Dottrina

L’evoluzione normativa e giurisprudenziale della legittima difesa: La legge 13 febbraio 2006, n° 59 e prospettive di riforma, di Marco Zanuccoli

 

Cap. I

 

VERSO UNA RIFORMA DELL’ISTITUTO

 

 

1. I giudizi sull’art. 52 codice Rocco - 2. Le mancanze dell’istituto e la necessità di dare certezza legislativa a requisiti prodotti giurisprudenzialmente - 3. La proporzione e l’impatto dei casi di cronaca sulla collettività

 

 

 

1. I giudizi sull’art. 52 codice Rocco

 

 

L’istituto della legittima difesa, così come delineato in decenni di applicazione giudiziale e di studio dottrinale, è giunto ad un momento cruciale del proprio percorso. Il mondo giuridico è ormai conscio della necessità di pervenire ad una riforma del diritto penale in generale e ad una modifica della scriminante, che ne rimedi le eventuali deficienze rendendola nel contempo più adeguata ai cambiamenti della società odierna, in particolare.

La disposizione nata nel 1930 è stata innegabilmente vagliata e sezionata sotto innumerevoli punti di vista, le diverse teorie nate dalle fondamenta dell’istituto si sono confrontate per anni argomentando fini ragionamenti logico-giuridici che hanno costruito un’elaborazione di altissimo livello. Altrettanto innegabilmente è corretto affermare che la stessa disposizione enunciata nel codice Rocco è anch’essa di altissimo livello, una norma di portata generale che riflette un equilibrio elevatissimo, una presenza chiara nell’ordinamento penale e una direttiva rispettosa dei diritti fondamentali dell’uomo, tutto ciò all’interno di una categoria – quella delle cause di giustificazione – che ponendosi in logico contrasto con numerose fattispecie di reato risulta da sempre di difficile organizzazione.[1] Non a caso tale disposizione è stata in grado di oltrepassare indenne decenni di applicazione, di conformarsi alle differenti realtà sociali del dopoguerra, di accogliere importanti mutamenti normativi a livello internazionale come l’introduzione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un risultato di sicuro livello per una norma inserita in un codice elaborato e promulgato sotto la persistenza ideologica del periodo fascista, alla quale però l’istituto della legittima difesa sembra non avere mai aderito.[2]

Una norma ben congegnata quindi, dotata al proprio interno di una serie di elementi che grazie a cospicui apporti dottrinali e giurisprudenziali hanno sempre indicato l’alto grado di civiltà giuridica del nostro ordinamento, un modello di sapienza e di equilibrio al quale sinora non si era ritenuto di dover apportare modifiche a livello legislativo.[3]

D’altronde l’art. 52 era stato creato proprio per raggiungere tale scopo, creare una norma che potesse reggere l’urto dei tempi e ampliare l’applicazione dell’istituto della legittima difesa quel tanto necessario a farvi rientrare la tutela di ogni interesse giuridicamente protetto. Invero la profonda svolta storica della scriminante nacque proprio dall’introduzione, nella norma di portata generale, della possibilità di tutela dei beni patrimoniali, estensione che non avrebbe potuto essere effettuata pienamente tramite la parte speciale del nuovo codice, ma che doveva avvenire con l’utilizzo di una disposizione generale. A questa scelta si deve in gran parte l’assetto dell’art. 52 nel codice Rocco, perché essa impose la necessità di inserire nella disposizione letterale quell’elemento di valutazione e di equilibrio che è la proporzione.

La prima conseguenza di una norma di tal fatta fu l’ampia discrezionalità affidata all’organo giudicante, il quale poteva modellare il giudizio sul caso concreto, analizzando in modo anche diverso la grande quantità di elementi che caratterizzavano il giudizio su base relativistica della proporzione e giungere così a risultati valutativi che tenessero conto di ogni aspetto della situazione. Analogamente, tutti gli altri requisiti dell’istituto ricevettero un profondo vaglio per riuscire a determinare nella maniera più precisa possibile i rispettivi ambiti di applicazione. Ciò avvenne per il requisito della necessità, del pericolo attuale, dell’offesa ingiusta e della proporzione stessa. A ben vedere, il pregio dell’art. 52 – cioè la sua caratteristica di norma generale ed astratta – impose un ampio lavoro di determinazione dei margini – sia a livello di contenuto che di estensione – dei requisiti presenti nel dato letterale, margini e precisazioni dei quali la norma legislativa era scevra. Lavoro che la giurisprudenza affrontò, ma che non sempre – nonostante il lungo periodo a disposizione – è stato in grado di offrire criteri di decisione omogenei e riconoscibili anche per casistiche di grande rilevanza, come ad esempio le intrusioni notturne e le rapine.[4]

 

 

 

2. Le mancanze dell’istituto e la necessità di dare certezza legislativa a requisiti prodotti giurisprudenzialmente

 

 

Lungo settant’anni di vigenza dell’istituto della legittima difesa, la realtà quotidiana ha fatto sorgere problematiche sempre nuove e la sua costante applicazione ha reso necessario integrare i fondamenti della scriminante dando così risposte a casi cui la sola lettera dell’art. 52 non era in grado di soddisfare. E’ stato un lavoro altamente impegnativo che ha affiancato quotidianamente quello di normale interpretazione che ogni norma subisce e che nel corso degli anni ha toccato tutti gli elementi della disposizione.

Per quanto riguarda il concetto di pericolo, la giurisprudenza ha svolto la sua opera nel tentativo di definirne i confini. In particolare si parla dei confini cronologici che permettono all’organo giudicante di valutare se la condotta del soggetto aggressore configurava già – e fino a quando avrebbe configurato – attualità di pericolo. La vita reale ha infatti posto il problema del momento iniziale di questo lasso temporale e successivamente del suo momento finale.[5] Ipotesi che rileva in modo molto marcato con la possibilità di difesa dei beni patrimoniali, in particolare del momento in cui il ladro fugge con la refurtiva e l’aggredito lo rincorre. Questo è uno dei casi che una riforma dell’istituto dovrebbe prendere in considerazione, dato che se la giurisprudenza ha progressivamente precisato tali limiti, per evitare nuove future problematiche nel risolvere casi frequenti di furti e rapine sarebbe preferibile un dato normativo certo, che stabilisca con maggior determinazione le facoltà dell’aggredito in relazione al prolungarsi o meno di una “fittizia” attualità di pericolo, in cui l’aggressione è stata compiuta e manca solo il definitivo consolidarsi della nuova – illecita – situazione.

Altro problema legato al pericolo è poi la causazione dello stesso, cioè il requisito della sua produzione non volontaria. Anche questa possibilità non è presa in esame dall’art. 52 in via diretta, per cui si è sempre assistito ad uno scontro tra le teorie che ammettono l’utilizzo del requisito, anche se non contemplato – come ad esempio propone la giurisprudenza – e quelle che invece non lo ammettono.[6] Che per godere della scriminante in questione non si debba dare vita al pericolo è senza dubbio buona cosa, ma il legislatore ha contemplato tale ipotesi solamente nello stato di necessità, cioè nell’art. 54. Non è facile perciò individuare in dottrina ed in giurisprudenza una posizione univoca sulla questione, come invece accaduto in un particolare caso di produzione volontaria del pericolo, cioè in caso di causazione preordinata con scopi offensivi, per potersi poi trovare nella condizione di doversi difendere e quindi legittimamente ledere l’aggressore. Questa possibilità è comunemente aborrita, anche se nemmeno tale ipotesi viene contemplata dalla disposizione in esame. Un nuovo testo di legge dovrebbe certamente prevedere la comparizione di tale requisito – prodotto giurisprudenzialmente – per via legislativa, almeno nella sua forma più pregnante data dalla preordinazione del pericolo a scopi offensivi. Questa estensione servirebbe anche a delineare un fondamento positivo per le condotte riguardanti i casi di rissa e di duello cavalleresco e rusticano, che già comunque il mondo giuridico non accetta, negando l’uso della scriminante, con l’eccezione che il corissante non modifichi in maniera eccessiva, aumentandola, il proprio comportamento e la propria azione lesiva.

Anche il requisito della necessità presenta già a livello di studio dottrinale e giurisprudenziale alcune modifiche che ben potrebbero rilevare in una futura riforma. Modifiche nate dalla problematica esistenza del termine costretto che richiama elementi soggettivi mal conciliabili con la natura oggettiva della legittima difesa, almeno nella sua dimensione generale. Modifiche nate dalla mancanza del richiamo all’inevitabilità della difesa, che sarebbe opportuno inserire e infine modifiche riguardanti l’accettazione della fuga – o meglio del solo commodus discessus – come base della condotta, quando esso sia praticabile senza pregiudizio all’onore del soggetto in pericolo.

Allo stesso modo una corrente predominante si è rivelata riguardo all’uso di offendicula, il cui uso con modalità non eccessivamente lesive è a priori certamente possibile, ma che non viene considerato dalla norma in esame, la quale paga il suo pregio di norma generale ed astratta con la mancanza di previsioni in grado di regolare episodi anche frequenti, obbligando il mondo giuridico a creare le risposte adatte a tali situazioni.

A fronte di queste che sono “mancanze” derivanti dalla caratteristica di essere una norma generale ed astratta, una vera e propria critica mossa all’art. 52 consiste nella sua dimensione prettamente egualitaria, del tutto priva di ipotesi speciali per determinate situazioni come aggressioni in luoghi particolarmente sentiti come “intoccabili” dall’opinione pubblica, quali il domicilio privato e quello lavorativo.[7] Tali ipotesi consisterebbero in eccezioni al giudizio di proporzione, che verrebbe escluso oppure diversamente delineato, secondo una strada seguita sia in ordinamenti stranieri, sia in legislazioni del passato. Eccezioni consistenti nella possibilità di reagire con maggiore lesività contro aggressori notturni all’interno del domicilio ed eccezioni che tengano conto del particolare stato d’animo che l’aggredito manifesta nello stesso caso. L’art. 52 non ha mai contemplato tali rilevanti particolarità, ed anche se un uso corretto e sapiente dell’elemento della proporzione potrebbe servire al caso, è indubbio che esso sia per certi versi sicuramente limitativo, naturalmente limitato in modo bilanciato ed equo. A fronte di ciò il cosidetto fur nocturnus difficilmente potrà essere lesionato e l’aggredito scriminato tramite l’utilizzo di una ipotesi eccezionale di autodifesa, e a quest’ultimo nemmeno servirà invocare panico o terrore, in quanto sebbene tali stati d’animo possono essere utilizzati dall’organo giudicante nell’ambito di un giudizio relativo e completo sulla situazione, non vi è nessuna espressa previsione legislativa che essi siano determinanti.[8]

A fronte di tale disamina si può agevolmente notare come i veri difetti dell’art. 52 codice Rocco non siano altro che requisiti troppo generici per far fronte all’estesa applicazione giurisprudenziale richiesta in materia, genericità data dall’essere una norma generale ed astratta. Di conseguenza, chi recentemente contesta la legittima difesa, non ne critica l’assetto della disposizione dell’art. 52, né i requisiti che esso contiene, piuttosto contesta l’istituto stesso nel suo fondamento, nella sua ratio di autodifesa sussidiaria e marginale a quella dello Stato, proponendo altresì inconsciamente una ben più marcata – e diversamente qualificata – autotutela.

 

 

3. La proporzione e l’impatto dei casi di cronaca sulla collettività

 

 

Ma il nuovo dibattito sulla legittima difesa ha sempre avuto come principale oggetto il requisito della proporzione. Un elemento tanto importante perché fautore di quell’equilibrio dalla maggioranza definito il culmine giuridico di questo istituto. Un requisito che – sulla base relativistica e completa della valutazione – è stato creato per poter essere il punto di congiunzione in uso ai giudici per adattare la disposizione generale alla molteplicità dei casi della vita. E se questo risultato è stato sicuramente ottenuto nella maggior parte dei casi, si registrano anche opinioni contrarie e decise critiche a quella che – a detta di alcuni – sembra la fonte di tutti i mali che affliggono l’autodifesa nel mondo odierno.

Infatti, l’istituto della legittima difesa incontra oggi la necessità di confrontarsi con una realtà sociale differente da quella di solo qualche decennio fa. Diversi fattori hanno contribuito a far crescere una generale insoddisfazione nella collettività circa l’operatività della scriminante, complici certi casi di cronaca di pesante impatto e alcuni successivi processi particolarmente delicati a carico di persone aggredite che si sono difese. Il tutto inasprito dal naturale e forte appoggio della popolazione a quelle persone che si sono trovate a doversi difendere da soggetti aggressori in situazioni comuni a tutti quali il lavoro quotidiano o – ambiente ancora più sentito – il domicilio privato.[9]

Ancora una volta è la proporzione a fare le spese delle critiche mosse all’art. 52, ed è sicuramente difficile riuscire a far intendere ai cittadini – colpiti dalla criminalità e non – che l’attuale disciplina della legittima difesa è tutt’altro che disattenta alle esigenze della difesa e che, se utilizzata in modo proprio e corretto, permette anche l’uso di armi per proteggersi dalle aggressioni, naturalmente nel rispetto di quel baluardo di cultura civica che la proporzione stessa rappresenta.[10]

Ma l’allarme sociale esistente nel paese si risveglia ciclicamente col susseguirsi di episodi di cronaca nera, aggravati dalla presenza di “stranieri” che spesso non vengono tollerati e fatti oggetto di qualunque responsabilità in relazione al problema criminalità, là dove solo pochi anni prima si potevano incontrare solamente “compaesani” conosciuti. Tabaccai e gioiellieri che rispondono con armi da fuoco, che inseguono malviventi fino in strada ed esplodono colpi di fucile, rispondono di ampio favore nella collettività, ma in questi ed in altri casi in cui la difesa viene attuata in modo violento, la proporzione si mostra valico insuperabile.[11] Ancora più, la proporzione viene percepita come strumento del giudice per operare un bilanciamento che non tiene conto – secondo molti – della reale situazione delle persone aggredite, che tiene in considerazione troppo alta la posizione del criminale di turno e – e qui si trova il dato più allarmante – tutto ciò fa crescere il convincimento che la magistratura sia animata da un favor per l’aggressore. In definitiva, che esso sia più tutelato della vittima.[12]

Da tutto ciò si delinea un’attuale clima riguardo alla criminalità certamente surriscaldato, molte famiglie non si sentono tutelate dallo Stato e non si sentono sicure nemmeno in casa propria, ma se un allarmismo di tal fatta è sicuramente spesso ingiustificato, rimane utilissimo cavallo di battaglia e spunto per azioni politiche propagandistiche.

In un clima siffatto è facilmente spiegabile come, ad ogni caso di cronaca nera, corrispondano nuove critiche all’istituto dell’autodifesa con conseguente generale desiderio di riforma dell’istituto in termini estensivi. Molte quindi le richieste di una facoltà di tutela anticipata dei propri beni, allargata rispetto a quella del codice Rocco, possibilità che la giurisprudenza aveva sempre considerato in maniera estremamente restrittiva, stante il fondamento stesso della scriminante rinvenibile nella caratteristica di extrema ratio della legittima difesa a fronte di una riserva dello Stato a proteggere e difendere i cittadini.[13]

La perdita di credibilità dell’istituto si riscontra anche in un sondaggio risalente alla primavera 2004, pubblicato da un settimanale italiano[14] e che costituisce un un punto di partenza – naturalmente da esaminare con la dovuta cautela – per capire l’insoddisfazione popolare e la richiesta di riforma oggi. La domanda era: “Lei ritiene che le leggi sulla legittima difesa in Italia siano troppo sbilanciate a svantaggio di chi cerca di difendersi?” il 73,7% ha risposto di sì, il 18% ha risposto <non so>, e l’8,3% di no. Alla successiva domanda “Hanno fatto bene Giuseppe e Rocco Maiocchi a sparare contro i due uomini che avevano tentato una <spaccata> nella loro gioielleria a Milano?”, il 56,4 % ha risposto di sì, il 9,3% ha risposto <non so> e il 34,3% ha risposto di no.

Ora, se è vero che tali fonti non costituiscono in nessun modo un dato scientifico, è però vero che esse sono indicative dello stato di allarme che permea la società in relazione all’istituto della legittima difesa. La possibilità di subire un processo penale e magari persino una condanna realizzano una volontà di cambiare il sistema dell’autodifesa.[15] Di fronte ad una situazione simile, la disposizione di legge contenuta nel codice Rocco ed elaborata nel 1930 è stata il naturale bersaglio delle più importanti critiche e delle richieste continue di riforma. L’alto compito che essa è venuta a svolgere in questi decenni non è stato sufficiente a risparmiarla, venendo a ritenersi la legge inadeguata di fronte alla realtà criminale di tipo “predatorio” che caratterizza le forme violente di delitti contro il patrimonio e che segnano in modo così profondo l’opinione pubblica.[16]

Questo insieme di dati e di sensazioni costituiscono la base delle ragioni che invocano a gran voce la riforma della legittima difesa. L’inasprimento della situazione criminogena e sociale, legato alle croniche difficoltà che la giustizia detiene, ha portato ad un risultato di inadeguatezza della legge di fronte ad un quadro globale di problemi che costituiscono i motivi e i fondamenti della necessità di riforma, e che si possono riassumere in ragioni di ordine fenomenologico, di sicurezza collettiva e infine in ragioni processuali.

Le prime sono causate da un aumento quantitativo delle rapine e da un costante peggioramento qualitativo delle stesse. E’ dato sicuro che, nonostante le voci circolanti sul numero dei fatti criminali non sia sempre esatto e subisca un generale sovradimensionamento da parte del cittadino, essi siano innegabilmente aumentati, e non di rado anche caratterizzati da una immotivata e sproporzionata violenza e freddezza, della quale fanno preciso riferimento i colpi portati a segno grazie anche a percosse, sequestri ed uccisioni.

Le seconde – attinenti alla sicurezza collettiva – provengono da quelle cerchie di soggetti che maggiormente vedono colpiti i propri colleghi o compaesani, e sono dirette sia ad un più efficace intervento statale, sia all’estensione delle possibilità di autotutela, e sono direttamente proporzionali alle critiche mosse allo Stato e alla sua incapacità – giustificata o meno – di protezione preventiva.

Infine valgono ragioni di ordine processuale. Ragioni nascenti dalla cronica lunghezza dei processi, della quale la collettività si lamenta e che, nel caso di specie, colpisce coloro che si sono legittimamente difesi ma, per vedere liceizzata la propria condotta, devono attendere e poi subire un lungo processo di riconoscimento della scriminante, stante l’attribuzione all’organo giurisdizionale di fare luce su ogni aspetto della vicenda.[17]

E, a seguito di tali fatti e ragioni, altre conseguenze derivano – più in generale – dall’insoddisfazione popolare riguardo alla capacità dello Stato di porre freno alla criminalità attraverso i consueti sistemi di pubblica sicurezza, insoddisfazione che nasce dalla mancanza di poter garantire alla collettività un’adeguata difesa contro i malviventi, dalla probabile impunità di cui persone potenti usufruiscono e infine dalla certezza che molti criminali, grazie alle mancanze del sistema processuale e ai “clemenzialismi” legislativi che si sono cumulati negli anni, dando vita ad una generale ineffettività della pena particolarmente sentita come negativa dalla collettività, saranno ben presto rimessi in libertà.[18]

Tutto ciò ha come conseguenza la produzione una serie di fenomeni degenerativi, che incidono pesantemente sulla qualità della partecipazione pubblica alle vicende di emergenza che lo Stato deve affrontare, quali l’omessa denuncia o querela dei reati subiti – nella certezza dell’inutilità dell’atto –, quali la volontà di autogiustizia immediata al limite di linciaggio e vendette, quali, infine, la presa di coscienza che – appunto – solo un’adeguata dose di autodifesa privata può servire allo scopo.[19]

E ci si trova di fronte ad un nuovo pericolo, cioè la voglia improvvisa di riforme immediate e poco meditate, di interventi normativi non adeguatamente ponderati emanati sulla scia dell’emotività del momento, sulla spinta mediatica e anche politica di chi intende sfruttare per propri fini la situazione attuale, senza pensare nemmeno per un attimo che forse la sola soluzione del problema sta in un lunghissimo percorso di insegnamento dei valori civici e di solidarietà, di isolamento del criminale per opera della collettività stessa e di ripristino di un controllo generale di cultura che più non esiste. Per cui si torna alla presunta cogente necessità di riforme riguardanti l’intera materia della sicurezza pubblica, e di come vengano ridotte a mere misure di tipo emergenziale, auspicate ad alta voce da una parte della collettività e fornite velocemente da un legislatore a volte più attento alla caccia e alla gestione del consenso popolare che alla reale ricerca di strategie strutturali a lungo termine, inserite in un tentativo di riforma esteso, logico e compiuto.[20]

Opinione mia personale è che, se si desidera modificare una norma definita da tanti come un modello di equilibrio normativo e sapienza giuridica, ciò va fatto costruendo una norma che sia sì rispettosa dei mutamenti della società e ricettiva dei requisiti prodotti giurisprudenzialmente, ma che costituisca un altrettanto alto modello di equilibrio e di sapienza, evitando riforme dominate dall’inopportunità di voler a tutti i costi mettere mano all’istituto per soddisfare cicliche quanto momentanee velleità di riforma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. II

 

Le proposte di riforma

 

 

 

1. Introduzione - 2. Il progetto Pagliaro - 3. Dal disegno di legge Riz al progetto Grosso - 4. Il progetto Nordio e l’emendamento Finocchiaro – Fanfani del 4 ottobre 2005

 

 

 

1. Introduzione

 

 

La sempre più sentita necessità di innovare la legislazione degli ultimi anni ha toccato non solo l’istituto della legittima difesa, ma l’intero settore delle cause di giustificazione fino a ricomprendere la totale essenza dell’ordinamento penale. Il codice Rocco – emanato sotto la vigenza di un regime da settant’anni decaduto – non è più considerato rappresentativo dell’odierno sistema giuridico. Nel corso degli anni tali e numerose sono state le leggi, emanate nelle più disparate materie, che la legislazione speciale ha completamente invaso la struttura del codice, del quale oggi se ne conserva – più che altro – il simulacro. L’attuale codice penale rappresenta pertanto un ibrido di ciò che era inizialmente, un insieme di disposizioni che ha perduto i suoi tratti originari senza acquisirne, però, di nuovi e compiuti.

Per tali motivi la necessità di una riforma completa del sistema penale si è sentita fin dal primo dopoguerra, attraverso un’evoluzione giuridica segnata da continui tentativi a vuoto e da discussioni giuridiche sulle quali gravava incessantemente il tema della riforma.[21] Essa si ripresentava fra l’altro in veste sempre più accattivante in occasione di ogni accadimento di cronaca del Paese, con sempre maggior forza per quanto maggiore fosse la gravità del fatto.

Ad aumentare maggiormente la richiesta di riforma è sempre stata non solo l’insoddisfazione per il generale stato della legislazione penale, ma – per il settore che qui rileva – il fatto che il singolo istituto dell’art. 52 incontri enormi ostacoli posti dalle più disparate parti. La riforma della legittima difesa è da tempo avvertita come una domanda sociale reale, una vera e propria risposta all’emergenza criminalità che aumenta e che viene sempre più considerata – a torto oppure no – come intollerabile.[22]

Fu così che sull’onda dell’approvazione del nuovo codice di procedura penale, avvenuta nel 1988, ebbe inizio una nuova era della codificazione penale. Ebbe inizio infatti un lungo periodo – ancora oggi non ultimato – fatto di commissioni create ad hoc per la stesura di un nuovo codice, composte dai migliori giuristi dell’epoca attuale e che giunsero perfino alla stesura di nuovi articolati che però, a causa di varie vicende – financo politiche ed istituzionali – non raggiunsero mai il traguardo dell’approvazione parlamentare, rimanendo prezioso materiale di discussione per ogni nuova proposta che verrà in futuro analizzata.

 

 

 

 

 

 

 

2. Il progetto Pagliaro

 

 

Fra i primi scritti interessanti in materia troviamo quello che viene definito come Progetto Pagliaro, dal nome del presidente che presiedette la relativa commissione di riforma, che venne istituita nel 1991 con lo scopo di creare una legge-delega contenente uno schema generale di riforma, il quale avrebbe dovuto poi essere elaborato in articolato.

Subito chiari furono i limiti e le problematiche che il processo di riforma avrebbe dovuto superare. L’iter legislativo infatti sarebbe stato tale da rendere difficile una sua approvazione, inoltre la dilatazione dei tempi necessari per le decisioni camerali avrebbe costituito un nodo complesso per qualunque tentativo di riforma successivo. Fu altrettanto subito chiaro che la doppia problematica di costruire un articolato così complesso mettendo d’accordo le varie voci in campo, e l’approvazione parlamentare, se combinata con la cronica difficoltà lavorativa che da lungo tempo avvolge governo e parlamento, avrebbe reso molto difficile l’approvazione di qualsiasi proposta di riforma.

Il progetto Pagliaro nacque sotto le migliori intenzioni ma in un clima politico – quello precedente alla crisi del 1992, poi definita Tangentopoli – che non lasciava ampio spazio a possibilità di riforma. Nondimeno la Commissione giunse alla scrittura ampia e ben discussa di una legge delega che si sarebbe successivamente dovuta trasformare in articolato vero e proprio. Per la parte che a noi interessa, rileva l’art. 16 dello schema di delega.

La legittima difesa incontra in tale articolo la sua prima seria possibilità di rinnovamento. L’art. 16, 1.3 recita: “Prevedere come cause di giustificazione la difesa legittima, specificando che il pericolo non deve essere stato preordinato e che il requisito della proporzione deve riferirsi a tutti gli elementi significativi dell’aggressione”.[23]

La delega, impostando l’articolato in tal modo, ritiene indubbiamente efficace l’isituto così come descritto dei settant’anni precedenti. La specifica ivi contenuta riguarda perciò  due elementi che mancavano nell’art. 52 codice Rocco e che la giurisprudenza aveva delineato come importanti ed irrinunciabili. La non preordinazione del pericolo è elemento di sicuro spicco nella legittima difesa, anche se non estesa alla vera e propria non volontaria causazione del pericolo[24], ma ancora più importante risulta la precisazione riguardante la proporzione. Stabilendo che essa debba riferirsi a tutti gli elementi dell’aggressione,[25] obbliga l’organo giudicante ad effettuare il giudizio su di un base più ampia e completa che non precedentemente, lasciando però il dubbio che una diversa struttura della delega sarebbe stata probabilmente migliore se si fosse riferita non solamente all’aggressione, ma a tutti gli elementi significativi della situazione, introducendo così la possibilità di allargare il giudizio ad ogni elemento a disposizione, imponendo oltretutto un più deciso riferimento alla natura oggettiva della scriminante.[26]

Il progetto Pagliaro non poteva però avere fortuna. Il periodo storico estremamente sfavorevole fece sì che lo schema di delega venisse archiviato senza la possibilità di affrontare – data l’estrema instabilità politica del momento – l’iter legislativo previsto.

