Aggiornamento - Penale

Cass. Pen., sez. II, Sent. febbraio 2004, n. 8694, è truffa semplice il fatto di cui all’art. 640 c.p. commesso in danno di ente pubblico poi privatizzato (Enel, Ente Poste, Ferrovie)– conseguenze per effetto dell’articolo 2 c. p.


 
Con sentenza del 20 novembre 1997, il Pretore di Lanciano dichiarò F. A. responsabile dei reati di truffa aggravata e di oltraggio e lo condannò per il primo delitto alla pena di un anno e cinque mesi di reclusione e di lire 1.000.000 di multa, e per il secondo a quella di tre mesi di reclusione.
Avverso tale provvedimento l'imputato propose impugnazione, e la Corte di appello dell'Aquila, con sentenza del 30 ottobre 2002, in parziale accoglimento del gravame lo assolse dal delitto di oltraggio perché il fatto non era previsto dalla legge come reato, confermando la condanna per la truffa aggravata.
Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato deducendo:
a) erronea applicazione della legge penale, vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze processuali e alla loro legittima utilizzabilità.
b) Carenza, insufficienza, illogicità e apoditticità della motivazione, anche con riferimento alla corretta qualificazione giuridica del fatto, che integrerebbe gli estremi della truffa semplice e non di quella aggravata.
c) Violazione dell'articolo 157 c.p., secondo la tesi difensiva, poiché il delitto commesso dal F. sarebbe quello previsto dal primo comma dell'articolo 640 c.p., il reato in questione si sarebbe prescritto.
La seconda censura, nella parte in cui si lamenta l'erronea qualificazione giuridica del fatto reato, e la terza censura sono fondate e assorbenti.
Al F. è stato, infatti, contestato il "reato di cui all'articolo 640 c.p. perché presentava l'assegno indicato nel capo che precede (e cioè un assegno postale per lire 1.347.445, intestato a P. D. e a costui spedito quale rateo di pensione) all'ufficio postale di X per la riscossione, assicurando di essere il nipote di P., esibendo un documento di identità, dopo avere falsificato la firma di girata su quell'assegno del P., così traendo in inganno l'impiegata postale D. S., che gli pagava quella somma".
Ebbene, correttamente il pubblico ministero che ha formulato il suddetto capo di imputazione ha rubricato il fatto come truffa semplice, omettendo di richiamare il capoverso, numero 1, dell'articolo 640 c.p., atteso che la parte offesa del delitto in questione non è l'Ente poste, e quindi un ente pubblico, ma il P., destinatario dell'assegno carpito dal prevenuto.
Per comprendere la ragione di tale affermazione è necessario mettere a fuoco il concetto di persona offesa, al quale il legislatore ha dedicato un capo intero del codice penale (il IV del titolo IV del libro I), senza tuttavia darne una vera e propria definizione.
Dottrina e giurisprudenza, peraltro, non sono del tutto concordi nel chiarire tale concetto, identificando la persona offesa dal reato, alcuni nel titolare dell'interesse immediatamente leso dalla norma penale, altri nella persona che dal reato viene direttamente e immediatamente offesa, e altri ancora nel titolare dell'interesse la cui offesa costituisce l'essenza del reato.
Vi è, invece, assoluta concordia nel distinguere la posizione della persona offesa da quella del danneggiato civilmente, che è colui il quale - pur non essendo titolare del bene leso o messo in pericolo dall'azione criminosa - in conseguenza del reato, ha subito un danno risarcibile.
Fatta questa premessa, va però messo in rilievo che non è sempre facile applicare i concetti su riferiti a certe fattispecie delittuose, come quella di truffa per cui è processo: infatti, quando un soggetto riesce a ottenere, con artifizi e raggiri posti in essere nei confronti di un istituto bancario (o nel caso concreto di un ufficio postale), il pagamento di una somma che si appartiene a un terzo, anche l'ente che ha pagato può subire un danno, potendo essere tenuto a risarcire il titolare del conto corrente (o, nella fattispecie, della pensione). Tuttavia, a ben riflettere, il soggetto passivo é solo l'intestatario del conto corrente o della pensione, il cui assegno è stato sottratto, giacché è proprio lui il titolare dell'interesse immediatamente protetto dalla norma penale, o se si preferisce il titolare dell'interesse la cui offesa costituisce l'essenza del reato. Mentre l'ente pagatore è solo danneggiato civilmente.
