I contratti della pubblica Amministrazione MAGGIO 2009
di
Andrea cremona Avvocato del Foro di Piacenza
sommario:
1) Generalità; 2) La procedura dell’evidenza
pubblica; 3) La deliberazione di contrattare; 4) La scelta del contraente;
4.1) Il bando di gara; 4.2) Il pubblico incanto e la licitazione privata: i
metodi meccanici; 4.3) I metodi negoziati: l’appalto concorso; 4.4) Le
offerte anomale; 4.5) I metodi negoziati: la trattativa privata; 5)
L’aggiudicazione; 6) L’approvazione.
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1. Generalità.
Al pari di
ogni soggetto giuridico, la PA
è titolare di autonomia negoziale. Risulta pertanto che essa può raggiungere
gli interessi pubblici che l’ordinamento affida alle sue cure, sia
ponendo in essere attività discrezionale, sia ricorrendo al negozio
giuridico. Nel primo caso, essa agisce in veste di soggetto dotato di
supremazia rispetto ai consociati, ed adotta decisioni, di regola,
unilaterali ed autoritative; nel secondo caso, invece, essa utilizza lo
strumento del contratto, attraverso un’attività consensuale che la pone
su di un piano di parità con i privati.
Nell’ambito dell’esercizio dei poteri discrezionali,
inoltre, la PA
ha a disposizione due vie: una è rappresentata dal tradizionale potere
unilaterale di cura e gestione dell’interesse pubblico, che si
estrinseca in atti dotati di autoritatività ed esecutorietà, i quali si
impongono ai privati, e l’altra, di recente introduzione come modello
generalizzato, è rappresentata dalla possibilità di esercizio concordato del
potere funzionale, attraverso una serie di accordi previsti dalla legge n.
241 del 1990 (cfr. cap. “Accordi nel procedimento
amministrativo”). Questi ultimi non vanno confusi con i contratti che la PA conclude con i privati,
nell’ambito della sfera di autonomia negoziale di cui è titolare. Essi,
infatti, pur presentando profili indubbiamente volontaristici, rappresentano
solo una modalità di esercizio di un potere pubblicistico, ed infatti la
legge che li prevede li ha sottoposti ad un regime particolare. Tale osservazione
ha spinto alcuni studiosi ad inquadrare gli accordi in questione nella
categoria del negozio giuridico di
diritto pubblico, la quale appare nettamente distinta, quanto a natura e
regime giuridico, da quella del negozio
di diritto privato.
Nell’ambito
dell’attività contrattuale in senso proprio, invece, la PA provvede ad
autoregolamentare i propri interessi al pari di qualsiasi privato, anche se
ciò deve avvenire nel rispetto di regole particolari, dettate in
considerazione della speciale natura del soggetto contrattante. Si tratta di
deroghe alla disciplina valevole per la generalità degli individui, le quali,
tuttavia, non sono tali da alterare la natura giuridica dei negozi stipulati,
che restano indubbiamente privatistici. Tali deroghe attengono alle modalità
per addivenire alla stipulazione del contratto, la quale è realizzata
osservando una complessa procedura, denominata evidenza pubblica.
2. La procedura dell’evidenza pubblica.
L’esigenza di evitare abusi da parte dei fornitori dello Stato
ed il bisogno che l’autorità contrattante manifesti la volontà di
addivenire alla stipula del contratto, al fine di sottoporre a controllo le
ragioni di tale decisione, hanno spinto il legislatore ad introdurre la
procedura dell’evidenza pubblica. Essa è prevista, a livello generale,
dalla legge di contabilità dello Stato n. 2240 del 1923 e dal relativo
regolamento n. 827 del 1924. Numerosissime altre norme introducono, per i più
disparati settori, regole particolari, per modo che le linee fondamentali
della procedura in esame, derivano dai risultati di una costante opera di
interpretazione della giurisprudenza, la quale ha elaborato il modello
unitario di procedimento che sarà seguito nel corso della presente
trattazione. Come recentemente osservato, la violazione delle regole in
materia di evidenza pubblica rende nullo ex art. 1418, primo comma, c.c.,
l’eventuale contratto stipulato: alle norme in questione, infatti, deve
riconoscersi carattere di norme di diritto pubblico e, pertanto, imperative
(Cons. Stato, Sez.V, 05/03/2003, n.1218).
