Aggiornamento - Penale

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 9 maggio - 7 giugno 2001, sul concorso tra il reato di ricettazione e quello di commercio di prodotti con segni falsi
 

                                REPUBBLICA ITALIANA
                            IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                          LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                               SEZIONI UNITE PENALI

Dott. Aldo Vessia- Presidente
1. Dott. Brunello Della Penna - Componente
2. " Bruno Frangini - "
3. " Renato Fulgenzi - "
4. " Bruno Rossi - 
5. " Aldo Grassi - "
6. " Giovanni De Roberto - "
7. " Giuliana Ferrua - "
8. " Aldo Fiale - "

ha pronunciato la seguente

                                     SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso, la Conte di appello di
Firenze. avverso la sentenza emessa il 23-8-99 dal Pretore di Pisa nel
procedimento a carico di N. P.

Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso,

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott. Giuliana
Ferrua

Udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato Generale dott. Antonio Leo
che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata con
riguardo al capo 2.

                                Vicenda processuale

Con sentenza 23-8-99 il Pretore di Pisa dichiarava N. P. responsabile del reato
di cui all'art. 474 c.p. (per avere detenuto per la vendita 5 cinture aventi il
marchio "Levi's Strauss" contraffatto; capo 1) e lo condannava, con le attenuanti
generiche, a pena stimata di giustizia; assolveva il medesimo dall'imputazione
ascrittagli ex art. 648 c.p. (per avere acquistato o comunque ricevuto, al fine
di trarne profitto, gli oggetti sopradescritti, provento del reato di
contraffazione di marchi e segni distintivi, commesso da ignoti; capo 2) perché
il fatto non sussiste.
Con riguardo alla pronuncia assolutoria il giudicante segnalava che i suddetti
reati non possono concorrere essendo le relative norme incriminatrici in rapporto
di specialità e che la ricezione o l'acquisto di prodotti con marchi contraffatti
non integra ricettazione in quanto tali beni non costituiscono "provento" di
delitto.
Avverso la riportata decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale presso la Corte di appello di Firenze il quale ha denuncialo violazione
di legge in ordine alla esclusa ricorrenza del reato sub 2, all'uopo deducendo la
diversità delle condotte descritte dagli artt. 474 e 648 c.p.
II ricorso veniva assegnato alla quinta sezione penale della Cassazione ed il
collegio, rilevata l'esistenza di contrasto giurisprudenziale sulla questione
sottoposta al suo esame, disponeva trasmettersi gli atti alle Sezioni Unite.

Ragioni della decisione.

Il quesito per il quale il gravame è stato rimesso alle Sezioni Unite concerne
dunque la possibilità o meno di concorso tra il reato di ricettazione e quello di
commercio di prodotti con segni falsi, previsti rispettivamente dagli artt. 648 e
474 c.p.

