Aggiornamento - Penale

Cassazione penale, Sent. n. 7498 del 27 giugno 2000 sul diritto di cronaca e di critica in caso di intervista giornalistica

RITENUTO IN FATTO

F.G. e G.F. venivano condannati, con sentenza del 7.7.1998 del Tribunale di Roma, rispettivamente alla multa di lire
3.000.000 e lire 1.000.000, oltre ad una provvisionale di lire 30.000.000 a favore della parte civile D.V., per avere in
concorso tra di loro, il F., in un intervista rilasciata al secondo e che veniva pubblicata sul quotidiano (omissis) del
14.8.1996, offeso la reputazione del medesimo D. definendolo "un cretino" e, a proposito del ruolo assunto in
Parlamento, usando l'espressione" --- appunto, come Caligola che fece senatore il suo cavallo". Spese. Pena
sospesa.
Con la sentenza impugnata del 12.4.1999, la Corte di Appello di Roma, parziale riforma della sentenza del Tribunale,
concesse ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, riduceva la pena
per il F. a lire 1.500.000 di multa e per il G. a lire 750.000 di multa. Revocata per il G., la sospensione condizionale
della pena.
Ricorrono per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, entrambi gli imputati. 
Il F., prospetta un duplice motivo di annullamento.
Con il primo, deduce l'erronea applicazione dell'art. 595 C.P., in relazione agli artt. 51 C.P. e 21 Cost., in quanto il
tono informale dell'intervista rilasciata al telefono e non de visu, nonché la natura meramente politica della stessa,
dimostravano che l'intento dell'imputato non era assolutamente diffamatorio, bensì quello di portare a conoscenza
dell'opinione pubblica la situazione conflittuale e indecisa dell'opposizione, alla ricerca di un leader da opporre a
R.P..
Il ricorrente afferma anche che, nel corso del processo, non era stato dimostrato che avesse pronunciato le
espressioni che gli erano state contestate.
Lamenta, in ogni caso, che i giudici di merito non gli avevano riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 C.P.
avendo egli esercitato il diritto di critica, che rendeva lecita anche una condotta che in astratto poteva essere
ritenuta offensiva.
Con un secondo motivo, deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in violazione dell'art.
606, lett. e) c.p.p.., non avendo i giudici data la prova - in presenza delle dichiarazioni rese dallo stesso F., in
dibattimento -  che l'imputato avesse effettivamente pronunciato le espressioni ritenute offensive.
A sua volta, il difensore del G., munito di specifico mandato, deduce la mancanza e illogicità della motivazione in
relazione al diniego della scriminante del diritto di cronaca-intervista e violazione degli artt. 51 C.P. e 21 Cost..
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non indicava le ragioni per le quali era stato negato il diritto di
cronaca-intervista invocato dall'imputato, limitandosi a richiamare il motivo di appello e a valutare la posizione del
F., incentrata sul diverso diritto di critica, escludendone l'interesse pubblico.
Il G., invece, aveva riportato i giudizi del F., in vista di un interesse pubblico diverso e, cioè, non per spiegare le
ragioni della nomina del D. a capogruppo di (omissis), ma per rendere conto attraverso gli apprezzamenti
dell'intervistato, lo stato di conflittualità che vi era all'interno del (omissis). Quindi, la motivazione era solo
apparente e illogica.
Inoltre, la sentenza era contraddittoria, in quanto dopo avere affermato un interesse della collettività a conoscere
gli avvenimenti riguardanti la vita politica, affermava che trattavasi di attacchi personali che avevano trasceso
nella pura contumelia e che evidenziavano come l'informazione non si era mantenuta nei limiti dell'obiettività,
confondendo tra rilevanza sociale e continenza del linguaggio espositivo.
Trattandosi di una intervista, invece la Corte, nel valutare la condotta del cronista, non avrebbe dovuto fare
ricorso ad un modello di continenza eguale a quello utilizzato per valutare il comportamento dell'intervistato.
Infatti, è dovere del giornalista riportare fedelmente le dichiarazioni rese dal soggetto pubblico, anche se integrino
gli estremi della contumelia, in quanto proprie in esse risiede l'interesse sociale.
Con un secondo motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di revoca o riduzione della
provvisionale avanzata dal ricorrente, essendo stata determinata senza l'indicazione certa del danno subito.