Preliminarmente deve osservarsi che l’evidenza pubblica non è
destinata a regolare la stipulazione di qualsiasi contratto dello Stato: per
quelli di competenza degli enti pubblici economici, infatti, valgono in toto
le regole del diritto privato, a
meno che norme di carattere organizzativo dell’ente stesso impongano
deroghe particolari, le quali, tuttavia, devono essere inserite nel
contratto, al fine di essere efficaci nei confronti dei contraenti privati.
In secondo luogo, per i contratti minori, quali piccole manutenzioni o
interventi di riparazione, valgono regole più snelle, che configurano la
procedura della piccola evidenza,
mentre, per determinati tipi di contratti, che richiedono
l’attribuzione di incarichi urgenti a professionisti di fiducia, la
legge consente il ricorso ad un particolare tipo di contrattazione che lascia
al funzionario pubblico una notevole discrezionalità e cui consegue, in pari
tempo, la responsabilità contabile derivante dal maneggio di denaro pubblico:
si tratta del cottimo fiduciario (Corte Conti, Sez. contr. 10 giugno 1992 n.
32).
Il
procedimento dell’evidenza pubblica è normalmente articolato in quattro
fasi che si susseguono in un certo arco temporale: l’avvio dello stesso è determinato dalla
deliberazione di contrattare, cui segue la scelta del contraente, a seguito
della quale si provvede all’aggiudicazione del contratto ed alla sua
stipula. La fase terminale è costituita dall’approvazione del contratto
ad opera dell’autorità di controllo.
3. La deliberazione di contrattare.
La
deliberazione di contrattare segna l’inizio della procedura
dell’evidenza pubblica e consiste nella manifestazione di volontà di
addivenire alla stipula di un dato contratto. Di regola essa è costituita da
una dichiarazione esplicita, ma in molti casi la legge prevede che essa sia
da considerarsi implicita in determinati atti, come avviene spesso per i
contratti dello Stato: la deliberazione di contrattare si identifica, ad
esempio, con la determinazione del Ministro di addivenire ad un contratto di
appalto, implicita nell’ordine all’organo competente di bandire
la gara e nel collaterale conferimento, al funzionario designato, dell’incarico di presiedere la gara e
di stipulare il contratto.
Si riconosce
pacificamente che la deliberazione di contrattare abbia natura di
provvedimento amministrativo, soggetto alle regole proprie di questa
categoria di atti (Cass. 7/8/72 n°2640) e che la stessa assuma una rilevanza esclusivamente
interna, essendo priva, sia di effetti all’esterno
dell’amministrazione, sia di una valenza negoziale che configuri
posizioni giuridiche tutelabili in capo ai privati. Dichiarazione negoziale
sarà, infatti, solo quella successiva, che l’organo, rappresentante
dell’ente, emetterà nei confronti del contraente ritualmente scelto
(Cass. 11/6/80 n°3709). Può concludersi, dunque, che la deliberazione di
contrattare non può essere considerata né proposta di contratto, né,
tantomeno, atto preparatorio o preliminare di questo (Giannini), con
l’ulteriore conseguenza della
sua revocabilità ad nutum,
senza alcuna responabilità per l’ente revocante (Cass. 22/12/86
n°7833).
In molti casi
la legge prevede che la deliberazione di contrattare sia corredata dal
progetto del contratto, il quale può essere definitivo, o consistere in un
progetto di massima. Inoltre, è spesso previsto che l’atto in questione
sia sottoposto al parere di organi consultivi: nei contratti dello Stato il
parere viene dato dal Consiglio di Stato in sede consultiva.