I numerosi precedenti che sono pervenuti a soluzione positiva hanno sottolineato
l'inapplicabilità dell'art. 15 c.p. alla luce della eterogeneità sia
dell'elemento materiale che di quello psicologico delineati dalle menzionate
disposizioni nonché del bene da queste tutelato (Cass. 18-2-02060 RV. 177638;
Cass. 30-6-88 n. 07505 RV. 178739; Cass. 13-12-88 n. 12249 RV. 179899; Cass.
15-2-89 n. 12307 RV. 180501; Cass. 26-5-89 n. 07692 RV. 181408; Cass. 12-10-89 n.
13498 RV. 182239; Cass. 31-5-90 n. 07613 RV. 184490; Cass. 27-7-90 n. 10874 RV.
185018; Cass. 5-4-91 n. 03720 RV. 186763; Cass. 6-12-91 n. 12366 RV. 188808;
Cass. 27-7-96 n. 03154 RV. 205594; Cass. 6-3-97 n. 02098 RV. 206998; Cass.
17-12-99 n. 14277 RV. 215801). In particolare si è evidenziato:
- l'art. 474 c.p. non considera i comportamenti attraverso i quali si realizza la
ricettazione;
- la commercializzazione delle opere ovvero dei prodotti con marchi o segni
contraffatti non esige nel momento della ricezione la consapevolezza della
falsità, dato costitutivo della ricettazione;
- quest'ultima offende il patrimonio mentre l'altro reato la pubblica fede
commerciale. In talune sentenze (tre per l'esattezza: Cass. 27-4-98 n. 01315 RV.
210602; Cass. 14-1-2000 n, 05525 RV. 215569; Cass. 16-12-99 n. 05526 RV. 216377)
è stato invece ritenuto che tra gli artt. 474 e 648 c.p. sussista rapporto di
specialità e che la norma in tenta di segni contraffatti sia quella che: meglio
qualifica il fatto, anche se presidiata da pena minore. Questi gli argomenti a
sostegno:
- l'art. 474 c.p. è diretto a tutelare non solo la pubblica fede, ma altresì il
patrimonio ed precisamente il monopolio sull'opera o sul marchio: di conseguenza
il delitto ivi sanzionato non può concorrere con la ricettazione la quale offende
un bene (il patrimonio) che è già garantito.
- le attività di acquisto o di ricezione sotto presupposto necessario della
detenzione per la vendita e pertanto esse assumono rilevanza penale solo in tale
occasione, altrimenti realizzano un antefatto non punibile.
Nell'ambito dell'orientamento minoritario si è infine assunto che comunque la
ricettazione non sarebbe configurabile in relazione ad opere abusive o con marchi
contraffatti perché mancherebbe il requisito essenziale di questa figura
criminosa, ossia la circostanza che la cosa (ricevuta o acquistata) provenga da
delitto, posto che detti beni rappresenterebbero "prodotto" e non "provento" del
reato; del pari si è rilevato che l'acquisto di quanto recante segni falsi non
rientra nella previsione dell'art. 648 c.p. non pregiudicando gli interessi alla
correttezza del mercato né quelli del titolare del segni stessi.
In senso contrario, anche su questo specifico punto, si è invece espresso
l'opposto indirizzo giurisprudenziale, sottolineando che la frase "cose
provenienti da qualsiasi delitto" va riferita all'apprensione di ogni tipo di
bene derivante da attività delittuosa e che le cose con segni contraffatti sono
provenienti da delitto, atteso che il contrassegno si immedesima nel prodotto per
cui, una volta impresso, diviene impossibile una distinzione concettuale tra
prodotto e segno (precisamente: Cass. 18-2-88 n.02060 RV. 177638; Cass. 30-6-88
n. 07505 RV. 178739; Cass. 13-12-88 n. 12249 RV. 179899; Cass. 27-7-90 n. 00874
RV. 185018; Cass. 5-4-91 n. 03720 RV. 186763; Cass. 27-7-96 n. 03154 RV. 205593;
Cass. 28-10-00 n. 11083 RV. 217381).
Procedendo in ordine logico queste Sezioni osservano.
Innanzitutto occorre affrontare il problema - che si colloca su di un piano ben
distinto dir quello del concorso, apparentemente o reale, degli artt. 474 e 648
c.p. - circa la ipotizzabilità della ricettazione qualora la ricezione abbia ad
oggetto cose con marchi o segni contraffatti: se la risposta dovesse essere
negativa è chiaro che non si porrebbe più questione di concorso, derivando
l'inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 648 c.p. dalla circostanza