Con memoria difensiva del 31.3.2000 la difesa del G., insisteva nell'affermazione che avendo riportato tra virgolette
le parole dell'intervistato F., la sua condotta era giustificata dall'esercizio del diritto di cronaca. Invocava a tal fine
la giurisprudenza di questa Corte, che in altro caso di intervista aveva scriminato la condotta della giornalista
intervistatrice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Entrambi i ricorsi sono infondati.
- 1. Relativamente alla posizione del F., si afferma che la sentenza impugnata risulta viziata dall'erronea
applicazione, sotto l'aspetto soggettivo, dell'art. 595 C.P., in quanto le espressioni usate nell'intervista - riguardanti
la posizioni del D. all'interno dell'opposizione - pur essendo richiesto per la punibilità della sua violazione, il solo
dolo generico, purtuttavia, le espressioni usate non erano accompagnate dalla volontà di ledere la reputazione del
destinatario, nè di causare la lesione della sua sfera personale.
In ogni caso, l'intervista era stata rilasciata al telefono, aveva un tono informale ed era volta a far conoscere
all'opinione pubblica la situazione di conflittualità e di indecisione nella quale versava l'opposizione. pertanto,
avrebbe dovuto trovare applicazione la scriminante del diritto di critica di cui all'art. 51 C.P., tanto più che non
risultava che egli avesse pronunciato le espressioni lesive contestate.
- 2. Si osserva.
Su tale ultimo punto, le decisioni dei giudici di merito avevano accertato che l'imputato aveva usato, nel rendere
l'intervista al G., le espressioni diffamatorie contestate, ricavandone la prova sia dal fatto che esse erano state
integralmente riportate nell'articolo e nessuna smentita aveva fatto seguito alla pubblicazione, sia del fatto che egli
aveva ammesso di avere usata l'espressione caligoniana, sia pure precisando di averla voluta attribuire non solo al
D., ma anche a tutti i consiglieri di B.
Con i motivi di ricorso si ribatte solo genericamente, e in fatto, tale tesi, senza evidenziare alcun elemento censorio
in punto di legittimità valutabile in questa sede.
- 3. Nè possono ritenersi scriminanti le ulteriori affermazioni, per cui le espressioni usate erano una critica non alla
persona del D. nella sua sfera privata e professionale, ma alla sua attività pubblica di uomo politico.
Infatti, fermo restando che il diritto di critica non si concretizza nella semplice narrazione di fatti, ma in un giudizio
o nella manifestazione di una opinione, per cui i limiti scriminanti sono più ampi che nel diritto di cronaca,
purtuttavia essi soggiacciono al limite della rilevanza sociale e della correttezza delle espressioni usate (Cass., Sez.
V, 23.9.1997, C.).
Ne consegue che la volontà di offendere può essere tratta dalla obiettiva attitudine offensiva delle espressioni
usate.
Invero, se ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di diffamazione è sufficiente il solo dolo
generico e, cioè, la consapevolezza di ledere l'onore o la reputazione di un altro soggetto, quando il carattere
diffamatorio delle espressioni rivolte, assuma una consistenza diffamatorio intrinseca (come nella specie) che non
può sfuggire all'agente, il quale le ha usate proprio per dare maggiore efficacia al suo dictum, nessuna particolare
indagine sulla ricorrenza o meno dell'elemento psicologico del reato si presenta necessaria.   
Inoltre, proprio seguendo le tesi dell'imputato in ordine alla natura politica delle dichiarazioni rese, non assumeva,
in tale contesto, alcun rilievo sociale l'attacco personale nei confronti del D. effettuato con espressioni non
continenti e gratuitamente denigratorie.
- 4. Il G., a sua volta, ritiene che, avendo riportato nell'articolo pubblicato su (omissis) del 14.8.1996, nella sua veste
di giornalista, "tra virgolette le parole dell'intervistato, non è punibile perché, in quel momento, la sua condotta era
giustificata dal pieno e libero esercizio del diritto di cronaca".
