Aggiornamento - Penale

 

 

Atti persecutori e tentativo: secondo la regola generale propria dei reati di evento, è (logicamente e giuridicamente) possibile che alla commissione della condotta medesima, in particolare di atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi de quibus (ex art. 56 c.p.), non segua l'effettiva causazione di alcuno di essi. E, in tali casi, il fatto sarà punibile quale delitto tentato.

 

Cassazione penale sez. V, 06/10/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 18/01/2021), n.1943 Tentativo e atti persecutori

Fatto

 

La giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che il delitto di atti persecutori è un reato abituale di danno, "integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice, nonchè al loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, il quale deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso (...), sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento" (Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020, T., Rv. 279154 - 01; conf. Sez. 5, n. 7889 del 14/01/2019, P., Rv. 275381 - 01). Invero: - è "la reiterazione degli atti considerati tipici" a costituire "elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere ad essi un'autonoma unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, infine, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte nella disposizione di riferimento" (Sez. 5, n. 3042 del 09/10/2019 Cc. (dep. 24/01/2020), M., Rv. 278149 - 01; Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081 - 01);

- come si è affermato in relazione alla rituale contestazione del delitto, "è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tale senso l'essenza dell'incriminazione si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo"; è "l'atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l'appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza del reato" (Sez. 5, n. 15651/2020, cit.).

Considerazioni consimili sono state svolte anche al fine di determinare la competenza per territorio, allorchè si è ribadito che il delitto di atti persecutori - come esposto, reato abituale di danno - è caratterizzato dal fatto che le singole molestie e minacce poste in essere dall'agente sono unificate per l'evento che producono, tanto che esso si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (tanto che la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p.; Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, S., Rv. 279178 - 01).

Se, quindi, i singoli atti dell'agente, proprio in ragione della loro reiterazione (che, come detto, "li cementa"), sono unificati sub specie iuris - e dunque rilevano come un unico reato - come un'unica condotta persecutoria, causalmente volta nel suo complesso alla determinazione di uno degli eventi tipici, siano essi di danno (quale l'alterazione delle proprie abitudini di vita o il perdurante e grave stato di ansia o di paura) o di pericolo (vale a dire, il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; cfr. per tutte Sez. 5, n. 16977/2020, cit.); se, in altri termini, i singoli atti sono già unificati sul piano della condotta - oltre che, sul piano soggettivo, dalla "consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità" di essi (cfr. Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230 - 01) -, ossia (logicamente e cronologicamente) prima ancora che ne segua uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice; ne discende che, secondo la regola generale propria dei reati di evento, è (logicamente e giuridicamente) possibile che alla commissione della condotta medesima, in particolare di atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi de quibus (ex art. 56 c.p.), non segua l'effettiva causazione di alcuno di essi. E, in tali casi, il fatto sarà punibile quale delitto tentato.

Quanto appena esposto non può mutare alla luce del fatto che il delitto di atti persecutori sia un reato abituale improprio (Sez. 5, n. 31996 del 05/03/2019, S., Rv. 273640 - 01; Sez. 5, n. 41431 del 11/07/2016, R., Rv. 267868 - 01), ossia un reato per la cui sussistenza è richiesta, come elemento costitutivo, la reiterazione di fatti, ciascuno dei quali, isolatamente considerato, costituisce un reato diverso da quello risultante dalla sua reiterazione (così già, per la nozione di reato abituale improprio, distinto dal reato abituale proprio che ricorre allorchè invece ciascuno dei singoli fatti che lo compongono, isolatamente considerato, non costituisce reato, Sez. 3, n. 435 del 14/03/1968, Scarangella, Rv. 107837 - 01).

Difatti, le singole azioni che ex se integrerebbero distinte ipotesi di reato, una volta reiterate nei termini anzidetti, sono già state unificate e tali rimangono, come detto, a monte dell'eventuale verificarsi di un evento di cui sarebbero antecedente causale, non incidendo punto la mancata determinazione di esso - per dir così, a ritroso - sulla già avvenuta unificazione di esse che non possono essere più considerate in modo isolato.

2. Con il secondo motivo è stata addotta la violazione della legge penale (indicata negli artt. 56 e 612-bis c.p.), in quanto il fatto del M. non è stato qualificato come reato impossibile.