che essa non qualifica il citato contesto e non già dall'essere questo
incriminato da entrambe le norme.
In realtà una siffatta conclusione va respinta.
Il legislatore, nel sanzionare ex art. 648 c.p. l'acquisto o la ricezione di cose
"provenienti da qualsiasi delitto" ovvero l'intromissione in simili attività, ha
inteso colpire ogni acquisizione patrimoniale consapevolmente ottenuta o
procurata in virtù di beni aventi origine delittuosa; in codesta visione e
considerato altresì il fine di profitto nel quale si concreta il richiesto dolo
specifico ("fine di procurare a se o ad altri un profitto"), trova spiegazione
l'inserimento della figura fra i reati contro il patrimonio, dovendosi al
contempo riconoscere che la condotta tipica è idonea a rafforzare l'offesa
arrecata con il fatto criminoso presupposto.
Quest'ultimo peraltro, può essere di qualsiasi natura c non necessariamente
contro il patrimonio: il che è confermato dal termine "qualsiasi" e corrisponde
alla illustrata ratio dell'incriminazione; del resto la giurisprudenza di
legittimità si è ripetutamente pronunciata in tal senso, ravvisando la
ricettazione con riguardo a pistola con matricola abrasa, a opere
cinematografiche e musicassette abusivamente riprodotte, a assegni turistici
falsi, a sigilli contraffatti, a moduli falsificati di identità (Cass. 30-11-83
n. 10251; Cass. 6-5-93 n. 04625 RV. 194158; Cass. 12-1-94 n. 00148 RV. 197027;
Cass. 29-12-95 n.12788 RV. 203148; Cass. 16-4-97 n. 03527 RV. 207227; Cass.
15-5-97 n. 02667 RV. 207833).
Tanto premesso, onde individuare l'esatta area di operatività dell'art. 648 c.p.,
deve stabilirsi la portata dell'espressione "cose provenienti da reato".
La stessa si palesa ampia né sussiste ragione alcuna, sotto il profilo letterale
ovvero dal punto di vista logico, per interpretarla siccome limitata a quanto
costituisce "il profitto" del reato c non invece quale volta a comprendere in sé
anche "il prodotto", puntualizzandosi che "proviene" da reato ciò che col reato è
creato.
Orbene, è indubbio che l'apposizione di un segno contraffatto su un bene
(fattispecie delittuosa ai sensi dell'art. 473 c.p.) funga da fonte rispetto alla
cosa così realizzata nella quale il segno si fonde. ne deriva che acquisizione
del tutto, con la consapevolezza della sua contraffazione, integra una condotta
rilevante ai sensi della suddetta previsione.
La tesi contraria è priva di aderenza al dato normativo, testualmente e
razionalmente inteso; in particolare non può sostenersi che attraverso l'acquisto
della cosa avente il 
segno contraffatto non si arrechi offesa al diritto del titolare dell'esclusiva
ed alla correttezza del mercato. Così ragionando si confonde l'oggettività
giuridica del reato di ricettazione con quella del delitto presupposto di cui
all'art. 473 c.p., mentre in realtà è innegabile che un acquisto del genere
realizzi l'offesa tipica del primo: basti osservare che gli acquirenti o più in
generale i destinatari ricevono la cosa con un attributo che essa non potrebbe
avere, il quale viene valutato dal mercato in termini positivi ed è conseguente
alla ingerenza indebita nell'altrui creazione e diritto di esclusiva.
Riconosciuto dunque che l'apprensione di entità con segni o marchi falsificati è
in astratto riconducibile alla ricettazione, può passarsi all'esame
dell'ulteriore questione.
Sussiste concorso fittizio di norme qualora una pluralità di disposizioni sia
apparentemente applicabile nei confronti di un determinata condotta, mentre in
effetti una sola di esse può operare perché altrimenti verrebbe addebitato più
volte un accadimento unitariamente valutato dal punto di vista normativo, in
contrasto col principio del ne bis in idem sostanziale posto a fondamento degli
artt. 15, 68, 84 c.p.
Una tale. convergenza ricorre in primis quando, ai sensi dell'art. 15 c.p., due