4. La scelta del contraente.
La fase di
scelta del contraente ha subito varie modifiche rispetto alla disciplina
fondamentale, dettata dalla legge di contabilità di Stato n°2240 del 1923 e
dal relativo regolamento n°827 del 1924. La materia ha infatti risentito di
alcuni interventi legislativi, finalizzati soprattutto ad adeguare le
procedure in vigore ai dettami dell’ordinamento C.E.E. Ciò è avvenuto,
ad esempio, in materia di lavori pubblici, con la legge n°584 del 1977 e,
successivamente, con i decreti legislativi n°406 del 1991 e n°358 del 1992.
Recentemente è intervenuta la legge n°109 del 1994, detta legge Merloni,
modificata dal decreto legge n°101 del 1995, convertito con la legge n°216
del 1995.
Attualmente le
procedure di scelta del contraente sono costituite: a) dal pubblico incanto, o asta pubblica, in cui qualunque
impresa può presentare un’offerta; b) dalla licitazione privata, nel
corso della quale partecipano solo le imprese invitate dall’amministrazione;
c) dall’appalto concorso, nel quale partecipano sempre e solo le
imprese invitate dall’amministrazione, le quali, però,
devono realizzare un’offerta corredata altresì dal progetto
dell’opera; d) dalla trattativa privata, in cui l’amministrazione
consulta di propria iniziativa le imprese e negozia con una o più di esse i
termini del contratto.
Le regole cui
l’amministrazione deve attenersi nella conduzione della procedura di
scelta dei contraenti sono preventivamente specificate dalla stessa nel bando di gara, pubblicato
successivamente alla deliberazione di contrattare.
4.1 Il bando di gara.
Il bando di
gara è definito lex specialis della
procedura dell’evidenza pubblica, in quanto pone la disciplina cui la PA deve attenersi nella conduzione
della stessa. Esso fissa, inoltre, il contenuto e l’oggetto del
contratto e, pertanto, assume una duplice rilevanza. Da un lato funge da
limite al potere discrezionale dell’amministrazione, che non può
esimersi dall’osservarlo, una volta che sia stato emanato. Ove infatti
la stessa ravvisi l’illegittimità di alcune sue disposizioni, non potrà
disapplicarlo nei singoli casi, ma dovrà ricorrere, al fine di non alterare
la par condicio dei
partecipanti, ai suoi generali poteri
di ritiro avverso lo stesso, in funzione di autotutela. Si è infatti
precisato che in sede di gara pubblica, l'amministrazione appaltante è tenuta
ad applicare i criteri individuati nel bando di gara, atteso che questo
costituisce, unitamente alla lettera di invito, la lex specialis della stessa. In quanto tale il bando di gara non
può essere disapplicato, né modificato nel corso del procedimento neppure in
caso di illegittimità, salvo il potere di autoannullamento (Cons. Stato,
Sez.V, 29 settembre 2003, n.5509; Cons. Stato, Sez.VI, 25 gennaio 2003,
n.357; T.A.R. Piemonte 28 gennaio 1993 n. 17). Dall’altro lato, invece,
esso serve a rendere noti ai terzi gli estremi dello stipulando contratto,
mediante la sua pubblicazione, con le formalità descritte dall’art. 29
della legge n. 109 del 1994, modificata dal decreto legge n. 101 del 1995,
convertito in legge n. 216 del 1995.
Il bando di
gara consta di un complesso di regole fissate dalla legge e dai capitolati,
costituenti il suo contenuto minimo essenziale, e di una serie di disposizioni
elaborate discrezionalmente dalla PA, in funzione di cura
dell’interesse pubblico. Alcune si riferiscono all’autorità
contrattante ed alle modalità della procedura da seguire nella gara e nella
scelta del contraente, altre ai requisiti ed agli obblighi dei partecipanti,
alla documentazione che questi devono esibire ed alla cauzioni da depositare.