 

 

 

 

 

 

3. Dal disegno di legge Riz al progetto Grosso

 

 

Attraversando il decennio successivo ci si imbatte in altri progetti di riforma che – analogamente al progetto Pagliaro – non sono giunti a buon fine. Nel dicembre del 1994 il senatore Riz presentò un disegno di legge per la riforma del codice penale, che segna il passo verso il secondo ampio tentativo di riforma che sarà compiuto qualche anno dopo da uan commissione presieduta da Federico Grosso.

Il disegno di legge Riz – nominato disegno di legge n. 2038, d’iniziativa dei senatori Riz ed altri – ricalcava in modo ampio il precedente schema di legge-delega elaborato dalla commissione Pagliaro. Relativamente alla difesa legittima esso recitava all’art. 50 che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale e non preordinato di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa e si riferisca a tutti gli elementi significativi dell’aggressione”.

Da tale enunciato si nota come la difesa legittima non sia stata, nemmeno in questo caso, stravolta. Alla canonica definizione dell’art. 52 c.p. Rocco viene aggiunto l’elemento della non preordinazione del pericolo, come correttamente avveniva anche nello schema di Pagliaro, e come in quel caso anche nel presente disegno di legge si è cercato di dare più ampiezza al giudizio di proporzione, prevedendo esplicitamente che esso debba essere valutato alla luce delle circostanze oggettive contingenti. Ciò che si critica al disegno Riz è che la scelta enunciativa appare inadeguata, da un lato perché non precisa in alcun modo quali debbano essere tali circostanze – e fino a qui si potrebbe ribattere che vanno prese in esame tutti gli elementi utili – ma d’altro lato viene specificato un riferimento esclusivo all’aggressione, tralasciando le contrapposte circostanze – anch’esse importantissime – della difesa.[27] La formulazione così proposta risultava perciò non del tutto chiara e completa, con la possibile creazione di ambiguità in sede di studio e applicazione.

Fu successivamente che con d.m. 1 ottobre 1998 venne istituita dall’allora ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick, una nuova commissione di riforma del codice penale, questa volte al seguito di Carlo Federico Grosso. Essa terminò i propri lavori con la presentazione di un articolato che all’art. 36 enuncia una disposizione relativa all’istituto della difesa legittima in cinque commi.

Di grande rilevanza per l’esame del progetto in questione è l’analisi della relazione conclusiva, ove riguardo alle cause di giustificazione viene subito notato come parte della commissione abbia criticato la scelta dello schema di legge delega Pagliaro, che in materia le differenziava in due sottospecie, definendo le oggettive all’art. 16 e le soggettive all’art. 17. La commissione Grosso ha preferito mantenere l’impianto originale.

L’articolato del progetto è il seguente[28]:

1. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.

2. La proporzione deve essere valutata fra i beni contrapposti.

3. Chi interviene a difesa propria o altrui, a parità di efficacia difensiva è obbligato a scegliere la difesa meno lesiva per l’aggressore.

4. Qualora l’aggredito possa sottrarsi all’aggressione con la fuga senza correre nessun rischio, egli è tenuto ad evitare la reazione.

5. La difesa legittima non è applicabile a chi ha suscitato ad arte l’aggressione allo scopo di potere colpire impunemente l’aggressore.

Dal punto di vista contenutistico il progetto – poi leggermente modificato nel 2001 con l’introduzione, all’interno dello stesso testo ma all’art. 38, di alcune locuzioni – ha cercato di porre rimedio a problematiche relative all’istituto in esame, problematiche sentite come fondamentali, tanto è vero che è possibile notare come la commissione considerasse l’occasione di una riforma come un’opportunità da sfruttare al massimo grado. La prima tematica affrontata concerne l’importanza dell’elemento soggettivo nella percezione del pericolo. La relazione al progetto rilevava come solo una piccola parte della dottrina richiedeva la percezione del pericolo da parte dell’aggredito come condizione per l’attuazione della scriminante.[29] E questa, minoritaria, è stata invero la strada seguita dal progetto, ove – sebbene il primo comma sia rimasto sostanzialmente invariato rispetto al precedente art. 52 – nell’articolato del 2001 è stata inserita la locuzione percepito dall’agente in relazione al pericolo attuale di un’offesa ingiusta, dimostrando come la commissione Grosso abbia preferito dare una fondamentale importanza alla percezione del pericolo, subordinando a ciò l’operatività della scriminante, per cui l’agente che si difende deve dimostrare di avere compreso trattasi di una situazione di minaccia.[30]

Al secondo comma invece la commissione ha affrontato un particolare problema di decennale vita, quello relativo al giudizio di proporzione, in particolare all’utilizzo della teoria tra beni contrapposti oppure tra mezzi utilizzati. Seguendo il sempre crescente andamento giurisprudenziale e dottrinale la commissione ha optato per il primo di essi. Ma con l’utilizzo di una formula estremamente settaria e che pone i beni contrapposti in ambito di assoluta supremazia rispetto a tutti gli altri elementi contingenti e che qualificano più precisamente la situazione sia aggressiva che difensiva.[31] Con le successive modifiche è stata aggiunta la locuzione “L’interesse leso dalla reazione può essere moderatamente superiore rispetto a quello tutelato.” Tale modifica è sicuramente ben accetta, in quanto da una parte sancisce definitivamente – ed in termini pratici di lesività – la preminenza del bene tutelato rispetto al bene dell’aggressore, e d’altra parte permette una maggiore elasticità sia nel momento della scelta difensiva sia nel momento della sua valutazione. L’assetto derivante da una simile disposizione – che secondo la relazione al progetto di riforma è stata preferita ad altre per evitare smodate reazioni a tutela di interessi patrimoniali, ancorché rilevanti – è certamente valido, ma pecca nel momento in cui non si tiene conto di tutti gli elementi qualificanti l’aggressione, che permetterebbero di procedere ad un giudizio di proporzione maggiormente ancorato alla situazione reale.

Nel terzo comma il progetto Grosso affronta la questione relativa al requisito della necessità e al requisito – mancante nella disposizione del ’30 – dell’inevitabilità del pericolo. Si tratta anche quì di dare certezza legislativa ad un requisito prodotto giurisprudenzialmente, sancendo – nel caso in cui la reazione difensiva sia inevitabile – il principio dell’alternatività tra le condotte difensive, ed il conseguente obbligo di selezionare, tra tutte le possibili, la meno lesiva per il soggetto aggressore.

Il comma quattro è invece espressamente dedicato ad una delle questioni più annose e discusse in tema di legittima difesa, una questione che vede la propria nascita secoli or sono, quella del commodus discessus. Se la disciplina previgente nulla diceva, la commissione Grosso ha inteso dotare il codice di un comma che lo riguarda ampiamente, obbligando chiunque – quando lo si possa fare senza alcun ulteriore rischio – ad evitare la reazione. In pratica, a fuggire. La commissione ha così espresso la propria parola sul problema principale, quello cioè riguardante la lesione dell’onore derivante da un’indecorosa fuga, lesione che lo stesso Grosso considera – nella visione di valori ed ideali odierna – lontana da quella antica e cavalleresca, non più realmente percepibita dal singolo e dalla società.[32]

A questo punto la difficoltà di esprimere il concetto in maniera ideale, bilanciandolo col il principio di favor di cui comunque gode l’aggredito, ha dato vita all’esortazione che in ogni caso il commodus discessus non deve causare nessun altro rischio all’aggredito, avvertenza che appena smorza la rigidità della disposizione.[33]

Infine il progetto prende in esame – così come anche il progetto Pagliaro ed il disegno di legge Riz – l’esclusione della legittima difesa nel caso in cui il soggetto poi aggredito abbia ad arte dato vita al pericolo per potersi poi trovare nella posizione di doversi difendere, ed impunemente offendere. La commissione, conscia del fatto che locuzione pericolo non volontariamente causato ha efficacia ed estensione ben diversi,[34] ha preferito rinunciare a dare certezza legislativa all’intero segmento della non volontaria causazione del pericolo, le cui conseguenze sarebbero state ben più rilevanti, argomentando nella relazione che: “nè vi è motivo di estendere alla difesa legittima, dove opera un aggressore ingiusto, un requisito che nello stato di necessità si giustifica in considerazione della posizione paritetica degli antagonisti[35] ma condividendo però la necessità di ricomprendere nella riforma almeno il requisito nella sua accezione più pregnante e pericolosa.

4. Il progetto Nordio e l’emendamento Finocchiaro - Fanfani del 4 ottobre 2005

 

 

Il progetto Grosso, al pari di ogni altro tentativo di riforma del codice finora compiuto, non riusci ad affrontare l’iter parlamentare previsto, benché nel dicembre 2001 venne presentato alla Camera dei deputati come disegno di legge di iniziativa parlamentare. Fu così che con l’avvento di una nuova legislatura e di un nuovo governo, nel 2001 si diede vita ad un ulteriore tentativo di riforma del codice penale.

L’allora ministro Guardasigilli Roberto Castelli, con D.M. del 23 novembre 2001 istituì una commissione di riforma presieduta da Carlo Nordio, che negli anni successivi, complici rilevanti integrazioni di importanti giuristi e docenti nella sua conformazione, giunse alla scrittura di un completo articolato che, come si legge nel Progetto di codice penale della Commissione Nordio, lavorò con l’obiettivo di presentare il progetto entro un termine idoneo a consentirne lo studio e l’approvazione nell’ambito della relativa legislatura, tenendo in ampio merito i lavori delle precedenti commissioni, tanto che “l’attuale risultato non sarebbe stato possibile senza le solide e condivise fondamenta scientifiche poste dai progetti Pagliaro, Riz e Grosso, e senza l’efficace contributo dei commenti che ne sono seguiti[36].

La commissione Nordio è intervenuta, in primis, sull’aspetto generale delle scriminanti, con un’importante disposizione che all’art. 27 del progetto fa chiarezza circa il fondamento e l’operatività delle esimenti, prescrivendo che esse agiscono solo in virtù di una specifica disposizione di legge, che esse operano oggettivamente e che, in presenza di una scriminante, il reato si considera insussistente, applicando così i principi di tassatività e oggettività, e definendo in modo compiuto il campo delle cause di giustificazione dalle diverse scusanti.[37] Inoltre essa è intervenuta modificando l’istituto contenuto all’art. 52, ma non solo, dato che – sempre nell’ambito di reazioni scriminate da cause di giustificazione – è stato ampiamente modificato anche l’articolo relativo alla scriminante dell’uso legittimo delle armi. Prendendo le mosse dalla difesa legittima si cita il testo dell’articolato proposto all’art. 30, titolato difesa legittima.

1. E’scriminato il fatto commesso da chi è stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa, tenuto conto dei beni in conflitto, dei mezzi a disposizione della vittima e delle modalità concrete dell’aggressione.

2. Non è scriminato il fatto di chi ha preordinato a scopo offensivo la situazione da cui deriva la necessità di difesa.

La disposizione così costruita è sicuramente una norma di alto livello, dotata del pregio della chiarezza sistematica che ben riflette la natura dell’istituto.[38] Le indicazioni rilevanti dell’art. 52 sono state mantenute nel primo comma, dove il riferimento alla necessità è stato accentuato con la locuzione modalità concrete dell’aggressione, e dove il pericolo attuale e l’offesa ingiusta continuano a esercitare la propria forza, ma soprattutto là dove la proporzione è stata mantenuta elemento centrale ed essenziale dell’istituto.[39]

Proprio riguardo al requisito della proporzione si notano importanti inserimenti, tali per cui il giudizio di valutazione sul rispetto o meno del rapporto di proporzione si arricchisce di precisazioni legislative che finora erano emerse solamente a livello dottrinale e giurisprudenziale. Esse riguardano il riferimento ai beni in conflitto, per cui il giudizio è sanamente vincolato ai beni contrapposti, secondo l’importante teoria che pone proprio essi alla base del giudizio; il riferimento alle modalità concrete dell’aggressione, ragion per cui ogni elemento contingente la situazione reale deve essere esaminato dal giudice, e soprattutto ogni condotta del soggetto aggredito deve essere valutata alla luce di tali particolari accadimenti reali. Infine, si inserisce a livello legislativo un preciso riferimento ai mezzi a disposizione della vittima, elemento che dovrà essere integrato e fatto perfettamente combaciare con gli altri appena citati, nell’ambito di un corretto e completo giudizio, in cui ciascun elemento – che se operante in solitario sarebbe stato foriero di critiche e problematiche – diviene soltanto uno dei requisiti che devono essere vagliati.[40]

La proporzione così descritta sembra poter far fronte ad un ampio numero di casi, anche se non manca chi definisce la scelta di coinvolgere nel giudizio i mezzi a disposizione come un’alterazione del criterio della proporzione, che perderebbe così la possibilità di un suo più naturale funzionamento, vanificando i limiti di reazione che la norma conserva.[41]

Meno problematico il secondo comma dell’articolo, che prevede – come già le proposte di riforma precedenti – l’inoperatività della scriminante nel caso di chi preordini, a scopo offensivo, la situazione di pericolo, accettando quindi la linea di pensiero – soprattutto giurisprudenziale – che considerava tale requisito come presente e parte integrante dell’istituto, sebbene non fosse espressamente menzionato.

Ma i cambiamenti più consistenti in materia il progetto Nordio li riserva all’articolo successivo, il n. 31, rubricato Uso legittimo delle armi o di altri mezzi di coazione fisica, ove al terzo comme stabilisce che: “E’ scriminato il fatto di chi fa uso di armi perché è costretto dalla necessità di difendere l’inviolabilità del domicilio contro un’intromissione ingiusta, violenta o clandestina e tale da destare ragionevole timore per l’incolumità o la libertà delle persone presenti nel domicilio”.

La disposizione così varata manifesta senza alcun dubbio la volontà del proponente di far fronte a quelle aggressioni che risultano più dannose e odiate dall’opinione pubblica, cioè le aggressioni – soprattutto notturne – che avvengono nel proprio domicilio. L’intenzione è senz’altro lodevole, ma intensi dubbi suscita la via prescelta per darvi attuazione. In particolare si nota il fatto di come la commissione abbia introdotto una disposizione di portata generale all’interno di una norma che è a carattere proprio – e quindi di applicazione riservata ad una sola categoria di persone, in questo caso i pubblici ufficiali – ma che permette a tutti di usufruirne, in quanto chi difende il domicilio è una chiunque persona che vi abita, vi lavora e che non gode di alcuna qualifica pubblica.[42] Inoltre, considerando il caso di cui all’art. 31 comma 3 come una caso di legittima difesa – in quanto sono presenti gli elementi del pericolo, dell’offesa ingiusta, della necessità e anche della proporzione – si nota però come quest’ultimo sia stato alterato permettendo la difesa anche al di fuori del bilanciamento dei beni e della sostanziale parità tra mezzi di offesa e di reazione, innescando un delicato rischio di caduta verso l’autodifesa individuale eccessiva.[43]

Altro dubbio che l’art. 31 del progetto rivela riguarda l’uso dell’espressione ragionevole timore che compare nel testo in relazione all’incolumità personale. Ora, è ben ipotizzabile che il ragionevole timore di cui si parla sia ben diverso dal canonico pericolo attuale che invece caratterizza l’articolo precedente, trattandosi invece della sola rappresentazione plausibile di un tale pericolo, dando vita ad una legittima difesa ampiamente putativa, svincolata da un vero e proprio giudizio di proporzione e difficilmente sindacabile in sede giurisdizionale.[44]

Il progetto Nordio, sebbene presentato nel 2004, risente dell’avvicinarsi della conclusione della legislatura, per cui la maggioranza, definite altre priorità di governo e di legislazione, lo accantona, certificandone l’abbandono a favore di altre leggi speciali, anche in materia penale e, come vedremo oltre, pure nel campo della legittima difesa.

Peraltro il processo riformatore non si ferma e, il 4 ottobre 2005, viene presentato alla Camera un emendamento che vede come primi firmatari i deputati Anna Finocchiaro, Ds, e Giuseppe Fanfani, Margherita, anch’esso riformatore dell’istituto. La proposta ivi descritta sembra avere l’obiettivo di inserire nella disposizione dell’art. 52 un elemento che tenga conto, almeno in parte, della difficoltà di chi si difende in ambito domiciliare. Il testo dell’emendamento recita: “Nei casi previsti dall’art. 614 c.p., primo e secondo comma, non è punibile colui che, legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicato, usa un mezzo idoneo a contrastare l’offesa, che non sia manifestamente sproporzionato alla stessa”. Il testo così ordinato sembra poter essere convincente nel raggiungere il suo scopo di estendere confini e limiti della proporzione quel tanto che basta a consentire una difesa domiciliare più idonea alle difficoltà di chi si trovi a reagire in tale ambito, senza avere la pretesa di porre in essere una difficile riforma radicale dell’istituto.

Tale previsione legislativa avrebbe fatto modo di punire solamente quelle condotte che manifestamente avrebbero privilegiato la difesa rispetto all’offesa, disponendo nei luoghi di privata dimora di una possibilità prima non esistente. Il tentativo non ebbe però fortuna, in quanto la maggioranza parlamentare, impegnata in una propria riforma di cui vedremo l’esito nei prossimi capitoli, respinse l’emendamento.[45]

In ogni caso, negli ultimi anni le serie problematiche legate alla pubblica sicurezza diedero vita ad una vera e propria fioritura di emendamenti e disegni di legge in materia di legittima difesa, aprendo un’era di dibattiti parlamentari e non, che si sarebbe chiusa, almeno momentaneamente, solo con l’approvazione di una nuova legge riformatrice dell’istituto, della cui bontà è però ancora doveroso investigare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. III

 

La legge 13 febbraio 2006, n° 59

 

 

 

1. Il cammino dei lavori preparatori: a) Obiettivi della riforma b) Un diverso modo di concepire l’autotutela -2. I requisiti della legge n. 59/2006: a) Il richiamo dell’art. 614 c.p. b) La legittima presenza nel domicilio c) L’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo d) La difesa della propria o altrui incolumità e la difesa dei beni propri o altrui e) L’elemento della non desistenza f) Il pericolo d’aggressione g) I luoghi di applicazione e l’estensione operata dal nuovo terzo comma - 3. La presunzione di proporzionalità

 

 

 

1.  Il cammino dei lavori preparatori e la ratio della legge

 

 

A)   Obiettivi della riforma

 

Lo spirito riformatore che per anni è vissuto nelle commissioni di riforma del codice penale, e che in diversi casi ha condotto all’elaborazione di un preciso articolato, porta a distinguere un’ulteriore faccia della stessa medaglia. Infatti, accanto alle istituzionali commissioni di riforma, vive un diverso sistema di modifica delle disposizioni penali, un sistema spesso contestato per la sua caratteristica conseguenza di dotare l’ordinamento giuridico di norme scollegate fra loro e spesso create da un legislatore privo delle necessarie capacità tecniche in materia giuridica, ossia la legislazione speciale.

Essa fiorisce in momenti di difficile convivenza della legge con la società, e rappresenta quella voglia di cambiamento immediato e poco meditato che contraddistingue un modo di far legge poco attento ai reali problemi del paese.[46] Inoltre, essa è spesso il risultato del più aspro scontro politico fra maggioranza ed opposizione, o addirittura all’interno della stessa parte politica, per cui la naturale ratio della norma è più che altro il risultato di una collisione che ha prodotto modificazioni di vario genere che snaturano sia l’essenza che l’originale efficacia della disposizione.

Anche la riforma dell’istituto della legittima difesa è stata oggetto di numerose iniziative che sono state presentate in Parlamento senza che provenissero da esperti in materia, come invece accade in caso di commissioni appositamente create. D’altronde ciò è normale, in un paese democratico il legislatore è stato legalmente eletto ed è sua facoltà emanare leggi in attuazione delle proprie qualifiche. E allora il compito del giurista diventa quello di fare propri i passi dalle camere compiuti, interpretando ed analizzando, ancor prima che criticando, ciò che è stato portato a termine, per dotare la conoscenza propria degli organi giurisdizionali dei più ampi pareri, osservando oltretutto come il legislatore porterebbe in ogni caso a termine la propria opera per cui, ancora prima di criticare il lavoro compiuto, è bene analizzarlo a fondo, eliminando in questo modo i possibili difetti e le incogruenze che immediatamente si rimproverano alla norma e lasciando ad altra sede eventuali disquisizioni mosse da motivazioni principalmente politiche.[47]

In materia di legittima difesa, tutta la scorsa legislatura è stata foriera di interventi riformatori che, parallelamente ai lavori della commissione presieduta da Carlo Nordio, hanno tentato di modificarne l’istituto. Se ne contano diversi, ma il principale tentativo è stato comunicato alla Presidenza del Senato il 20 dicembre 2002, trattasi del disegno di legge n. 1899, ad iniziativa del senatore Gubetti ed altri. Tale disegno di legge conteneva la formulazione di un articolo 52-bis, rubricato Diritto all’autotutela in un privato domicilio e il testo dichiarava: “Nel contrastare una violazione di domicilio finalizzata allo scopo di commettere altri reati, si configura in ogni caso come legittima difesa la condotta di chi: a) vedendo minacciata la propria o altrui incolumità, usa un’arma legalmente detenuta o qualsiasi altro mezzo idoneo per dissuadere o rendere sicuramente inoffensivo l’aggressore; b) vedendo minacciati i propri o altrui beni e constatata l’inefficacia di ogni invito a desistere dalla azione criminosa, per bloccarla usa qualsiasi mezzo idoneo o un’arma legittimamente detenuta, mirando alle parti non vitali di chi persiste nella minaccia”. Tale disegno di legge fu assegnato alla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 19 marzo 2003 con parere della commissione I, e venne poi presentato in aula con relazione del sen. Caruso il 27 aprile 2004, e definito atto n. 1899-s, che nel frattempo aveva assorbito un altro disegno di legge, presentato dal sen. Danieli di Alleanza Nazionale, il n. 2287, comunicato alla Presidenza del Senato il 28 maggio 2003, il quale pure richiedeva l’introduzione di un nuovo articolo 52-bis rubricato Esclusione del criterio di proporzionalità.

