Aggiornamento - Penale

 

Cassazione penale, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 11794, vi è successione leggi penali nel tempo tra l'art. 319 quater cod. pen  introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione"e la vecchia fattispecie di cui all’art. 317 cod. pen.,

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Potenza riformava in parte la pronuncia di primo grado del 20/04/2009 del Tribunale di Matera, limitatamente ai reati di tentata concussione, turbata libertà degli incanti ed abuso di ufficio, di cui capi a), c), f) h) ed l) dell'imputazione, per i quali dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato M.A. perchè estinti per prescrizione, e confermava nel resto, con rideterminazione della pena finale, la stessa pronuncia con la quale il M. era stato condannato in relazione ai delitti di cui all'art. 81 cpv., artt. 56 e 317 cod. pen., per avere, sino al giugno del 2000, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, abusando della sua posizione di sindaco del comune di (OMISSIS) e della sua superiorità gerarchica su G.V., capo del settore urbanistico del medesimo comune - dopo che erano stati concordati i nomi dei componenti della commissione di aggiudicazione per la progettazione dei lavori dell'area di interesse storico di Torre Saracena, nonchè i criteri che sarebbero stati seguiti per l'assegnazione dei punteggi ai vari candidati, sì da favorire i coniugi B.- P., accortosi che il G. aveva inviato il bando di concorso al Consiglio dell'ordine degli architetti di (OMISSIS), che avrebbe formulato osservazioni idonee ad intralciare l'attuazione del proposito di favorire il B. e la P., ed accortosi, altresì, che il G. aveva disatteso l'ordine di aprire per ultima la busta dell'offerta presentata dallo studio B.- P., aprendola, invece, per prima, sì da impedire la preventiva conoscenza delle offerte degli altri studi concorrenti e l'eventuale "aggiustamento" della prima offerta - convocato nel suo ufficio il G. e, dopo avergli rammentato che copriva quel posto nel comune di (OMISSIS) solo perchè egli aveva condizionato la sua scelta da parte della relativa commissione esaminatrice, minacciandolo di allontanarlo dall'amministrazione municipale laddove non avesse rispettato gli accordi che prevedeva l'affidamento della progettazione di quei lavori al B. e alla P., compiuto atti idonei e diretti in modo inequivoco a costringere il G. a piegarsi alla sua volontà ed a favorire i predetti B. e P., procurando loro un'indebita utilità, evento non verificatosi per cause indipendenti dalla sua volontà, e cioè per la interruzione temporanea dello svolgimento di quel concorso (capo d) dell'imputazione); e di cui all'art. 81 cpv. e art. 317 cod. pen., per avere, sino al marzo del 2000, sempre nella qualità di sindaco del comune di (OMISSIS), poco dopo l'espletamento della trattativa privata per l'aggiudicazione dei lavori di taglio di 120 piante del bosco comunale, trattativa alla quale erano state invitate diciotto ditte, tra cui quella del consigliere comunale Ga.Gi., e poco prima dell'assegnazione dei lavori alla ditta vincitrice di S.C., abusando della sua superiorità gerarchica su G.V., capo del settore urbanistico del medesimo comune e responsabile di quel procedimento, costretto il G. a trovare un "espediente" per poter annullare la procedura in corso ed iniziare un nuovo procedimento allo scopo di affidare quei lavori alla ditta del Ga., minacciando reiteratamente il G. di ritorsioni, quale il trasferimento in altro comune, qualora lo stesso non avesse ubbidito alla sua volontà (capo e) dell'imputazione).