Quanto al
problema della natura giuridica del bando, in giurisprudenza è dominante
l’indirizzo pubblicistico, che riconosce allo stesso natura di
provvedimento amministrativo, con conseguente applicabilità della relativa
disciplina (T.A.R.. Veneto 8 luglio 1989 n. 582). Esso assume i connotati di
una invitatio ad offerendum, in
quanto è diretto a provocare le offerte dei privati. Tuttavia non mancano, in
dottrina, opinioni volte ad attribuire allo stesso natura contrattuale, anche
se minoritaria è la tesi della natura di proposta o di offerta al pubblico
del bando in questione. Dal riconoscimento della sua natura di atto
amministrativo, discende l’applicabilità delle regole di inerpretazione
proprie di questa categoria di atti. Esse, come è noto, si identificano con
quelle prescritte dagli artt. da 1362 a 1369 del codice civile. La
giurisprudenza, tuttavia, ne ha create alcune specificamente riferite al bando di gara e così riassumibili:
l’interpretazione preferibile del bando deve essere quella che consente
la massima partecipazione possibile di imprese (Cons. Stato sez.VI 13 aprile
1991 n. 182), il rispetto della già citata par condicio dei partecipanti (T.A.R. Sicilia 1° giugno 1992 n.
388) e la congruenza con il fine pubblico della gara, consistente nella
scelta del contraente migliore (T.A.R. Marche 11 maggio 1990 n. 196).
La tutela
giurisdizionale dei privati avverso le disposizioni del bando si atteggia
diversamente a seconda che lo stesso presenti un contenuto immediatamente
lesivo o meno. Come abbiamo più sopra osservato, infatti, alcune prescrizioni
si riferiscono ai requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ammissione
alla gara: queste sono ex se idonee
a provocare l’esclusione di imprese e producono una lesione concreta ed
attuale nella sfera giuridica dei partecipanti. Si richiede quindi, in caso
di illegittimità, che siano impugnate autonomamente ed immediatamente (Cons.
Stato, Ad. Plen., 29 gennaio 2003, n.1; Cons. Stato 18 ottobre 1993 n. 735;
T.A.R. Piemonte 17 dicembre 1992 n. 390), chiedendone l’eventuale
sospensiva, ex art. 21 legge n.
1034 del 1971, al fine di ottenere l’ammissione con riserva alla gara.
Nel caso in cui siano lasciati inutilmente scadere i termini per proporre
ricorso avverso la disposizione illegittima del bando, questa divene
inoppugnabile, pertanto, i successivi atti che derivino dalla stessa potranno
essere impugnati solo nel caso in cui presentino vizi propri (Cons. Stato
sez. V 17 dicembre 1091 n. 1369).
Altre
prescrizioni del bando, invece, non sono idonee a ledere con concretezza ed
attualità, in quanto non determinano automaticamente e direttamente
conseguenze negative nella sfera giuridica dei partecipanti: in caso di
illegittimità, allora, occorrerà impugnare le stesse, unitamente al relativo
atto applicativo, viziato per invalidità derivata. Ciò accade, ad esempio,
con riferimento alle regole riguardanti l’aspetto procedurale della
gara, che saranno impugnabili solo successivamente, in seguito
all’eventuale atto di esclusione, adottato in applicazione delle stesse
(C.d.S. 18/10/93 n°735 cit.), oppure con riferimento alle regole che si
riferiscano alla composizione della commissione aggiudicatrice, od alla
possibilità di partecipazione di determinati soggetti, che andrebbero in
realtà esclusi, le quali saranno impugnabili solo unitamente al successivo
atto ricollegabile alla disposizione illegittima, da identificarsi
nell’aggiudicazione (T.a.r. Piemonte 17/12/92 n°390 cit.).