Anzi - ed è questo un passaggio importante ai fini della correttezza della tesi qui sostenuta - la banca (o qualsivoglia ente pagatore) è solo "eventualmente" danneggiata, giacché non sempre è tenuta al risarcimento dei danni nei confronti del destinatario dell'assegno sottratto e fraudolentemente scambiato.
In tale senso è la costante giurisprudenza civile di questa Corte, secondo cui "al pagamento dell'assegno non trasferibile è applicabile il principio generale dettato dall'articolo 1992, comma 2, cod. civ., per il quale deve considerarsi liberatorio il pagamento eseguito senza dolo o colpa grave a favore di colui che, in seguito a diligente identificazione, sia apparso legittimo prenditore del titolo. L'osservanza dell'obbligo di diligenza della banca, ai fini della valutazione della sua responsabilità nell'identificazione del prenditore dell'assegno non trasferibile, non può essere accertata sulla base di parametri rigidi e predeterminati, ma va verificata in relazione alle cautele suggerite dalle circostanze del caso concreto (con particolare riferimento al luogo del pagamento, alla persona del presentatore, all'importo del titolo, alla natura del documento esibito, ecc.)" ( Cass. civ., sez. I, 14 marzo 1997, numero 2303, RV 503038).
Dunque, il titolare del conto corrente (o della pensione) in ogni caso sopporta il danno costituito dalla perdita delle somme di sua spettanza, che l'agente è riuscito a carpire con artifizi e raggiri, sia pure effettuati nei confronti di un soggetto diverso, che è poi il dipendente dell'ente pagatore: mentre quest'ultimo, in determinate condizioni, può non subire alcun tipo di perdita economica: e tale circostanza, ad avviso di questo Collegio, è idonea a escludere che l'ente in questione possa essere considerato persona offesa, dal momento che tale qualità - come si comprende bene - non può dipendere da un fattore meramente casuale, quale quello individuato nella decisione della Corte di cassazione civile su riferita.
Quindi, il delitto commesso dal F. è una truffa semplice. Peraltro, la soluzione non sarebbe diversa anche se la persona offesa fosse l'Ente poste, dal momento che, con legge 23 dicembre 1996, questo è stato trasformato in società per azioni, perdendo così le sue caratteristiche di ente pubblico (cfr, sul punto; Cass. pen., sez. II, 14 giugno 1995, PM in proc. Bonafede, RV 203122, con riferimento alla privatizzazione dell'Enel; Cass. pen., sez. II, 17 marzo 1999, De Mase, RV 213154, con riferimento alla privatizzazione delle Ferrovie dello Stato).
Né questo Collegio ritiene che sia corretta la tesi di chi ha sostenuto che nell'ipotesi di trasformazione di un ente pubblico in una società privata, non trovino applicazione i principi di cui all'articolo 2 c.p., giacché non si versa in tema di successione di leggi penali, ma di semplice modificazione di una norma giuridica, richiamata dalla norma incriminatrice, che non modificherebbe in alcun modo la struttura del fatto reato.
Tale tesi giuridica, infatti, non tiene conto della circostanza che una modifica legislativa volta alla privatizzazione di un ente pubblico finisce con l'incidere profondamente sia sulla struttura della norma incriminatrice che sul giudizio di disvalore in essa espresso.
Del resto (oltre alle ipotesi dell'Enel e delle Ferrovie dello Stato su citate), proprio la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte, con riferimento alla modificazione del sistema bancario - che il legislatore ha trasformato da servizio pubblico in attività avente natura imprenditoriale e privatistica - ha giustamente affermato che deve trovare applicazione il principio della retroattività della legge più favorevole stabilito dall'articolo 2 c.p. (cfr.: Cass. pen., Sez. un., 23 maggio 1987, Tuzet, RV 176406).
Da quanto su riferito consegue che il provvedimento della Corte di appello dell'Aquila dovrebbe essere annullato quanto meno per una più corretta qualificazione giuridica della vicenda processuale e rinviato alla Corte territoriale per un conseguente adeguamento della pena, sennonché, i fatti di che trattasi furono commessi nel luglio - agosto del X, e quindi la prescrizione del reato in questione si è verificata nel gennaio del X. Perciò la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deliberato in Camera di Consiglio, il 5 febbraio 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 26 FEBBRAIO 2004

 



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