Rilevava la Corte di appello come fossero infondate tanto le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche e tra presenti eseguite durante le indagini, per le ragioni analiticamente esposte dal Giudice di prime cure, quanto la questione di nullità dell'ordinanza emessa in primo grado con la quale il Tribunale aveva revocato il provvedimento di ammissione delle prove nella parte riguardante l'esame di un teste a discarico;

e come gli elementi di prova acquisiti durante l'istruttoria dibattimentale, in specie quelli desumibili dalle dichiarazioni rese da vari testimoni e dalle captazioni di conversazioni, soprattutto di quelle ambientali, avessero inequivocabilmente dimostrato che il M., sindaco del comune di (OMISSIS), lungi dall'aver avuto comportamenti "intemperanti o esuberanti" (come la difesa aveva cercato di prospettare), aveva sistematicamente e callidamente "asservito gli interessi pubblici a quelli di parte", dapprima "pilotando" il concorso pubblico definito con la nomina del G. come responsabile dell'ufficio tecnico municipale, poi, cercando di sfruttare "il credito maturato" verso lo stesso G., cui aveva imposto l'adozione di una serie di atti palesemente illegittimi, finalizzati a favorire i coniugi B. e P. nella gara per l'individuazione dei progettisti dei lavori di recupero e di valorizzazione dell'area comunale di (OMISSIS), e la ditta del Ga. nella gara per trattativa privata per la scelta dell'impresa cui affidare i lavori di taglio di un rilevante numero di piante del comune.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, dunque, una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo la Corte lucana analiticamente e convincentemente spiegato le ragioni per le quali le conversazioni captate dagli inquirenti fosse state idonee a provare la sussistenza degli elementi costitutivi delle due fattispecie criminose contestate: sottolineando come i colloqui captati dagli inquirenti avessero permesso di lumeggiare la figura dell'odierno ricorrente, allora sindaco del comune di (OMISSIS), come quella di uno "spregiudicato approfittatore delle istituzioni pubbliche", di cui lo stesso si era sistematicamente servito per attuare svariati programmi criminosi allo scopo di favorire suoi "protetti", quali i coniugi B. e P. nel caso della procedura di gara per l'affidamento della progettazione dei lavori di recupero di una zona comunale di interesse storico, ed il consigliere comunale Ga. nell'altro caso della procedura di gara per l'aggiudicazione dei lavori di taglio di 120 piante del municipio. E come, per realizzare quei propositi delittuosi, il M. avesse assunto un atteggiamento prevaricatore e minaccioso nei riguardi del G., dirigente dell'ufficio tecnico ed urbanistico di quel comune, che egli aveva fatto nominare mediante l'espletamento di un "concorso pilotato" e che, perciò, reputava essergli "debitore": nei confronti del quale l'imputato, palesemente abusando della sua qualità istituzionale di sindaco, non aveva avuto remore a formulare esplicite minacce, consistenti, nel primo caso, nel prospettare apertamente l'allontanamento del funzionario dal comune, laddove la procedura di gara non si fosse conclusa con l'affidamento di quell'Incarico di progettazione dei lavori al B. e alla P. (i quali avevano fornito al G., per il tramite di persona di fiducia del sindaco, un foglio con la trascrizione dei requisiti di partecipazione, "ritagliati" sulle loro caratteristiche professionali, che il funzionario avrebbe dovuto inserire nel bando di gara); e, nel secondo caso, nel prospettare espressamente al G. che sarebbe stato trasferito ad un altro comune se non avesse annullato la precedente procedura di gara, che aveva visto "vincitrice" una ditta diversa da quella del consigliere comunale Ga., ed avviata una nuova procedura per favorire quest'ultimo, iniziative che il G. si era visto costretto ad attuare (v. pagg. 8-15 sent. impugn.).

