Consiglio di Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904, in materia di
ordinanza contingibile ed urgente e di giurisdizione di merito del G. A.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4550/1995 proposto dal comune di Mediglia,
in persona del sindaco in carica,
rappresentato e difeso dagli Avvocati Giovanni Mariotti ed Enrico Romanelli,
presso il secondo
elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria n. 5;
CONTRO
Giuseppe Gimondi ed Isolina Pesenti Barili, ved. Gimondi, rappresentati
e difesi dagli av.ti Bassano
Baroni ed Eugenio Merlino p resso il secondo elettivamente domiciliati
in Roma, Via A. Genovesi n. 3;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia,
Prima Sezione, 28 aprile 1994, n.
899.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 6 febbraio 2001, il Consigliere Marco
Lipari;
Uditi gli avv.ti Romanelli e Merlino;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dagli attuali appellati,
Signori Giuseppe Gimondi ed
Isolina Pesenti Barili, ved. Gimondi, contro l’ordinanza 22 dicembre
1988, n. 298, adottata dal sindaco di
Mediglia, avente ad oggetto la “messa in sicurezza” e la bonifica di
un’area adibita, secondo
l’amministrazione, a “discarica abusiva”.
Il comune appellante censura la decisione del tribunale, deducendo l’infondatezza
dell’originario ricorso.
Le parti appellate resistono al gravame.
DIRITTO
1.L’amministrazione appellante propone un unico motivo
di gravame, censurando la sentenza del
tribunale, nella parte in cui ha giudicato
non sufficientemente motivata l’ordinanza impugnata, con
particolare riguardo alla omessa individuazione
del concreto pericolo per la salute e per l’igiene
pubblica.
A sostegno del gravame, il comune espone che:
a partire dal 1986, in esecuzione di un’ordinanza
del Ministero per il coordinamento della protezione
civile, emanata in seguito al ritrovamento
di alcune sostanze tossiche e nocive, l’amministrazione
comunale aveva avviato una complessa azione
per il recupero delle zone rivierasche del fiume
Lambro;
tale attività comprendeva anche il
censimento delle discariche abusive situate nel territorio comunale;
in data 13 maggio 1986, in località
Ca’ del Lambro, in un’area di proprietà degli attuali appellati,
ubicata in riva al fiume Lambro, erano stati
rinvenuti, interrati in riva al fiume, diversi contenitori
metallici ripieni di prodotti chimici;
con note n. 3629 e n. 3630, il sindaco informava
del fatto il pretore di Lodi ed il settore ambiente
della provincia di Milano, evidenziando che,
in base al rilevamento compiuto dal vigile accertatore, i
rifiuti ritrovati erano di “marcata prevalenza
industriale di tipo solido e non biodegradabile”;
con ordinanza del 13 maggio 1986, il sindaco
disponeva la recinzione dell’area e la rimozione dei
rifiuti;
le successive indagini svolte evidenziavano
il collegamento con un’industria chimica di Melegnano;
con lettera del 18 giugno 1986, i proprietari
dichiaravano al comune che la situazione dei luoghi
derivava , che avevano “l’unico scopo di rinforzare
l’argine del fiume Lambro in modo da fermare la
continua erosione dello stesso in direzione
della Cascina;
con nota del 30 aprile 1987, il settore servizi
tecnici della Provincia di Milano trasmetteva al comune
di Mediglia i risultati dei sopralluoghi effettuati,
che confermavano la presenza di fusti metallici
interrati, e chiedeva l’adozione di un’ordinanza
nei confronti dei proprietari, al fine di effettuare i
necessari ed indifferibili sondaggi nel terreno;
in data 6 maggio 1987, l’amministrazione procedeva
al campionamento delle sostanze rinvenute,
costituite da una parte liquida e da una parte
solida trasparente;
in seguito all’ordinanza n. 4042/DC/ab del
1 giugno 1987, venivano effettuati gli scavi nell’area, da
cui risultava che “sotto uno strato di circa
30 cm di terreno di coltura è presente del materiale di
riporto costituito prevalentemente da materiali
inerti di demolizione, rifiuti solidi urbani, nonché di
rifiuti di matrice industriale. La presenza
di questi ultimi è stata dimostrata da rinvenimento di alcuni
fusti deteriorati contenente materiale in
parte solidificato ed in parte simile, per l’aspetto fisico, a
fanghi industriali”;
l’amministrazione provinciale, all’esito degli
accertamenti, concludeva nel senso di ritenere
“auspicabile che il comune “imponga alla proprietà
la presentazione di un piano di bonifica dell’area
stessa, previa acquisizione dei reperti analitici
dei campioni da prelevarsi da parte dell’Unità sanitaria
locale”;
in data 18 novembre 1987 l’USL comunicava
i referti delle analisi effettuate, da cui emergeva la
massiccia presenza di materiali metallici
ferrosi e di altro materiale di natura organica, classificato
come resina sintetica termoindurente.