Resta da
chiarire che il sindacato del giudice amministrativo sul bando di gara
incontra gli stessi limiti sussistenti nei confronti di ogni atto
amministrativo discrezionale. Abbiamo sopra osservato, infatti, che la PA, nella predisposizione del
bando, esercita una potere attinente al merito amministrativo, laddove
inserisce disposizioni ulteriori rispetto al contenuto minimo ex lege previsto. Queste ultime,
quindi, saranno censurabili in sede giurisdizionale, solo allorchè appaiano
viziate da eccesso di potere, ad esempio per illogicità o per incongruenza
rispetto al fine pubblico della gara (T.a.r. Sicilia 13/2/93 n°96).
4.2. Il pubblico incanto e la licitazione
privata: i metodi meccanici.
Si tratta di
metodi comunemente definiti meccanici, in quanto la PA non giunge alla scelta del
contraente in modo ragionato, ma in seguito alle risultanze di una serie di
attività rigidamente prefissate: molti autori ritengono che si tratti non
tanto di una scelta in senso letterale, quanto di una sorta di
individuazione; a ciò deve aggiungersi che le parti private non hanno alcuna
potestà di influire sul contenuto del contratto, rigidamente prefissato nel
bando di gara.
Il pubblico
incanto o asta pubblica, è una
procedura aperta a qualunque concorrente ed espletata attraverso la
pubblicazione dell’oggetto e delle condizioni del contratto, la
raccolta delle offerte dei concorrenti e la scelta di quella più vantaggiosa,
cui segue l’aggiudicazione del
contratto. Attualmente ha perso importanza ed il suo ambito applicativo è
limitato ai casi in cui l’amministrazione è parte attiva del rapporto
contrattuale, come avviene per le vendite di immobili, ad esempio.
Assai più
diffusa è invece la licitazione privata, la quale si svolge attraverso la
formulazione, da parte delle imprese invitate, di offerte segrete.
L’amministrazione sceglie quella che maggiormente soddisfa il criterio
che essa stessa ha prescelto, fra quelli fissati dalla legge e che
comprendono elementi attinenti al prezzo, alla valutazione tecnica
dell’opera, ai termini di compimento, al costo della gestione della
stessa, nonchè al suo rendimento (Cons. Stato sez. VI 26 ottobre 1992 n.
817).
4.3. I metodi negoziati: l’appalto
concorso.
Esso fa parte
dei metodi negoziati di scelta del
contraente, definiti tali sia a causa del potere di scelta
dell’amministrazione, che appare svincolato dai rigidi parametri di
apprezzamento sopra accennati, sia in conseguenza della potestà dei privati di influire sul contenuto del
contratto.
Come già
brevemente ricordato sopra, l’appalto concorso si caratterizza per
l’elevato livello tecnico delle opere da realizzare. Ciò richiede che
le commissioni aggiudicatrici di simili contratti siano composte
prevalentemente da personale munito delle necessarie competenze
specialistiche, idoneo ad esaminare i progetti realizzati, in sede di
concorso, da parte delle imprese partecipanti. La componente politica di tali
commissioni deve pertanto considerarsi ammissibile, ma solo nei limiti in cui
quella tecnica risulti tendenzialmente prevalente (T.A.R. Piemonte 17
dicembre 1992 n. 390 cit.). E’ inoltre necessaria l’indicazione
preventiva, nel bando di gara, dei
criteri cui l’amministrazione intenda attenersi per la valutazione
delle offerte presentate dai concorrenti, al fine di garantire la par condicio dei partecipanti (C.d.S.
sez. VI 14/12/91 n°1081). Tali criteri, nell’appalto concorso, sono
costituiti da parametri tecnici ed economici e dall’idoneità del
progetto alla realizzazione del fine pubblico (C.d.S. sez. V 31/10/92
n°1118).