Escluso dai Giudici di merito, con motivazione congrua ed adeguata, che le frasi pronunciate dal M. e registrate dagli investigatori potessero essere interpretate come l'espressione di un atteggiamento di mero "eccesso verbale", essendo, invece, qualificate da una palese carica intimidatrice (v., in specie, pag. 9 sent. impugn.), va aggiunto che non è condivisibile la tesi difensiva secondo la quale la Corte territoriale sarebbe incorsa in una erronea applicazione della legge, in quanto le condotte addebitate all'imputato al capo d) dell'imputazione integrerebbero, al più, un' ipotesi di reato impossibile, non essendo stato precisata l'utilità, oggetto della costrizione, che l'agente aveva cercato di ottenere in relazione alla posizione dei coniugi B. e P. (i quali, come era stato significativamente provato, avevano ampiamente "ripagato" la disponibilità del sindaco, accollandosi, proprio in quel periodo, le spese dei festeggiamenti a Roma della laurea della figlia dello stesso M. ed impegnandosi a trovare un posto di lavoro per un'altra neolaureata, loro segnalata dallo stesso pubblico ufficiale). Anche a voler prescindere dalla circostanza, invero non rilevata dai Giudici di merito, che il reato ipotizzato si sarebbe potuto ragionevolmente qualificare in termini di concussione consumata, risultando dalle intercettazioni che l'azione costrittiva aveva avuto come risultato quello di ottenere la promessa del G. ad assecondare l'indebita pretesa del sindaco, era di tutta evidenza - anche alla luce delle emergenze acquisite in ordine all'altra vicenda concussiva, nella quale le pressioni del M. erano state finalizzate a costringere la vittima ad annullare, in maniera del tutto illegittima, una precedente procedura di gara oramai avviata - come la condotta dell'odierno ricorrente costituisse una forma di tentativo tutt'altro che impossibile, in quanto azione concretamente idonea a coartare la volontà del dirigente dell'ufficio urbanistica, il quale si era impegnato a indirizzare la procedura in maniera tale da giungere all'affidamento di quei lavori di progettazione alle persone indicate, fornendo loro una utilità non dovuta, risultato poi non verificatosi per cause indipendenti dalla volontà della vittima, stante la sopravvenuta sospensione del relativo procedimento amministrativo (v. pag. 13 sent. impugn.).

E' appena il caso, infine, di osservare come del tutto priva di pregio è la doglianza del ricorrente secondo il quale i delitti de quibus non sarebbero concretamente configurabili, posta l'assenza della contestata posizione di superiorità gerarchica dell'agente rispetto al destinatario delle pretese. E ciò non solo perchè è noto come, in generale, la normativa in materia di enti locali riservi al sindaco ampi margini decisionali in merito all'assegnazione dei compiti e delle funzioni ai dirigenti amministrativi di ciascun settore; ma soprattutto perchè le carte del processo - come posto in risalto dai Giudici di merito - avevano restituito l'immagine di un sindaco "protervo e dispotico", autentico "padre padrone" dell'intera amministrazione municipale, capace di una "gestione personalistica" di tutte le attività dell'ente pubblico, che aveva dalla sua parte anche il segretario comunale V. A., suo alter ego, il quale aveva mostrato di "replicare", senza alcuna reale autonomia, la volontà ed i desiderata del M. (v. pagg. 7-8, 10-13 sent. impugn.).

4.1. Quanto alla richiesta difensiva, formulata con la memoria depositata il 25/01/2013, di riqualificazione dei fatti oggetto di contestazione, va osservato quanto segue.

La questione sollevata riguarda gli effetti derivanti dalla recente entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione", che, come è noto, nel novellare la disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l'art. 317 cod. pen., con l'introduzione di una "diversa" fattispecie di "concussione", ed ha introdotto l'art. 319 quater cod. pen., riguardante l'innovativa figura criminosa della "induzione indebita a dare o promettere utilità", figura sostanzialmente intermedia tra quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e l'accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall'art. 318 o dall'art. 319 cod. pen. (anch'essi oggetto di modifica da parte della medesima legge).