Il ricorrente ha esposto che il Giudice di primo grado:

- ha affermato che gli eventi tipici non si sono realizzati per un mero accidente o per il carattere evidentemente forte di C.M.;

- ed ha ritenuto che la stessa persona offesa non abbia percepito talune telefonate notturne dell'imputato (che, se udite avrebbero potuto ingenerare in lei sentimenti di precarietà e paura) e che le condotte in imputazione poste in essere dal M. nei locali da ballo o nel corso di feste non hanno prodotto conseguenze poichè la donna, per via del proprio carattere forte, non ne ha percepito la lesività;

- pertanto, nella specie ricorrerebbe un caso di inidoneità del soggetto passivo rispetto al reato e, dunque, un reato impossibile.

2.1. La prospettazione difensiva è manifestamente infondata.

Ricorre un reato impossibile, e dunque la punibilità è esclusa, quando è impossibile l'evento dannoso o pericoloso, "per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa" (art. 49 c.p., comma 2).

Quanto alla prima ipotesi, la giurisprudenza ha chiarito che "l'inidoneità dell'azione - da valutarsi con riferimento al tempo del commesso reato in base al criterio di accertamento della prognosi postuma - deve essere assoluta, nel senso che la condotta dell'agente deve essere priva di astratta determinabilità causale nella produzione dell'evento, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, sì da non consentire neppure in via eccezionale l'attuazione del proposito criminoso, indipendentemente da cause estranee o estrinseche, ancorchè riferibili all'agente (Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, Mazzarella, Rv. 278085 - 01; Sez. 5, n. 9254 del 15/10/2014, dep. 2015,1Semeraro, Rv. 263058 - 01).

Perchè si verifichi la seconda ipotesi prevista dall'art. 49 c.p., comma 2, la giurisprudenza è costante, per vero da tempo risalente, nel ritenere necessario che la inesistenza dell'oggetto del reato sia assoluta, sicchè manchi qualsiasi possibilità di offesa del bene giuridico tutelato (cfr. già Sez. 2, n. 2639 del 16/12/1968, dep. 1969, Gravino, Rv. 111174 - 01; e Sez. 1, n. 3568 del 09/11/1982, dep. 1983, Sale, Rv. 158606 - 01: "Si verifica il reato impossibile - per inesistenza dell'oggetto dell'azione criminosa intrapresa - allorquando sussiste l'assoluta assenza del bene aggredito, nel senso che quest'ultimo deve essere inesistente sin da prima che l'agente intraprenda la sua opera delittuosa). Invero, "l'inesistenza dell'oggetto del reato dà luogo a reato impossibile solo qualora l'oggetto sia inesistente in rerum natura o si tratti di inesistenza originaria ed assoluta, non anche quando l'oggetto sia mancante in via temporanea o per cause accidentali" (Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019, dep. 2020, Tagliamento Rv. 278902 - 01; Sez. 1, n. 3405 del 26/11/1991, dep. 1992, Vignone, Rv. 191123 - 01).

In sostanza, "può parlarsi di reato impossibile solo quando l'evento risulta impossibile in ragione della inidoneità dell'azione o della inesistenza dell'oggetto mentre in ogni altro caso in cui barriere o ostacoli di tipo materiale o giuridico impediscono l'evento, non potrà parlarsi di una sua "impossibilità" in senso tecnico e di conseguenza invocare la impunità" (Sez. 5, n. 11890 del 22/10/1997, Guidozzi Rv. 209645 - 01, che ha ritenuto del tutto irrilevante che le violenze o le minacce esercitate per indurre un soggetto a ritirare la querela non potessero, per la procedibilità d'ufficio del reato originario, sortire alcun effetto processuale favorevole per l'autore o il mandante della violenza).

Pertanto, non rientra in alcun modo nelle dette ipotesi la circostanza che, nel caso in esame, C.M. non abbia avuto contezza di talune telefonate che l'imputato aveva fatto all'utenza di lei in orario notturno; ma, soprattutto, non ha alcuna rilevanza nella prospettiva del reato impossibile che il carattere della giovane abbia impedito il verificarsi di uno degli eventi in imputazione e tipico ex art. 612-bis c.p., che è stato correttamente valutato dal Giudice di merito al fine di escludere la consumazione del delitto (e di ravvisare la ricorrenza dell'ipotesi tentata), non contemplando in alcun modo l'art. 49,

 

Cassazione penale sez. V, 16/11/2020, (ud. 16/11/2020, dep. 13/01/2021), n.1172

 

1. La Corte d'appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato A.A. per atti persecutori in danno B.M..

Secondo la ricostruzione operata in sentenza l'imputato, avendo dato in prestito alla B., condomina dello stesso stabile, una somma di denaro, la assillò, minacciò e insolentì per lungo tempo, fino alla restituzione della somma, avvenuta ad (OMISSIS), e nel periodo successivo. Infine, la ingiuriò pesantemente nel corso di una riunione condominiale tenutasi nel mese di (OMISSIS).