2.Con il provvedimento impugnato in primo grado, il sindaco
del comune di Mediglia ordinava ai
proprietari dell’area di provvedere:
a.alla presentazione di un piano di bonifica complessivo
dell’area interessata dalla discarica;
b.successivamente all’approvazione del piano suddetto
da parte degli Enti preposti, allo sgombero dei
materiali di matrice industriale e quelli
di rifiuti solidi urbani, alla relativa messa in sicurezza e
conseguente bonifica generale.
3.Secondo l’amministrazione, la pronuncia di primo grado
è errata, in quanto:
I.l’ordinanza si basa su un’istruttoria ampia ed attenta,
la quale, pure in considerazione dell’esiguità
dei mezzi tecnici a disposizione del comune,
ha portato ad accertare la grave situazione di pericolo
per l’ambiente, l’igiene e la sanità
pubblica;
II.il potere di ordinanza del sindaco ha come suo presupposto
l’esistenza di una situazione attuale di
urgente necessità, la cui valutazione
è rimessa all’approvazione discrezionale del sindaco;
III.il potere di ordinanza può legittimamente svolgersi
anche in relazione ad una situazione di pericolo
già esistente da tempo.
L’appello è infondato, in relazione
a tutti i profili in cui esso si articola.
4.Il provvedimento sindacale impugnato in primo grado si
basa sulla previsione contenuta nell’articolo
38, comma 2, della legge n. 142/1990, in forza
del quale “il sindaco, quale ufficiale del Governo,
adotta, con atto motivato e nel rispetto dei
princìpi generali dell'ordinamento giuridico,
provvedimenti contingibili e urgenti in materia
di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine
di prevenire ed eliminare gravi pericoli che
minacciano l'incolumità dei cittadini; per
l'esecuzione dei relativi ordini può
richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza
pubblica.
La norma definisce i presupposti del potere
di ordinanza del sindaco, attraverso il riferimento ad una
pluralità di parametri, i quali, seppure elastici ed adattabili
alla peculiarità dei casi concreti, devono essere
tutti accertati dall’amministrazione ed adeguatamente evidenziati nella
motivazione dell’atto.
In tale contesto, è indispensabile che
l’ordinanza sia destinata a porre rimedio ad una situazione di grave pericolo
per
l’incolumità dei cittadini, non evitabile mediante il ricorso
agli ordinari mezzi dell’amministrazione. Non
è sufficiente, quindi, che il provvedimento miri, genericamente,
a realizzare un miglioramento delle
condizioni igieniche ed ambientali, occorrendo anche la dimostrazione
della esistenza di una effettiva
situazione di pericolo.
5.La particolare finalità dell’ordinanza, che non
svolge una funzione sanzionatoria di comportamenti
od omissioni, ma mira esclusivamente a salvaguardare
le esigenze primarie della collettività, spiega
perché essa è idonea a sacrificare
anche interessi giuridicamente protetti di soggetti determinati, entro
ragionevoli limiti oggettivi e temporali,
e con il rispetto di rigorose garanzie sostanziali (i principi
generali dell’ordinamento) e formali (la motivazione
e l’adeguata istruttoria).
All’interno di queste coordinate ermeneutiche,
il potere di ordinanza può svolgersi con una relativa
ampiezza, correlata, fra l’altro, alla possibilità di intendere
la tutela dell’igiene e dalla salute pubblica in
senso estensivo ed evolutivo come protezione dell’ambiente in tutte
le sue componenti essenziali.
Per le stesse ragioni, la proiezione finalistica
verso la salvaguardia dei valori essenziali della comunità locali
rende
superflua l’individuazione delle cause del pericolo e delle responsabilità
individuali dei destinatari del
provvedimento. Non è nemmeno necessario che la situazione pregiudizievole
si sia verificata in epoca
prossima all’adozione dell’ordinanza: il requisito dell’urgenza è
riferito al pericolo e non al fatto generatore
del rischio. Pertanto, non è illegittimo un provvedimento contingibile
in relazione ad una situazione di
pericolo già in atto da tempo.