Pure allo scopo di uniformare la normativa interna ai principi della Convenzione contro la corruzione di Merida del 2003, approvata in ambito ONU, ed a quelli della Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 1999, approvata in ambito di Consiglio d'Europa - ratificate in Italia rispettivamente dalla legge n. 116 del 2009 e da quella n. 110 del 2012 - il legislatore nazionale, come si è accennato, ha "spacchettato" l'originaria ipotesi delittuosa della concussione, che, nel testo previgente dell'art. 317 cod. pen., parificava le condotte di costrizione e di induzione, creando due nuove fattispecie di reato. La prima, che resta disciplinata dall'art. 317 cod. pen., prevede la punizione del "pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità": conserva, dunque, i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della fattispecie della concussione per costrizione, limitandosi ad incrementare il limite edittale minimo della pena detentiva (portata da quattro a sei anni di reclusione) e lasciando come soggetto attivo il solo pubblico ufficiale, con esclusione, dunque, della figura di incaricato di pubblico servizio: scelta, quest'ultima, foriera di probabili incertezze applicative, il cui effetto è ragionevole immaginare sarà quello di far rientrare, in presenza di tutti i presupposti di legge, le condotte costrittive ascrivibili all'incaricato di pubblico servizio nell'alveo operativo del reato di estorsione (eventualmente aggravato dall'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio, ai sensi dell'art. 61 cod. pen., comma 1, n. 9).

La seconda fattispecie di reato, "scorporata" dal previgente art. 317 cod. pen. ed ora regolata dall'art. 319 quater cod. pen., recante in rubrica la nuova denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità, sussiste, "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", laddove "il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità": delitto, dunque, configurabile anche a carico dell'incaricato di pubblico servizio oltre che del pubblico ufficiale, sanzionato con la più mite pena della reclusione da tre ad otto anni, la cui struttura descrittiva, con riferimento alla condotta del pubblico agente (comma 1), mutua significativamente gli elementi qualificanti la "vecchia" figura della concussione per induzione. Rappresenta, invece, dato di assoluta novità la previsione, nel comma 2 dello stesso art. 319 quater, della punizione anche del soggetto che "da o promette denaro o altra utilità", il quale, da persona offesa nell'originaria ipotesi di concussione per induzione di cui al previgente art. 317 cod. pen., diventa coautore nella nuova figura dell'induzione indebita.

4.2. Prima di esaminare la tematica di diritto intertemporale, va detto che la questione evidenziata dalla difesa dell'odierno ricorrente impone di considerare quale sia il criterio che permette di distinguere la figura della concussione prevista dal "nuovo" art. 317 cod. pen. rispetto a quella della induzione indebita di cui all'introdotto art. 319-quater dello stesso codice.

In passato, il problema di definire cosa fosse la costrizione rispetto alla induzione non aveva costituito oggetto di analisi particolarmente approfondire, in quanto nel previgente art. 317 cod. pen. le due condotte, in relazione agli effetti, erano sostanzialmente parificate: tant'è che, nella prassi, spesso i termini venivano entrambi contestati agli imputati chiamati a rispondere del delitto di concussione, finendo per essere considerati una sorta di endiadi, vocaboli che si riteneva esprimessero un concetto unitario.

La circostanza che il legislatore della novella del 2012, nello "sdoppiare" le fattispecie di reato, abbia riproposto, rispettivamente nella nuova versione dell'art. 317 e nell'art. 319- quater, comma 1, formulazioni testuali sostanzialmente identiche, nelle quali l'unico dato di distinzione è, appunto, quello del verbo ("costringe" nel primo caso, "induce" nel secondo), costituisce un indice che la voluntas legis sia stata nel senso di attribuire una qual continuità normativa rispetto alla disposizione incriminatrice precedentemente vigente: con la conseguenza che appare senz'altro possibile continuare a valorizzare gli approdi ermeneutici cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità che, pur, nella indifferenza degli effetti pratici, aveva tracciato una "linea di confine" tra la condotta costrittiva e quella induttiva. In tal senso, possono essere "recuperati" gli approdi esegetici giurisprudenziali (per i quali si vedano, tra le tante, Sez. 6, n. 33843 del 19/06/2008, Lonardo, Rv. 240795; Sez. 6, n. 49538 del 01/10/2003, P.G. in proc. Bertolotti, Rv. 228368) secondo i quali sia la costrizione che l'induzione si realizzano laddove il comportamento del pubblico ufficiale, che abusa della sua qualità o dei suoi poteri, si sostanzi nella formulazione di una pretesa indebita, di dazione o di promessa di denaro o di altra utilità, manifestata con forme e modalità idonee ad incidere psicologicamente sulla volontà e, quindi, sulle determinazioni del destinatario: solo che, nel primo caso, si parla di costrizione perchè la pretesa ha una maggiore carica intimidatoria, in quanto espressa in forma ovvero in maniera tale da non lasciare alcun significativo margine di scelta al destinatario; mentre, nel secondo caso, si parla di induzione perchè la pretesa si concretizza nell'impiego di forme di suggestione o di persuasione, ovvero di più blanda pressione morale, sì da lasciare al destinatario una maggiore libertà di autodeterminazione, un più ampio margine di scelta in ordine alla possibilità di non accedere alla richiesta del pubblico funzionario.