In sostanza, il ricorrente e la sua difesa, rivendicano l'insussistenza di limiti a tale diritto, in presenza di un diritto di
informare, quale conseguenza ineliminabile del correlativo pubblico interesse ad essere informati. Quindi, sarebbe
lecita la cronaca giornalistica anche nei casi in cui dalle notizie pubblicate ne scapiti l'altrui reputazione, in quanto,
in tal caso, l'ordinamento sacrifica l'interesse individuale all'interesse sociale. Perciò, non potrebbe mai vietarsi la
divulgazione di notizie vere, anche offensive per l'altrui onorabilità, qualora tale conoscenza da parte dei cittadini
sia funzionale rispetto all'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti.
Pertanto, ciò che rileva non è la verità delle dichiarazioni puntualmente riportate, ma il diverso fatto che l'intervista
sia stata rilasciata negli esatti termini in cui è stata riportata.
- 5. Tali tesi non sono sostenibili.
Invero, nel caso dell'intervista, non può assolutamente ritenersi rispettato il limite della verità solo perché vi sia
corrispondenza tra fatto riferito dall'intervistato e quanto sia stato pubblicato dal giornalista, sul presupposto di
un inesistente obbligo a riportare le opinioni espresse o i giudizi resi dall'intervistato stesso.
- 6. L'intervista costituisce il mezzo tipico ed immediato di svolgimento dell'attività giornalistica, attraverso il quale
vengono raccolte e diffuse notizie ed opinioni di altre persone, considerate importanti o interessanti, attraverso la
"provocazione" sollecitata dalle domande del giornalista-intervistatore.
Quindi, normalmente l'intervista, poiché si svolge attraverso un colloquio, non è la pura e semplice riproduzione
del pensiero dell'intervistato, ma la conferma - più o meno corrispondente - delle opinioni del giornalista (che
guida ed indirizza domande e risposte), espresse attraverso una fonte che apparentemente si presenta come una
terza. 
Non si tratta, perciò, come comunemente ritenuto, di un diritto del giornalista, costituzionalmente garantito, di
rispettare un obbligo di informazione sociale, di un interesse pubblico alla conoscenza di quando dichiarato da un
soggetto, per lo più, ma non necessariamente conosciuto, riguardo a determinati avvenimenti, notizie od opinioni.
Infatti, nel caso dell'intervista non ricorre il diritto-dovere all'informazione, che, invece, riguarda, il verificarsi di
fatti rilevanti della vita politica e/o sociale, in quanto è lo stesso giornalista che crea l'evento - anche quando
viene sollecitato e tale sollecitazione accoglie - del quale poi riferisce.
Quindi, la particolare peculiarità del modo di diffusione delle "notizie" acquisite attraverso il mezzo dell'intervista
ad un soggetto terzo, non esclude certamente l'obbligo - invocandosi da parte del giornalista a propria difesa il
diritto di cronaca - del rispetto dei limiti della verità, dell'interesse sociale e della continenza.
Ne consegue che rimane sempre inibito al giornalista di riportare - anche se riferite come critica - testimonianze od
opinioni non assistite dal triplice requisito sopra indicato e che siano lesive dell'altrui reputazione.
In tal caso, diventa causalmente determinante e, quindi, concorrente nel reato - sempre che le dichiarazioni siano
diffamatorie - l'intervento del giornalista, sia per avere provocato "l'evento" con la formulazione di domande più o
meno funzionali allo scopo prefissosi e che rispondono alle tesi che si vogliono sostenere, sia per averlo esposto
con un mezzo che raggiunge vasta diffusione e, cioè, un numero indeterminato di persone.
- 7. Pertanto, risulta evidente che il giornalista non può limitare il suo intervento a riprodurre esattamente e
diligentemente quanto riferito dall'intervistato, soltanto perché le eventuali dichiarazioni (non si tratta sempre di
notizie), possono interessare la pubblica opinione, ma deve altresì (a parte la loro falsità), accertare che non difetti
il requisito della continenza e, cioè, che esse non consistano in insulti ovvero in espressioni gratuite, non
necessarie e funzionali, volgari, umilianti o dileggianti (Cass. Sez. V, 15.3.1999; Sez. V., 16.12.1998, F., ed altri)
ovvero siano affermazioni in se diffamatorie (Sez. V., 5.2.1986, B.).