Fin dalle prime dichiarazioni di accompagnamento ai disegni, si nota bene qual’è lo spirito del legislatore e quali le intenzioni di chi promuove la riforma. La relazione al d.d.l. Gubetti sottolineava come “l’eccessivo grado di discrezionalità che è stato lasciato al potere di interpretazione dei magistrati, finisce per vanificare la certezza del diritto. Fatti del tutto simili vengono giudicati in modo completamente difforme da un tribunale all’altro, da un grado di giudizio all’altro. Al povero imputato, colpevole di aver difeso la propria vita, i propri beni, la scritta nei tribunali – la legge è uguale per tutti – appare spesso come una beffa, il ghigno irridente di una giustizia cieca, imprevedibile e crudele”.[48] Ancora “In tal modo, si è voluto superare una pericolosa deriva culturale secondo cui i delinquenti e gli aggressori sarebbero da tutelare, quasi vi fosse un peccato che la nostra società deve scontare […]. In base a questa impostazione culturale, che spesso e volentieri si traduce in una certa impostazione giurisprudenziale, le vittime sono lasciate senza tutela. In effetti, sino ad oggi si è affermata una mentalità deviata, se così la possiamo definire, per cui, da un lato, i delinquenti hanno tutti i diritti, compreso quello di entrare impuniti nelle case di persone oneste, mentre queste ultime hanno il dovere di rispettare i delinquenti, anche a rischio della loro vita […]. Con questo provvedimento, la sicurezza del cittadino diventa finalmente un diritto primario, in quanto consente di esercitare il diritto alla difesa nella propria casa e nel proprio negozio”.[49] Da tali prime anticipazioni dei lavori preparatori emerge il primo obiettivo della riforma, cioè eliminare sostanzialmente la discrezionalità in materia dei giudici, che sarebbe confermata da “..un’ampia casistica di sentenze della Cassazione […] che finiscono – è vero – per riconoscere l’innocenza degli imputati, ma dopo anni di calvario giudiziario, con conseguenti gravissimi danni economici, psichici e biologici”.[50]

Secondo i propugnatori della riforma, sarebbe infatti tale discrezionalità a base del giudizio di proporzione a creare i problemi che si mira a risolvere. Essi considerano che se il soggetto che si è difeso è costretto ad accettare una decisione difforme da quella che altri tribunali hanno dato ad un caso simile, oppure se egli – al momento di porre in essere la reazione – non è in grado di conoscere con esattezza quali possono essere i limiti di condotta che gli vengono imposti, a discapito della certezza del diritto, questo sarebbe a causa dell’eccessiva discrezionalità di cui gode l’organo giudicante e che nasce dalla disciplina che il codice del ’30 ha inteso dare alla legittima difesa. In tale configurazione l’organo giudicante doveva procedere ad una raccolta e valutazione di tutti gli elementi conosciuti, e secondo la teoria ex post persino di quelli non conosciuti ma esistenti, provvedendo così alla formazione di un’ampia base di dati sui quali lavorare per approvare o meno la condotta del reagente.[51]

E’ indubbio che un siffatto sistema ha sempre concesso all’organo giudicante la possibilità di applicare il requisito della proporzione in maniera consona al fondamento giuridico che permea la legittima difesa, evitando quindi concessioni ampie ad una difesa incontrollata di beni di minor valore quali quelli patrimoniali, ma al contempo ha reso difficile affrontare questioni aperte sul campo dell’attualità, quali quelle riguardanti le aggressioni nel proprio domicilio e le rapine in luoghi di lavoro. In conclusione, è facile affermare come il requisito della proporzione sia stato il più naturale bersaglio di ogni tentativo di estensione della facoltà di autotutela.[52]

A fronte di queste critiche avanzate, è in effetti possibile affermare – e qui non si da torto a priori ai propugnatori di questa riforma – che sarebbe necessaria una maggior precisione della norma definitoria. Non v’è dubbio infatti che la proporzione non è sempre riuscita, stante il dato di interpretazione e di individuazione dei casi limite, a risolvere in modo certo casi anche ampi quali quelli sopra citati, e nemmeno è possibile eliminare del tutto l’impressione che la Corte di Cassazione abbia sovente utilizzato – per sopperire a tali difficoltà applicative – l’istituto dell’eccesso colposo come sistema equitativo, per evitare da una parte la piena condivisione di condotte reattive lesive di beni personali nei suddetti casi e dall’altra di allontanare lo spettro di una condanna grave data dalla totale esclusione di operatività della scriminante.[53] Ciò significa che un’attento legislatore potrebbe veramente introdurre norme utili in cui definire meglio i limiti e i confini della proporzione e della legittima difesa in generale, anche in un’ottica di certezza del diritto che non è mai da tenere in disparte.[54] Ciò significa inoltre intervenire sugli elementi che qualificano l’operatività dell’art. 52 e modificarne la portata, prevederne eccezioni e fare in modo che la caratteristica di generalità ed astrattezza che ha sempre qualificato il codice Rocco non tradisca le aspettative al momento della sua applicazione.[55] Il tutto da inserire all’interno di un pericoloso trend molto in voga nel nostro come in altri paesi e che mira ad esaltare le risorse di autodifesa del cittadino di fronte alla sfida di una criminalità avvertita sempre più come aggressiva.[56]

Nonostante queste precisazioni, è però da notare come negli ultimi anni, immediatamente precedenti la riforma, la corte di Cassazione abbia introdotto nuove prospettive di tutela dei beni patrimoniali, riuscendo a definire maggiormente rispetto al passato i limiti di reazione nei confronti di chi abbia attentato a beni patrimoniali.[57] In particolare, con la sentenza n. 20727 del 2003, la corte aveva stabilito, in relazione alle possibilità di difesa di chi subisce una rapina, che l’uso di arma da fuoco è sì consentito, ma solo quando ciò sia l’unico mezzo per impedire l’aggressione, quando sussista comunque la proporzione tra il danno subito e la reazione difensiva ed infine consentendo un utilizzo dell’arma volto il maggiormente possibile a mirare in aria o a veicoli di fuga, con l’obiettivo perciò di spaventare ovvero impedire la fuga.[58] Ancora successivamente, con la sentenza n. 37960 del 2004, la corte aveva stabilito come “Il privato, pur se non ricorrono le condizioni previste dal combinato disposto degli artt. 383 e 380 c.p.p., e quindi anche se non ha la facoltà di procedere all’arresto in flagranza dell’autore dei reati per i quali è solo previsto l’arresto facoltativo da parte della polizia giudiziaria, ha tuttavia il diritto di difendere la sua proprietà e quella di terzi dagli attacchi dei malfattori (arg. ex artt. 52 e 59, comma 4, c.p.); e quindi di inseguire un ladro al fine di recuperare la refurtiva e di consentirne l’identificazione e l’eventuale arresto da parte della polizia giudiziaria”.[59]

Questo insieme di problematiche costituisce il primo nucleo – od obiettivo – di riforma dell’istituto, che sarà perseguito seguendo la doppia strada di una maggior precisione della norma e di un’ampiamento dei suoi limiti, attuato tramite una presunzione di proporzionalità almeno nei casi più importanti, quelli che riguardano il domicilio e la difesa dei luoghi lavorativi.[60]

Accanto a ciò, i lavori preparatori in Camera e in Senato hanno dato nuovo spunto alla riforma, come si nota ad esempio nelle dichiarazioni dell’on. Guido Giuseppe Rossi, Lega Nord, che ha commentato come “la proposta di legge ha il pregio di individuare con esattezza i confini del cosidetto diritto di autotutela nella legittima difesa” e il sen. Ziccone, Forza Italia, che abbina la nota di eccessiva discrezionalità del giudice con la lunghezza estenuante degli iter processuali.

Ecco allora che si delinea un secondo punto da centrare per la riforma, accanto a quello che mira a diminuire la discrezionalità del potere dei giudici, cioè eliminare o limitare l’assogettamento dell’aggredito ad un processo che si prevede quasi sempre come lungo, stressante e dispendioso.[61] Tale secondo rilevante problema, relativo alla durata dei processi, investe l’aggredito quale che sia la sua posizione, e considerato sempre più aberrante in particolare in casi di probabile innocenza del reagente. In simili condizioni si avverte un sensibile fastidio nella collettività per il fatto che l’aggredito è sottoposto a – quanto mai necessario – procedimento giuridico, la cui necessità nasce innanzitutto dallo stesso fondamento giuridico su cui la scriminante poggia. Infatti mantenendo tale fondamento su di un piano di eccezionalità quale quello delineato finora, non vi sono dubbi che tutta la legittima difesa poggi su di una base solida ma molto limitata, quale quella che legittima la condotta reattiva a difesa di un bene anche patrimoniale senza l’intervento della forza pubblica, ma solo a particolari condizioni. Ma è chiaro che la stessa reazione che si compie si materializza in una condotta dell’aggredito che viene sussunta in una fattispecie di reato. Ed è logico, di fronte ad una tale evenienza, che l’organo giurisdizionale verifichi senza meno la sussistenza degli elementi e delle circostanze in gioco, per appurare l’assoluta mancanza di dolo e di volontà lesiva-aggressiva.[62] Dello stesso avviso si proclama l’opposizione riguardo all’obiettivo di cui sopra. In diversi interventi si proclama infatti l’impraticabilità di un tale fine, almeno dato il tenore letterale della nuova disposizione, così come ha, per tutti, esplicitamente osservato l’on. Finocchiaro, Ds: “promettono i colleghi della Lega – ed i colleghi della maggioranza, assieme a questi ultimi – che approvando tale norma chi abbia reagito contro l’offesa ingiusta non dovrà più andare di fronte ad un giudice e vedere sottoposte a verifica le circostanze nelle quali il fatto si è verificato. Nulla di più falso, attenendosi esattamente al teso del provvedimento! Infatti, in ogni caso, mai si potrà prescindere dall’accertamento di circostanze concrete. […]”.[63]

E l’opposizione aggiunge un’altra freccia al proprio arco, ragionando sul fatto che la riforma in esame prevede la votazione di un testo che si allontana notevolmente dagli articolati che le commissioni di riforma del codice penale hanno elaborato negli ultimi anni. Infatti sia la commissione Grosso che la commissione Nordio – quest’ultima al lavoro fino al mese di aprile 2005, sono giunte allo studio di una riforma che prevede una nuova disciplina della legittima difesa. E l’opposizione ricorda alla Camera la più alta qualità di tali lavori – ed il fatto che discendono da una commissione composta dai migliori esperti del diritto – con la proposizione di una questione sospensiva dell’esame della legge. Le motivazioni addotte riguardano sia il fatto che le commissioni hanno avuto maggior tempo per elaborare i propri progetti, sia che il loro studio è frutto dei lavori compiuti dalle precedenti commissioni, delle quali esse ne richiamano, quantomeno, la profondità giuridica, sia infine che le loro prese di posizione sono antitetiche a quelle che ora i propugnatori della riforma intendono far diventare legge, ”tale iniziativa legislativa si pone in totale antitesi sia con le indicazioni provenienti dalla commissione ministeriale per la riforma del codice penale, presieduta dal professor Grosso (costituita nel corso della XIII legislatura), sia con quelle provenienti dalla commissione ministeriale presieduta dal dottor Nordio, e nominata dall’attuale Ministro della giustizia”. Inoltre la questione sospensiva afferma come una problematica tanto delicata come quella delle cause di giustificazione vada senza meno affrontata con l’utilizzo di tutte le risorse a propria disposizione, evitando che l’istituto della legittima difesa perda quel controllo giurisdizionale che da sempre garantisce la via più logica per un sicuro accertamento dei fatti, e auspicando che una riforma della scriminante non venga compiuta senza una parallela riforma del codice intero, “la complessità e la delicatezza della materia dalla proposta di legge in esame sono tali che sarebbe dannoso e controproducente trattarla in maniera estemporanea e senza una rivisitazione complessiva del codice penale, da tempo necessaria”.[64]

 

 

B)        Un diverso modo di concepire l’autotutela

 

Introducendo le ragioni che hanno portato i propugnatori della riforma, espressa nel disegno di legge Gubetti, a tentare l’iter legislativo, si giunge ad un nuovo punto dello stesso quadro. Ciò in quanto gli scopi sopra enunciati, come la limitazione della discrezionalità del giudice e la diminuzione dei processi accertativi della causa di giustificazione, sono sì obiettivi importanti e fondamentali, ma che ben potrebbero essere diretti anche ad un miglioramento dello stesso art. 52 codice Rocco, mentre la riforma in esame tenta qualcosa di più, qualcosa di nuovo che esula dalle possibilità dell’istituto come finora delineato, mirando ad allargare i confini che segnano l’ambito di applicazione dell’esimente ed introducendo così sia un concetto di presunzione riferita all’operatività della proporzione, sia un concetto di legittima difesa diverso da quello finora conosciuto e voluto.

I lavori preparatori mostrano infatti un alto desiderio di permettere al soggetto aggredito di porre in essere reazioni che finora non erano consentite. L’idea di fondo costituita dal già richiamato problema della giustizia, che si manifestava nella credenza – da parte di cittadini ma sottolineata pure dagli stessi propugnatori della riforma – che l’autorità giudiziaria consentisse una più alta protezione del malvivente piuttosto che una più giusta tutela del cittadino onesto, ha fatto sì che la legge in Parlamento si arricchisse di argomenti volti a modificare tale – presunta – situazione. Dai lavori preparatori si legge che “alcuni mesi fa, ho appreso dai giornali una notizia stranissima […], un tabaccaio è stato condannato alla pena di otto anni di reclusione per avere sparato ad un cittadino italiano che era entrato nel suo negozio con una scacciacani in mano: questo “poverino” – nel senso che, essendo rimasto ferito gravemente, è stato in fin di vita – ha patteggiato la pena e, dopo due mesi, era di nuovo per strada, mentre il “buon tabaccaio” si è beccato otto anni di reclusione (e sono centinaia i casi analoghi!)”.[65] Questo passo è indicativo della volontà di dotare l’ordinamento di una legge che non permetta al giudice di operare una valutazione (della proporzionalità) che risulti negativa per l’aggredito, giungendo così ad assicurare che lo Stato, d’ora in avanti, sarà al fianco del cittadino che si difenda anche in modo altamente lesivo.[66]

Ma questo modo di intendere la difesa privata postula una dimensione della legittima difesa diversa da quella finora attuata. Il legislatore intende dare al cittadino la possibilità di difendere – nel momento della reazione – non solamente il bene privato che lo legittima alla tutela, ma tutto l’ordinamento giuridico completamente considerato, trasformandosi così in uno strumento di lotta al crimine che si manifesta nella riaffermazione della vigenza del diritto violato.[67]Il cittadino che si difende legittimamente al pari dell’agente dell’ordine, agisce in primis per la difesa di un diritto, del diritto proprio o altrui di essere libero e sicuro all’interno delle mura domestiche o del luogo di lavoro e difende in quel momento tutta la comunità civile”.[68] A fronte di ciò si avvia una privatizzazione della difesa contro il crimine – che sarà ben tenuta in considerazione ed esaminata sotto diversi punti di vista nel prosieguo di questo lavoro – fortemente avversata dall’opposizione in Parlamento, tramite le voci del sen. Maritati, Ds, e dell’on. Rocchi, Margherita, interventi del 19 ottobre 2004 e del 28 novembre 2005, che contrastano anche un’altra voluta conseguenza della riforma, cioè quella che si manifesta nella – presunta – maggior paura del malvivente a commettere un delitto sapendo di trovarsi di fronte un cittadino pronto a difendere se stesso e la propria collettività, anche grazie alla nuova possibilità di uso delle armi.[69]

In tal caso il ladro notturno – o la banda di ladri notturni, inferociti e senza scrupoli, come d’altronde si legge nei passaggi di maggioranza dei lavori preparatori – che entra in azione dovrebbe risultare intimorita dalla consapevolezza che affronta un cittadino – addormentato, ma pur sempre strumento di giustizia – che rappresenta il Diritto di tutti, e non solo il proprio. Ma tale conseguenza è auspicabile soltanto per i propugnatori della riforma, mentre l’opposizione chiarisce come la differenza di valori e ideali tra cittadino onesto e malvivente sia fortemente indicativa del fatto che il primo è spesso meno abile nell’uso delle armi e soprattutto meno pronto a porre in essere atti di violenza, anche se giustificati, col rischio inoltre di una più calcolata preparazione armata dei rapinatori in procinto di compiere il reato.[70]

Ma ormai il lungo passaggio parlamentare è finito, i lavori preparatori sono giunti al termine del loro percorso, e il 13 febbraio 2006 la legittima difesa viene dotata di una nuova disciplina, che tenterà – nel tempo che avrà a disposizione – di perseguire gli obiettivi che i propugnatori della riforma hanno inteso darvi. Il testo approvato è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2 marzo 2006 e la nuova normativa, che entrerà in vigore il 17 marzo 2006, è – nella sua completa e definitiva stesura – la seguente:

 

Legge 13 febbraio 2006, n. 59 – Modifica all’art. 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio:

Art. 1. Diritto all’autotutela in un privato domicilio.

1. All’art. 52 del codice penale sono aggiunti i seguenti commi:

“Nei casi previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente nei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a)                la propria o altrui incolumità;

b)                i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

 

 

 

2. I requisiti della legge n. 59/2006

 

 

Una volta approvata la tanto cercata riforma della legittima difesa è doveroso, ancor prima che segnalarne difetti e pregi, ancor prima di procedere ad annotare commenti e pareri, procedere ad un’attenta disamina delle modifiche da essa introdotte, per capire come e dove abbia realmente innovato, cercando di stabilire col massimo grado di precisione possibile i nuovi limiti dell’istituto, che si presenta ora nella formulazione di tre commi, il primo dei quali non è mutato dalla legislazione previgente, mentre i due successivi – di cui ora si sta trattando – costituiscono la novità della riforma.

Infatti, l’approvazione della legge non ha portato – come sembrava in un primo momento – alla creazione di un nuovo articolo ulteriore rispetto al n. 52 che già disciplinava la legittima difesa, ponendo il dubbio, di cui si tratterà in seguito, circa la creazione in toto di una nuova scriminante oppure di una più semplice specificazione dell’istituto già esistente.[71]

 

 

A)  Il richiamo dell’art. 614 c.p.      

 

Analizzando la lettera della legge, si nota come la presunzione di proporzionalità – che costituisce il punto focale della riforma – possa attuarsi solo previo rispetto di una serie di requisiti la cui sussistenza ne è condizione necessaria. Il primo di essi, chiamato ad esercitare la propria influenza sull’istituto, è il richiamo alla fattispecie descritta all’614 c.p. e relativo al reato di violazione di domicilio.[72] Esso introduce un primo limite di ordine spaziale e circoscrive l’applicazione del comma ai soli casi rientranti nei luoghi di domicilio, di privata dimora e nelle relative appartenenze. Nella disciplina ivi rientrante sono da configurare anche tutti gli altri luoghi ove si svolga attività di vita privata diverse da quelle domestiche e da riscontrarsi nelle attività religiose, nelle attività di svago e in quelle lavorative o politiche, restandone invece esclusi i luoghi pubblici e i mezzi di trasporto, anche collettivi.[73] La giurisprudenza si è nondimeno espressa nel senso di un’accettazione ampia dei suddetti luoghi, introducendovi “qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o dell’attività lavorativa” e costruendo un’impostazione in materia molto aperta, tanto che essa per privata dimora intende “ogni altro luogo, diverso dalla casa d’abitazione, dove la persona si sofferma per compiere, anche in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata, quali manifestazioni della sua attività per motivi diversi”.[74] E secondo un orientamento a volte discusso ma anche seguito dalla Cassazione, vi rientrerebbero persino bar, studi professionali, saloni di banca e in genere tutti i negozi commerciali,[75] con la conseguente enorme dilatazione dei luoghi – e conseguentemente delle situazioni e possibili iterazioni – ove diviene a prima vista possibile reagire oltre la normale proporzione.[76]

Al riguardo è però opportuno tentare due precisazioni. Innanzitutto è da notare come la lettera delle legge anteticamente contenga nel titolo della rubrica un preciso riferimento al privato domicilio, locuzione tendente ad un’interpretazione restrittiva del requisito, salvo poi al comma terzo cercare di risolvere possibili dubbi tramite una radicale estensione ai luoghi ove si svolga attività commerciale, professionale o imprenditoriale, e successivamente è da rilevare come il requisito dell’offesa ingiusta – che a rigore deve sempre essere presente in quanto requisito base dell’operatività dell’art. 52, qualunque comma – non sia soddisfatto dalla semplice e sola violazione di domicilio, richiedendosi un quid pluris offensivo in confronto ai beni o all’incolumità personale, per non cadere in una sostanziale interpretatio abrogans dell’elemento in esame.[77]

Proseguendo nell’analisi del requisito, è importante notare come il rinvio operato non costituisca un mero tentativo di delimitazione spaziale, ma sia la base per una necessità di reato, per la quale la disciplina ex novo art. 52 potrà applicarsi solo previa violazione di domicilio da parte dell’aggressore, che della legittima difesa domiciliare costituisce requisito necessario ma non sufficiente. L’aggressore dovrà necessariamente compiere una delle condotte che possono qualificare reato per l’art. 614 c.p. e cioè, rispettivamente al primo e al secondo comma, introdursi clandestinamente o con l’inganno nell’altrui abitazione o luogo di privata dimora oppure, una voltra entratovi legittimamente, si rifiuti di allontanarsi oppure vi rimanga presente con comportamento clandestino o con inganno.[78]

Tale primo requisito inizia a segnare il passo della riforma e a mostrare le prime differenze ma pure le prime interconnessioni con l’operatività determinata dal primo comma. In questo caso l’attuarsi delle condizioni richieste dalla violazione di domicilio imporrà – previo riconoscimento degli altri requisiti operanti in materia – l’applicazione del nuovo secondo comma, mentre nei confronti di un’azione lesiva conseguente ad una condotta che per i più vari motivi non possa costituire reato di violazione di domicilio si vedrà chiamato in causa il comma primo dell’articolo e quindi l’istituto della legittima difesa nel suo aspetto più generale.[79]

 

 

B)  La legittima presenza nel domicilio

 

La disposizione di cui all’art. 52 secondo comma procede nell’esame dei requisiti richiesti con la locuzione legittimamente presente nei luoghi ivi indicati. Questa specificazione introduce il fatto che, della nuova previsione di proporzionalità presunta, potranno godere solamente quei soggetti che – a qualsiasi titolo – saranno legittimamente presenti nel domicilio o nel luogo di privata dimora ove l’aggressione avviene a seguito di violazione di domicilio ex art. 614. Perché ciò avvenga non si richiede all’aggredito, o a colui che si attivi per la difesa altrui, di essere necessariamente il titolare dello ius excludendi, quindi di essere il proprietario ex art. 832 c.c. dell’abitazione o il beneficiario di un diritto di godimento o il titolare di un negozio, ma più semplicemente di essere legittimamente presente nel luogo violato, opzione che ricomprende perciò commessi di negozi, clienti di banca, amici o parenti del proprietario della casa. In generale, tutti coloro che non vi si siano introdotti con condotta caratterizzata dalle modalità descritte dall’art. 614 c.p.[80]

Si tratta di un limite soggettivo all’applicazione del comma, un limite di ordine personale che mira in primo luogo ad eliminare dall’ambito di utilizzo dell’esimente in questione l’aggressore stesso, il quale potrà – nei limiti cui la giurisprudenza ha sempre permesso l’ammissibilità della legittima difesa a chi abbia dato origine al pericolo – beneficiare della scriminante originale ex art. 52 primo comma.[81]

E’ un limite che – a parte la motivazione sopra espressa – non sembra essere dettato da una vera funzione di utilità, quanto piuttosto dal fatto che, con esso, il legislatore ha inteso dare meritevolezza a colui che difende la propria libertà e incolumità familiare e lavorativa, volendo sottolineare la giustizia e la legalità di tale nuova difesa allargata.

Ma il requisito in esame non è esente da difficoltà interpretative, date soprattutto da quei casi nei quali un particolare soggetto, per particolari motivi, è presente nel luogo di domicilio o di privata dimora oggetto dell’aggressione, motivi quali ad esempio la clandestina relazione con la moglie del comproprietario dello stabile – situazione che la giurisprudenza riconosce come violazione di domicilio punibile a querela della persona offesa, cioè il marito. In tale caso l’amante clandestino si vedrebbe probabilmente negare l’operatività del secondo comma a favore della classica previsione di cui al primo comma. Aldilà di tali casi sembra corretto affermare che la legittimità della presenza sia soddisfatta quando chiunque sia presente – sotto l’autorizzazione di chi gode dello jus excludendi – anche se di nascosto dagli altri titolari, eliminando in tal modo una difficilmente spiegabile mancanza di operatività della nuova opzione, risultando infatti irragionevole che – a fronte dei lavori preparatori e a fronte dell’estensione che l’istituto ha subito per permettere una migliore difesa dell’abitazione – simili casi vengano esclusi dall’ambito di operatività della riforma.[82]

 

 

C)  L’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo

 

Il secondo comma dell’art. 52 c.p. procede con l’introduzione di un requisito che, a prima vista, sembra estraneo alla classica legittima difesa, quello della legittima detenzione dell’arma. Tale comma precisa che la nuova previsione di proporzionalità presunta potrà operare solo quando l’aggredito utilizzi per la difesa un’arma che egli legittimamente detiene, oppure un altro mezzo idoneo, al fine di difendere.

Si tratta di un requisito che senza dubbio dovrà essere correttamente interpretato per fornire indicazioni utili e non dare adito a risultati paradossali al momento dell’applicazione pratica dell’istituto, e questo perché innanzitutto si tratta di un elemento che mai, né la dottrina né tantomeno la giurisprudenza, hanno chiamato in causa nelle rispettive trattazioni. Entrambe hanno sempre concesso la possibilità di godimento della legittima difesa a prescindere dalla legittimità della detenzione dell’arma, richiedendosi per la stessa, eventualmente, soltanto la punibilità data dalla relativa disciplina per il detentore abusivo.

Perciò, per trovare il fondamento di tale inserimento è necessario fare richiamo alla volontà del legislatore, diretta ad escludere dall’applicabilità del nuovo comma tutti coloro che – detentori di armi ma in modo abusivo – si qualificherebbero come meno idonei e meno capaci, quanto anche più propensi, all’utilizzo smodato delle stesse, lasciando invece aperta ogni possibilità a chi ha correttamente adempiuto alla legislazione in materia di detenzione di armi ed ai relativi obblighi. In tal modo il requisito si porrebbe come una compensazione diretta a restringere il campo dei possibili utilizzatori solamente a coloro ritenuti degni di una più meritata affidabilità.[83]

Il particolare tema trattato dal requisito in questione – che dispiega la sua efficacia su tutte le tipologie di armi il cui utilizzo è sottoposto ad autorizzazione – deve inoltre far richiamare l’attenzione sul fatto che esso ha disciplinato la possibilità di utilizzo del mezzo, ma non anche l’effetto che da tale uso deriva. Pertanto è da tenere in buon conto che il suo uso non è in alcun modo diretto ad una libertà di determinazione degli effetti, essendo questi sempre sottoposti ad un preciso vaglio di idoneità che il principale elemento della necessità esercita nella sua più ampia concezione di necessità-inevitabilità.

Un nuovo inconveniente relativo alla legittima detenzione dell’arma deriva dal significato più o meno ampio – o più o meno oggettivo – che si da alla parola legittima. Infatti, per non incorrere in assurde situazioni di divieto di uso dell’arma sotto il beneficio della riforma per chi non è il legittimo e legale detentore, è bene intendere tale elemento nella sua più ampia concezione oggettiva, cioè come legittimazione indipendente dalla formale intestazione ma risultante solamente dalla legittima presenza in loco, con conseguente irrilevanza se ad usare l’arma è il detentore legale oppure altra persona ivi legittimamente presente, come ad esempio un familiare.[84]

A seguito della menzione della legittimità dell’arma, si dispone che la difesa coperta da presunzione di proporzionalità potrà essere attuata anche mediante qualunque altro mezzo idoneo. Ci si trova in tal caso di fronte ad una nozione di carattere residuale che ricomprende qualunque mezzo a disposizione, anche quelli altamente lesivi, come coltelli, bottiglie, fuoco, lanciando in tal modo un messaggio che svilisce il precedente tentativo di limitare l’applicabilità del nuovo comma solo a quelle persone che – avendo attuato tutte le misure previste per certe armi – si sono poste in una posizione di garanzia.[85]

 

 

D)  La difesa della propria o altrui incolumità e la difesa dei beni propri o altrui

 

Il fine di difendere è la ragion d’essere della legittima difesa, che normalmente si materializza in una condotta atta ad offendere per, appunto, difendere. E la riforma, introducendo un’importante presunzione di proporzione, è chiamata a specificare quelle che sono le ragioni del difendere, precisando che ad una lesione del bene dell’aggressore si può pervenire per la difesa, innanzitutto, della propria o altrui incolumità e, secondariamente, per la difesa dei beni propri o altrui, corredando così la disposizione di un ulteriore criterio di determinazione del suo ambito di applicazione, e modificando la formulazione in termini maggiormente soggettivi, differentemente da quanto non avvenga nel primo comma, dove la dottrina maggioritaria ha sempre negato la necessità di un vero e proprio animus defendendi per la legittimità della reazione difensiva, animus che comunque, nella nuova disciplina, non potrà certo sostituirsi alla presenza attuale di un vero pericolo.[86]

Le due diverse finalità di difesa non godono fra l’altro del medesimo trattamento giuridico, ma costituiscono un doppio regime che si realizza in una variazione di disciplina, interna alla nuova legittima difesa. La questione nasce dal fatto che la seconda possibilità, relativa alla difesa dei beni propri o altrui, è subordinata alla presenza di altri due elementi, definiti come la non desistenza ed il pericolo di aggressione.