Va, dunque, escluso che le modifiche introdotte dalla legge n. 190 del 2012 abbiano comportato una riqualificazione delle due condotte di "costrizione" e di "induzione", formule lessicali che appaiono entrambe capaci di indicare sia la condotta che l'effetto: solo che - come anche suggerisce il nettamente differenziato trattamento sanzionatorio - la prima descrive una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell'altrui volontà, che pone l'interlocutore di fronte ad un aut-aut ed ha l'effetto di obbligare questi a dare o promettere, sottomettendosi alla volontà dell'agente (voluit quia coactus); la seconda una più tenue azione di pressione psichica sull'altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di "spingere" taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell'agente (coactus tamen voluit).

In entrambe le ipotesi, quindi, la condotta delittuosa deve concretizzarsi in una forma di pressione psichica relativa (sicchè è fondato ritenere che continuano a restare fuori dall'ambito di operatività degli artt. 317 e 319 quater cod. pen. le condotte di violenza fisica, le quali possono eventualmente integrare gli estremi di altri reati, estranei allo statuto dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) che determina, proprio per l'abuso delle qualità o dei poteri da parte dell'agente, uno stato di soggezione nel destinatario; e che, per essere idonea a realizzare l'effetto perseguito dal reo, deve sempre contenere una più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, le cui conseguenze dannose il destinatario della pressione cerca di evitare soddisfacendo quella pretesa indebita, dando o promettendo denaro o altra utilità.

Pregiudizio che non deve necessariamente essere contra ius, ben potendo la pressione psichica tradursi anche nella prospettazione, da parte dell'agente, di una conseguenza dannosa derivante all'esercizio dei suoi poteri in maniera formalmente doverosa, conforme al diritto ovvero ad esso non contraria: prospettazione che diventa ingiusta perchè connessa al perseguimento di un fine illecito, posto che l'omesso esercizio di quel potere viene condizionato dal soddisfacimento dell'indebita richiesta di dazione o di promessa. La condotta del pubblico funzionario è, dunque, capace di condizionare illecitamente la volontà, altrui in quanto espressione di uno sviamento di potere, tenuto conto che il sud esercizio o la prospettazione dell'esercizio, lungi dal realizzare quell'interesse pubblico cui l'iniziativa è solo in apparenza ispirata, diventa, in concreto, il mezzo per soddisfare un interesse privato (in senso sostanzialmente conforme Sez. 6, n. 45034 del 09/07/2010, Pentimalli, Rv. 249031; Sez. 6, Sentenza n. 33843 del 19/06/2008, Lonardo, Rv.

240794).

4.3. Tuttavia, bisogna riconoscere come la distinzione tra i concetti di costrizione e di induzione basata esclusivamente sul maggiore o minore grado di coartazione morale ha creato in passato non poche difficoltà interpretative, talvolta tradottesi in una tendenza a dilatare la portata applicativa della previgente disposizione codicistica, che hanno portato la dottrina a dubitare della legittimità costituzionale di una norma apparentemente carente dei requisiti di tassatività nella descrizione della condotta.

