente comportato un'analisi di carattere casistico per definire tale categoria. Il problema ha assunto poi una dimensione ancora più rilevante a seguito del processo di privatizzazione di enti pubblici e la conseguente sempre più accentuata tendenza legislativa a riconoscere in capo a soggetti, anche a struttura societaria, operanti normalmente iure privatorum la titolarità o l'esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica.

Orbene la soluzione di questo problema dovrebbe interessare gli arresti della Corte costituzionale sul punto, gli indirizzi emersi in sede di normazione - comunitaria, la normazione sulle "privatizzazioni" di cui alla L. n. 359 del 1998, nonchè la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, oltre che della Corte di cassazione civile e penale, per verificare la possibilità di superare le distinzioni esistenti nelle singole realtà nazionali, attraverso l'elaborazione di una nozione di "organismo pubblico", che faccia leva essenzialmente su una concezione sostanzialistica o funzionale, anche in base agli interventi della Corte di Giustizia, in ipotesi riconducibili alla questione che qui interessa, sotto il profilo del possesso della personalità giuridica, di diritto pubblico o privato, della presenza di elementi, alternativi fra loro, che facciano ritenere che le decisioni dell'ente siano sotto l'influenza determinante di un soggetto pubblico e che l'istituzione della persona giuridica soddisfi specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.

In sostanza occorrerebbe avere riguardo al rapporto di servizio tra l'agente e la pubblica amministrazione, caratterizzato dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un'attività, senza che rilevi la natura giuridica dell'atto di investitura - provvedimento, convenzione o contratto - quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica. Ciò comporterebbe la necessità di verificare se l'affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico, integri una relazione incentrata sull'inserimento del soggetto medesimo nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico con l'attribuzione della conseguente responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un'opera pubblica, quando la concessione investe il privato dell'esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell'amministrazione, onde egli agirebbe per le finalità proprie di quest'ultima.

In ogni caso dovrebbe essere analizzata anche la questione concernente la compatibilità di tale operazione ermeneutica con il principio di legalità.

Orbene, se questo è il quadro di riferimento e se a tale quadro fosse riconducibile la fattispecie de qua, circostanza che allo stato rimane fuori dalla valutazione di questo Collegio,per quanto di seguito verrà specificato, essendo la ricostruzione operata finalizzata a verificare la correttezza ultima, sotto il profilo delle norme di riferimento, della configurazione dei motivi di censura sollevati dal Pubblico Ministero, appare evidente come la prospettazione dell'Ufficio ricorrente concernente in via esclusiva il mancato riconoscimento della natura sostanzialmente pubblica della s.p.a. Porto d'Imperia, con la configurazione della consumazione della truffa in suo danno e non al Comune di Imperia, destinatario di un danno di natura meramente indiretta, in realtà appare orientata in modo disarmonico, rispetto alla prospettata sostanziale integrazione della società (formalmente) privata all'interno del comparto pubblico, riconducibile complessivamente all'ente territoriale, secondo una ricostruzione che configura la società concessionaria come organo indiretto della p.a..

In sostanza, la scelta di una interpretazione "sostanzialista" quale quella prospettata dall'Ufficio ricorrente, rispetto a quella "nominalistica", adottata nel provvedimento impugnato, a prescindere, si ripete, dalla sua condivisione sul piano giuridico, implica che, nel caso di un rapporto strumentale tra enti, non potrebbe parlarsi di danno all'ente partecipante quale mero effetto riflesso della partecipazione societaria. L'aggettivo "strumentale" (o indiretto) mette sicuramente in evidenza il fatto che questi soggetti non sono organi nel senso di titolari di uffici pubblici in quanto non agiscono in nome della pubblica amministrazione, dalla quale sono state loro trasferite le funzioni pubbliche, si servono di mezzi forniti dalla pubblica amministrazione; il sostantivo "organi" mette invece in evidenza che anch'essi, come gli organi diretti, svolgono attività di natura amministrativa, in quanto esercitano pubbliche funzioni. Queste funzioni non potrebbero essere svolte senza la avvenuta concessione a natura traslativa; ma in presenza di questa le funzioni potrebbero e dovrebbero essere svolte in modo tale che la concessione operi come investitura del concessionario ad operare nell'ambito delle funzioni trasferite, con gli stessi poteri e con gli stessi obblighi che avrebbe un organo diretto della p.a..

2.4. La cesura operata invece con la individuazione del danno diretto nei confronti della sola società concessionaria rende impossibile affrontare in modo sistematico i termini della questione presupposta, proprio perchè il perimetro dell'analisi, sia essa funzionale ad una decisione che possa condividere la tesi "nominalistica" ovvero la tesi "sostanzialista", appare delimitato in modo parziale ed insufficiente.

2.5. A ciò deve aggiungersi un ulteriore elemento di intrinseca contraddittorietà del ricorso del P.M., che attinge il limite dell'inammissibilità. Il riferimento, infatti, alla perdita dei diritti demaniali da parte della s.p.a. Porto d'Imperia, che, in tesi, vengono ritenuti non quantificabili per la truffa consumata ai danni dello stesso demanio, e che per tale ragione non fanno oggetto del presente ricorso, vengono al contrario ritenuti fare parte del profitto del comportamento truffaldino perpetrato, in ipotesi, in danno della stessa s.p.a. e come tali sono stati inclusi tra gli elementi posti a sostegno della tesi sostenuta dall'Ufficio ricorrente.

2.6. Le suesposte considerazioni non rendono possibile, a parere delle Sezioni Unite, entrare nel merito del quesito di diritto formulato nel caso di specie.

3. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2014

 

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