A complicare il quadro della non particolarmente felice scelta è poi la preferenza accordata dal legislatore al termine incolumità, in quanto esso non è di facilissima interpretazione. La questione nasce dal fatto che – a seconda dell’estensione che si riserva al requisito – ne verranno influenzate le modalità di difesa dei suddetti beni. Infatti normalmente del termine incolumità se ne propugna un’interpretazione restrittiva, per la quale al suo interno vengono inclusi il diritto alla vita e all’integrità fisica, lasciandone al di fuori gli altri beni giuridici personali, come le libertà personali, di circolazione e la libertà sessuale.[87] Conseguenza di tale interpretazione è il fatto che la difesa delle libertà non comprese al primo punto nel termine incolumità sarà possibile grazie al secondo punto relativo ai beni, che però è subordinato alla presenza dei due sotto-requisiti sopra menzionati, cioè la non desistenza e il pericolo di aggressione. Al termine di tale percorso sarà chiaro come si materializzerebbe una disparità di difficile spiegazione tra la difesa di situazioni importanti, come la libertà personale posta in pericolo da un sequestro, e la difesa di situazioni minori, come una lesione personale, ma lieve. Infatti nel primo caso sarebbe necessario attendere la compresenza di un pericolo di aggressione, mentre nel secondo la presunzione di proporzionalità potrebbe operare autonomamente. Da tale ragionamento e dalla volontà del legislatore si deduce che il termine incolumità va inteso in senso estensivo, anche per il non secondario fatto che, nel linguaggio giuridico, il termine generico bene viene riferito dall’art. 810 c.c. alle “cose che possono formare oggetto di diritti”, presupponendone con ciò un’accezione più vicina alla patrimonialità.[88]

 

 

E)  L’elemento della non desistenza

 

Una volta stabilito con precisione i diritti e le situazioni che possono essere oggetto di una difesa estesa dalla presunzione di proporzionalità, e dopo aver distinto tra beni relativi all’incolumità personale e tra beni di natura patrimoniale, è necessario analizzare come la legge n.59 del 2006 abbia inteso subordinare la proporzionalità presunta di questi ultimi a due requisiti, del quale il primo è la non desistenza. Il fatto che esso implichi in sé un concetto di attualità del pericolo e che sia richiesto solamente per la difesa dei beni patrimoniali non significa che si intende permettere la difesa dei beni relativi all’incolumità a prescindere dalla non desistenza o dalla sussistenza di altra situazione di pericolo, essendo quest’ultimo un requisito sempre vigente e sempre mantenuto ben saldo sia da chi legge nella riforma un nuovo tipo di scriminante sia da chi vi vede solamente una specificazione del principio generale.[89]

La presenza del requisito della non desistenza e del successivo pericolo di aggressione appare per la prima volta nell’aprile del 2004 in un testo elaborato dalla Commissione Giustizia, la quale aveva accolto l’invito rivoltole dalla Commissione Affari costituzionali ad individuare con maggiore tassatività le circostanze della situazione che legittimano una reazione in stato di difesa legittima.[90] Ciò in quanto si temeva un possibile eccessivo allargamento delle situazioni cui applicare la presunzione di proporzionalità.

Elemento della non desistenza significa che, in un’ottica progressiva del reato – da violazione di domicilio a furto e conseguentemente a rapina, a seguito della scoperta dell’intruso in casa – l’aggressore non mostra, di fronte all’essere scoperto, all’essere minacciato dal titolare del bene protetto o altra persona presente, o di fronte ad una precisa intimazione ad andarsene, di voler desistere. Innescando a questo punto una condotta per fatti concludenti che elimina in toto la possibilità di una cessazione immediata dell’aggressione.[91]

Ed in ciò si rileva sia la ratio del requisito in esame, sia il perché esso sia destinato solo alla protezione di beni patrimoniali, cioè eliminare ogni possibile fraintendimento e fatalità prima di procedere all’uso delle armi a difesa di beni non primari, imponendo in tal modo al privato e all’aggredito un onere implicito di verificare la volontà dell’aggressore di perseguire l’azione criminosa, onere che non viene rivolto anche alla difesa dell’incolumità per evitare di ridurre eccessivamente l’ambito della riforma, oltre che per il fatto che sarebbe illogico ed inutile prevedere come elemento della scriminante un’offesa che costituisce il pericolo stesso per cui quella scriminante è stata concepita, e onere che viene di regola soddisfatto con la percezione da parte dell’aggressore delle potenzialità difensive dell’aggredito ed in una sua non conseguente ed immediata fuga.[92]

Effettivamente la soddisfazione dell’onere in senso molto ampio è da preferirsi in quanto non è immaginabile dotare la disposizione di un vero e proprio obbligo di esclamare la classica frase: “fermo o sparo”, che si tradurrebbe in un’impossibile richiesta che avrebbe la conseguenza di avvantaggiare marcatamente il rapinatore o comunque l’intruso concedendogli un tempo di reazione più ampio e misurato, come ha giustamente delineato il sen. Calvi nel proprio intervento del 6 luglio 2005: “Sarà onere che incomberà sulla parte offesa, sull’aggredito dimostrare che non vi è stata desistenza, occorre che io preavverta l’aggressore dicendo: fermati, altrimenti ti sparo; attendi un attimo. Se per caso egli non è un rapinatore avrà il tempo per chiarire la sua posizione, ma se sta per compiere effettivamente un’azione violenta nei miei confronti, il mio preavvertimento si tradurrà sicuramente in un incentivo ad aggredirmi”. Perciò è bene intendere la non desistenza non come onere per l’aggredito di intimare alcunché, ma come non immediata fuga o ritirata del malvivente, interpretazione che finisce sicuramente per svilire la presenza stessa del requisito della non desistenza ma che appare la più ovvia anche alla luce dei lavori preparatori.[93]

In ogni caso, il limite paradigmatico dato dalla desistenza si incentra sui beni, perciò continuerà a perseguire nel proposito criminoso il ladro che fuggendo porti con sé la refurtiva, o parte di essa, situazione che però difetterà certamente del requisito tra poco esaminato del pericolo d’aggressione, rendendo in tal caso impossibile l’operatività del secondo comma, e lasciando invece sussistere la possibilità di difesa ex art. 52 comma 1.[94]

 

 

F)  Il pericolo d’aggressione

 

Insieme alla non desistenza il secondo comma dell’art. 52 novellato dalla riforma richiede la presenza di un pericolo di aggressione. Ciò significa che, dato un pericolo per i beni patrimoniali, una volta configuratasi la situazione di scelta per l’aggressore tra perseguire l’azione criminosa oppure darsi alla fuga, e decisosi per la prima, è richiesto che sorga pure un pericolo d’aggressione, che costituisce il quid pluris per l’applicazione della presunzione di proporzionalità nel caso di minor valore, l’attacco ai beni patrimoniali. Questo requisito si qualifica, come quello precedente, per la natura preclusiva in ordine al funzionamento della presunzione in parola, lasciando eventualmente aperto il campo per l’entrata in azione della scriminante della legittima difesa nel suo aspetto più generale, quello da sempre delineato al comma primo.[95]

Un dubbio potrebbe sorgere circa l’obiettivo cui dev’essere rivolta la predetta aggressione – termine meno usuale e di norma da non preferire al più preciso offesa – cioè se essa debba essere rivolta agli stessi beni patrimoniali oppure all’incolumità personale, protetta già al punto precedente e senza l’ausilio di elementi preclusivi. Il quesito si può agevolmente superare notando come l’elemento in questione sia richiesto come quid pluris per la difesa presunta proporzionata di beni patrimoniali, per cui un’aggressione a tali beni è già in atto, ma siccome si necessita un ulteriore elemento aggressivo per permettere la più pericolosa e lesiva difesa con armi legittimamente detenute o altro mezzo idoneo, a tal scopo è chiaro come la locuzione pericolo d’aggressione debba per forza di cose essere rivolta all’incolumità personale, con ciò richiedendosi che la situazione aggressiva, che continua stante la non desistenza dell’aggressore, si arricchisca di un nuovo elemento di pericolo, questa volta per l’incolumità delle persone.[96]

Un ulteriore problema e limite di tale casistica tassativa in ordine all’operatività dell’esimente è dato dalla difficoltà con cui elaborare un criterio che specifichi la vera e comprovata esistenza dell’aggressione stessa, essendo un elemento che si presta – stante la paura ed il timore che sempre accompagnano tali situazioni illecite – ad una difficilissima prova e ad una naturale estensione che deriva dalla soggettività con cui l’aggredito può intendere il pericolo di aggressione nei confronti propri o dei propri familiari.[97]

In ultimo, si può notare come sia proprio il requisito del pericolo di aggressione ad instillare i maggiori dubbi in chi avversa la riforma, in quanto, per la difesa di interessi patrimoniali, viene permesso l’utilizzo di armi e della presunzione di proporzione grazie – appunto – ad un pericolo di aggressione, con ciò volendo dire che ci si trova su di un piano ben diverso dal più preciso e pregnante attualità del pericolo di un’offesa ingiusta,[98] essendo il termine aggressione più ampio di quello di offesa e legittimando l’uso della forza sulla base di un pericolo generico, ma addirittura non anche attuale, come lo stesso sen. Ziccone proclama in un suo intervento: “il pericolo di aggressione […] non corrisponde all’aggressione attuale, perché altrimenti la norma sarebbe quasi inutile. Si indica una situazione nella quale non è esclusa la possibilità dell’aggressione ed è quindi giustificata la reazione […]”.[99] Interpretazione la cui opinione storica del legislatore sarebbe confermata anche dalla bocciatura dell’emendamento dell’on. Siniscalchi, Ds, il quale intendeva aggiungere il più logico e mirato inciso “quando l’aggressore faccia uso di violenza alle persone o sia palesemente armato”.

Tale figura del requisito del pericolo di aggressione – e della tutela di diritti patrimoniali in tal modo allargata – costituisce un difficile aspetto della legittima difesa, innovata dalla legge 59 del 2006, dal punto di vista di una sua presunta incostituzionalità, che sarà più avanti esaminata. Per ora è sufficiente introdurre il problema citando l’intervento del sen. Zancan il quale si chiede: “Possiamo dire che il ladro il quale, trovato all’interno di un domicilio, non alza le braccia e non scappa immediatamente può essere abbattuto in forza di una legge che quindi non rende più inviolabile il diritto alla vita, che è il primo dei diritti della persona umana, così come rivisitato, esplicizzato e concretizzato nella Convenzione di Roma del 1950?”.[100]

 

 

G)  I luoghi di applicazione e l’estensione operata dal nuovo terzo comma

 

Il terzo comma della legge n. 59 del 2006 opera al terzo comma una significativa estensione in ordine al luoghi di applicazione degli elementi del secondo comma. La stessa disposizione che nella rubrica citava l’autodifesa in un privato domicilio giunge ora a contemplare ogni luogo chiuso ove si svolga attività commerciale, professionale, imprenditoriale.

La presenza del terzo comma non nasce fra l’altro per questioni squisitamente logiche o giuridiche, ma grazie ad un emendamento della maggioranza propugnatrice, la quale ne cita la necessità allo scopo di garantire la futura applicazione della legge. Il perché di tale inconsueta motivazione lo si può capire richiamando l’attenzione su di un passo dei lavori preparatori, pronunciato dall’on. Bobbio, An: “credo sia giusto e doveroso, nello spiegare il perché di questo emendamento, prendere atto di una purtroppo ormai usuale evenienza: alcuni mesi fa, quando il Senato ha iniziato a lavorare già in Commissione, […] puntualmente sui giornali comparve il solito comunicato dell’Associazione nazionale magistrati, la quale si dichiarava contraria alla modifica dell’art. 52 c.p. nel senso di cui oggi trattiamo.” E prosegue nella spiegazione, paventando il rischio di una modificazione dell’orientamento giurisprudenziale in merito all’ambito di applicazione dell’art. 614 c.p. in senso marcatamente restrittivo, per tentare di ridurre in tal modo l’estensione che la riforma concede all’autotutela, “Ebbene, da quella dichiarazione […] è purtroppo ben facile prevedere che, una volta entrata in vigore la normativa, ci troveremo di fronte ad una brusca inversione di tendenza della interpretazione giurisprudenziale. […]. Ebbene, dicevo, è facile prevedere che la giurisprudenza si affretterà ad espungere dal concetto di domicilio proprio quei luoghi che non sono direttamente ed espressamente sussumibili in questa nozione”.[101] Scopo dubbio dell’emendamento è, perciò secondo l’allora maggioranza, tutelare la propria autonomia, ma di fronte alla legale e costituzionalmente protetta indipendenza della magistratura, che gode sicuramente – come si era già visto nelle altre dichiarazioni dei lavori preparatori – di una buona dose di sfiducia da parte dei propugnatori della norma.[102]

Secondo – e più autorevole – motivo di esistenza del terzo comma in questione è dato dal fatto che l’estensione geografica ai luoghi sopracitati è utile per permettere di raggiungere uno degli obiettivi che hanno segnato maggiormente l’opinione pubblica e il percorso di nascita della riforma, attraverso le notizie riportate dai mass media, e cioè le rapine in piccoli esercizi commerciali. Da questo punto di vista appare comunque non del tutto immotivato l’inserimento del terzo comma, date le promesse compiute dai propugnatori, che avevano affermato come la non punibilità degli aggrediti in esercizi commerciali fosse uno degli obiettivi della riforma, e dato anche che la giurisprudenza inserisce sì tali ambiti all’interno della nozione di domicilio o privata dimora, ma secondo una corrente che non è del tutto esente da critiche e scelte differenti.

Resta il fatto che la nozione richiamata dal secondo comma che opera un rinvio all’art. 614 primo e secondo comma, coniugata con il disposto del terzo comma del nuovo art. 52 c.p., giunge ad estendere notevolmente l’ambito di applicazione della riforma, anche in relazione a casi pratici, soprattutto perché vi inserisce luoghi – come banche o supermercati – che sono normalmente frequentati da una grande quantità di persone, per cui l’autorizzazione a far fuoco di fronte a rapinatori armati potrebbe porre in pericolo molte persone conseguendo un risultato che forse la normativa non aveva previsto.[103]

Pertanto, alla luce di questa ”forzata” estensione che metta al riparo l’operatività della riforma da mutamenti giurisprudenziali e dottrinali restrittivi, è agevole poter affermare come in futuro ci sarà comunque la necessità di procedere ad una determinazione più precisa dei luoghi rientranti nel terzo comma, in quanto la casistica naturale delle circostanze possibili porterà sicuramente a delle difficili interpretazioni di questo terzo comma così estensivo, tanto estensivo che forse supera persino l’obiettivo proprio del legislatore, che – come ha sempre affermato – mira alla sicurezza dei piccoli commercianti in particolare, quali tabaccai, gioiellieri, benzinai. Un’ultima precisazione in merito, non sarà comunque necessario che in quei luoghi l’attività si svolga attualmente, richiedendosi il mero ambito geografico, così da ricomprendere anche aggressioni notturne scoperte all’interno di un negozio chiuso.[104]

 

 

 

 

 

 

 

3. La presunzione di proporzionalità

 

 

La legge n. 59 del 2006 contiene molti elementi che il legislatore ha introdotto e che è stato necessario vagliare a fondo per capire la reale portata della riforma, ma la loro natura, la loro stessa essenza, è tutta rivolta ad un punto base della nuova disposizione, che costituisce la vera ragion d’essere di questa legge così fortemente voluta e altrettanto fortemente avversata, la presunzione di proporzionalità.

Essa viene riportata all’incipit della legge, dove sono poste le parole “sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo”. L’innovazione è veramente di ampia portata, e non per le conseguenze che ne deriveranno per l’attuazione dell’istituto, in quanto – come si vedrà in seguito – le difficoltà applicative e le interpretazioni più consone al dettato costituzionale la ridurranno alquanto, ma per il fatto che con essa si è inteso tentare di modificare la base che regge l’istituto, cercando di dare una nuova luce al fondamento dell’istituzione stessa. La legittima difesa viene modificata proprio in quell’elemento, la proporzione, che negli ultimi settant’anni ha sempre costituito un’esempio di saggezza giuridica per il nostro ordinamento, e che era stato introdotto proprio per arginare la possibile deriva verso una poco auspicabile offesa-difesa tra beni ampiamente eterogenei data dall’introduzione nell’ambito dei diritti difendibili anche dei diritti patrimoniali.[105] Il legislatore del ’30 – dimostrando nel caso ampia lungimiranza – aveva dotato l’art. 52 di un requisito che a ragione viene considerato oggi un principio generale del sistema penale e dell’intero ordinamento, un valore politico fondamentale ed una presenza fissa in molteplici punti del sistema tanto da impedirne una riducibilità a semplice regola di giudizio.[106]

Il legislatore odierno ha invece inteso risolvere i problemi che gravano sull’istituto della legittima difesa seguendo una strada che è contraria a quella percorsa dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che nell’arco di decenni di applicazione avevano consolidato la presenza della proporzione come elemento irremovibile dell’istituto. Egli ha delineato una situazione in cui a prima vista il giudice è privato del compito di raccogliere gli elementi che caratterizzano la situazione aggressiva e difensiva, e del compito di valutare la sussistenza o meno del valore della proporzione tra difesa ed offesa secondo i canoni di bilanciamento tra beni e tra mezzi così come delineati da ampia giurisprudenza.[107]

E per tali motivi ci troviamo di fronte al vero asse portante della riforma, di cui gli altri elementi, dal richiamo all’art 614 c.p. relativo alla violazione di domicilio alle possibilità di difesa dei beni personali e patrimoniali, ai requisiti di non desistenza e di pericolo di aggressione, ne costituiscono principalmente le condizioni di applicabilità. D’altronde l’intento dichiarato del legislatore era innanzitutto quello di fare in modo che la maggior parte delle situazioni di autodifesa non fossero vagliate da un giudice ritenuto detentore di una discrezionalità troppo ampia, successivamente quello di fare in modo che la legittima difesa subisse un’estensione abbastanza vasta da far presupporre una modifica nel fondamento stesso della base dell’istituto, che avrebbe portato ad una consapevolezza della collettività di potersi legittimamente difendere attuando nel contempo una repressione del crimine e dell’ordinamento giuridico violato ed, in ultimo, l’intento dei propugnatori era di far sì che l’aggredito – soprattutto in ambito domiciliare – non andasse incontro ad un accertamento processuale da parte degli organi giurisdizionali. Obiettivi di respiro davvero molto ampio ma che la modifica del solo requisito della proporzione non era in grado di soddisfare pienamente, come si vedrà in seguito.[108]

La legge n. 59 costituisce perciò la risposta del legislatore ai problemi che la società affronta in materia di legalità, di rapine, di furti domiciliari, la cui ultima crescita è stata sufficiente per incendiare sia le pagine dei giornali così come le richieste di autotutela della collettività, ed infine per far giungere tali richieste ad un legislatore che, conscio del poco tempo a propria disposizione, non ha atteso di vedere ultimati i lavori della commissione presieduta da Carlo Nordio e ha dato nuova vita ad un percorso riformatore che del progetto elaborato dalla stessa commissione non ha tenuto granché conto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. IV

 

L’OPERATIVITA’ DELLA PRESUNZIONE DI PROPORZIONALITA’

 

 

 

1. L’operatività della presunzione e la mancata introduzione di una nuova causa di giustificazione - 2. Il rapporto tra la presunzione e gli elementi del primo comma - 3. L’introduzione di una presunzione semplice e relativa - 4. Profili probatori e secondo comma art. 53 c.p. - 5. Tra profili di incostituzionalità ed una nuova lettura della necessità

 

 

 

1.  L’operatività della presunzione e la mancata introduzione di una nuova causa di giustificazione

 

 

A fronte delle premesse di cui al capitolo precedente, è bene vagliare attentamente l’ambito di operatività della nuova legge, soprattutto il modus operandi della presunzione di proporzione e, infine, i suoi rapporti con gli altri elementi contenuti nel primo comma quali il pericolo attuale, l’ingiustizia dell’offesa e la necessità della difesa.

Ad una prima lettura della norma la presunzione di proporzionalità opera, a regola del secondo comma del nuovo art. 52, eliminando di fatto la possibilità del giudice di procedere all’elaborazione dei dati raccolti circa la situazione oggettiva, in particolare circa l’utilizzo delle armi, e – una volta soddisfatti i requisiti richiesti riguardanti una condotta sussumibile nell’art. 614 c.p. e perciò una violazione di domicilio, una necessità di difesa di beni relativi all’incolumità personale, oppure ai beni patrimoniali, col supplemento di richiesta relativo alla non desistenza ed al pericolo d’aggressione – vincolando lo stesso giudice alla presenza incondizionata della proporzione. L’inserimento di tale regola di gestione della legittima difesa è in linea con le volontà del legislatore storico, quale tentativo di ridurre la discrezionalità del giudice e di semplificare il riconoscimento di liceità in ambito processuale.[109]

Ma un’attenta valutazione degli elementi stessi di non desistenza e di pericolo di aggressione, nonché di violazione di domicilio, perciò dell’intero secondo comma, fa notare come essi non costituiscano in toto gli elementi specializzanti una nuova fattispecie, ma qualifichino le condizioni per cui, nell’ambito della legittima difesa ordinaria, il giudice è vincolato in merito ad un solo requisito, senza esplicita menzione di altri elementi che – autonomi ed autosufficienti – siano in grado di far nascere una nuova scriminante. La fondatezza di tale conclusione appare anche avendo riguardo della scelta linguistica operata dal legislatore, e materializzata nella locuzione sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma, la quale evoca un richiamo a qualcosa di già esistente, ad una base già presente e sedimentata, e non ancora modificata, sulla quale la nuova previsione si instaura con i propri elementi qualificanti e determinanti l’applicazione di un vincolo per il giudice, relativo alla proporzione soltanto, riconoscibile nella possibilità di uso delle armi in un privato domicilio per difendere sé od altri, i propri beni o quelli altrui, quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo d’aggressione.

Con tutto questo, è sicuramente vero che la volontà storica del legislatore è quella di estendere il più possibile la portata della riforma, ma egli, nonostante non abbia fatto espresso richiamo agli elementi del primo comma, non ha nemmeno posto le basi perché il secondo comma possa autonomamente poggiare su altri requisiti propri. Oltre a ciò, ritenere inapplicabili i punti di contatto con lo stesso primo comma porterebbe all’eliminazione dell’attualità del pericolo e soprattutto della necessità della difesa, la quale funge invece da freno ad una nuova previsione che si intende proclamare autonoma ma che indubbiamente tace, ad esempio, sull’uso che se ne può fare dell’arma legittimamente detenuta, col rischio di porre la novella su di un binario moralmente inaccettabile oltreché – come si vedrà più avanti – a rischio di incostituzionalità. [110]

Per tali motivi è da ritenere che la riforma in esame, forse diversamente dagli obiettivi del legislatore, non ha introdotto una nuova causa di giustificazione, in quanto l’operatività della stessa necessita del primo comma e dei principi – e limiti – che esso contiene.[111] Differentemente da tale impostazione è però da notare il pensiero di diversi autori, anche autorevoli, che si manifesta in modo contrario a quanto sopra sostenuto, affermando in special modo l’eterogeneità che la mancanza del solo requisito della proporzione è in grado di marcare, e giungendo così ad ipotizzare come il legislatore abbia inteso “mascherare” – nell’ambito dell’istituto della legittima difesa – una scriminante che richiama piuttosto quella dell’uso legittimo delle armi di cui all’art. 53 c.p., che il progetto Nordio aveva scelto come posizione sistematica di una simile previsione.[112]

Una volta riconosciuto tale fondamento sarà possibile procedere all’utilizzo della nuova previsione quando ne ricorrano i presupposti, ma solo quando i requisiti descritti all’art. 52 comma 1 siano completamente soddisfatti, e pertanto la situazione sia tale da determinare un pericolo attuale per l’aggredito di un’offesa ingiusta – con i relativi orientamenti giurisprudenziali in materia di provocazione del pericolo – ed una necessità della difesa, intesa anche come inevitabilità, che determini non solo l’obbligo di una reazione, ma in particolare l’obbligo di quel tipo di reazione, con ciò limitando fortemente la portata innovatrice della riforma in senso costituzionalmente orientato.[113]

Da quanto detto si deduce come, mentre all’avverarsi degli elementi presenti al secondo e terzo comma della nuova previsione il giudizio autonomo e discrezionale del giudice in merito alla proporzione sia precluso, ciò non è sufficiente a qualificare il fatto difensivo come lecito, per cui la nuova presunzione di proporzione è da ritenersi operante entro limiti restrittivi, e parimenti da escludersi è la possibilità che la riforma legittimi ogni tipo difesa nel domicilio, e in particolare ogni incondizionata licenza di usare le armi e di uccidere, come era stato – in un primo tempo – paventato.

 

 

 

2.  Il rapporto tra la presunzione e gli elementi del primo comma

 

 

Come poco fa accennato, la nuova previsione non costituisce una nuova scriminante inserita dal legislatore all’interno di un articolo da tempo conosciuto ed analizzato, ma realizza un semplice caso di legittima difesa per cui, all’avverarsi di specifiche condizioni, la sola proporzione viene ad essere estromessa dall’ambito della discrezionalità del giudice, in quanto unico elemento della nuova disciplina di cui egli non dispone di piena attribuzione.[114]

Ciò premesso, possiamo immaginare ora la nuova fattispecie come un quid pluris di disciplina aggiunto alla legittima difesa previgente, della quale essa entra a far parte, e il cui ambito di applicabilità costituisce il sottofondo necessario anche per la nuova disciplina. Procedendo con l’immagine mentale che tende a formarsi da un siffatto pensiero, possiamo pensare alla nuova ipotesi come ad un cerchio concentrico – il comma 2 del nuovo art. 52 – all’interno di un altro cerchio di portata ben più ampia – il comma primo – i cui non confini, ma sovrapposizioni, sono regolate attraverso il richiamo alla violazione di domicilio e financo alla non desistenza e pericolo di aggressione.