Lungi dal poter trarre argomenti decisivi dall'esegesi sistematica, dato che il legislatore codicistico spesso ha dimostrato di confondere i due concetti di costrizione e di induzione, oppure di assimilarli a quello di minaccia e, persino, di violenza (emblematica, in tale ottica, è la sintassi poco chiara impiegata per la descrizione degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 377 bis cod. pen.), vi è oggi una rilevante e specifica ragione che suggerisce di integrare quel "tradizionale" criterio di distinzione, valorizzando un elemento obiettivo che, in molte fattispecie, può servire a dare ai due concetti in esame un tasso di maggiore determinatezza.

La ragione è legata alla già considerata novità della incriminazione - sia pur con la previsione di una pena più mite rispetto a quella stabilita per il pubblico funzionario - di colui che, destinatario della induzione indebita, si sia determinato a dare o a promettere denaro o altra utilità, giusta la statuizione dell'art. 319 quater cod. pen., comma 2. La posizione di tale soggetto, non più vittima ma coautore del reato, è evidentemente diversa da quella del destinatario della pretesa concussiva, che, nel reato di cui al riscritto art. 317, resta mera persona offesa, ed impone oggi di ricercare elementi sintomatici ulteriori idonei a favorire una più netta differenziazione tra i concetti di costrizione e di induzione. Sforzo ricostruttivo che, teso ad individuare un dato qualificato da aspetti di maggiore oggettività, può consentire di superare quelle situazioni di incertezza determinate dall'impiego del, talora più evanescente, criterio spiccatamente soggettivo del margine di libertà di scelta lasciato al destinatario della pretesa: e ciò vale soprattutto per quei casi, ricadenti nella c.d. "zona grigia", nei quali non è chiaro nè è facilmente definibile se la pretesa del pubblico agente, proprio perchè proposta in maniera larvata o subdolamente allusiva, ovvero in forma implicita o indiretta, abbia ridotto fino quasi ad annullare o abbia solo attenuato la libertà di autodeterminazione del privato.

Tale indice integrativo è ragionevolmente rappresentato dal tipo di vantaggio che il destinatario di quella pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o di altra utilità.

Egli è certamente persona offesa di una concussione per costrizione se il pubblico agente, pur senza l'impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all'alternativa "secca" di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto: al destinatario della richiesta non è lasciato, in concreto, alcun apprezzabile margine di scelta, ed è solo vittima del reato perchè, lungi dall'essere motivato da un interesse al conseguimento di un qualche vantaggio diretto, si determina a dare o promettere esclusivamente per evitare il pregiudizio minacciato. Al contrario, il privato è punibile come coautore nel reato se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un'azione o di una omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito: dunque, egli non è vittima ma compartecipe laddove abbia conservato un significativo margine di autodeterminazione o perchè la pretesa gli è stata rivolta in forma più blanda o in maniera solo suggestiva, ovvero perchè egli è stato "allettato" a soddisfare quella pretesa dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per diventare la ragione principale della sua decisione.

Questa impostazione, più articolata rispetto a quella fondata esclusivamente sulla verifica "soggettivizzante" del diverso grado di pressione morale, appare coerente anche rispetto alla nuova collocazione che, nel codice, è stata data alla figura dell'induzione indebita, come "plasticamente" confermata dalla scelta di introduzione dell'art. 319-quater subito dopo gli articoli disciplinanti le due forme di corruzione - al cui alveo sembra maggiormente avvicinarsi - e non anche dopo l'articolo sulla concussione. Ed invero, nel reato di induzione indebita il destinatario della pretesa soffre, al pari della vittima della concussione, l'abusiva iniziativa prevaricatrice del pubblico agente, dalla quale la sua volontà risulta psichicamente condizionata (che, altrimenti, laddove tra i prevenuti vi fosse una posizione di piena parità, si dovrebbe passare nell'ambito di operatività di una delle figure corruttive); ma, al pari del corruttore, risponde penalmente della sua condotta, per aver dato o promesso denaro o altra utilità, o perchè ha subito una più tenue pretesa intimidatoria, alla quale, senza eccessivi sforzi, ben avrebbe potuto resistere, ovvero perchè da quella dazione o promessa ha tratto un vantaggio non dovutogli, al cui conseguimento, in una logica quasi "negoziale", ha finito per parametrare la sua decisione.