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, con due motivi.

2.1. Col primo lamenta l'erronea applicazione degli artt. 124 e 612 bis c.p., nonchè un vizio di motivazione - comprensivo del travisamento della prova - con riguardo alla tempestività della querela, contestata dalla difesa. Deduce che, secondo quanto si desume dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, gli atti persecutori - se ritenuti esistenti - sarebbero cessati, al più tardi, ad (OMISSIS), epoca di restituzione della somma mutuata, dal momento che l'episodio del (OMISSIS) rappresenta un fatto a , con origine e motivazione diversa (sarebbe sorto un contrasto, in sede assembleare, circa l'utilizzo degli spazi condominiali) e differente qualificazione giuridica (ingiuria, ormai depenalizzata), e quindi del tutto inidoneo a spostare in avanti il termine semestrale di proposizione della querela. Tanto più che il dies as quo per la proposizione della querela decorre - secondo il ricorrente - dalla verificazione dell'evento; vale a dire, nel caso di specie, dal momento, certamente precedente all'(OMISSIS), in cui sarebbe insorto il grave e perdurante stato di ansia e di paura preso in considerazione dalla norma, ovvero il mutamento delle abitudini di vita.

 

Diritto

 

Il ricorso non merita accoglimento.

1. Va preliminarmente rimarcato che non è fondata la tesi difensiva, secondo cui non sarebbero rilevanti, per la tempestività della querela, gli atti persecutori posti in esser dopo l'insorgenza - per fatto del reo - di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis c.p..

La verificazione dell'evento costituisce - invero - un elemento della fattispecie, indispensabile per la configurabilità del reato, ma non rende irrilevanti gli atti successivi, i quali - saldandosi con quelli precedenti approfondiscono ed estendono l'offesa al bene giuridico protetto ed assumono, pertanto, rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all'ultimo atto della serie. La contraria opinione, oltre a non essere supportata da nessun serio argomento giuridico, finisce col creare una zona franca a vantaggio del persecutore, che si avvantaggerebbe della tolleranza o dello spirito di sopportazione della vittima allorchè questa si risolvesse a proporre querela dopo l'ennesimo (e magari più grave) atto persecutorio, quando fossero già cambiate le sue abitudini di vita o fosse già insorto in lei un grave e perdurante stato di ansia o di paura. Paradossalmente, proprio nei casi più gravi - caratterizzati da una intensa e prolungata attività persecutoria - si assisterebbe al tentativo del reo di anticipare nel tempo l'evento del reato, al fine di dedurre l'intempestività della querela. L'assurdità della conclusione prova l'evidenza e la logicità, oltre che l'aderenza al dettato normativo, della tesi sostenuta dalla Corte d'appello, che ha valutato la complessività della condotta posta in essere dall'imputato ed ha ricollegato al fatto del (OMISSIS) il termine iniziale per la manifestazione della volontà querelatoria.

2. Ugualmente infondata è la pretesa del ricorrente di escludere l'ingiuria dal novero degli atti persecutori. Sebbene l'ingiuria fosse ricompresa, fino alla sua espunzione dal codice penale, tra i delitti contro l'onore e costituisca, tuttora, una delle più frequenti forme di aggressione all'onore, sanzionato civilmente, tale illecito costituisce anche una forma - e tra le più frequenti - di molestia, soprattutto quando è posto in essere in luogo pubblico o alla presenza di altre persone, siccome idoneo a incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Ne consegue che - ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce in un più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona - l'autore delle stesse sarà sanzionabile civilmente, mentre, quando le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito previste dall'art. 612 bis c.p., uno degli eventi previsti da detta norma, risponderà del reato di atti persecutori.

Pertanto, correttamente i giudici di merito hanno tenuto conto (anche) delle ingiurie per giudicare del reato contestato ad A., sia sotto il profilo della integrazione del reato che della tempestività della querela.

 

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