Aggiornamento - Penale

Cass. Pen., sez. IV, 20 maggio 2004 n. 23613 sulla successione della legge penale più favorevole ex art. 2 co. 3 c.p., nei casi di una legge più favorevole e di successiva reintroduzione della legge originaria

 

 

La sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni Silvio COCO - Presidente -
Dott. Carlo Giuseppe BRUSCO - Consigliere -
Dott. Giovanni FEDERICO - Consigliere -
Dott. Antonio SPAGNUOLO - Consigliere -
Dott. Ettore PALMIERI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Trieste nei confronti di:
1) V. G. n. il X;
avverso sentenza del 174/07/2003 Tribunale di Gorizia;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Brusco Carlo Giuseppe;
lette le conclusioni del P.G. Dr. Gioacchino Izzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

La Corte OSSERVA:

Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Trieste ha proposto ricorso avverso la sentenza 14 luglio 2003 del Tribunale di Gorizia che ha applicato a V. G. , ai sensi dell'art. 444 c.p.p., la pena concordata tra le parti per il reato di cui all'art. 186 comma 2 del codice della strada per aver guidato un'autovettura in stato di ebbrezza.
Il ricorrente deduce la violazione della legge penale perché il giudice avrebbe applicato una pena, più favorevole, non più prevista per il reato in esame commesso peraltro quando era in vigore il trattamento meno favorevole. Nè potrebbe, secondo il ricorrente, applicarsi il disposto dell'art. 2 cod. pen. perché questa norma consentirebbe soltanto di applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole ma solo nel caso in cui all'epoca del commesso reato questo fosse tale. Il Procuratore generale presso questo Ufficio ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Il tema del presente processo riguarda le modifiche normative introdotte con l'attribuzione di una competenza penale al giudice di pace. Il reato contestato all'imputato (art. 186 c. 2° del d. l.vo 30 aprile 1992 n. 285) è infatti ricompreso tra quelli che l'art. 4 del d. l.vo 28 agosto 2000 n. 274 (comma 2° lett. g) ha attribuito alla competenza del giudice di pace. A questa attribuzione di competenza consegue anche l'applicazione del nuovo trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 52 del ricordato d. l.vo; trattamento sanzionatorio che deve essere applicato anche se i reati sono giudicati da un giudice diverso da quello di pace (art. 63).
Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio la norma ricordata precisa che le nuove pene (la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità) possono essere inflitte (ovviamente non congiuntamente) in alternativa alla pena pecuniaria e poiché la legge espressamente le considera pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria ("per ogni effetto giuridico", art. 58 comma 1 d. l.vo citato) ne consegue l'esatta equiparazione della fattispecie in esame a quella delle pene alternative.
Questo assetto legislativo è nuovamente mutato con l'entrata in vigore della l. 1 agosto 2003 n. 214 (che ha convertito il d.l. 27 giugno 2003 n. 151) il cui art. 5 ha nuovamente attribuito al tribunale la cognizione per il reato in esame; quindi anche il trattamento sanzionatorio è tornato quello originario.
Che il trattamento sanzionatorio già in precedenza indicato, quando il reato era attribuito alla competenza del giudice di pace, sia più favorevole di quello precedente (e di quello attuale dopo la recente ricordata modifica) non può essere messo in discussione; in questo senso la giurisprudenza di questa sezione della Corte è uniforme: si vedano le sentenze 16 gennaio 2003 n. 7343, Giovara; 26 novembre 2002 n. 7292, Alite; 11 dicembre 2002 n. 5933, Baisi; 20 dicembre 2002 n. 4852, Cangiano; con riferimento al termine di prescrizione triennale si veda la sentenza 3 dicembre 2002 n. 7307, Guzman Avila) a nulla rilevando che, con il nuovo trattamento, sia venuta meno la possibilità di impugnare la sentenza con il mezzo dell'appello dovendo farsi riferimento, per stabilire quale sia la normativa più favorevole, al trattamento sanzionatorio e comunque alla disciplina sostanziale e non ad eventuali difformità di natura processuale.
Ciò premesso deve rilevarsi l'infondatezza del ricorso perché la tesi prospettata dal ricorrente si pone in palese contrasto con le regole sulla successione delle leggi penali nel tempo disciplinate dall'art. 2 cod. pen..
Non è infatti vero quanto afferma il ricorrente secondo cui i principi stabiliti nel comma 3 della norma indicata non possano applicarsi nel caso in cui il trattamento sanzionatorio al momento della consumazione del reato e al momento della pronunzia della sentenza siano uguali perché ciò è smentito innanzitutto dalla lettera della legge che sembra invece utilizzare una formulazione di carattere generale (usa infatti, per indicare i mutamenti legislativi delle leggi - indicate al plurale - l'aggettivo "posteriori") usando quindi una formulazione ampia che consente di prendere in considerazione tutti i mutamenti successivi intervenuti; e, nel ricomprenderli tutti, stabilisce inequivocabilmente che deve applicarsi la legge "le cui disposizioni sono più favorevoli al reo".
Una volta che sia entrata in vigore una legge più favorevole questa deve quindi essere sempre applicata anche se, successivamente, il legislatore ritenga di modificarla in senso meno favorevole.
Del resto una diversa interpretazione avrebbe la gravissima conseguenza di rendere casuale, o addirittura discrezionale, l'applicazione di un trattamento sanzionatorio di diversa gravita ricollegando 1'applicazione della norma non a fatti obiettivi - la data del commesso reato, l'entrata in vigore della modifica legislativa - ma a un dato casuale come la data della sentenza di condanna o applicazione della pena. Il che porrebbe anche problemi di legittimità costituzionale sotto diversi profili.
In ogni caso l'inequivoco tenore letterale della norma applicabile nel caso di successione di leggi penali nel tempo non autorizza una diversa soluzione.
Consegue alle considerazioni svolte il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV Penale, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il giorno 18 marzo 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 20 MAGGIO 2004

 

 



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