4.4. Ora, tenuto conto che, nel caso di specie, le condotte ritenute a carico dell'odierno ricorrente sono state correttamente qualificate in termini di concussione del pubblico ufficiale per costrizione, rispettivamente tentata nel capo d) e consumata nel capo e) dell'imputazione - essendo sufficiente, sul punto, richiamare quanto dettagliatamente esposto nel punto 3.: condotta, dunque, agevolmente inquadrabile tanto nella fattispecie a suo tempo prevista dal previgente art. 317 cod. pen., quanto in quella regolata dalla nuova disposizione contenuta nel medesimo articolo, per la forza intimidatrice della minaccia - resta da chiarire, sotto l'aspetto intertemporale, se, a seguito della entrata in vigore della novella del 2012, sia ipotizzabile, con riferimento alle norme dei due appena considerati articoli, una qualche forma di abolitio criminis ai sensi del'art. 2 comma 2 cod. pen., ovvero un mero fenomeno di successione di leggi penali nel tempo regolato dall'art. 2 comma 4 cod. pen..

La Corte ritiene di dover privilegiare la seconda delle indicate soluzioni.

In tal senso vanno valorizzati, per un verso, l'esito del confronto strutturale tra le due esaminate fattispecie incriminatrici, che permette agevolmente di rilevare come, a parte l'esclusione, quale soggetto attivo, della figura dell'incaricato di pubblico servizio (che, come innanzi anticipato, ha comportato una forma di abrogatio sine abolitio), il legislatore del 2012 abbia riproposto nel nuovo art. 317 cod. pen. una descrizione degli elementi costitutivi del reato di concussione per costrizione sostanzialmente identica a quella degli elementi integranti il reato di concussione per costrizione di cui al previgente art. 317 cod. pen.; per altro verso, il risultato dell'analisi del giudizio di disvalore che qualifica le due fattispecie, immutato in entrambe le disposizioni, essendo ugualmente colpite - fatto salvo l'aumento, con la nuova legge, del trattamento sanzionatorio - vicende criminose identiche, consistenti nell'Iniziativa di costrizione illecita posta in essere da un pubblico ufficiale.

Il riconoscimento di una continuità normativa tra le due fattispecie e la sicura attribuibilità all'odierno ricorrente della qualifica di pubblico ufficiale, esclude la necessità di riqualificare i fatti accertati ed osta all'applicazione retroattiva della disposizione sopravvenuta, più sfavorevole al reo in ragione del già considerato aumento del limite edittale minimo della pena detentiva.

5. Infondato è il quarto motivo del ricorso presentato nell'interesse del M..

Il delitto di concussione e quello di turbata libertà degli incanti possono astrattamente concorrere tra loro, trattandosi di illeciti che hanno una diversa obiettività giuridica, tutelando il primo l'interesse della pubblica amministrazione con riferimento al prestigio, alla correttezza ed alla probità dei pubblici funzionari, ed il secondo l'interesse alla libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private.

In tal senso, corretta appare la soluzione adottata dalla Corte territoriale che, con motivazione completa e priva di incongruenze - invero direttamente riferita al rapporto tra i reati suo capi c) e d), ma implicitamente estensibile anche alla relazione tra gli analoghi reati contestati sub capi e) ed f) (v. pagg. 13-14 sent.