In questo senso, la Sezione ha puntualizzato
che l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito
al sindaco
dall'art. 153 t.u. 4 febbraio 1915 n. 148 presuppone la necessità
di provvedere con immediatezza in ordine a
situazioni di natura eccezionale e imprevedibili, cui non si potrebbe
far fronte col ricorso agli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento; né la circostanza che
la situazione di pericolo duri da tempo rende
illegittimo l'esercizio di tale potere, atteso che la situazione di
pericolo, quale ragionevole probabilità che
l'evento dannoso accada, può protrarsi anche per un lungo periodo
senza cagionare il fatto temuto (C.
Stato, sez. V, 04-02-1998, n. 125).
Il decorso temporale non può comportare
una sorta di consumazione del potere di ordinanza, essendo necessaria,
ma anche sufficiente, la dimostrazione della attualità del pericolo
e della idoneità del provvedimento a
porvi rimedio. L'immediatezza dell'intervento urgente del sindaco attuato
attraverso ordinanze contingibili
va rapportata non già all'insorgere della situazione di pericolo,
ma alla sua documentata conoscenza da
parte dell'autorità comunale, e comunque ciò che conta
ai fini della legittimità dell'atto è l'effettiva
esistenza di una situazione di pericolo imminente al momento di adozione
dell'ordinanza.
6.Si è chiarito, al riguardo, che l’ordinanza contingibile
ed urgente emessa dal sindaco ai sensi dell'art.
38 l. 8 giugno 1990 n. 142, quando mira alla
tutela della salute pubblica, può essere adottata non
solo per porre rimedi a danni già verificatisi
alla salute, ma anche e soprattutto (tenuto conto dei
valori espressi dall'art. 32 cost.) per evitare
che tale danno si verifichi (C. Stato, sez. V, 19-02-1996,
n. 220).
In linea di fatto, tuttavia, non si può
trascurare che la lunga distanza cronologica tra il verificarsi di un
evento, senza alcun apprezzabile mutamento oggettivo della situazione
di fatto, e l’adozione del
provvedimento contingibile, potrebbe costituire indice significativo
della mancanza di effettive ragioni di
urgenza e di concreti pericoli per la salute pubblica. In tale eventualità,
la motivazione sulla reale esistenza
del pericolo sanitario è ancor più necessaria, perché
deve dar conto di tutti gli aspetti fattuali posti a base
dell’intervento cautelare del sindaco.
Nella vicenda in esame, quindi, la distanza
temporale tra il verificarsi dei fatti (abbandono di rifiuti
nell’area di proprietà dei ricorrenti di primo grado) e l’adozione
dell’ordinanza non costituisce autonomo
motivo di illegittimità del provvedimento, ma rappresenta un
elemento utile per vagliare l’adeguatezza
dell’istruttoria e l’idoneità della motivazione.
7.Né pare condivisibile, nella sua assolutezza,
l’affermazione dell’appellante intesa ad affermare
un’ampia insindacabilità dell’ordinanza
sindacale di urgenza.
La Sezione ha chiarito che sussiste giurisdizione
estesa al merito per i provvedimenti adottati dal
sindaco ai sensi dell'art. 38, 2º comma, l. 8 giugno 1990 n. 142,
per cui tali provvedimenti possono essere
pienamente sindacati dal giudice amministrativo con riferimento non
solo a tutti gli aspetti concernenti la
legittimità, ma anche ai profili relativi alla sufficienza ed
alla attendibilità delle disposte istruttorie ed alla
convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni
adottate (C. Stato, sez. V, 19-02-1996, n. 220).
Anche ritenendo che la cognizione in materia
di ordinanze contingibili ed urgenti rientra nell’ambito della ordinaria
giurisidizione di legittimità, non pare contestabile che spetti
al giudice il potere di accertare l’esistenza dei
presupposti sostanziali del provvedimento, seppure caratterizzati da
alcuni profili strettamente tecnici.
Nel caso di specie, poi, il ricorso di primo
grado non mira tanto a contestare i risultati degli accertamenti compiuti
oppure a
sindacare il merito delle scelte amministrative adottate dal sindaco,
ma lamenta l’inadeguatezza
dell’istruttoria e la carenza della motivazione in ordine ad uno dei
presupposti fondamentali dell’atto.