A fronte di tale ragionamento metaforico, i requisiti della legittima difesa ordinaria valgono e sono chiamati ad operare anche qualora, in quanto quid pluris, si dovrà poi applicare la presunzione di proporzionalità.[115]

E ciò dovrà accadere anche quando l’interpretazione dei nuovi elementi introdotti dalla riforma porti erroneamente a pensare che essi sostituiscano i classici requisiti dell’art. 52, invece di costituirne una specificazione, come può avvenire per le relazioni introduzione nel domicilio e il pericolo attuale, non desistenza e pericolo d’aggressione e offesa ingiusta ed ancora pericolo attuale, e come può accadere per presunzione di proporzionalità e uso delle armi per i requisiti di necessità ed inevitabilità. Gli elementi introdotti dalla riforma, non costituendo in alcun modo interpretatio abrogans dei relativi componenti già facenti parte dell’art 52 previgente, ne realizzano solamente una particolare accezione – in taluni casi così blanda da indurre a domandarsi il perché della loro introduzione – dal cui avverarsi dipenderà l’operatività o meno della presunzione.[116]

L’esame dell’operatività degli elementi di cui al primo comma può prendere le mosse dal pericolo attuale, per abbracciare poi i requisiti dell’offesa ingiusta e della necessità, i quali non solo non possono mai mancare, ma a ben vedere iniziano a presentarsi ancora prima della possibile chiamata in causa della nuova previsione. Quest’ultima infatti comincia a presentare una sua ragion d’essere tramite la commissione di una violazione di domicilio – ancora lontano è però il verificarsi degli altri elementi dello stesso secondo comma – ma in tal momento il pericolo attuale e gli altri requisiti del primo comma sono, anche se in misura tale da permettere una difesa di modesta entità, già attivi dal momento in cui viene leso l’altrui diritto di proprietà, difendibile per effetto del primo comma in quanto lesivo di un diritto proprio o altrui. E’ quindi evidente – nonostante l’esiguità del pericolo – che la legittima difesa dispiega già i propri effetti sul titolare che proporzionatamente e nel pieno requisito di necessità-inevitabilità reagisce per allontanare l’intruso dalla propria proprietà. Nel momento in cui l’intruso commette violazione di domicilio con l’ingresso nei luoghi stabiliti dall’art. 614 c.p. e viene scoperto, il pericolo attuale è ancora presente, ed in misura sempre maggiore. A questo punto è possibile che si verifichino una serie di ipotesi della quale qui si riportano le più chiarificanti. Chi ha commesso violazione di domicilio può attentare l’incolumità di chi si trovi nella casa, ed allora – qualora vi si trovino persone legittimamente presenti, e nel rispetto degli altri elementi della fattispecie dell’istituto – opererà pure il secondo comma con conseguente utilizzo della presunzione di proporzionalità.[117]

Come seconda ipotesi è possibile che l’intruso attenti solamente ai beni patrimoniali – stabilendo un nuovo rapporto pericolo attuale, necessità, inevitabilità della reazione – e se una volta scoperto non desista ma ponga in essere un pericolo d’aggressione all’incolumità delle persone presenti, anche in questo caso la legittima difesa non avrà mai smesso di gettare la propria luce sulla situazione, solo che le circostanze sono in grado di integrare – oltre a quelle classiche – anche quelle sussumibili nel secondo comma della scriminante, e sarà perciò applicabile non tanto il solo secondo comma, quanto l’istituto della legittima difesa anche nei suoi elementi specificanti e introdotti con la riforma, compresa la presunzione di proporzionalità.

Come terza ipotesi è possibile che l’intruso, una volta vistosi scoperto, abbandoni ogni tentativo di reato, per cui si dia alla fuga senza attentare nemmeno ai beni patrimoniali. In tal caso l’istituto in genere non potrà essere applicato, data la scomparsa immediata dell’attualità del pericolo e della necessità della difesa.

Ma per capire bene le interconnessioni tra il primo e il secondo comma è bene richiamare altre due ipotesi, delle quali la prima è relativa alle situazioni in cui l’intruso attentatore di beni patrimoniali, vistosi scoperto, desista dalla violazione di domicilio – ormai consumata – ma non dal furto, per cui fugga portando però con sé, ad esempio, del denaro. A rigor di logica e d’interpretazione il secondo comma dell’art. 52 non potrà operare in alcun modo, data la mancanza di uno degli elementi che la nuova previsione richiede perché operi la presunzione di proporzionalità, e cioè il pericolo d’aggressione all’incolumità personale dei soggetti legittimamente presenti. Ma ciò non significa certo che la legittima difesa non sia operante, essa è ancora pienamente attiva, ma entro i limiti e le possibilità che tutto lo studio giurisprudenziale e dottrinale sull’istituto concede in tali ipotesi, e secondo le possibilità così ben delineate nelle sentenze della Cassazione in materia di difesa dei beni patrimoniali e di poco antecedenti la riforma, qui richiamate al paragrafo 1.A del precedente capitolo.

Sempre allo scopo di tracciare le linee di interconnessione tra le due “fattispecie” si svolge l’ultima ipotesi qui riportata. Vistosi scoperto nel tentativo di furto, l’aggressore non desiste e minaccia – con deboli elementi – il proprietario della casa. Essendo presenti tutti gli elementi di cui al secondo comma, sembra chiaro che l’aggredito possa disporre di qualsiasi arma legittimamente detenuta per lesionare l’aggressore e far cessare così il pericolo. Ma ivi entrano in gioco – o meglio, emergono dal sottofondo dal quale non sono mai mancati – gli elementi generali della legittima difesa, per cui la presunzione opererà solamente se, dal punto di vista della necessità ed inevitabilità, la condotta non si manifesti in maniera obiettivamente sproporzionata, seguendo l’impostazione della presunzione relativa di cui al paragrafo seguente.

Da ciò si deduce come tutti gli elementi che l’articolo 52 oggi contiene siano essenziali – nelle più diverse circostanze – perché si possa parlare di operatività della legittima difesa, con un sostanziale quid pluris inserito dalla riforma che, però, non ha modificato più di tanto i valori in campo, in quanto la mancanza di valutazione del requisito della proporzione ha dato nuovo spunto all’operatività di tutti gli altri elementi qualificanti l’istituto e – come si leggerà successivamente – in particolare della necessità.

 

 

 

 

 

 

3.  L’introduzione di una presunzione semplice e relativa

 

 

In linea con le dichiarazioni ai paragrafi precedenti, il giudice dovrà accertare e valutare, quando ricorrano i requisiti richiesti per l’applicazione della presunzione di proporzionalità, tutti gli elementi della legittima difesa, tranne uno, la proporzione. Ma è da notare come il limite di valutazione dato dalla presunzione di proporzionalità subisca un ulteriore ridimensionamento in merito alla propria estensione e forza. La questione risale fino ai lavori preparatori, quando venne apportata una modifica sostanziale a quello che era il dispositivo del primo disegno di legge, là dove alle parole in ogni caso, riferite ad ogni requisito e relative all’applicazione certa della legittima difesa, venne sostituita una presunzione riferibile solamente alla proporzione, con scomparsa della detta locuzione. Tale passo portò a far riflettere sull’effettiva incisività che la presunzione di proporzionalità riuscisse ad avere sulla disciplina della legittima difesa e portò a meditare pure sulle conseguenze sia sostanziali che probatorie al seguito di un utilizzo più o meno assoluto della presunzione. Si tratta di un percorso che effettivamente sarebbe inutile compiere se il legislatore non avesse, dal punto di vista sistematico, mancato di introdurre una certa e sicura presunzione legale, come tale sempre operante al suo massimo livello. Ma così non è stato. Il testo di legge non è in grado di sostenere quelle che erano le intenzioni del legislatore. Sia la strada lasciata aperta al primo comma e all’applicazione dei requisiti ivi contenuti sia la presenza della Costituzione e il relativo rischio di una censura d’illegittimità aprono le porte allo studio delle reali potenzialità della presunzione.

Ciò premesso, e prendendo in esame tutte le possibilità, le seguenti sono le strade percorribili. O la presunzione di proporzione opera in maniera molto marcata, iuris et de iure eliminando di fronte al giudice la possibilità di un qualsiasi vaglio giuridico – e si è già intuito come la percorribilità di una tale ipotesi non sia molto fattibile – oppure la proporzione non può essere valutata che nel senso più stretto, alla stregua di una sproporzione non accentuata, lasciando al giudice, anche grazie all’operatività degli altri elementi fondanti l’istituto, un preciso vaglio generale in merito alla valutazione di tutte le circostanze.

La questione assume una certa rilevanza qualora si chiamino in causa gli istituti dell’eccesso di difesa e della legittima difesa putativa.[118] Seguendo la prima teoria sopra esposta, di eccesso di difesa non si potrebbe nemmeno parlare, in quanto una presunzione operante iuris et de iure – con conseguente congelamento dei requisiti di necessità, inevitabilità e pericolo – impedirebbe un qualsiasi controllo giurisdizionale in ordine sia ai mezzi utilizzati, sia al modo stesso dell’utilizzo, rendendo impraticabile la strada di un riconoscimento di responsabilità a titolo di colpa, secondo gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali basati sull’art. 55 c.p.. Anche in tale situazione si può agevolmente riconoscere uno degli obiettivi del legislatore, cioè eliminare le condanne per eccesso colposo a favore di piene assoluzioni.

Ma è la seconda teoria sopra esposta quella da seguire. La presunzione in esame è da considerarsi una presunzione semplice o quantomeno relativa, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata ed anche alla luce degli ulteriori elementi qualificanti – da sempre – la legittima difesa. Per cui solo alcuni casi di eccesso verrebbero ad essere ricompresi dalla riforma, ma in sostanza il giudice, qualora rilevi manifeste sproporzioni in ordine all’eterogeneità tra i beni difesi dall’aggredito e i beni lesi dalla sua reazione, potrà – nonostante l’applicabilità del secondo comma dell’art. 52 – concludere per un eccesso di difesa. Analogamente una presunzione relativa o semplice ammetterà il riconoscimento della legittima difesa putativa – che non potrà essere desunta dal mero timore soggettivo o stato d’animo dell’agente, ma che dovrà essere accertata sulla base della situazione obiettiva reale[119] – e persino della sua causazione a titolo di colpa con conseguente applicazione della pena a titolo di colpa.[120]

Una lettura in chiave costituzionalmente orientata per giungere all’interpretazione della presunzione nella sua accezione più ridotta è d’obbligo anche avendo riguardo alla parallela vicenda dell’art. 53 c.p. relativo all’uso legittimo delle armi. In tale disposizione – che non conteneva alcun riferimento alla proporzione – il legislatore del ’30 applicò una presunzione tacita e assoluta a favore dell’adempimento dei doveri pubblici rispetto ai beni dei cittadini. Ma il diverso assetto della scala gerarchica dei beni introdotta con la Costituzione impose – per non giungere ad una certa declaratoria di incostituzionalità della previsione – una valutazione in concreto e caso per caso degli elementi e beni di volta in volta in gioco, eliminando in tal modo la presunzione di cui sopra.[121]

Significativo è in ultimo ricordare il fondamento da sempre posto a base della legittima difesa, quale istituto operante per la difesa dei diritti in via eccezionale e sussidiaria a quella dello Stato. Infatti, anche volendo riconoscere al legislatore storico di aver prodotto un mutamento nella base di funzionalità della legittima difesa, come funzione di lotta al crimine e di ripristino dell’ordine giuridico violato, si dovrebbe pur sempre osservare come la stessa autorità di pubblica sicurezza non goda degli stessi eccessi che la riforma in esame intenderebbe legittimare, tradendo così la logica della delega di funzioni, in quanto si finirebbe per autorizzare in capo al delegato un diritto di cui lo stesso delegante non dispone.[122]

4. Profili probatori e secondo comma art. 52 c.p.

 

 

L’incidenza dell’introduzione del nuovo secondo comma in calce all’art. 52 c.p. è da valutare anche in considerazione della diversa disciplina probatoria cui esso sarebbe sottoposto. I principi generali del nostro ordinamento processuale prevedono che ciascuno debba provare i propri fatti allegati, in quanto l’onere di prova grava in genere sulla parte che ne trae vantaggio. Lo stesso dicasi per il piano probatorio che ha sempre contraddistinto il primo comma dell’art. 52. Chi intende avvalersi della scriminante, ha da sempre l’onere di provare la rilevanza dei relativi requisiti.

Per quanto riguarda la previsione introdotta dalla riforma, a prima vista si può affermare come essa abbia introdotto un difficile schema probatorio. Dal punto di vista dell’aggredito per l’applicabilità del secondo comma è necessario che egli fornisca la prova degli elementi qualificanti l’operatività dello stesso, quali la violazione di domicilio, la non desistenza ed il pericolo d’aggressione, ma la prima difficoltà si riscontra proprio nelle caratteristiche di tali elementi. Infatti, una volta esaminati a dovere, è agevole notare come la loro prova non sia immediata, né tanto meno facile. Particolarmente difficile risulta la dimostrazione del requisito della non desistenza, in quanto la condotta stessa dell’aggressore – che non perde la titolarità e l’importanza dei propri beni costituzionalmente protetti, come la vita, nonostante si sia posto contro il diritto – è di difficile determinazione e rappresentazione, e parimenti complicata è la prova del pericolo di aggressione, previsto in via secondaria al secondo comma per la tutela dei beni patrimoniali. In questo caso le difficoltà probatorie riguardano la natura stessa del requisito – stante la particolarità di tali situazioni, dato che di notte e di fronte ad un ladro, l’aggressione sembra sempre inevitabile – col grave rischio di farlo apparire come sempre presente e attuando in tal modo un’indebita estensione dell’applicazione di tutta la nuova previsione.[123]

Come appena formulato, spetta al reagente fornire la prova degli elementi specializzanti la disciplina ma, diversamente dal solito, non le circostanze relative alla proporzione. La questione orbita in modo alquanto correlato al grado di forza che si da alla presunzione di proporzionalità stessa. Si è già detto come una presunzione iuris et de iure non consenta alcuna prova contraria, ma per i motivi sopra richiamati la riforma non è in grado, nella sua formulazione così come nell’interpretazione volta a ricavarne una norma non in contrasto con l’ordinamento costituzionale, di generare un tale tipo di conseguenza. Sul piano probatorio, può allora divenire molto utile allacciare alla nuova disciplina un diverso carico probatorio, che contempli al proprio interno il riconoscimento di una presunzione relativa e al contempo ne tragga forza per raggiungere l’obiettivo di una più felice interpretazione.[124]

Ma se il nuovo comma introdotto dalla riforma non genera, per gli stessi motivi sopra citati, una presunzione assoluta, nemmeno si può riconoscerle un piano probatorio simile al primo comma, con valutazione della proporzione caso per caso, in quanto il contrasto con la lettera della legge – che inserisce pur sempre una presunzione – sarebbe manifesto, dando inoltre corso ad una poco spiegabile interpretatio abrogans di tutto il secondo comma.

La presunzione semplice e relativa sopra auspicata sarebbe allora in grado di generare un piano probatorio particolare, dove a colui che si è difeso spetta di provare solo l’avverarsi dei requisiti specialistici introdotti dal secondo comma, in particolare quelli relativi alla non desistenza ed al pericolo di aggressione, ma spetterebbe alla pubblica accusa, e ne sarebbe una facoltà in tal modo riconosciutale, l’assumersi il carico probatorio dell’esistenza di una sproporzione, così da superare il limite – oggettivo e a rischio incostituzionalità – di una legittima difesa sempre presente e sempre operante.

Di fronte alla difficoltà di calibrare l’effetto della riforma, ecco allora farsi strada la suddetta via, in grado di evitare sia gli eccessi di una presunzione assoluta sia gli effetti abrogativi di una presunzione da valutarsi caso per caso. L’applicazione di una presunzione relativa avrebbe infatti il privilegio di coniugare le ragioni riformatrici del legislatore con le difficoltà nate dal suo stesso intervento.[125] In virtù di una tale presunzione, la proporzione sarà, qualora ne ricorrano i presupposti, da riconoscersi, ma contro di essa la pubblica accusa potrà provare sia l’esistenza di una sproporzione obiettiva così come l’inesistenza di una proporzione putativa, o comunque la sua causalità a titolo di colpa, per quanto difficile da provare.[126] Sproporzione obiettiva che potrebbe risultare dal non effettivo pericolo per l’incolumità e dalla manifesta sproporzione tra i beni in conflitto, soprattutto a seguito dell’applicazione dell’elemento della necessità inteso come inevitabilità. Necessità che a seguito della riforma è in grado di spiegare meglio le proprie possibilità, generando un limite che non può essere – e da qui la relatività della presunzione – non attentamente valutato, data soprattutto la strettissima interconnessione che da sempre si riconosce fra i requisiti di necessità e proporzione.[127]

 

 

 

 

 

5. Tra profili di incostituzionalità ed una nuova lettura della necessità

 

 

La riforma, attraverso l’introduzione dei commi secondo e terzo, ha disciplinato un diverso sistema di applicazione della scriminante della legittima difesa, inseguendo obiettivi di natura giuridica, di natura dogmatica ed anche processuale. L’intenzione che si rilevava nelle dichiarazioni del legislatore fin dai lavori preparatori era quella di sfruttare l’occasione di un passaggio riformatore per riuscire a mutare l’istituto della scriminante il più possibile, compatibilmente con il tempo a disposizione e le avverse opinioni dell’opposizione.

Tale proposito del legislatore – che si rivelò poi materializzato nell’introduzione di una presunzione di proporzione operante iuris et de iure nelle loro intenzioni e in una più o meno ampia estensione del fondamento della scriminante e dell’uso delle armi – ebbe però il problema di denunciare fin dal principio possibili vizi di incostituzionalità. La censura della Corte costituzionale avrebbe riportato la situazione di operatività della scriminante agli identici e previgenti livelli della legislazione Rocco.

Su di un piano più pratico è infatti da rilevare come l’entrata in vigore della Costituzione introdusse un piano di valori di certo non puramente simbolico. La gerarchia che veniva fissata per mezzo dei suoi articoli distingueva in modo marcato tra diritti della persona e all’incolumità fisica quali il diritto alla vita, e tra diritti patrimoniali quali il diritto di proprietà. Fino ad oggi l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale per consentire un utilizzo della legittima difesa – e di tutte le altre cause di giustificazione – che non violasse il dettato costituzionale sul punto è stata totale. Un esempio molto eloquente della questione è dato dalla vicenda riguardante l’art. 53 c.p. e l’uso legittimo delle armi, che a seguito di entrata in vigore della Costituzione si vide eliminare la presunzione – tacita ed assoluta – che il legislatore aveva introdotto nella sua certezza di predisporre legalmente la prevalenza di un bene rispetto ad un altro, quale l’incolumità dei cittadini.[128] E da qui le preoccupazioni che la riforma, lasciata operante nel suo più ampio svolgersi degli effetti, venga in futuro cassata dalla Corte.

Le difficoltà per la novella iniziarono d’altronde fin dai lavori parlamentari, quando alla Camera fu presentata una questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità. Essa ci introduce nei punti focali del contrasto tra la novella e l’ordinamento costituzionale. Si legge nell’atto come il provvedimento in esame espliciti la proporzionalità e la legittimità dell’uso della violenza per difendere l’incolumità, e parimenti per la difesa di beni patrimoniali, se vi è non desistenza e pericolo d’aggressione, “in particolare, sarebbe lecito l’utilizzo della violenza, con armi di qualsiasi tipo, oltre che per difendere la propria o altrui incolumità, anche quando vi sia il mero pericolo di aggressione a beni di carattere patrimoniale, seppur messa in atto da persona disarmata, solo che non vi sia desistenza da parte dell’aggressore”.[129]

I firmatari della questione pregiudiziale proseguono nella stesura elencando ed argomentando i vari punti di conflitto col sistema costituzionale. Per prima cosa essi dipingono il valore degli articoli 52 e 54 c.p, “il cui testo è stato un preciso punto di riferimento per la predisposizione di norme analoghe in numerosi codici penali stranieri nonché, più in generale, per i più autorevoli studiosi di diritto penale, in Italia e all’estero”, permettendo all’istituto della legittima difesa di affrontare l’introduzione della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo senza il rischio di una relativa illegittimità. Continua la questione dichiarando come “la proposta di legge in esame introduce una irragionevole e incostituzionale presunzione in quanto considera, sempre e comunque, proporzionata all’offesa minacciata la reazione dell’aggredito nei casi in cui il fatto avvenga nel proprio domicilio (o nel suo luogo di lavoro), sottraendo al giudice la possibilità di valutare la proporzionalità tra offesa e difesa e riducendo, quindi, in maniera illogica, le modalità di accertamento dei fatti”. In tale passaggio si notano ampiamente come le preoccupazioni in materia fossero riferite all’operatività di una presunzione in senso assoluto, contrastante col principio di bilanciamento dei beni e con la scala gerarchica degli stessi introdotta dalla Costituzione.

A fronte di tali osservazioni sulla possibilità di reazione e di lesione del bene vita, emerge il successivo punto di discussione, nascente dal contrasto tra la riforma e l’articolo 2, comma 1, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il quale enuncia il principio per cui il diritto di ogni persona alla vita è protetto dalla legge, proseguendo come nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale, pronunziata da un tribunale. Al comma secondo del medesimo articolo è inoltre attribuito il compito di delineare la possibile difesa legittima contro il bene vita: “La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario”, disposizione che sarebbe in grado di attribuire lo status di incostituzionalità ad una riforma che dovesse rendere più agevole il cagionare la morte, e ciò anche ponendo la novella in raffronto all’art. 2 della stessa Costituzione, là dove enuncia il diritto alla vita, in quanto protetto dalla legge. Concludendo, la questione affronta la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, là dove, a seguito della restrizione operata dall’utilizzo dell’ambito domiciliare e degli altri requisiti, decide casi simili in modo differente, oppure il contrario, come “conseguenza dell’equiparazione di comportamenti diversi solo in quanto avvenuti nello stesso luogo”.

Aldilà dei destini della questione pregiudiziale – che la Camera respinse – il suo richiamo conserva un’indubbia utilità per verificare la subitanea preoccupazione di molti circa la legittimità costituzionale della riforma. Ed invero, a costoro non si può dare torto, soprattutto se non si ha l’intenzione di dare seguito a quel fondamentale impegno interpretativo nei capitoli precedenti affrontato, e non ancora terminato, che sia in grado di utilizzare le risorse giuridiche ed interpretative per dotare il nuovo art. 52 di una previsione capace di amalgamarsi senza eccessivi contrasti con il primo comma, con la prassi giurisprudenziale e dottrinale, e con l’ordinamento intero.[130]

Ed allora si nota come l’assetto costituzionale, nei punti sopra richiamati, garantisca uno stato di diritti che la riforma, parzialmente, intacca. A cominciare dall’art. 2 Cost., che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, e che si coniuga indubbiamente con il diritto alla vita stessa e all’incolumità e con l’art. 2 Conv. europea sopra richiamato, che tutelano il bene vita in modo decisamente marcato rispetto agli altri beni, in particolare rispetto a quelli patrimoniali. Essi infatti trovano sì riconoscimento in ambito costituzionale, all’art. 42, ma su di un piano nettamente inferiore e con precisi limiti circa l’utilizzo che se ne può fare.[131] Tali principi hanno indubbiamente condizionato l’interpretazione delle disposizioni dell’ordinamento intero nel corso degli anni, e lo stesso probabilmente accadrà ora, quando la necessità di un’interpretazione pratica della riforma dovrà costruirsi e strutturarsi nel pieno rispetto dei dogmi qui richiamati,  anche a costo di un allontanamento più o meno marcato da quella volontà storica che ha mosso il legislatore.[132]

Estremamente chiara è poi la Convenzione europea con riguardo alla legittima difesa stessa, in quanto al secondo comma dell’art. 2 la cita esplicitamente ove dichiara che la morte non si considera inflitta in violazione del presente articolo quando risulta conseguente ad un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale. Estremamente eloquente risulta quel resosi assolutamente necessario, che rimanda ad un fondamento ad inequivocabile carattere di eccezionalità, seguito dai requisiti della violenza (offesa), illegalità della stessa (ingiustizia), ed assoluta necessità (necessità-inevitabilità). A fronte del raccordo tra art. 2 Cost. e art. 2 Conv. europea dei diritti dell’uomo è possibile ora affermare come la difesa di meri beni patrimoniali per mezzo della lesione del bene vita dell’aggressore sia da considerarsi illecita, e costituzionalmente illegittima la norma che una tale evenienza dovesse prevedere.[133]

Al medesimo risultato è d’obbligo giungere anche a seguito della modifica dell’art. 117 della nostra Costituzione, il cui comma primo subordina la legittima attività legislativa statale e regionale al rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. E se riguardo a tali obblighi internazionali, ma anche comunitari, vi è ancora ampia discussione circa il rango concesso all’interno del nostro ordinamento, è indiscusso che essi formano almeno un pregnante vincolo interpretativo della legislazione ordinaria.[134]

Ed è a tal motivo che si richiamano le interpretazioni compiute nel lungo l’esame della legge n. 59/2006 di cui al capitolo precedente, circa l’analisi dei presupposti applicativi, laddove alla parola del legislatore si è scelto di porre un freno, ad esempio richiedendo particolari interpretazioni degli elementi più importanti quali la necessità di difendere l’incolumità, la non desistenza ed il pericolo d’aggressione, fino a giungere alla chiave interpretativa costituzionalmente orientata di cui ai paragrafi precedenti, relativa alla presunzione di proporzionalità. Ma la vera opera di armonizzazione della nuova previsione legislativa con il dettato costituzionale ed internazionale si basa, oltre che sul riconoscimento dell’introduzione di una presunzione relativa e non assoluta, sull’estensione che ha come oggetto il requisito della necessità.