impugn.) - ha sostanzialmente escluso la ricorrenza di una ipotesi di concorso apparente di norme, attesa la non sovrapponibilità delle condotte oggetto di dei rispettivi addebiti: tenuto conto che, nel caso della gara per l'affidamento dell'incarico di progettazione dei lavori da eseguire in zona (OMISSIS), vi era stata una irregolare predisposizione del bando di gara, una concordata scelta dei componenti della commissione di aggiudicazione ed una preventiva definizione delle modalità di apertura delle buste contenenti le offerte, condotte collusive atte a turbare la libertà di quel concorso (e specificamente contestate al capo c) dell'imputazione), tutte antecedente ed ontologicamente differenti rispetto alla specifica pretesa concussiva manifestata dal sindaco nei confronti del G., oggetto del distinto addebito riportato nel capo d) dell'imputazione. E che, nell'altro caso, quello della gara per l'affidamento dei lavori di taglio delle piante comunali, l'azione costrittiva posta in essere dall'odierno ricorrente in danno del dirigente comunale (di cui al capo e) dell'imputazione), aveva preceduto le successive e diverse azioni collusive che, mediante una illegittima determina di annullamento della precedente procedura e l'avvio di una nuova gara, avevano di fatto turbato lo svolgimento della ulteriore trattativa privata, con iniziative riportate nel capo f) dell'imputazione.

7. Il quinto motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Anche a voler trascurare il fatto che, con l'atto di appello, la richiesta difensiva con cui era stato domandato il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità, era stata espressamente formulata con riferimento ai reati contestati al M. ai capi h) ed l) dell'imputazione (v. pag. 4 sent. impugn.), per i quali, con la presentazione del ricorso per cassazione, non vi è stato effetto devolutivo, va sottolineato come la Corte distrettuale ne ha implicitamente escluso la ricorrenza nel momento in cui ha affermato che la pena inflitta in primo grado, pari ad anni tre mesi sette di reclusione, dovesse considerarsi congrua in relazione alla pluralità dei reati commessi, alla loro obiettiva gravità ed alla personalità criminale manifestata dall'imputato (v.

pag. 15 sent. impugn.).

Soluzione, questa, conforme al pacifico indirizzo della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale il provvedimento impugnato non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (così, tra le tante, Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n. 13151 del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590).

8. Quanto alla sollecitazione difensiva finalizzata ad ottenere la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di tentata concussione di cui al più volte richiamato capo d) dell'imputazione, va detto che l'istanza è stata formulata solo nel corso dell'odierna discussione ed In maniera generica, comunque in termini tali da risultare inidonea a contrastare la formale attestazione della Corte distrettuale, contenuta a pag. 2 della sentenza impugnata, in ordine al computo dei periodi di sospensione del corso della prescrizione dovuti a rinvii delle udienze dinanzi al G.u.p., al Tribunale ed alla stessa Corte, per richieste presentate dai difensori dell'imputato:

periodi che, pari a complessivi anni tre mesi uno e giorni otto, ostano alla declaratoria della estinzione del reato in esame che, risultando commesso sino al mese di giugno del 2000, si sarebbe prescritto solo il 08/07/2013.

Nè conduce a differente conclusione l'affermazione del difensore del M. (invero, anch'essa prospettata in maniera alquanto indeterminata) secondo cui alcuni di quei periodi di sospensione, asseritamele dovuti a richieste di rinvio a suo tempo avanzate per legittimo impedimento dei patrocinatori, sarebbero stati calcolati in misura superiore ai sessanta giorni, cioè maggiore di quella consentita dall'art. 159 cod. pen., comma 1, n. 3. Ed infatti, l'esame degli atti a disposizione ha consentito di rilevare che in almeno due casi di rinvio, esattamente quelli disposti nelle udienze svoltesi dinanzi alla Corte di appello il 17/12/2010 ed il 10/11/2011, le richieste di differimento sono state avanzate non in base ad un concomitante impegno professionale ovvero ad altro legittimo impedimento del difensore, bensì per generici impegni di natura personale o familiare dell'istante, per giunta con espressa riconoscimento, da parte dello stesso richiedente, della operatività della sospensione della prescrizione per tutto il periodo intercorrente tra la data di ogni rinvio e quella delle successive udienze.

9. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2013

 

 

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