4.4. Le offerte anomale.
Come precedente (aggiungere, se del caso Cons. Stato, Sez.V, 15/05/2001,
n.2705 in Foro Amm., 2001, 1200: “l'art. 21 comma 1 bis l. 11 febbraio 1994 n. 109, nel definire lo
schema per la valutazione delle offerte anomale negli appalti di opere
pubbliche, attribuisce alla p.a. non già una potestà discrezionale
sull'accettazione delle relative giustificazioni - che imporrebbe la congrua
motivazione della scelta operata -, bensì solo un potere d'accertamento di
natura tecnico valutativa, in ordine all'affidabilità o meno dell'offerta,
onde l'obbligo di tener conto di tali giustificazioni addotte
dall'imprenditore offerente non implica che la commissione giudicatrice debba
formulare concrete e analitiche confutazioni sulle stesse” e Cons.
Stato, Sez.V, 10/12/1999, n.814 in Foro Amm., 1999, 2509: “l'art. 21 comma 1 bis l. 11 febbraio 1994
n. 109, nel prescrivere che la p.a. appaltante, prima di escludere le offerte
reputate anomale, richieda per iscritto all'impresa interessata le
precisazioni che ritiene utili in merito alla composizione dell'offerta,
tenendo conto delle giustificazioni fornite, non implica nè un confronto
diretto e in contraddittorio tra l'impresa e la commissione giudicatrice, nè
che quest'ultima sia tenuta a formulare concrete ed analitiche contestazioni
in ordine alle giustificazioni dell'offerta, lasciando la norma alla p.a.
stessa la facoltà di stabilire se e quali precisazioni richiedere, se necessario
per l'esame delle offerte anomale”).
4.5. I metodi negoziati: la trattativa
privata.
L’ultimo
metodo di scelta del contraente è rappresentato dalla trattativa privata.
Come abbiamo già evidenziato, essa si caratterizza per l’ampia discrezionalità
di cui gode l’amministrazione, non solo nella designazione della
controparte, ma anche nella negoziazione di uno o più termini del contratto:
tali aspetti hanno sempre costituito un motivo di diffidenza da parte del
legislatore. Il ricorso alla stessa è subordinato alla ricorrenza di
presupposti rigidi e tassativi.
La legge n°109
del 1994, come modificata dal decreto legge n°101 del 1995, convertito in
legge n°216 del 1995, ha
recentemente sancito che possono essere affidati a trattativa privata, nella
materia dei lavori pubblici, solo i lavori di importo non superiore a 150.000
E.C.U., o, in caso del ripristino di opere danneggiate da calamità, sino a 5
milioni di E.C.U. In quest’ultimo caso, tuttavia, deve trattarsi di
opere già funzionanti, compromesse da eventi di natura imprevedibile, e
devono ricorrere ragioni di imperiosa urgenza, tali da non consentire il
ricorso alle procedure ordinarie. Inoltre la scelta dell’affidamento
dei lavori a trattativa privata deve essere adeguatamente motivata, e sono
vietate le divisioni dei lavori in più affidamenti, finalizzate ad aggirare i
divieti legislativi.
Nella materia
delle pubbliche forniture, invece, il testo unico n°358 del 1992 consente la
trattativa privata solo nel caso in cui siano mancate offerte in sede di
appalto concorso, licitazione privata od asta pubblica, oppure allorchè
esistano diritti di privativa industriale, motivi di urgenza, od in caso di
forniture complementari, da effettuarsi da parte del fornitore originale.
Nonostante lo
sfavore legislativo che emerge dalle disposizioni riportate,
l’amministrazione ha fatto sempre un largo ricorso alla procedura in
questione, dato che la sua assenza di profili burocratici consente una
maggiore efficienza ed efficacia dell’azione pubblica in ambito
contrattuale. La giurisprudenza è stata quindi spesso chiamata ad operare un
controllo a garanzia delle posizioni giuridiche dei privati nell’ambito
di tale metodo di scelta del contraente.