Tale elemento fondamentale per l’esistenza della legittima difesa era, all’interno del primo comma dell’art 52, compresso dalla presenza del requisito della proporzione, alla cui operatività spettava il compito di mantenere tutto l’istituto su binari di garanzia e legalità, anche costituzionale. Con l’entrata in vigore della riforma e l’introduzione della presunzione riguardante la proporzione, il requisito della necessità è chiamato ad una nuova finalità, consistente nell’operare come valvola di compatibilità tra la riforma e l’ordinamento intero, estendendo la propria efficacia ad ogni campo e circostanza su cui l’istituto getta la propria luce. Ciò avviene proprio grazie ad una interpretazione della necessità in chiave di adeguatezza della difesa e di inevitabilità della stessa, in modo da scoprire illegittime disparità di trattamento in caso di lesione alla vita ed all’incolumità per la difesa di semplici beni patrimoniali, ed in grado di eliminare le conseguenze soggettive nascenti con l’espressione “al fine di difendere” e che richiama un’antigiuridicità sostenuta solamente dall’atteggiamento interiore dell’agente, in contrasto con il principio di materialità.[135] Grazie al requisito della necessità – operante tramite il richiamo a tutta la copiosa dottrina e giurisprudenza in materia come esigibilità della difesa meno lesiva per l’aggressore, in chiave di alternatività, financo al riconoscimento del cosidetto commodus discessus – il giudizio sulla reazione potrà diventare un giudizio di adeguatezza della stessa, in grado di arginare l’operatività della presunzione di proporzione e l’impossibilità per l’organo giudicante di procedere ad una effettiva valutazione delle circostanze in gioco, anche in chiave di una responsabilità a titolo di colpa e di configurabilità della figura dell’eccesso colposo. Con conseguente impossibilità di applicazione della legittima difesa qualora la reazione ponga in essere atti lesivi dell’incolumità altrui, quando ad essere difesi siano solo i beni patrimoniali.[136]

Un ultimo rilievo da segnalare riguarda un ulteriore rischio di incostituzionalità per la riforma e nasce dalla disparità che può generarsi dal riconoscimento di un preciso ambito entro il quale essa è operante, quello definito dal richiamo dell’articolo 614 relativo alla violazione di domicilio, con l’aggiunta del terzo comma riguardante tutti gli ambiti di attività professionale, economica e professionale. A causa di tale limitazione la riforma vedrebbe il profilarsi di un ulteriore scoglio nell’art. 3 della Costituzione, che sancisce l’inviolabile principio di uguaglianza nelle sue molteplici forme. Tale principio, più volte riconosciuto dalla Corte costituzionale come operante a livello generale ed in grado di esercitare la propria influenza in qualsiasi campo e disposizione dell’ordinamento giuridico, vieta di disciplinare – e di giudicare – in modo differente situazioni simili, ed in modo simile situazioni differenti, ove ciò non trovi giustificazione in un’importante ragione seguita da congrua motivazione.[137] E nel caso in questione la legalità della limitazione in ordine a certi luoghi soltanto sarebbe messa a dura prova dal fatto che situazioni molto simili, quali aggressioni alla persona oppure ai beni patrimoniali, verrebbero trattate in modo differente se subite in casa o altro luogo di privata dimora oppure in strada, all’aperto o magari appena fuori casa, e sarebbero trattate diversamente sia dal punto di vista sostanziale che probatorio.[138] Ulteriori difficoltà verrebbero perciò a crearsi notando come nei luoghi esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, la reazione contro aggressioni maggiormente lesive dovrà essere più limitata rispetto ad altre, meno lesive, ma avvenute nell’ambito richiamato dall’art. 614 e dal terzo comma, ivi consentendo una possibilità di reazione – sulla carta – più ampia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. V

 

IL FUTURO DELLA LEGITTIMA DIFESA

 

 

 

1. I commenti del mondo politico, dottrinale e della collettività - 2. Gli obiettivi realmente ottenuti e la rilevanza pratica del nuovo istituto con riguardo alle intenzioni volute dal legislatore - 3. Le prime sentenze post-riforma - 4. Il futuro della legittima difesa: a) La generale importanza della proporzione, la necessità di tutelare le aggresioni domiciliari e la rilevanza di paura o timore b) Una scelta di fondo per la nuova legittima difesa - 5. Conclusioni

 

 

 

1. I commenti del mondo politico, dottrinale e della collettività

 

 

La riforma dell’istituto della legittima difesa è a questo punto una realtà consolidata. Il legislatore è riuscito nel proprio intento di produrre qualcosa di nuovo nel campo dell’autodifesa, senza però porsi l’alto obbiettivo di innovare l’art. 52 in maniera tale da sostituire la precedente disposizione, accontentandosi di legiferare in materia senza l’aiuto di esperti del settore – impegnati negli ultimi anni nelle commissioni di riforma del codice penale – e senza dettare una nuova disciplina piena e compiuta, limitandosi a prevedere l’inserimento di due nuovi commi e lasciando intatta la natura e l’efficacia del previgente primo comma che, nell’arco di settant’anni di vigenza, ha avuto modo di guadagnarsi il titolo di modello di equilibrio. Raggiunto un tale stadio, i primi passi di un’analisi dei commenti alla legge passano inevitabilmente per la strada scelta dal legislatore per la nascita della riforma, e cioè il fatto di aver utilizzato, in un settore tanto problematico quanto quello della disciplina delle cause di giustificazione, la legislazione speciale.

Essa alimenta l’ammodernarsi del diritto in momenti in cui esso – a giusto titolo oppure no – sembra segnare il passo rispetto agli eventi. Innegabilmente più rapida e veloce dei grossi progetti di riforma del codice, essa ha la qualità di puntare direttamente al cuore del problema, là dove il suo intervento viene chiesto, solitamente, da parte della collettività e del mondo politico che ne è espressione. Ma tale tecnica di legislazione non è frutto di una vera e propria maturazione che il diritto stesso compie nel proprio adeguarsi alla vita sociale e giuridica del paese – maturazione lenta ma costante nel suo inequivocabile incedere – ma costituisce piuttosto la facile e sicura risposta agli allarmi che periodicamente, nel nostro come in tutti i paesi, tornano alla ribalta nei più disparati settori, producendo e lasciando una scia d’insoddisfazione generale che ha – solitamente – come obbiettivo proprio il diritto stesso e coloro che lo producono e lo applicano. Ad aggravare ulteriormente la situazione si nota come spesso le leggi speciali nate sull’onda emotiva a seguito di fatti di cronaca siano il prodotto di logiche partitiche che snaturano l’originaria essenza della riforma, che ne modificano la ratio quel poco che basta a far sì che il primario progetto perda in termini di qualità e coerenza, dovendo assogettarsi a logiche di contrattazione fra i vari gruppi politici presenti in Parlamento.[139] Ed in conclusione si nota come spesso esse non siano in grado di amalgamarsi in modo coerente e produttivo all’interno di un ordinamento giuridico, come ad esempio il sistema penalistico italiano, per cui è seguita opinione che le tante leggi speciali emanate negli ultimi decenni – a prescindere dalla loro qualità intrinseca – non abbiano condotto il sistema stesso su di una direttrice univoca e ben definita, ma lo abbiano portato in una direzione frammentaria e disorganica, direzione che è a sua volta causa di antinomie, contraddizioni e generale sfiducia verso il sistema giuridico intero.[140]

I commenti del mondo politico sono stati – come è facile immaginare – i più svariati. Essi sono stati proclamati a gran voce per lo più nelle sedute di Camera e Senato durante il lungo cammino dei lavori parlamentari, e la riforma è stata in quelle occasioni oggetto di bersaglio da parte dei parlamentari dell’opposizione e motivo di soddisfazione per gli esponenti della maggioranza, che hanno portato a termine il loro lavoro consci della forza dei numeri a propria disposizione. L’allora ministro di Giustizia Castelli e gli altri propugnatori hanno avuto modo di esprimere il proprio compiacimento per la nascita della riforma e in più occasioni e in diverse interviste giornalistiche hanno affermato come gli italiani possono da oggi godere di una più ampia tutela, che il diritto alla difesa del proprio domicilio è stato finalmente riconosciuto e che da ora in avanti l’aggressore sarà, finalmente, meno tutelato dell’aggredito.

Ed anche dal punto di vista della collettività è facile immaginare come quelle stesse alte percentuali che nei pochi sondaggi a disposizione chiedevano a gran voce un intervento parlamentare avranno accolto con grande fremito la riforma di questo istituto così particolare. Consci – a grandi linee e a volte in maniera del tutto errata – dei limiti difensivi che la legittima difesa di cui all’art. 52 codice Rocco imponeva, la legge n. 59/2006 dev’essere apparsa come la giusta soluzione – armata – alle aggressioni domiciliari e nei luoghi di lavoro, tutto ciò mentre altra parte della cittadinanza commentava con timore le possibili conseguenze di quella legge – a prima vista – tanto permissiva nell’uso delle armi e della violenza.

Ma il messaggio mediatico partito dalle affermazioni scaturenti dalle dichiarazioni parlamentari, dalle interviste rilasciate in copiosa sequenza alle varie testate giornalistiche, dai servizi televisivi a seguito di fatti di cronaca e persino dalle forti dichiarazioni di una paventata licenza di uccidere da parte delle opposizioni è da ritenersi del tutto sbagliato.[141] Qualunque cosa “l’uomo di strada” abbia inteso grazie ad esso, la portata della nuova legge dev’essere del tutto circoscritta. Essa non è infatti in grado di legittimare un qualsiasi utilizzo delle armi, non è in grado di permettere a priori l’uccisione del rapinatore che abbia intentato una rapina in un negozio, non è in grado di ribaltare l’assetto fra beni personali e beni patrimoniali fissato dalla Costituzione. E la pericolosità di una siffatta cattiva informazione è facilmente intuibile tenendo in considerazione che giustamente i cittadini non possono conoscere tutte le argomentazioni giuridiche svolte dagli esperti del diritto, e il messaggio mediatico recepito in termini così eccessivi rispetto a ciò che verrà dalla riforma mantenuto sarà causa di ulteriori conseguenze.[142]

Innanzitutto è facile immaginare il disappunto che toccherà coloro che avranno creduto in una nuova legittima difesa totalmente rinnovata quando il giudice di turno applicherà la legge seguendo le indicazioni restrittive imposte dalla Costituzione e dai primi studi dottrinali che si stanno via via formando, le loro aspettative verranno probabilmente cancellate dalle prime sentenze in materia. Analogamente accadrà per coloro che, anche se ingiustamente aggrediti e responsabili di una corretta difesa armata, si vedranno sottoporre comunque ad un processo che accerti eventuali colpe e accerti i fatti. Infine, ed è la prospettiva più pericolosa, la credenza di poter più facilmente reagire con le armi produrrà come conseguenza una corsa ad armarsi e ad usare le stesse, col rischio di un aggravarsi dei fatti di sangue determinato anche dalla consapevolezza che colpirà i malviventi, i quali più duramente si prepareranno al colpo.[143]

Differente è invece la presa di posizione del mondo dottrinale. Infatti fin dai lavori preparatori molte sono state le contestazioni che insigni giuristi hanno lanciato contro la riforma, nel tentativo di fermarne il corso. Ed è da rilevare come 48 tra i più importanti giuristi e docenti di diritto e procedura penale abbiano inteso dare un forte segnale comunicando un appello a rinunciare alla riforma in esame, a causa del prevedibile esito di una “maggiore aggressività di una delinquenza, già di per sé agguerrita, consapevole dell’accresciuta aggressività difensiva delle potenziali vittime”, riforme nate in un clima nel quale “non si sa dove finisca l’analfabetismo giuridico e dove inizi la malafede”.[144]

 

 

 

2. Gli obiettivi realmente ottenuti e la rilevanza pratica del nuovo istituto con riguardo alle intenzioni volute dal legislatore

 

 

La nuova disposizione della legittima difesa è stata preparata e promulgata, analizzata e vagliata, scomposta nei suoi minimi termini e ne è nato un primo accenno di interpretazione che continuerà ad espandersi in estensione come in profondità. La legge n. 59 del 2006 ha inteso modificare l’istituto in parola prendendo le mosse da quello che ne è sempre stato il requisito più eclatante e fondamentale, la proporzione. Ma essa, pur avendo nelle intenzioni del legislatore traguardi molto importanti non è riuscita, stante la propria formulazione, a raggiungere quegli obiettivi – peraltro vasti e profondi – come i suoi stessi propugnatori avrebbero voluto. Per questo motivo ora, al termine di un lungo e minuzioso studio dei particolari del nuovo art. 52 c.p., è doveroso chiedersi fino a che punto essa abbia modificato la rilevanza pratica dell’istituto, se essa sia cioè in grado di condurre a sentenze differenti là dove pochi mesi prima le stesse sarebbero state diverse.

A fronte delle modifiche apportate, possiamo dire che la novella legislativa abbia mancato non poco gli obiettivi del legislatore. Gli impegni da esso assunti intendevano modificare l’istituto fin dalle sue fondamenta, intendevano proporre una vera e propria tutela dei propri beni laddove fino a poco fa esisteva soltanto una difesa necessitata, prevista in via eccezionale e non come strumento canonico di risoluzione dei conflitti. E tener fede alle estese affermazioni dalla maggioranza prodotte con una modifica così ridotta, non era strada che potesse in tal modo conseguire alcun risultato. Perciò in via di prima approssimazione si può dire come la riforma non abbia aiutato, se non poco e nei casi più limpidi, l’accertamento giudiziale delle responsabilità del reagente, non abbia esteso se non di poco l’applicabilità dell’istituto e non sia stata in grado – anche qui se non di poco o punto – di arginare la discrezionalità del giudice in materia.[145]

A mio avviso il legislatore difficilmente avrebbe potuto riuscire in un progetto così ampio perché sbagliate ne erano le motivazioni. Solo un’azione legislativa svincolata da esigenze di ricerca del consenso o dal desiderio di dimostrare il proprio generoso impegno nel soddisfacimento della domanda collettiva di giustizia avrebbe potuto produrre una riforma più logica e sensata, più vicina alle proposte già studiate e meditate, adatta ad essere inserita in un settore essenziale e contraddittorio come quello delle cause di giustificazione. Motivazioni politiche che contemplano come una minaccia la diversità di culture o popolazioni diverse dalla nostra, rischiano di far perdere di vista l’essenziale lato giuridico e tecnico che una norma di diritto penale deve possedere. Solo laddove le intenzioni saranno di agire nel rispetto della nostra tradizione e storia giuridica e solo quando strumenti di difesa come l’articolo 52 saranno utilizzati ed aggiornati per la difesa dei diritti di tutti e seguendo logiche giuridiche di uguaglianza e rispetto della Costituzione, allora i tratti di penna del legislatore saranno in grado di condurre il diritto verso una miglior risoluzione dei problemi, anche di quei problemi – certo non facili da risolvere – cui il legislatore del 2006 non è riuscito a rimediare.

A ben vedere il primo difetto da riconoscere alla riforma sta nel fatto che essa si discosta dai progetti che le commissioni nominate hanno preparato nel corso degli ultimi anni.[146] Così la nuova formulazione dell’art. 52 non tiene conto nemmeno dei requisiti prodotti dalle pronunce giurisprudenziali e che avrebbero dovuto essere i primi ad essere introdotti in una qualsiasi riforma, come ad esempio i riferimenti all’utilizzo del commodus discessus e alla produzione non volontaria del pericolo. Questi sono stati i primi elementi di cui davvero si sentiva la mancanza nella previsione originaria dell’art. 52, tanto che l’orientamento giurisprudenziale in materia è andato sempre più consolidandosi.[147] Ancora, e sempre discostandosi dai progetti di riforma dell’intero codice, la novella non è intervenuta modificando il dispositivo dell’art. 52, ma solo aggiungendo due commi, che oltretutto non contenevano elementi in grado di consentire l’operatività di una difesa legittima, speciale e autonoma rispetto a quella generale e canonica, mostrandosi così ben debole nei confronti di quell’orientamento atto a limitarne la portata anche attraverso il richiamo – inevitabile ormai – degli elementi del primo comma, che dispongono a loro vantaggio pure di una larga disamina dei propri limiti e confini compiuta nell’arco di settant’anni di vigenza.[148]

La riforma così come formulata a ben vedere pone seri problemi interpretativi, tanto che all’interprete è lasciata la difficile posizione se seguire da un lato la volontà storica del legislatore – e allora ampliare l’ambito di operatività del secondo comma col rischio di veder incorrere nel prossimo futuro la legge in una sentenza d’incostituzionalità – oppure se affrontare ogni aspetto della novella interpretandolo in senso costituzionalmente orientato evitando censure della Corte e nel mentre cercare di salvare dalla rete dell’interpretazione restrittiva quel che della nuova norma può essere salvato ed applicato. La difficoltà di un’interpretazione conforme alla volontà del legislatore giunge inoltre dalla perplessità che reazioni rientranti nell’ambito del secondo comma possono essere sì compiute in ambito domiciliare, ma nell’arco delle ore diurne. Se uno degli obiettivi della riforma era quello di tutelare il soggetto titolare del domicilio dal cosidetto fur nocturnus, ossia il ladro notturno che nottetempo, compiendo violazione di domicilio, si introduce – armato o meno – nell’abitazione, un ampliamento delle possibilità di difesa tale da giustificare l’uso di una presunzione può essere compreso per le difficili ore notturne, ma non in pieno giorno. Accettando pienamente come il domicilio, soprattutto privato, sia sempre più considerato il centro della tranquillità e della pace della persona e della famiglia intera, si capisce come la riforma abbia speso parte delle proprie forze per tutelare proprio gli aggrediti in tali situazioni. Ma quello che di notte può essere giustificabile, potrebbe non esserlo nel medesimo domicilio privato, ma in pieno giorno. La novella non distingue tra aggressione diurna oppure notturna permettendo alla presunzione di operare nel medesimo modo in entrambi i casi, e la ragionevolezza che impone di considerare in posizione ben più ardua – stante la difficoltà visiva e il timore che da sempre accompagna le ore notturne – l’aggredito dal fur nocturnus, si perde nel momento in cui la stessa è chiamata ad operare di giorno, quando la visibilità è ottima e la vittima non è colta nel sonno.[149] E’ necessario fare bene attenzione al punto in esame, perché il messaggio mediatico sbagliato – eccessivo, per meglio dire – si compone anche di questo problema, là dove intitola la propria riforma “Modifica all’art. 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio”.[150]

Ed è per questo che è possibile notare come sia stato lo stesso legislatore, attraverso un uso improprio della lettera della legge, a costringere colui che è chiamato ad applicare la norma a studiarne un uso più restrittivo, a ricercare – ancor prima che il successo degli obiettivi da tempo dichiarati, ed in parte apprezzabili – un’opportunità di applicazione in linea con il resto dell’ordinamento giuridico, con ciò allontanando da sé le varie accuse di stravolgere nell’applicazione pratica gli intenti normativi del Parlamento.[151]

Prendendo le mosse da tali premesse, si richiamano quelli che erano gli obiettivi e le principali ragioni della riforma. Primo obiettivo dichiarato era di limitare fortemente l’ambito della discrezionalità del giudice. Le critiche mosse al previgente art. 52 c.p. riguardavano il fatto che l’organo giurisdizionale godesse del più ampio potere decisionale in merito ad un davvero ampio spettro di elementi, vale a dire che tutte le circostanze della situazione e tutti i requisiti della disposizione dovevano essere da esso valutati, con particolare riguardo alla zona di confine tra necessità della reazione, proporzione ed eccesso di difesa. Nel tentativo di limitare il potere di valutazione del giudice il legislatore si è mosso introducendo una fattispecie che cercava di fondare la propria operatività su alcuni elementi di nuovo impiego, col risultato che il giudice – o al limite anche solo il pubblico ministero all’interno delle proprie indagini – avrebbe dovuto accertare la semplice presenza di tali elementi e nulla più, perché a tal punto la proporzione sarebbe stata presunta. Forse sarebbe stato preferibile, piuttosto che tentare d’imbrigliare l’autonomia decisionale del giudice – e sempre nell’ambito di una riforma parziale – agire in maniera diversa sulla proporzione, richiedendone ad esempio una manifesta violazione, piuttosto che escluderla del tutto. In tal modo sarebbero stati evitati alcuni rischi di denunce d’incostituzionalità ed il timore di legittimare reazioni completamente eccessive sarebbe stato dimensionato.[152]

Oltre a questo il richiamo degli elementi della non desistenza, del pericolo di aggressione, della legittima presenza nel domicilio e della violazione dello stesso pongono l’autorità giurisdizionale nella posizione di verificare la sussistenza punto per punto dei vari elementi necessari per l’applicazione del secondo comma, elementi che – se rispettati in maniera rigorosa ed abbinati a quelli ancora vigenti al primo comma – giungeranno a far scriminare solo reazioni che anche il primo comma nella sua solitaria esistenza avrebbe probabilmente scriminato, da qui la lecita affermazione che la riforma non è riuscita nel proprio scopo di rendere ben più ampia la difesa domiciliare.[153]

Prendendo in esame il primo del cosidetto “doppio binario” introdotto dal secondo comma del nuovo articolo 52, quello relativo alla difesa dell’incolumità propria o altrui, si nota come la difesa con arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo deve sempre rispettare l’equilibrio di una inevitabilità della reazione e di una sua non sostituibilità con altra difesa meno lesiva, ché altrimenti si legittimerebbe la causazione di qualunque lesione, dato che il disposto della legge legittima sì l’uso dell’arma ma non fa parola alcuna del modo e della gravità di utilizzo della stessa.[154] Perciò il raffronto tra il nuovo art. 52 e il precedente, rivela come in materia di aggressione all’incolumità personale non vi siano ampie differenze tra la nuova previsione e quella da alcuni tanto criticata. Una volta rispettati i requisiti base della necessità della difesa, dell’attualità del pericolo e della non sostituibilità con altra reazione meno lesiva – che limitano fortemente l’inciso riguardante la possibilità di utilizzo di ogni mezzo o arma – la difesa possibile per l’aggredito sarà molto simile in entrambi i casi, a discapito dell’operatività o meno della presunzione di proporzione. Essa sarà in grado di gettare la propria luce sull’utilizzo permissivo di armi o altri mezzi idonei, ma sugli stessi vigileranno gli altri requisiti da sempre riconosciuti a base dell’istituto della difesa legittima.[155]

Avendo riguardo invece del cosidetto “secondo binario”, la difesa diretta alla protezione dei beni propri o altrui può integrare l’attivazione della presunzione di proporzionalità solamente a seguito della presenza di altri due elementi, la non desistenza ed il pericolo d’aggressione. Ma pure l’uso e l’analisi di tali elementi nella direzione di una maggiore precisione della norma che riesca a limitare la discrezionalità del giudice – ciò che è appunto uno degli obiettivi del legislatore – non riesce ad ottenere i risultati sperati. Infatti essi sono sì in grado di precisare meglio quando sia possibile difendere i propri beni sottraendo al giudice la valutazione della proporzione, ma sono anche di così difficile trattazione pratica da richiedere comunque un accertamento probante l’avvenuta persistenza nell’azione criminosa e nel mutamento di essa in un pericolo per l’incolumità personale. Il requisito della non desistenza ad esempio – come specificato al relativo capitolo del presente lavoro – non concede molto sul piano della chiarezza, e se per desistenza si suole intendere la cessazione dell’attività criminosa e la totale aggressione ai beni, anche il semplice ritorno sui propri passi da parte del ladro impedirà all’aggredito di difendersi usando le armi sotto la protezione della presunzione in esame. Ma essendo tale momento di difficile determinazione, ben potrà l’organo giudicante intervenire per accertare se effettivamente il ladro non abbia desistito, tutto ciò senza però lasciare l’aggredito privo di una protezione, in quanto l’articolo 52 comma 1 sarà comunque in grado di operare nei limiti di sussistenza dei propri requisiti.[156] Ed anche il pericolo di aggressione non riesce a garantire una maggiore precisione della norma e con ciò limitare l’operato del giudice, in quanto chiama in causa vari problemi circa l’attualità del pericolo, dato che pericolo di aggressione non coincide a presenza del pericolo stesso. Anche in tale elemento pertanto – per evitare che si consideri come l’introduzione nel proprio domicilio, soprattutto di notte, porti sempre con sé il rischio di un’aggressione ai legittimi domiciliati – sarà necessaria la presenza dell’accertamento giudiziale, il quale assicuri che il pericolo d’aggressione non sia stato del tutto ipotetico, con ciò richiamando una visuale dello stesso più vicina all’attualità che non alla prevedibilità.[157]

Il secondo obiettivo del legislatore era quello di ampliare i confini della legittima difesa. Estenderla quindi anche nelle sue fondamenta, grazie ad una diversa concezione dell’autodifesa. Il titolo della rubrica della nuova legge chiamante in causa l’autotutela in un privato domicilio doveva servire proprio a questo, doveva servire a dimostrare come la novella fosse in grado di introdurre una legittimità della difesa di tutto l’ordinamento giuridico e non solo del diritto di cui si è titolari. In realtà anche questo obiettivo non può dirsi compiuto, perché troppo limitata è la possibilità che la riforma concede ai soggetti aggrediti. Nel nostro ordinamento – anche a seguito della nuova legge – l’istituto della legittima difesa è sempre ancorato alla propria natura di istituto di eccezionale applicazione, a requisiti di scelta della reazione meno lesiva per l’aggressore, alla sentita esigenza di imporre il commodus discessus a chi si trovi nell’imminenza di un pericolo ed alla necessaria presenza di un pericolo anche per l’incolumità personale qualora ad essere aggreditti siano in un primo momento solo i beni. Tutto ciò, sommato al fatto di come il secondo comma non abbia – ripetiamo, nonostante le intenzioni del legislatore – introdotto una nuova fattispecie scriminante del tutto autonoma rispetto alla previgente legittima difesa, è chiaro sintomo del fatto che le fondamenta dell’istituto così come prodotto con il codice Rocco non sono state modificate e perché ciò avvenga l’art. 52 dovrebbe essere completamente trasformato tramite l’introduzione di una nuova – e questa volta realmente efficace – autotutela.

