Corte di
Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 luglio – 10 agosto 2020, n. 23727
dichiarazione di incostituzionalità e
rideterminazione della pena inflitta con sentenza passata i giudicato, in sede esecutiva
1. La Corte
costituzionale, con la sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,
comma 1, nella parte in cui prevede un minimo
edittale di otto anziché sei anni di reclusione.
Questa sezione ha già ripetutamente esaminato le questioni giuridiche poste
dalla richiesta di rideterminazione, in executivis,
della pena inflitta (sentenze 19.7.2019, n. 41933; 12.11.2019, n. 3280/20;
14.11.2019, n. 1805/20; 19.11.2019, n. 50135; 20.11.2019, n. 51085;
26.11.2019, n. 4088/2020; 4.12.2019, n. 6183/20; 6.12.2019, n. 5550/20;
10.12.2019, n. 3301/20; 17.12.2019, n. 1814/20).
Con riguardo al rapporto tra il giudicato e la dichiarazione di incostituzionalità della norma, attinente il
trattamento sanzionatorio, applicata dalla sentenza di condanna divenuta
irrevocabile, è consolidato l’orientamento secondo il quale, nel caso in cui la pena inflitta non sia
stata interamente espiata, va compiuta la rideterminazione della pena, da
parte del giudice dell’esecuzione, applicando la normativa risultante
dalla dichiarazione di incostituzionalità (Sez. Un. 18.10.2013, n.
18821/2014, Ercolano; Sez. Un. 29.5.2014, Gatto).
Anche con riferimento agli effetti della menzionata pronuncia costituzionale
vengono in rilievo i principi già affermati dalla giurisprudenza (Sez. Un. 26.2.2015; Sez. Un. 26.2.2015; Sez. Un. 26.2.2015, r)
in relazione alla vicenda che, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della
Corte costituzionale, aveva riguardato il trattamento sanzionatorio dei reati
concernenti le così dette droghe leggere, fattispecie pure interessate da una
modifica in melius del minimo edittale
("tornato" ad anni due di reclusione invece che ad anni sei di
reclusione).
In particolare, si è affermata la illegalità della pena commisurata sulla base di una
cornice edittale incostituzionale, a prescindere dal fatto che la pena sia
stata determinata in termini conformi alla cornice edittale costituzionale.
La pronuncia n. 40/2019 ha mantenuto inalterato il massimo edittale (anni
venti di reclusione), limitando l’intervento innovativo al minimo
edittale, che è stato ritenuto costituzionale in misura ridotta di quasi un
terzo (sei anni invece che otto anni).
La rideterminazione in melius della pena inflitta,
da parte del giudice dell’esecuzione, è dunque necessaria tutte le
volte in cui il giudice della cognizione ha commisurato la pena in misura prossima
a quel minimo edittale, poi dichiarato incostituzionale.
In tali casi è evidente che il giudizio compiuto in sede di cognizione, parametrato su un dato normativo incostituzionale, non
assicura la necessaria proporzione tra gravità del fatto e profilo soggettivo
del reo, da una parte, e misura della pena, dall’altra.
Quanto alla natura del giudizio riservato, in tali fattispecie, al giudice
dell’esecuzione si è precisato che non si tratta di una
operazione di mera trasposizione matematica di quel giudizio
(formulato in sede di cognizione) entro la nuova cornice edittale, bensì di
un nuovo giudizio commisurativo, da operare alla
stregua dei principi di cui agli artt. 132 e 133 c.p. e con i limiti che, di
seguito, si indicano.
Innanzitutto, la discrezionalità del giudice dell’esecuzione opera,
laddove il giudizio formulato nella cognizione era
stata parametrato con riferimento al minimo edittale incostituzionale e non,
invece, al massimo edittale, nell’ambito del giudizio di riduzione
della pena, e dunque non può essere inteso come autonoma commisurazione della
pena.
Inoltre, il giudice dell’esecuzione deve tener conto delle componenti, attinenti il trattamento sanzionatorio, già
riconosciute in sede di cognizione, e anche ove frutto, nell’an, di una valutazione discrezionale, come è il caso
delle attenuanti generiche e del giudizio di bilanciamento tra circostanze.
Con riferimento, infine, al quantum di pena, anche nei diversi passaggi della
determinazione del trattamento sanzionatorio - individuazione della pena
base, applicazione delle circostanze, aumento per la continuazione, eventuale
riduzione ai sensi dell’art. 444 ovvero 442 c.p.p.
- il giudice dell’esecuzione è vincolato quanto al risultato finale,
che deve pervenire ad una pena più mite, ed opera con
discrezionalità ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p..
Il limite costituito dalla necessità che il risultato del rinnovato giudizio commisurativo sia in favorem
rei deriva dalla ratio del particolare istituto
processuale, finalizzato ad eliminare gli effetti,
sfavorevoli per il condannato, della applicazione di una norma dichiarata
incostituzionale.
Con specifico riguardo al caso in cui la illegalità
della pena riguardi, anche ovvero esclusivamente, un aumento di pena nella
continuazione, essendo la fattispecie in tema di stupefacenti un così detto
reato satellite, è stato chiarito (Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar)
che si deve procedere a una rivalutazione del complessivo trattamento
sanzionatorio, alla luce della più favorevole cornice edittale determinata
dalla pronuncia costituzionale.
Infatti, anche nella determinazione in concreto del quantum di aumento da
apportare per i singoli reati satellite, deve
comunque procedersi a una preliminare valutazione
di gravità, ai sensi dell’art. 133 c.p., in rapporto al parametro
sanzionatorio legale.
Dunque, anche tale porzione di pena, ove commisurata
in relazione ad una cornice edittale incostituzionale, deve essere
rideterminata in melius.
2. Nel caso in esame, si deve procedere alla rideterminazione, in executivis, della pena già inflitta all’esito del
giudizio di cognizione, nel quale il giudice, conoscendo di reati concernente le così dette droghe pesanti commessi in
data 27.10.2016, aveva applicato la norma dichiarata incostituzionale
fissando la pena base in anni otto di reclusione ed Euro 27.000 di multa.
La decisione di non procedere alla rideterminazione in melius
della pena inflitta nel giudizio di cognizione costituisce violazione della
L. n. 87 del 1953, art. 30 che impone la
rideterminazione, anche in esecuzione, della pena, non interamente espiata,
che sia stata inflitta applicando una norma dichiarata incostituzionale.
Si è ricordato che il giudice dell’esecuzione è tenuto alla
rideterminazione della pena per eliminare il (sopravvenuto) carattere di illegalità della pena inflitta, e gli è riconosciuta
discrezionalità nella determinazione del quantum della riduzione di pena.
3. Va dunque pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata, con
rinvio al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, perché
proceda a nuovo esame dell’istanza proposta,
facendo applicazione dei principi di diritto supra
esposti.
P.Q.M.
Annulla
l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio
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