Gli interventi
giurisprudenziali meno recenti erano tuttavia restii a riconoscere, in sede
di trattativa privata, interessi tutelabili in capo ai privati, sulla base
del presupposto che essa era caratterizzata da un’assoluta libertà di
forme. Ciò derivava dall’assenza di norme che, ponendo vincoli formali
o procedurali alla PA, differenziassero e qualificassero le posizioni
giuridiche dei privati. Pertanto esse andavano configurate, nella maggioranza
dei casi, come interessi di mero fatto (Cass. 28/9/53 n°2658).
La giurisprudenza
amministrativa, tuttavia, iniziò ad individuare alcune fattispecie nelle
quali le posizioni giuridiche dei privati assumevano la consistenza
dell’interesse legittimo, a causa di circostanze particolari, idonee a
produrre la differenziazione e qualificazione di alcune posizioni giuridiche,
rispetto a quelle della generalità degli individui. Era il caso della
predisposizione di regole a disciplina della trattativa privata, che la PA poteva realizzare come
autolimitazione della propria discrezionalità: esse creavano, in capo ai
partecipanti alla procedura, un’aspettativa tutelabile al rispetto
delle stesse (C.d.S. Ad. pl. 28/1/61 n°3). Sulla scorta di tale insegnamento,
si apre la strada per un’ampliamento delle ipotesi in cui sarebbe dato
di riconoscere la presenza di interessi legittimi in capo ai privati.
Alcune di esse
attengono alla stessa decisione della PA di utilizzare lo strumento della
trattativa privata. Sono stati ad esempio riconosciuti la legittimazione e
l’interesse di terzi ad impugnare la determinazione di stipulare un
contratto a trattativa privata, allorchè essa incida su rapporti obbligatori
in corso di svolgimento (C.d.S. sez.V 3/8/93 n°839).
Altre, invece,
attengono alla fase di svolgimento della procedura in questione, una volta
che ne sia stato legittimamente disposto il ricorso. Con riferimento alla
giustiziabilità dell’interesse a partecipare alla trattativa privata e
dell’interesse ad una obiettiva valutazione dell’offerta, è stato
deciso che legittimato a ricorrere contro l’esclusione od il rigetto
della proposta, sia non soltanto colui che sia stato previamente invitato
dall’amministrazione, ma anche colui che abbia spontaneamente
presentato l’offerta stessa, allorchè la PA abbia preso in considerazione quest’ultima,
anche al solo scopo di rigettarla (T.a.r. Lombardia 12/1/87 n°1). Ancora,
sempre in tema di emanazione di regole volte alla disciplina della trattativa
privata, si è chiarito che la loro predisposizione determina la nascita di
interessi legittimi dei partecipanti al rispetto delle stesse (T.a.r.
Piemonte 12/6/86 n°325).
Dall’esame dei riportati orientamenti giurisprudenziali, emerge
che sarebbe da escludere la presenza di un qualsivoglia interesse tutelabile
in capo a colui che, in assenza di rapporti pregressi con la PA, non sia stato invitato
dall’amministrazione alla trattativa, o che abbia presentato
autonomamente un’offerta, rimasta priva di esame nel corso della
procedura.
Tale
conclusione deriva dal fatto che, in giurisprudenza, non si è mai apertamente
sostenuto che l’attività di conclusione dei contratti costituisca un
vero e proprio procedimento amministrativo: infatti, quale espressione di
autonomia negoziale, essa è sempre stata vista come attività esercitata iure privatorum.
La prospettiva muta allorchè sia
possibile configurare la predetta attività come procedimento amministrativo,
ai sensi della legge n°241 del 1990. In questo caso, infatti, l’art. 7
di tale legge afferma che sono legittimati a partecipare al procedimento i
soggetti destinatari del provvedimento finale, coloro che per legge debbano
intervenire, e coloro che siano interessati al provvedimento, pur non essendo
i destinatari diretti dello stesso, alla condizione che siano individuati o
facilmente individuabili. Ne deriva logicamente che, in primo luogo, la PA ha il dovere di comunicare
l’avvio del procedimento per la conclusione del contratto a trattativa
privata, a tutti coloro che, individuati o facilmente individuabili, possano
ritenersi interessati o controinteressati all’aggiudicazione dello
stesso. In secondo luogo la scelta dell’amministrazione di procedere a
trattativa privata deve essere motivata. I risultati esposti sono stati
recentemente raggiunti in un caso in cui si è riconosciuta la legittimazione
del proprietario di un fondo confinante con un terreno comunale, ad impugnare
il provvedimento del Comune che disponeva l’alienazione a trattativa
privata di parte del suolo pubblico ad altro proprietario confinante, senza
che l’amministrazione comunale avesse provveduto a comunicare
l’iniziativa al primo (T.a.r. Trentino A.A. 21/9/94 n°388).