La terza ragione che ha mosso il legislatore riguardava la volontà di evitare a colui che si sia difeso – ed abbia fatto uso della scriminante – le indagini volte ad accertare la situazione concreta e reale, o quantomeno le lunghe vicissitudini di un processo. L’obiettivo in questione si sposa con la volontà di ridurre la discrezionalità del giudice ampliando allo stesso tempo le possibilità di reazione. Colui che verrebbe beneficiato della liceità prodotta dall’art. 52 lo sarebbe immediatamente, grazie alla maggiore precisione della norma e grazie alla presenza della presunzione di proporzionalità. Abbiamo già visto in precedenza come tali innovazioni debbano essere sottoposte a limiti per potersi integrare con l’operatività del primo comma e del dettato costituzionale, così da ridurre le possibilità di aiutare colui che si sia giustamente difeso nel velocizzare l’indispensabile accertamento dei fatti. La questione è di notevole importanza perché si ricollega alla cronica problematica della lunghezza dei processi, tristemente nota nel panorama processuale italiano. Ma di tutti gli obiettivi che la riforma mirava a raggiungere, il presente è quello che più si prestava all’impossibilità del risultato. Come espresso da varie parti fin dai lavori preparatori, la giusta necessità di evitare all’aggredito difesosi un lungo, dispendioso e stressante procedimento giudiziario non poteva avere buona sorte. Ciò perché l’accertamento dei fatti – anche di quegli elementi come la non desistenza ed il pericolo di aggressione – nonostante alcune possibilità di maggiore celerità date dal fatto che la proporzione può essere ora provata solo in negativo come manifesta sproporzionalità della stessa, non può essere eliminato dal riconoscimento della scriminante ex art. 52 c.p., ma dovrà essere sempre presente il vaglio dell’autorità giudiziaria in ordine a tutti i requisiti che la legittima difesa, oggi come prima della riforma, ancora contiene e richiede.[158] Necessità dei processi che viene mantenuta anche a causa del complicato regime probatorio introdotto dalla riforma, per il quale spetterebbe all’aggredito dimostrare l’esistenza delle condizioni necessarie per l’applicazione della scriminante, ma ad esclusione della proporzione, la qual prova – in termini negativi – spetterebbe a causa della relativa presunzione alla pubblica accusa.[159]

A questo punto, se gli obiettivi che il legislatore si era prefisso non possono dirsi compiuti e se la nuova legittima difesa non è atta a scriminare l’uccisione di una persona allo scopo di difendere un bene patrimoniale, è però possibile affermare che i piccoli risultati da essa prodotti sono in grado di ampliare leggermente la difesa dei beni patrimoniali stessi, quando ve ne ricorrano i requisiti, ma senza mai consentire la liceità dell’uccisione del ladro. E’ possibile sostenere che la presunzione di proporzionalità è in grado di rendere un po’ più difficili le condanne dei soggetti aggrediti e reagenti, dato che per farlo si dovrà ricorrere agli altri requisiti caratterizzanti l’istituto.[160] Il messaggio inviato dai propugnatori della norma – ed indirettamente anche da coloro che vi si opponevano – dev’essere utilizzato con molta cura e buon senso dalla collettività e da coloro che, più a rischio a causa della propria attività commerciale, intendono dotarsi di armi e difendere il proprio lavoro utilizzandole, senza credere che l’intervento riformatore abbia spalancato le porte verso indiscriminate reazioni.[161]

Da questo punto di vista, si può oggi – e forse persino maggiormente in futuro al seguito delle prime sentenze della Corte di Cassazione – sostenere come l’istituto della difesa legittima sia ancora saldamente ancorato ai suoi più importanti presupposti di necessità della reazione, ai suoi fondamenti di istituto eccezionale in deroga al potere statuale di repressione della criminalità e di difesa della collettività, ed al valore dei beni contrapposti così come gerarchicamente definiti dalla nostra Costituzione.

 

 

 

3. Le prime sentenze post-riforma

 

 

I concetti espressi finora e con i quali si è tentato da un lato di interpretare e dall’altro di prevedere quale potrà essere l’orientamento della giurisprudenza di fronte alla novella legislativa incontrano una prima conferma nelle ultime sentenze della Corte di Cassazione. Tramite l’analisi e lo studio di esse si potrà capire se già dal primissimo impatto il nuovo art. 52 c.p. avrà modificato le basi dell’istituto oppure se anche la giurisprudenza ne seguirà il percorso di un parziale ridimensionamento. Due le sentenze del supremo collegio prese in esame.

La prima di esse porta la data di qualche mese successiva all’entrata in vigore della riforma, si tratta della sentenza n.32382 del 2006, con la quale la Corte affronta una situazione che costituisce un caso altre volte preso in esame, quello dell’aggressore che, a seguito di un tentativo di furto notturno e datosi alla fuga, viene colpito da un colpo d’arma da fuoco esploso dall’aggredito e perde la vita. Nell’affrontare la questione la Corte di Cassazione ha prima di tutto ribadito i punti fondamentali dell’istituto, ossia l’aggressione ingiusta seguita da una legittima reazione. Entrando nel particolare, la sentenza in esame affronta poi l’impatto della nuova legge, assumendo una posizione che nega l’accettazione acritica della presunzione di proporzionalità. La Corte ritiene infatti che il rapporto tra le due condotte di azione e reazione e l’operatività della presunzione presupponga invariabilmente una verifica concreta delle circostanze, che devono essere esaminate dal punto di vista della necessità come della inevitabilità, e per questo tiene nel più ampio conto le risultanze procedimentali fattuali emerse nei giudizi di merito.[162][…] Dovendosi siffatta valutazione [relativa alla presenza degli elementi introdotti dalla riforma, n.d.A.] pur sempre operare in relazione alla situazione concreta sussistente nel momento in cui si faccia l’uso dell’arma, nella specie, per quanto esplicitato dai giudici del merito e testé richiamato, nel momento in cui l’imputato fece uso di quell’arma, colpendo il fuggitivo (che aveva già guadagnato la strada) alle spalle, più non sussiteva la necessità di difendere la propria o altrui incolumità, e, quanto ai beni, più non sussisteva un pericolo di aggressione e la vittima, dandosi alla fuga, aveva in sostanza desistito dal suo iniziale intento aggressivo”.[163]

Ciò è contenuto all’interno del secondo profilo di censura, al quale la Corte giunge dopo aver riepilogato i fatti e riportato l’accertamento svolto dai giudici di merito. Al termine del sunto essa precisa come le conclusioni al riguardo assunte dalla sentenza impugnata “non sono inficiate o caducate dalla modifica normativa intervenuta con l’art. 1 della L. n. 59/2006”, spiegandone i motivi proprio facendo preciso richiamo alla valutazione tra aggressione e reazione in punto di pericolo attuale, necessità ed inevitabilità.

La presunzione di proporzione non riesce pertanto a porsi quale limite ostativo a qualunque verifica esterna, ed il solo fatto di aver difeso l’incolumità propria o altrui oppure i beni, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione, non implica alcuna immediata non punibilità.

Il secondo provvedimento esaminato porta una data ancora più recente, quella del 23 marzo 2007, e concerne l’impugnazione di una sentenza della Corte d’assise di Palermo, la quale ha confermato la condanna a 12 anni e otto mesi di reclusione all’imputata, ritenuta colpevole dell’omicidio di un’anziana vicina che chiedeva la restituzione di un prestito non sottoposto ad alcun interesse. Al di là degli accertamenti di fatto – i quali denotavano come la vicina assassinata non avesse perpetrato alcuna violazione di domicilio, non avesse avuto le possibilità di offendere fisicamente la più giovane in quanto disarmata, e fosse nella giusta posizione di chiedere la restituzione del prestito sul quale non aveva tenuto alcun comportamento usurario – il profilo giuridico contenuto nella pronuncia relativo alla legittima difesa e riguardante l’applicabilità della riforma dispone che il diritto a tutelare l’inviolabilità del domicilio non possa essere causa sufficiente per invocare l’operatività della riforma, dovendosi privilegiare la dimostrazione di un pericolo di attacco alla persona, confinando l’autotutela del domicilio in posizione successiva rispetto all’accertamento degli altri requisiti dell’istituto, “Quest’ultima norma non consente infatti un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell’ambiente domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un “pericolo di aggressione”. Tale preliminare rilievo rende superfluo l’esame della questione relativa alla configurabilità dell’introduzione mediante inganno per il solo fatto di aver suonato non al citofono esterno pertinente all’abitazione, ma alla porta interna”.[164] La Corte di Cassazione ha in tal modo inteso affermare che la semplice violazione di domicilio non configura come applicabile il secondo comma del nuovo art. 52 – chi si pone contro il diritto per aver violato l’art. 614 c.p. non per questo viene caricato dell’accettazione di qualsiasi reazione da parte del titolare del domicilio, che deve agire sempre nel rispetto degli altri elementi qualificanti l’istituto – ed inoltre la Corte lascia intendere la difficile possibilità di derogare al principio di proporzione tra azione e reazione, che viene mantenuto ancora, nonostante la riforma, a base della scriminante della legittima difesa.[165]

 

 

4. Il futuro della legittima difesa

 

 

Come conclusione del presente lavoro, un ultimo passo è da compiere. Dopo aver analizzato l’art. 52 codice Rocco nella sua totalità, dopo averne evidenziato pregi e difetti e aver introdotto, esaminato e commentato la legge n. 59/2006, lo sguardo volge avanti verso quello che sarà il futuro della legittima difesa.

Non potendo prevedere con certezza – nonostante le opinioni sopra esposte – quale sarà il risultato a lungo termine sulla giurisprudenza dato dalla riforma, e non potendo anticipare se la stessa subirà un sindacato da parte della Corte Costituzionale, è però cosa utile volgere il proprio pensiero alla legittima difesa che potrebbe nascere da un nuovo intervento normativo, e se sarà in grado di modificare l’art. 52 nella sua totalità. Già oggi è al lavoro una nuova commissione che ha come obiettivo – come le precedenti già presiedute da Pagliaro, da Grosso e da Nordio – la riforma completa del codice penale. Non essendo infatti stata la legge 59/2006 una legge riformatrice delle intere cause di giustificazione e quindi una legge di settore, ma soltanto una legislazione che ha inserito due commi all’intoccato primo comma art. 52 c.p., si può affermare come l’intento riformatore in materia non sia terminato. Anzi, è auspicabile che la nuova commissione di riforma riesca a concludere il proprio programma e che la riforma complessiva del codice giunga a buon fine.

 

 

A)   La generale importanza della proporzione, la necessità di tutelare le aggressioni domiciliari e la rilevanza di paura o timore

 

Ma per chiedersi cosa realmente possa giovare all’istituto della legittima difesa, è necessario volgere brevemente lo sguardo verso altri sistemi penali, di altri paesi, per analizzare come essi affrontino la questione, e se contengano disposizioni preferibili o meno a quella dell’ordinamento italiano. Il diritto comparato diventa in questo modo molto utile in sede di riforma, perché mette a disposizione dello studioso una elevatissima quantità di dati e risultati, di soluzioni e tecniche giuridiche diverse. Ma l’indubbia utilità di osservazione del diritto comparato non significa che la norma da costruire dovrà essere il risultato di un saccheggio più o meno accentuato delle diverse forme dispositive presenti negli altri paesi, in quanto è altrettanto indubbio che si dovrà tener ben presente le prassi dottrinali e giurisprudenziali e le caratteristiche processuali e sostanziali del proprio ordinamento, nel quale la nuova norma dovrà operare.[166]

Una veduta d’insieme dimostra come due siano le costanti che spesso s’incontrano nei sistemi legislativi stranieri. Il primo di essi è che la proporzione, espressamente richiamata o meno dalle norme sulle cause di giustificazione, è sempre presente in quegli ordinamenti. Talvolta le disposizioni sulla legittima difesa non la citano, altre volte la chiamano in causa solo in determinate situazioni, altre ancora la escludono in rapporto a particolari circostanze, ma essa rimane sempre un principio generale su cui fare affidamento e che permea la totalità e l’integrità dell’ordinamento. A dimostrazione di ciò, lo stesso legislatore italiano non ha potuto eliminare la proporzione in modo definitivo, ma ne ha contemplato piuttosto una presunzione che, implicitamente e solo riguardo a certe situazioni domiciliari, la riconosce pur come sempre presente. Il suo ruolo fondamentale ed ineliminabile si nota già a partire da un ordinamento penale, quello tedesco, che espressamente non la riconosce. Infatti pur non richiamandola esplicitamente, essa è comunque utilizzata dalla giurisprudenza come limite alle reazioni eccessive, analogamente a quanto avviene in modo ancor più rigoroso nell’esperienza spagnola. Diversamente e come requisito positivo la proporzione è invece riconosciuta dal codice penale svizzero del 1937, il quale la lega all’uso dei “mezzi proporzionati alle circostanze”. Opposta è poi la previsione di cui al codice penale austriaco del 1974, il quale la richiama come limite negativo espresso citando che “l’azione tuttavia non è giustificata quando sia evidente che l’aggredito sia minacciato solo con un danno modesto e la difesa sia inadeguata, specie per la gravità del pregiudizio dell’aggressore necessario per difendersi”, elemento in negativo richiamato anche dal codice penale danese e svedese, mentre quello russo richiede una mancata manifesta corrispondenza al carattere e al grado della pericolosità sociale dell’aggressione. Particolarmente importante per il nostro studio è invece l’esperienza francese, in quanto prevede un sistema simile a quello introdotto con la novella italiana, completo di presunzione di proporzione grazie all’art. 122-6 c.p.: “Si presume che abbia agito in stato di legittima difesa colui che ha compiuto l’atto: 1° per respingere di notte un ingresso in luogo abitato commesso con scasso, violenza o inganno; 2° per difendersi contro gli autori di un furto o un saccheggio posti in essere con violenza”.[167]

A fronte di tale breve disamina si nota come il requisito della proporzione, anche laddove non espressamente chiamato in causa, ha comunque modo di esercitare la propria funzione di ragionevolezza, di bilanciamento tra beni e di uguaglianza, grazie alla giurisprudenza che attraverso il suo uso recupera una vasta gamma di limitazioni etico-sociali al diritto di difesa.[168]

La seconda costante riguarda invece la presenza di ipotesi che eliminano l’illiceità della reazione o semplicemente la scusano, in relazione a particolari motivi di paura ed ansia oppure a causa della difesa del domicilio, soprattutto notturno. In tal modo si dà rilievo a quel turbamento tipico della vittima dell’aggressione, la quale nel nostro sistema non può far conto della propria difficoltà a reagire proporzionatamente a causa di tali effetti astenici, in quanto essi possono essere fatti valere solamente nell’ambito del giudizio valutativo totale dell’organo giurisdizionale sulla situazione, indirizzandolo magari ad una condanna per eccesso colposo. Il riconoscimento dell’importanza di tali effetti tratterebbe un’ipotesi che la teoria dell’imputabilità del nostro ordinamento generalmente non permette, dato che l’art. 90 c.p. enuncia come “Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità” e la Corte di Cassazione precisa: “Gli stati emotivi o passionali, per loro stessa natura, sono tali da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò, tuttavia, per espressa disposizione di legge, possa escludere o diminuire l’imputabilità, occorrendo a tal fine un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure di natura transeunte e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica”.[169]

A fronte sia di tali costanti presenze sia di tali affermazioni, è chiaro come gran parte della domanda di rinnovazione dell’istituto passi attraverso la convinzione che devono essere tenuti in considerazione due elementi: da una lato la difesa del domicilio in caso di aggressioni notturne, dall’altro la paura o il timore che in differente misura non consentono da parte dell’aggredito una corretta valutazione delle circostanze ed una proporzionata reazione.[170]

Ed altrettanto chiare sono le motivazioni per cui essi necessitano, per poter essere introdotti nel nostro ordinamento, di una disposizione che raggiunga il giusto equilibrio tra difesa del domicilio – e qui torna a manifestarsi come fondamentale quella figura del fur nocturnus che nelle diverse epoche ha sempre contraddistinto la possibilità di reazioni più marcate, perché più marcata era la necessità di difendere il proprio domicilio e la propria famiglia – tra difesa permeata da paura o terrore – e qui risaltano quegli effetti astenici che sempre accompagnano le aggressioni – e la necessità di mantenere la legittima difesa come fondata su valori etici e morali alti, quali quelli contenuti nella Costituzione e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

 

 

B)    Una scelta di fondo per la nuova legittima difesa

 

Alla scelta di introdurre nel nostro ordinamento le due eccezioni sopra enunciate, ossia le due costanti che con così tanta frequenza troviamo nei vari ordinamenti stranieri sia moderni che del passato, si aggiunge un’altra scelta di fondo. Essa consiste in un qualcosa di ancor più radicale, perché in grado di scuotere l’istituto sin dalle sue basi, e relativa al fondamento giuridico su cui esso poggia. Chi vorrà rinnovare ulteriormente la nuova legittima difesa dovrà infatti pregiudizalmente accertare – e non potrà esimersi da questo – se il nuovo istituto dovrà abbandonare il proprio fondamento di autodifesa eccezionalmente consentita in deroga all’uso pubblico della forza, quando essa non possa tempestivamente intervenire, per divenire strumento di stabilizzazione e tutela dell’ordinamento e della collettività intera. La legittima difesa come sinora conosciuta inseriva infatti le proprie radici nell’ambito dell’eccezionalità della risposta del cittadino. La coazione e la difesa con l’uso della forza rimanevano esclusivo compito e facoltà dello Stato, attraverso le proprie forze di polizia. Il cittadino aggredito poteva perciò contare, nel momento del tempestivo bisogno, su di una difesa che gli consentisse di evitare che il pericolo imminente si trasformasse in danno, ma non era titolare di alcun diritto di difesa della collettività. Seguendo la seconda ipotesi il cittadino che si difende tutelerebbe invece l’ordinamento giuridico nella sua integrità, e il messaggio rivolto ai cittadini così come ai malviventi sarebbe che egli opera come strumento di giustizia, in virtù di un ufficio pubblico del quale dispone la forza reattiva e, soprattutto, le armi per porla in essere.

Tale ultimo punto di vista incombe nella maggior parte dei paesi come un simbolo dell’era nuova che avanza, nella quale si fa avanti una concezione di matrice neoliberista ove l’iniziativa privata si estende anche nell’uso della forza, mirando a costituire una regola che faccia venir meno l’uso statale della stessa. Di fronte ad una tale situazione – alla quale i propugnatori della riforma hanno accennato in più di una occasione nel corso dei lavori preparatori – lo Stato verrebbe in gran parte delegittimato, finendo per non essere più considerato il centro dei poteri pubblici e di tutela dei valori della Costituzione e della collettività.[171]

 

 

 

5. Conclusioni

 

 

Affrontando le conclusioni del presente lavoro, è necessario prendere posizione una volta di più delle scelte di fondo affermate nel corso della trattazione, per poter poi giungere alla descrizione di una nuova legittima difesa in linea con le operazioni ermeneutiche sopra esposte.

Innanzitutto sarebbe buona cosa aprire una strada per il rinnovamento dell’istituto che sia meno connotata politicamente di quella che ha raggiunto la promulgazione come legge n.59/2006. Lo scontro operato nelle aule parlamentari a seguito della presentazione del relativo disegno di legge ha manifestato il contenuto politico della proposta esponendosi a critiche a mio avviso fondate circa il desiderio di soddisfazione della volontà popolare e di ricerca del consenso, evitando però nella sostanza di prendere in mano le risultanze delle commissioni di riforma del codice penale che già molto avevano dibattuto, ed evitando di rinnovare l’istituto in modo ampio e completo.

Proprio da esse dovrebbe invece muovere una nuova riforma che contenga un nuovo art. 52 c.p.. Pur nella intrinseca difficoltà di portare a termine una tale mole di lavoro e nella laboriosità di concludere il vischioso iter parlamentare, soltanto una riforma che nasca come elaborazione completa dell’ordinamento potrà segnare il passo ed evolvere il diritto penale in una direzione univoca e capace di far fronte ai reali problemi odierni.

Altrettanto corretto pare poi evitare di inserire nel testo di legge riferimenti al legittimo uso delle armi. E’ preferibile strutturare la disposizione consentendo margini più ampi all’aggredito ma senza chiamare in causa alcun uso di armi da sparo, senza rischiare di instillare nel cittadino l’idea che l’ordinamento approvi la detenzione dell’arma – ancorché concessa dietro rigida autorizzazione naturalmente – e ne permetta un uso in termini più estensivi e marcati. Il messaggio mediatico che altrimenti deriverebbe da una tale specificazione dei mezzi di reazione conterrebbe in sé l’alto rischio di favorire la ricerca delle stesse da parte sia dei cittadini sia dei malviventi intenzionati a delinquere.

Oltre a ciò mi par strano e incompleto, ora che si è vicini alla conclusione del lavoro e nonostante siano già state svolte ampie conclusioni, non procedere comunque ad una più precisa ipotesi dell’istituto della legittima difesa, che sia in grado di indicare quantomeno una delle strade percorribili per una nuova formulazione dell’istituto. Il quale dovrebbe continuare ad essere rubricato “Difesa legittima”, e dovrebbe prendere le mosse dall’originale primo comma, mantenuto nella sua essenza di norma generale, precisandone un poco gli elementi e lasciandogli il compito di porre le basi per il fondamento dell’istituto, le cui radici possano così radicarsi nel terreno dell’ordinamento giuridico italiano:

1. Non è punibile chi commette il fatto per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo in atto o imminente o non ancora concluso di un’offesa ingiusta.

In tal modo si pongono le prime premesse per operare quella scelta di fondo così importante che era stata al paragrafo precedente descritta, e relativa al fondamento giuridico della scriminante. E’ mia ferma opinione che esso vada mantenuto all’interno delle sue caratteristiche di eccezionale strumento di difesa qualora non sia possibile chiedere l’intervento della forza pubblica, che deve continuare ad essere la sola detentrice del potere pubblico di difesa dell’ordinamento giuridico violato e della collettività. Scegliendo una strada ad essa contraria si legittimerebbe un privato uso della forza ed un incoraggiamento per la collettività ad armarsi. Inoltre, qualora lo Stato scegliesse di spogliarsi almeno parzialmente di una prerogativa che le è sempre stata propria, invierebbe un segnale di cedimento che non potrebbe non far pensare seriamente al rischio che una tale radicale modifica nell’assetto dei poteri pubblici dia il via ad una serie di ulteriori trasformazioni tutte rivolte nella stessa direzione.

Oltre a questo si crede andrebbero mantenuti nell’impianto di legge i requisiti della necessità di difendere – svincolato però dal riferimento alla costrizione – quale fondamentale elemento che è oggi in grado di arginare le derive eccessivamente lesive introdotte con la legge n.59/2006, del pericolo attuale, coadiuvato da termini in grado di spiegare meglio i limiti cronologici in cui esso rileva, eliminando così il rischio di applicazioni estensive o anticipate dell’istituto e sancendo la legittimità dell’uso della legittima difesa fino a che il danno non si sia definitivamente sedimentato, stante l’operatività anche degli altri requisiti, e infine dell’elemento dell’offesa ingiusta, in quanto idoneo a spiegare i propri effetti nel significato a suo tempo studiato di azione non autorizzata da alcuna norma dell’ordinamento.

Successivamente la reazione difensiva dovrebbe essere meglio specificata tramite l’inserimento del requisito della proporzione della reazione, della non sostituibilità della stessa con altra meno lesiva e del commodus discessus.

2. La reazione difensiva dev’essere proporzionata all’offesa tenuto conto sia dei beni contrapposti, sia dei mezzi utilizzati, sia di ogni circostanza della situazione e tale da non poter essere sostituita con altra ugualmente efficace e meno lesiva, fino all’utilizzo dell’allontanamento dal pericolo quando possa essere attuato senza pregiudizio né all’onore né ai diritti propri o altrui.

Il requisito della proporzione, come si ha avuto modo di dimostrare ampiamente nel corso del presente lavoro, quantunque garante di una discrezionalità a volte eccessiva in mano all’organo giurisdizionale, è elemento fondante la legittima difesa così come poggiata sulle basi che gli sono state qui riconosciute. Come il breve richiamo ai sistemi comparati di diritto penale ha evidenziato, la proporzione è presente ed utilizzata anche laddove non espressamente richiamata, per cui rimane preferibile non separarsene e lasciare che svolga il proprio ruolo di bilanciamento tra beni nel pieno rispetto dei dettami costituzionali. Inoltre, il giudice non può essere spogliato di ogni discrezionalità, ad esso non può essere tolto l’esame relativo ad ogni circostanza della situazione reale. E se ciò è necessario farlo, si dovrà porre la questione in termini di scusa e non di piena giustificazione, e si dovrà limitare l’operato dell’organo giurisdizionale solo di  poche situazioni e di quel tanto che basta a scusare reazioni eccessive prodotte da stati di paura e timore, senza mai desistere però dall’esistenza di un pericolo in atto o imminente – locuzione che meglio descrive, rispetto a quella di attualità, l’estrema vicinanza dello stesso – alla libertà fisica, personale o sessuale. All’opinione qui esposta si aggiunge la descrizione degli elementi da introdurre nella valutazione di proporzionalità, così come avviene all’art. 14 dello schema di legge delega per l’emanazione di un nuovo codice penale, che viene estesa ai beni quanto ai mezzi, fino a ricomprendervi ogni circostanza che qualifica in modo più preciso la situazione reale nella quale il soggetto aggredito si difende.

Coerentemente poi con quanto affermato nei capitoli precedenti si da ampio spazio e rilevanza a quei requisiti che la legislazione previgente non contemplava espressamente e che era necessario ricavare tramite interpretazione. La previsione legilsativa dovrebbe contenere l’esplicito riferimento all’inevitabilità della reazione, quantunque già riconosciuta dalla giurisprudenza, e prevedere che la scelta vada orientata nella direzione della condotta meno lesiva per l’aggressore, fino a prevedere l’applicabilità del commodus discessus. Si ritiene sia preferibile non obbligare l’uso dello stesso a qualunque caso e possibilità, ma prevederne l’utilizzo qualora non vengano lesi diritti oppure l’onore. In tale ultimo caso è bene precisare che ciò non significa dare adito alla reazione a qualunque provocazione, ma semplicemente si intende evitare che al soggetto aggredito sia imposta sempre e comunque la fuga.

Proseguendo nella definizione di una nuova legittima difesa, e procedendo nel non facile tentativo di dare concretezza alle operazioni teoriche svolte nel corso di questo lavoro, si giunge al riconoscimento di un altro requisito prodotto dall’incessante lavoro della giurisprudenza e della dottrina.

3. Il pericolo non dev’essere colpevolmente o volontariamente causato dal soggetto aggredito con una propria condotta precedente.