norme regolino "la stessa materia", ossia qualifichino una identico contesto
fattuale nel senso che una delle suddette comprenda in sé gli elementi dell'altra
oltre ad uno o più dati specializzatiti: in questo caso dovrà prevalere, salvo
che sia altrimenti stabilito, la previsione, speciale ossia quella che descrive
la situazione con maggiori particolari.
Poiché il citato criterio presuppone una relazione logico-strutturale tra norme
ne deriva che la locuzione "stessa materia" va intesa come fattispecie astratta -
ossia come settore, aspetto dell'attività umana che la legge interviene a
disciplinare - e non quale episodio in concreto verificatosi sussumibile in più
norme, indipendentemente da un astratto rapporto di genere a specie tra queste.
In base a quanto sopra è da escludersi che gli artt. 648, 474 c.p. attribuiscano
rilevanza penale alla stessa materia. 
All'uopo il richiamo alla natura del bene protetto - effettuato, con divergente
valutazione, sia dalle sentenze che affermano una situazione dl specialità sia da
quelle che la negano - non pare decisivo.
E' pur vero che vari precedenti di queste Sezioni, ai fini della nozione che qui
interessa, si sono riportati a detto dato: esso, in ogni caso, non è stato presto
in considerazione quale unico fattore, ma unitamente agli aspetti
comportamentali, oggettivi e soggettivi, della fattispecie (Cass. S.U. 31-4-76
Il. 00010 imp. Canidu RV. 13365; Cass. S.U. 7-7-81 n. 06713 imp. Santamaria RV.
149667; Cass. S.U. 19-1-82 n. 00420 imi). Emiliani RV. 151618; Cass. S.U. 8-1-98
il, 00119 imp. Deutsch RV. 20912. Il concetto de quo in Cass. S.U. 13-9-95 n.
09568 imp. La Spina RV. 202011 è stato utilizzato per così dire ad abundantiam,
essendosi escluso un concorso fittizio tramite il rilievo espressamente definito
"risolutivo" della diversa natura, penale e procedimentale, delle norme
esaminate: artt. 218 c. 6 c.d.s. e. 108 disp. att. c.p.p.).
D'altro canto è da ricordare che recentemente queste Sezioni hanno chiaramente
sottolineato, in tema di individuazione di continuità normativa o meno tra reati,
la necessità di accertare ed identificare, secondo le. regole proprie del
concorso apparente di norme, gli elementi strutturali delle ipotesi tipiche, con
riguardo alla natura ed modalità dei comportamenti nonché ai caratteri del dolo
(Cass. S.U. 7-11-00 n. 00027 imp. Di Maino RV. 217031; Cass. S.U. 15-1-00 n.
00035 imp. Sagone RV. 217374).
Né va sottaciuto che il riferimento alla identità o diversità dei beni tutelati
può dare adito a dubbi nel caso di reati plurioffensivi; a ciò aggiungasi che le
parole "stessa materia" sembrano utilizzate in luogo di "stessa fattispecie" o
"stesso fatto", per comprendere nel dettalo dell'art. 15 c.p. anche il concorso
di norme non incriminatrici che altrimenti resterebbe escluso.
Tornando ai rapporti tra l'art. 648 c.p. e l'art. 474 c.p si rileva: nella
ricettazione viene incriminato l'acquisto e più in generale la ricezione (ovvero
l'intromissione in tali attività) di cose provenienti da reato; l'art. 474 c.p.
sanziona invece la detenzione per la vendita o comunque la messa in circolazione
di beni con marchi o segni contraffatti e
non contempla il momento dell'acquisto; l'azione raffigurata nella prima norma è
istantanea, mentre la detenzione a fini di vendita è permanente ed interviene
successivamente.
Dal raffronto che si è operato emerge dunque clic le condotte delineate sono
ontologicamente nonché strutturalmente diverse e che esse non sono neppure
contestuali, essendo ipotizzabile una soluzione di continuità anche rilevante; né
varrebbe assumere che l'una presuppone l'altra: infatti, se la detenzione implica
per sua statura un'apprensione, questa non integra sempre la ricettazione, ben
potendosi verificare un acquisto senza la consapevolezza del carattere
contraffatto dei segni (elemento essenziale della ricettazione), con posticipata