5. L’aggiudicazione.
L’aggiudicazione costituisce l’atto che individua il
contraente e che conclude il contratto. Essa contiene perciò due atti, anche
se nella prassi sono inseriti nel medesimo documento: il primo accerta
l’offerta migliore e la dottrina lo qualifica come accertamento
costitutivo, dato che si tratta di un atto che, pur mantenendo una funzione
dihiarativa, è tale da costituire il presupposto di posizioni giuridiche in
capo al privato. Il secondo contiene la dichiarazione di volontà della PA di
concludere il contratto e segna, dunque, l’incontro con la proposta del
privato, determinando la nascita e la perfezione del rapporto giuridico (Cass.
civ., Sez. un., 15/04/2003, n.5992). Si tratta di atti che hanno natura
diversa, in quanto il primo è atto amministrativo, mentre il secondo è atto
negoziale privato. Ne consegue che l’uno è soggetto ai normali poteri
di ritiro della PA, anche a prescindere dagli esiti della successiva fase di
controllo, ed è impugnabile innanzi al giudice amministrativo; l’altro,
invece, segue le regole di ogni contratto e, successivamente
all’approvazione, può formare oggetto di impugnativa innanzi al giudice
ordinario, per vizi suoi propri (Cass. civ., Sez.un., 15/04/2003, n.5992
cit.).
6. L’approvazione.
Successivamente alla stipulazione del contratto, questo necessita di
essere sottoposto al controllo degli organi che le varie leggi volta per
volta individuano. Occorre tuttavia sottolineare che tale evenienza non
incide sulla perfezione del contratto: dopo la stipulazione questo è infatti
perfetto, in quanto sono venuti ad esistenza tutti i suoi elementi
costitutivi (C.d.S. sez. V 30/7/86 n°377). L’approvazione incide,
allora, sull’efficacia del contratto, il quale inizierà a produrre
tutti i suoi effetti tipici fra le parti, solo in seguito al suo controllo
positivo. La recente giurisprudenza, infatti qualifica l’approvazione
come condicio iuris, consistente in
un atto amministrativo esterno al contratto ed alla sua struttura,
condizionante l’efficacia giuridica di questo e non la sua esistenza:
ne consegue che, nell’arco di tempo intercorrente fra la conclusione e
l’approvazione del contratto, si determina una situazione di pendenza,
dalla quale non scaturiscono né diritti né obblighi per le parti, ma
aspettative giuridicamente tutelate. Resta dunque superata la tesi del
contratto claudicante, secondo cui il contratto non ancora positivamente
controllato, sarebbe vincolante per il privato e non per la PA, che sarebbe legittimata a
recedere in ogni tempo (Cass. 23/5/81 n°3383).
Se, come
appare da quanto sopra affermato, solo in seguito all’intervenuto
controllo positivo il contratto inizia a spiegare i suoi effetti fra le
parti, ciò significa che solamente da tale momento, le posizioni giuridiche
del privato inizieranno ad acquisire la consistenza del diritto soggettivo,
tutelabile innanzi al giudice ordinario. Prima dell’approvazione,
invece, è possibile lamentare la lesione di interessi legittimi, con
conseguente giurisdizione del giudice amministrativo (C.d.S. sez. IV 13/5/95
n°77).
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