In tali casi, il giornalista, sia perché ha creato l'evento "intervista", sia perché ha formulato, d'accordo o meno con
il dichiarante, domande allusive, suggestive o provocatorie, che presuppongono determinate risposte e, quindi,
assumendo come propria la prospettiva di quest'ultimo, con la loro propalazione diviene o dissimulato coautore
delle eventuali dichiarazioni diffamatorie ovvero strumento consapevole di diffamazione altrui "se diffuse sulla
stampa senza la necessaria cautela espressiva" (Cass. V., 15.3.1999, S. e altri).
- 8. Nè potrebbe essere diversamente, atteso che - come riconosce lo stesso ricorrente - la species intervista
rientra nel più ampio genus del diritto di cronaca, per cui il suo esercizio potrebbe considerarsi legittimo solamente
quando le modalità espositive siano accompagnate da moderazione e/o misura, mentre il limite della continenza
rimane sempre superato quando la forma e il modo della divulgazione delle dichiarazioni siano estranei alla loro
corretta pubblicizzazione, per la presenza di un contenuto inutilmente lesivo della reputazione altrui e, perciò, non
funzionale all'assunto scopo informativo.
- 9. E, nella specie, l'eventuale correttezza delle espressioni usate nei riguardi del D. (in luogo di quelle usate di
"cretino" e di "... come Caligola che fece senatore il suo cavallo, espressioni eccessive e che hanno aggredito il
valore morale della persona, senza nulla aggiungere al giudizio politico sullo stesso), non avrebbe certamente
snaturato il senso dell'intervista resa dal F..
Viceversa, l'attacco personale - suggerito dalle stesse modalità di porgere le domande da parte del G. - è stato
obiettivamente e superfluamente diffamatorio e non funzionale al contenuto politico dell'articolo.
Va, perciò, respinta l'erronea affermazione del ricorrente in ordine all'esistenza di un "dovere" del giornalista di
riportare fedelmente le dichiarazioni rese da un soggetto pubblico, anche se le stesse integrino gli estremi della
contumelia "proprio perché è in queste stesse dichiarazioni ... che risiede l'interesse sociale".
Al contrario, l'interesse pubblico alla conoscenza e alla divulgazione della notizia, coinvolge la necessità per la
collettività di avere notizie in ordine a temi relativi alla politica, all'economia, alle scienze, ai fenomeni criminali e
alla giustizia e, cioè, a tutte quelle situazioni che possono influire sulla corretta formazione della pubblica
opinione.
A tale concetto di interesse pubblico, sono, invece, estranee quelle "notizie" distolte dal fine nobile della
formazione della pubblica opinione e volte, al contrario, a soddisfare - attraverso la violazione della sfera morale
dei singoli - la curiosità del pubblico anche con il riferire fatti costituenti chiaro pettegolezzo ed offese e, in ogni
caso, inutili, in quanto non pertinenti alla notizia.
- 10. Vanno, inoltre, richiamate le disposizioni contenute nell'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, del 4.11.1950, quale fonte di norme integrative del diritto sostanziale
italiano, le quali, a fronte del diritto del singolo alla libertà di espressione, comprendente il diritto alla libertà di
subordinazione dell'esercizio del suddetto diritto, a restrizioni e sanzioni "per la protezione della reputazione o dei
diritti di altri".
Quindi, il diritto all'informazione deve confrontarsi con il corrispondente diritto del singolo alla protezione della
propria reputazione, per cui - sulla base dei principi sopra richiamati la cronaca giornalistica diviene illecita,
quando ne scapiti l'altrui reputazione.
- 11. Infondato è anche il motivo relativo al difetto di motivazione della decisione con riguardo alla riconosciuta
provvisionale.
Infatti, in materia di diffamazione a mezzo stampa, il danno morale, non essendo di natura economica, ma
consistendo in un turbamento psichico, non è suscettivo di valutazione meramente artmetica, per cui la sua
commisurazione in denaro deve necessariamente sopportare un apprezzamento soggettivo. Ne deriva che la
determinazione della relativa somma, a titolo puramente provvisorio, nei limiti in cui si ritenga raggiunta la prova, è
riservato al giudice di merito che non ha in proposito alcun obbligo di espressa motivazione (Cass. Sez. V.,
29.1.1977, n. 2113, P.) ed in ogni caso costituisce valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta i ricorsi.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento e di quelle sostenute dalla parte civile,
liquidate in complessive lire 4.000.000, comprensive di onorari.
 
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