presa di conoscenza e deliberazione di porre in circolazione i relativi prodotti.
In tal caso la ricettazione non sarà addebitabile, non certo perché vi sia
concorso apparente di norme, bensì perché gli estremi della medesima non
risultano realizzati; di converso potrebbe accadere che la ricezione del bene con
marchio contraffatto integri detto reato, ma non si addivenga all'altro ed allora
è ovvio che si risponderà solo di ricettazione.
Sintomatica è la circostanza che l'art. 455 c.p. - in tema di messa in
circolazione e spendita di monete falsificate - abbia inserito l'acquisto tra i
comportamenti incriminati, così atteggiandosi, stante la peculiarità dei beni
ricevuti, quale disposizione speciale rispetto all'art. 648 c.p.: l'assenza di un
analogo elenco nell'art. 474 c.p. indica la inapplicabilità dell'art. 15 c.p.p.
Rimane da verificare se, al di là del principio di specialità, il concorso
materiale dei reali per cui si discute debba essere escluso alla luce di una
diversamente manifesta volontà normativa di valutare in termini di unitarietà le
pur disomogenee fattispecie.
L'esito è negativo.
Non esiste al proposito clausola di riserva, essendo quella di cui all'art. 474
c.p. limitata al concorso nel reato di cui all'art. 473 c.p.; né potrebbe
invocarsi il criterio della consunzione e precipuamente ipotesi di "ante factum"
non punibile affermandosi che la detenzione a fini di vendita - se non
necessariamente, quantomeno secondo l'id 
quod plerumque accidit - passa attraverso una ricettazione per cui il legislatore
si sarebbe rappresentato una tale evenienza con previsione globale sotto il
profilo sanzionatorio.
Una siffatta operazione interpretativa di giudizi di valore, onde evitare che
venga pregiudicata la fondamentale esigenza di determinatezza in campo penale,
postula che la considerazione abbinata delle vicende tipiche sia resa
oggettivamente evidente e detta risultanza non può che essere individuata nella
maggiore significatività della sanzione inflitta per il reato consumante o
assorbente; quando invece sia più grave la pena sancita per quello che andrebbe
assorbito, la consunzione va negata, dovendosi ravvisare un intento di
consentire, attraverso una effèttivo autonomo apprezzamento del disvalore delle
ipotesi criminose, il regime del concorso dei reati. Invero, l'avere sottoposto a
più benevolo trattamento il fatto/reato che potrebbe per la sua struttura essere
assorbente, sta a dimostrare che della fattispecie eventualmente assorbibile non
si è tenuto conto: pertanto la norma che la punisce è applicabile in concorso con
l'altra, senza incorrere, in duplicità di addebito.
Nel presente caso, poiché la ricettazione è punita più gravemente rispetto al
commercio di prodotti con segui contraffatti, non ricorrono gli estremi per
l'assorbimento del primo delitto nel secondo.
Concludendo si enunciano i seguenti principi:
- La ricettazione è configurabile con riguardo a condotta che abbia ad oggetto
beni con segni o marchi falsi.
- il reato di ricettazione dei suddetti beni può concorrere con quello di
commercio dei medesimi.
Per le svolte argomentazioni s'impone, a mente dell'art. 569 c. 4 c.p.p.,
l'annullamento della sentenza gravata con rinvio per nuovo giudizio in ordine al
reato sub 2 alla Corte di appello di Firenze la quale dovrà, attenendosi alle
regole ermeneutiche che sono state esposte, accertare se in concreto si siano
verificati gli estremi oggettivi e soggettivi della ricettazione contestata
all'imputato ed in caso positivo rideterminare la pena in base alle norme sul
concorso materiale dei reati.

P.Q.M.

La Corte

in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale annulla la sentenza
impugnata con rinvio per il relativo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

Roma, 9-5-01.

Il Cons. est. Il Presidente

Sezioni Unite Penali
Depositato in Cancelleria
il 7 GIU 2001

 

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