La causazione non volontaria del pericolo, requisito che l’art. 52 c.p. non ha mai espressamente previsto, è di grande importanza nell’economia della causa di giustificazione. Esso contiene due aspetti della causazione stessa. Il primo riguarda la volontaria e preordinata causazione del pericolo per poter poi utilizzare la scriminante in esame a scopi solo apparentemente difensivi, mentre il vero obiettivo era fin dal principio quello di ledere il diritto di un altro soggetto. Il secondo riguarda invece la causazione del pericolo non preordinata allo scopo offensivo. In tal caso si vuole evitare che chi si ponga coscientemente in posizione di pericolo usufruisca dell’esimente, per cui viene fatta salva la sola causazione incolpevole del pericolo, sulla base di una condotta del soggetto poi aggredito del tutto lecita.[172] Tale soluzione appare preferibile a quella adottata dalle commissioni di riforma Grosso e Nordio, le quali limitavano il requisito espresso della provocazione al solo caso della preordinazione volontaria, così non contemplando espressamente i casi di provocazione semplice, provocazione e rissa, provocazione e duello.

Una volta giunti al presente punto, a seguito di una disposizione a carattere prettamente oggettivo che non modifica i propri rapporti con gli altri due articoli correlati e relativi all’eccesso colposo e alla difesa putativa, è necessario porre un ulteriore elemento di innovazione tenendo finalmente in considerazione quelle due costanti che precedentemente sono state considerate tali nella maggior parte degli ordinamenti penali, ossia la questione relativa all’introduzione notturna nel domicilio – a scopo di furto, rapina o violenza alle persone – e la questione relativa alla difficoltà della reazione data da paura o panico.[173]

Con la seguente ipotesi di introduzione di una scusante si intende inoltre realizzare le direttive contenute nella delega in atto al Governo per la riforma del codice penale, la quale all’art. 15 rubricato “Cause soggettive di esclusione della responsabilità” cita: “1: Prevedere come cause soggettive di esclusione della responsabilità: c) l’eccesso dai limiti della legittima difesa per grave turbamento psichico, timore o panico, in situazioni oggettive di grave pericolo per la vita, per l’integrità fisica, per la libertà personale o per la libertà sessuale di un soggetto aggredito in luoghi isolati o chiusi o comunque di minorata difesa”.[174]

Non si ritiene qui necessario separare il precetto dal resto dell’articolo perché lo si possa qualificare come scusante e non come causa di giustificazione, dato che diverso è l’inciso è scusato, il quale richiama una causa soggettiva di esclusione di responsabilità.

4. E’ scusato chi, per paura o panico, in caso di aggressione notturna e di pericolo in atto o imminente per l’incolumità fisica, personale o sessuale, eccede i limiti di cui ai commi precedenti.

In tal modo si è giunti alla vera innovazione dell’istituto, si è giunti al passaggio cruciale sul quale vengono addossate le responsabilità di far fronte alle richieste di ammodernamento e maggior possibilità di difesa che l’istituto ha ricevuto, introducendo una disposizione che contempli una scusante dai contorni limitati, che tenga conto dello stato soggettivo di paura o panico ma che non li consideri come totalmente estranei dal resto dei requisiti dell’aggressione, soprattutto dal pericolo attuale. La previsione scusante dovrà essere inevitabilmente riduttiva, stante il carattere d’eccezionalità che ancora riveste l’istituto, e dovrà altrettanto necessariamente essere vincolata alla necessità di una difesa, in quanto applicabile solo in presenza di un pericolo ai beni dell’incolumità fisica, personale o sessuale, lasciando all’art. 59 la disciplina della putatività. In tal modo potranno essere scusate con maggior facilità le aggressioni notturne all’interno di un domicilio, purché non esclusivamente rivolte contro beni patrimoniali. Potranno altresì essere scusate reazioni violente ed eccessive poste in essere di notte per strada, ma dovrà anche qui essere presente un pericolo per l’incolumità di cui sopra.

In sostanza la norma non legittima qualunque reazione dell’aggredito, non legittima qualunque ambito putativo di reazione, che continuerà ad essere regolato dal relativo articolo, e non permetterà reazioni indiscriminate senza che un pericolo sia concretamente posto in essere, ma permetterà – laddove sia presente un pericolo notturno per l’incolumità fisica, personale o sessuale – di reagire tenendo conto dello stato d’animo di paura o panico del soggetto aggredito e delle difficoltà di aggressione notturna sia dentro che fuori il domicilio, così da tenere in ben più ampia considerazione le due problematiche costanti di cui sopra. Una tale previsione manterrebbe poi correttamente la difesa eccessiva e scusata dell’aggredito colto da timore o panico in ambito notturno nell’alveo di una obiettiva illiceità, rimarrà costante quel fondo di antigiuridicità che permea di disvalore qualunque condotta sussumibile in un fatto di reato e, perciò, potrà dar vita – qualora ciò non sia impedito dal requisito ivi espresso della non causazione colpevole o volontaria del pericolo – ad una risposta in legittima difesa del primo aggressore.[175]

Un tale tipo di difesa permetterebbe di non citare l’uso di armi, di non lanciare perciò messaggi mediatici sbagliati, come invece disposizioni come quella contenuta nella legge n. 59/2006 ed anche nel progetto Nordio – ricordando la disposizione inserita nell’art. 31 relativo all’uso legittimo delle armi – hanno fatto, aprendo così al rischio di un ampio desiderio di detenzione di un’arma e gettando sulla collettività l’ombra di un ragionamento per il quale l’ordinamento giuridico sarebbe maggiormente orientato a legittimare condotte reattive con armi da fuoco. Per queste motivazioni si pensa non debbano essere accolti i pensieri che l’autore Viganò Francesco dall’alto della sua autorità espone in una propria opera, nella quale inserisce anche un progetto di art. 52 c.p.[176] L’autore in parola espone i propri dubbi circa la convenienza di utilizzare una disposizione con efficacia scusante, in quanto ciò attuerebbe una sostanziale impunità del reagente, col rischio di lanciare – agli occhi della collettività, non rotta agli approfondimenti giuridici – un messaggio di liceità della reazione eccessiva, col rischio di giungere a scusare perfino eccessi dolosi, ed un incentivo a porre in essere simili reazioni. A fronte di ciò mi sembra opportuno notare come la scusante da introdurre potrebbe sì incorrere in tali difficoltà, ma per evitarlo essa dovrebbe essere ben legata alla presenza di situazioni particolari come l’ambito notturno, del quale è caratteristica quasi inscindibile la paura o il panico, e soprattutto alla presenza di un pericolo in atto o imminente per l’incolumità fisica, personale o sessuale, che garantirebbe l’applicabilità della previsione da un utilizzo della stessa eccessivamente ampio e in particolare la garantirebbe dagli attacchi a beni patrimoniali, che continuerebbero ad essere regolati dai commi precedenti. La soluzione in parola non intende infatti porsi come risoluzione del problema di qualsiasi eccesso, in particolare di quello doloso, ma solo di quell’eccesso che colpisce nelle situazioni indicate e a causa di paura o panico, sia esso colpevole o incolpevole. Mentre chi reagisce correttamente prefigurandosi una condotta eccessiva e portandola poi in atto, al di fuori di un turbamento psichico riconducibile a paura o panico rilevabile dal giudice e al di fuori di un pericolo come sopra descritto, non potrebbe essere nemmeno scusato, in quanto la presenza del pericolo è condizione necessaria dell’operatività della scusante, la quale non si pone come strumento di impunità, ma solo come sollievo da pena per chi abbia subito un grave turbamento psichico – non determinato da rabbia o vendetta – al momento della reazione. La reazione a fronte di pericolo di lesione ai beni patrimoniali ed in caso di qualsiasi altra aggressione diurna sarebbe ancora regolata dalla causa di giustificazione della legittima difesa, e qui la particolarità introdotta dal Viganò nel progetto da lui ipotizzato potrebbe accorrere in aiuto per non giungere nel caso ad una condanna per fatto doloso sentita come troppo rigida dalla collettività. Egli propone una disposizione che limita fortemente – fino a tre quarti – quella normalmente prevista per il reato compiuto, così da limitare la punibilità del reagente che abbia lesionato in modo eccessivo l’aggressore. Secondo un calcolo delle attenuanti che chiama in causa anche la necessaria scelta del rito adatto, pure in caso di omicidio si giungerebbe ad una condanna inferiore ai tre anni. Secondo l’autore in tal modo si sottolineerebbe la riprovazione del fatto da parte dell’ordinamento e si giungerebbe comunque ad una pena molto ridotta. Ma lasciare che un tale tipo di disposizione costituisca l’unica eccezione alla legittima difesa ordinaria sembra non sia sufficiente ad affrontare le due costanti di cui sopra. Inoltre il messaggio che si darebbe, cioè quello di una reazione dolosa eccessiva sempre ridotta, mi pare richiami un uso dell’istituto estremamente equitativo ed in grado di far perdere di vista il fondamento dello stesso.

Nel quadro proposto nel presente lavoro, il giudice sarà comunque chiamato ad accertare i presupposti di funzionamento dell’istituto, dovrà esaminare gli elementi della situazione e non vi sarà alcuna presunzione operante, né il rischio di vedere legittimata l’uccisione del semplice ladro. La legittima difesa non subirà mutamenti di enorme respiro e non vedrà modificata la propria impostazione di base. Non verranno legittimati usi impropri di armi o presunzioni di alcun genere, il giudizio di base rimarrà saldamente ancorato ai classici presupposti dell’offesa e della difesa ed il giudice non subirà una menomazione della propria discrezionalità nel constatare le circostanze della situazione, ma sarà meglio definito l’ambito di giustificazione da un lato e di scusa dall’altro.

 

 

Al termine di un lungo percorso incominciato con la promulgazione del codice penale del 1930, dopo aver analizzato più di settant’anni di prassi dottrinali e giurisprudenziali in materia, dopo aver scoperto e commentato la riforma consistente nella legge n.59 del 2006, si è tentato anche, sulla base dei risultati raggiunti, di affrontare un difficile obiettivo, quello di definire le qualità e le caratteristiche di una legittima difesa del prossimo futuro, una legittima difesa che tragga la propria forza dagli orientamenti consolidati ma che accolga nel proprio seno un tentativo di soluzione delle principali problematiche sentite anche nella quasi totalità degli ordinamenti stranieri. Una legittima difesa che sia rispettosa della Costituzione del nostro paese e che rispetti il valore della persona riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In un tal quadro la proposta qui presentata si affianca alle altre esposte da importanti autori, le quali a volte differentemente a volte similmente tutte cercano di far fronte ai medesimi problemi, pur con l’utilizzo di differenti strumenti.

L’istituto della legittima difesa attende oggi le ulteriori risultanze concrete della giurisprudenza a fronte della riforma, attende il lavoro della commissione di riforma del codice penale da poco formata e guidata dall’Avv. Giuliano Pisapia.

Attende che la propria natura di istituto naturale, di legge insita nell’uomo, di cosciente difesa della propria persona e dei propri diritti continui ad essere attuata all’interno di un ordinamento civile e progredito, lontano da pericolose ideologie violente e falsamente ugualitarie, e nel pieno rispetto dei valori sanciti dalla nostra Costituzione.

 


[1] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, la cronaca fa oscillare il confine, in Diritto e Giustizia, 2004, fasc. 32, 65; Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 52; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 249; Musco E., in Diritto e Giustizia on line, 20.4.2004; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 460.

[2] Dalia A., in M@G City, 23.4.2004, quotidiano telematico dell’Università Cattolica di Milano; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 10.

[3] Intini A., Legittima difesa, rischi di sproporzione. Quel generico “pericolo di aggressione”, in Diritto e giustizia, 2005, fasc. 34, 111.

[4] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2018, 2030 s.

[5] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 59.

[6] Per l’analisi delle questioni riguardanti i singoli punti si rinvia alle relative trattazioni nella prima parte del presente lavoro.

[7] Per la documentazione relativa si rinvia infra ai lavori preparatori la legge n° 59/2006.

[8] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 1394.

[9] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 461 s.; Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 833.

[10] Grosso C.F., La “necessità” e la “proporzione”: elementi essenziali della difesa legittima, in I diritti dell’uomo, cronache e battaglie, 2004, fasc. II, 69.

[11] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 59.

[12] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1377; Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 52.

[13] Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, cit., 59.

[14] Né la borsa né la vita, in Panorama, 29 aprile 2004, 64 ss.

[15] Cadoppi A., <Si nox furtum>, cit., 1397 s.

[16] Intini A., Legittima difesa, rischi di sproporzione, cit., 111.

[17] Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 433 s.; Viganò F., Spunti, cit., 2033.

[18] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 432 s.

[19] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 448.

[20] Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 17; Grosso C.F., La “necessità” e la “proporzione”, cit., 69; Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3067.

[21] Padovani T., Una introduzione al progetto di parte generale della commissione Nordio, in Cass. pen., 2005, 2843.

[22] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2003.

[23] Sito Internet: www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/art_pagliaro.htm

[24] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 280.

[25] Pierdonati M., La proporzione nella difesa legittima: il “momento” e la “base” del giudizio, in Indice penale, 2003, I, nota a pagina 623.

[26] Magri R., Legittima difesa: proporzionalità tra difesa e offesa, in www.unibg.it, sito dell’Università di Bergamo; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 280.

[27] Pierdonati M., La proporzione nella difesa legittima, cit., nota a pagina 623.

[28] Sito Internet del Ministero della Giustizia:

http://www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/comm-grosso3-art.htm#t6

[29] Sito Internet: Relazione Grosso – Siciliano – Silvestri in tema di cause di giustificazione:

http://www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/5-cause_giustif.htm

[30] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 281 s.; Magri R., Legittima difesa, cit. sito Internet.

[31] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 282; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II,  nota a pagina 1410.

[32] Grosso C.F., Voce Legittima difesa in Enciclopedia del diritto, vol. XXIV, 32.

[33] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 282 s.; Viganò F., Spunti, cit., 2064.

[34] Grosso C.F., Il requisito della produzione non volontaria del pericolo nello stato di necessità e nella legittima difesa in Studi in onore di Francesco Antolisei, vol. II, Giuffrè, Milano, 1965, 63 s.

[35] Sito Internet della relazione speciale della sotto-commissione Grosso, Siciliano, Silvestri sulle cause di giustificazione:  http://www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/5-cause_giustif.htm

[36] Relazione del “ progetto di codice penale della commissione Nordio”, in Cass. pen., 2005, 244.

[37] Relazione del “ progetto di codice penale della commissione Nordio”, cit., 255.

[38] Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 55.

[39] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 284; Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 23 s.

[40] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 285.

[41] Lo Monte E., Osservazioni, cit., 25.

[42] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1408; Lo Monte E., Osservazioni, cit., 27.

[43] Pagliaro A., Il reato nel progetto della commissione Nordio, in Cass. pen., 2005, 14; Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 966.

[44] Padovani T., Una introduzione al progetto, cit., 2852; Lo Monte E., Osservazioni, cit., 27.

[45] Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 95.

[46] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2007 s.

[47] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 190; Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 433.

[48] Relazione al D.d.l. n. 1899.

[49] Intervento del relatore On. Guido Giuseppe Rossi del 28 novembre 2005.

[50] Intervento del sen. Gubetti del 19 ottobre 2004.

[51] Vedi cap. V di questo lavoro, relativo al requisito della proporzione.

[52] Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 960 s.

[53] Giunta F., Nuovi e vecchi orizzonti per la legittima difesa, in Critica del diritto, 2005, 298; Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 837.

[54] Viganò F., Spunti, cit., 2018; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 1049.

[55] Militello V., La proporzione, cit., 833.

[56] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 190.

[57] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 257; Pezzella V., Autotutela (armata) del cittadino, la cronaca fa oscillare il confine, in Diritto e Giustizia, 2004, fasc. 32, 57, 65.

[58] Cass., n. 20727/2003.

[59] Cass., sez. II, 7.7.2004 – 24.9.2004, n. 37960.

[60] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 192; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 961.

[61] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1396; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 193 s.; Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 434.

[62] Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3069.

[63] Intervento dell’on. Anna Finocchiaro del 23 gennaio 2006.

[64] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 296.

[65] Intervento dell’on. Perrotta del 25 novembre 2005.

[66] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 198.

[67] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 199.

[68] Intervento del sen. Danieli.

[69] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., nota a pagina 200, nota a pagina 231.

[70] Interventi del sen. Fassone e sen. Brutti (Ds) del 23 gennaio 2006; Intervento dell’on. Zaccaria (Margherita) del 23 gennaio 2006; Interventi degli on. Pisapia, Soda (Ds) e Fanfani (margherita) del 24 gennaio 2006.

[71] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 202; Militello V., La proporzione, cit., 858.

[72] Art. 614 c.p.: 1. Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni. 2. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto ad escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. […].

[73] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 435 s.; Cipolla P., Modifica ex l. n. 59 del 2006 all’art.52 c.p. in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio, in Giurisprudenza di merito, 2006, VI, 1372; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 274 s.; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 968; Siciliano D., Il pericolo d’aggressione: la legittima difesa al Senato, in Studium Iuris, 2005, 1120.

[74] Cass. pen., sez. V, 26.10.1983, Logiudice, in Giustizia it., 1984, II, c. 462 s., c. 463

[75] Cass. pen., sez. VI, 10.1.1985, Bassi, in Giust. pen., 1986, II, c.34.

[76] Pisa P., La legittima difesa tra Far West  ed Europa, in Diritto penale e processo, 2004, II, 798.

[77] Forte G., I nuovi confini, cit., nota a p. 3075.

[78] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 968; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 205.

[79] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 464; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 205.

[80] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 969.

[81] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 205; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 53.

[82] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 464; Cipolla P., Modifica, cit., 1372.

[83] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436 s.; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 206; Cipolla P., Modifica, cit., 1372.

[84] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 464; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 969.

[85] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 270 s.

[86] Forte G., I nuovi confini, cit., 3076; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 207.

[87] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 465.

[88] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 970; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 437; Intini A., Legittima difesa, rischi di sproporzione. Quel generico “pericolo di aggressione”, in Diritto e giustizia, 2005, fasc. 34, 112; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 208; Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 54.

[89] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 971.

[90] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., nota a p. 209.

[91] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 438.

[92] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 972; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 56; Flora G., Brevi riflessioni, cit., 466; Siciliano D., Il pericolo d’aggressione, cit., 1120.

[93] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 210 s.

[94] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 209.

[95] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 973; Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 97; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077.

[96] Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 56; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 213; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 438; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 973; Militello V., La proporzione, cit., 852.

[97] Intini A., Legittima difesa, rischi di sproporzione, cit., 112.

[98] Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 23; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 217.

[99] Intervento del sen. Ziccone del 6 ottobre 2004.

[100] Assemblea del Senato, seduta del 6.10.2004, res. sten. n. 668, 21 s.

[101] Intervento del sen. Bobbio del 6 Luglio 2005.

[102] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 221 s.; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 436.

[103] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 224.

[104] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 463.

[105] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 961; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 52; Cipolla P., Modifica, cit., 1374.

[106] Militello V., La proporzione, cit., 838.

[107] Marra G., Legittima difesa, cit., 96; Mantovani F., Diritto penale, cit., 441; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Flora G., Brevi riflessioni, cit., 465; Cipolla P., Modifica, cit., 1374.

[108] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 434 s.; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 192 s.

[109] Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 961.

[110] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 202 s.; Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 858 s.; Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3077; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 462 s.

[111] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203.

[112] Padovani T., Un modello di equilibrio normativo minato da ambiguità e incertezze, in Guida al diritto, 2006, XIII, 52, 55; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 965; Per il progetto Nordio, vedi cap. X par. 4 del presente lavoro.

[113] Militello V., La proporzione, cit., 856 s.; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 439.

[114] Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 96.

[115] Militello V., La proporzione, cit., 859; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203.

[116] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 462, 465; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 202 s.; Militello V., La proporzione, cit., 858; Cipolla P., Modifica ex l. n. 59 del 2006 all’art.52 c.p. in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio, in Giurisprudenza di merito, 2006, VI, 1371; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 964; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 436.

[117] Militello V., La proporzione, cit., 858; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 445 s.; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203.

[118] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077.

[119] Cass.  pen., sez. I, 10.5.2005, n. 17637.

[120] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Cipolla P., Modifica, cit., 1371; Amato G., Non c’è il temuto “strappo” nel sistema, in Guida al diritto, 2006, XIII, 61; Marra G., Legittima difesa, cit., 98.

[121] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 443; Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 438.

[122] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077.

[123] Marra G., Legittima difesa, cit., 98; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 974; Militello V., La proporzione, cit., 857; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 216; Giunta F., Nuovi e vecchi orizzonti per la legittima difesa, in Critica del diritto, 2005, 299.

[124] Militello V., La proporzione, cit., 856 s.; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 444.

[125] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 445.

[126] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077 s.

[127] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 203; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 444; Amato G., Non c’è il temuto, cit., 60 s.

[128] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 443; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare (c.d. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e poco arrosto, in Diritto penale e processo, 2006, IV, 438. Vedi supra par. 3.

[129] Questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità, sito internet www.camera.it.

[130] Vedi cap. V, par. 5 del presente lavoro.

[131] Dolcini E., La riforma della legittima difesa: leggi “sacrosante” e sacro valore della vita umana, in Diritto penale e processo, 2006, IV, 433; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975; Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 443; Militello V., La proporzione, cit., 862; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 214 s.

[132] Siciliano D., Il pericolo d’aggressione: la legittima difesa al Senato, in Studium Iuris, 2005, 1119; Padovani T., Un modello di equilibrio, cit., 56; Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 293 s.

[133] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 463; Siciliano D., Il pericolo d’aggressione, cit., 1121; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 440; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975; Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2037 s.

[134] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 214, nota a pag. 215; Viganò F., Spunti, cit., 2042; Militello V., La proporzione, cit., 861; Cipolla P., Modifica, cit., 1374; Siciliano D., Il pericolo d’aggressione, cit., 1122.

[135] Flora G., Brevi riflessioni, cit., 463.

[136] Militello V., La proporzione, cit., 860, 862; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 206, 218; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 438; Marra G., Legittima difesa, cit., 96; Vicari A., La rinnovata legittima difesa. I ragionevoli dubbi dell’uomo di strada, in Rivista di polizia, 2006, 374 s.; Forte G., I nuovi confini, cit., 3076.

[137] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 295.

[138] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 269.

[139] Militello V., La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 828.

[140] Forte G., I nuovi confini della legittima difesa, in Cass. pen., 2006, 3066; Lo Monte E., Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì “giù le mani dal codice Rocco”, in Critica del diritto, 2005, I, 15, 18; Mantovani F., Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 433.

[141] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 230; Dolcini E., La riforma della legittima difesa: leggi “sacrosante” e sacro valore della vita umana, in Diritto penale e processo, 2006, IV, 440; Flora G., Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 463; Gargani A., Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 975; Cipolla P., Modifica ex l. n. 59 del 2006 all’art.52 c.p. in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio, in Giurisprudenza di merito, 2006, VI, 274.

[142] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 433; Forte G., I nuovi confini, cit., 3067.

[143] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 230 s.

[144] Dolcini E., La riforma, cit., 433; Marra G., Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. VI, 95; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 265; Militello V., La proporzione, cit., 850; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975.

[145] Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare (c.d. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e poco arrosto, in Diritto penale e processo, 2006, IV, 440; Forte G., I nuovi confini, cit., 3078; Marra G., Legittima difesa, cit., 97; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 225 s.; Amato G., Non c’è il temuto “strappo” nel sistema, in Guida al diritto, 2006, XIII, 61; Cipolla P., Modifica, cit., 1373 s.; Vicari A., La rinnovata legittima difesa. I ragionevoli dubbi dell’uomo di strada, in Rivista di polizia, 2006, 380 s.

[146] Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 296 s.

[147] Cipolla P., Modifica, cit., 1374.

[148] Militello V., La proporzione, cit., 826.

[149] Militello V., La proporzione, cit., 850 s.

[150] Cremonesi L., Quella legittima difesa stile Far West. Cittadino-sceriffo in casa e in azienda, in Diritto e Giustizia, 2005, fasc. XXX, 107; Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 250 s.

[151] Militello V., La proporzione, cit., 861; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 228 s.; Forte G., I nuovi confini, cit., 3066.

[152] Forte G., I nuovi confini, cit., 3077; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 437 s.

[153] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 227; Marra G., Legittima difesa, cit., 98; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 439.

[154] Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 438.

[155] Marra G., Legittima difesa, cit., 96; Cipolla P., Modifica, cit., 1373.

[156] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 219.

[157] Militello V., La proporzione, cit., 853; Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 219; Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 440; Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 975; Marra G., Legittima difesa, cit., 97; Amato G., Non c’è il temuto, cit., 60.

[158] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., 228; Marra G., Legittima difesa, cit., 98; Cipolla P., Modifica, cit., 1373.

[159] Gargani A., Il diritto di autotutela, cit., 974.

[160] Mantovani F., Legittima difesa comune, cit., 445.

[161] Cadoppi A., La legittima difesa domiciliare, cit., 440; Cipolla P., Modifica, cit., 1375.

[162] Zaina C. A., nota a sentenza Cass. pen., sez. IV, 29.9.2006, n. 32282, sito internet www.altalex.com.

[163] Cass. pen., sez. IV, 29.9.2006, n. 32282.

[164] Cass. pen., sez. I, 23.3.2007, n. 12466.

[165] Zaina C. A., nota a sentenza Cass. pen., sez. I, 23.3.2007, n. 12466, sito internet www.altalex.com.

[166] Viganò F., Spunti per un <progetto alternativo> di riforma della legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, 2021 s.;

[167] Per una disamina comparatistica cfr: Zaina C.A., La nuova legittima difesa, cit., 299 s.; Militello V., La proporzione, cit., 841 s.

[168] Viganò F., Spunti, cit., nota a pag. 2021; Pisa P., La legittima difesa tra Far West  ed Europa, in Diritto penale e processo, 2004, II, 798.

[169] Cass., sez. I, 27.1.1998, n. 967, Giordano, in Cass. pen., 1999, 156.

[170] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto>. Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E., Paliero C.E., 2006, Milano, vol. II, 1401.

[171] Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, 199 s.

[172] Viganò F., Spunti, cit., 2070 s.

[173] Cadoppi A., <Si nox furtum faxit>, cit., 1401.

[174] Schema di disegno di legge recante delega legislativa

[175] Viganò F., Spunti, cit., 2070 s.

[176] Viganò F., Spunti, cit., 2058 s.; 2062 s.



© Diritto - Concorsi & Professioni - riproduzione vietata