In altri termini, le censure si sviluppano
all’interno del tradizionale perimetro dell’eccesso di potere e del vizio
di
assenza (od insufficienza) della motivazione, senza prospettare un
sindacato più penetrante sull’esercizio
del potere.
8.In linea di fatto, va sottolineato che la pronuncia del
tribunale ha individuato uno specifico profilo di
inadeguatezza dell’istruttoria compiuta dal
Comune, evidenziando una circoscritta, ma essenziale,
carenza della motivazione del provvedimento
finale, puntualmente riferita al concreto pericolo di
danni alla salute od all’ambiente.
L’accertata lacuna dell’ordinanza sindacale
si correla alla funzione essenziale del provvedimento
contingibile ed urgente, e non può essere colmata attraverso
il riferimento alla lunghezza della attività
istruttoria, la quale, semmai, rileva la persistente incertezza in
ordine ai presupposti fattuali del
provvedimento, con particolare riguardo alla effettiva consistenza
dei materiali ed alla loro attitudine ad
incidere sui beni fondamentali della salute collettiva e della salvaguardia
delle acque.
Per le stesse ragioni, il riferimento alla
esiguità dei mezzi tecnici comunali non attenua affatto le carenze
dagli accertamenti, ma implica una indiretta ammissione della inadeguatezza
istruttoria.
Il dato obiettivo della incompletezza e della
insufficienza degli accertamenti compiuti all’epoca di adozione
dell’ordinanza emerge con chiarezza dalle successive determinazioni
dell’amministrazione comunale.
Proprio l’ordinanza adottata il 20 dicembre 1996 n. 309 afferma la
necessità di una integrazione delle
indagini, poiché gli accertamenti risultano incompleti.
9.È opportuno precisare che, nella struttura dell’articolo
38, il collegamento con la protezione
dell’igiene e dalla salute pubblica rappresenta
un presupposto necessario, ma non sufficiente, per
giustificare il ricorso al potere di ordinanza.
Dunque, nell’ordinanza sindacale in contestazione,
il generico collegamento con le esigenze
ambientali è, a tale scopo, del tutto inadeguato, perché
le relative funzioni di protezione sono comunque
correlate allo svolgimento di procedimenti tipici: il ricorso ad atti
contingibili ed urgenti è consentito solo in
presenza di particolari requisiti ulteriori.
10.Al riguardo, occorre considerare che, in relazione alla presenza
di rifiuti in aree di particolare rilievo
ambientale (quali i corsi di acqua e le zone
rivierasche limitrofe) ed ai conseguenti poteri di
intervento delle amministrazioni competenti,
possono prospettarsi diverse situazioni.
La prima ipotesi è quella in cui è
accertata la responsabilità del proprietario nell’attività
pregiudizievole
dell’ambiente o della salute pubblica. In tale eventualità,
le amministrazioni competenti hanno certamente
il potere di ordinare ai soggetti responsabili le attività ripristinatorie
volte ad eliminare gli inconvenienti,
senza necessità di dimostrare l’urgenza dell’intervento, secondo
i procedimenti previsti dalle normative di
settore.
Una seconda ipotesi è invece quella
in cui non risulta accertata una specifica responsabilità del soggetto.
In questo
caso, di regola spetta all’amministrazione il compito (con i relativi
oneri organizzativi ed economici) di
avviare le idonee procedure di ripristino della situazione ambientale.
A meno che non emerga, con
sufficiente chiarezza, l’indifferibilità di un’apposita attività,
volta ad eliminare il pericolo per la tutela della
salute pubblica.
11.La differenza fra le due ipotesi emerge con chiarezza dalla
previsione contenuta nell’articolo 14
(rubricato Divieto di abbandono) del D.Lgs.
5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive
91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti
pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di
imballaggio).
La disposizione stabilisce la seguente disciplina:
“1. L'abbandono e il deposito incontrollati
di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. È altresì vietata l'immissione
di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque
superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni
di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi
1
e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero
o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari
di diritti reali o personali di godimento
sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo
o colpa.”
La norma esprime il principio secondo cui,
in linea di massima, l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi grava
soltanto
sull’autore della violazione, mediante commissione od omissione, volontaria
o colposa, escludendo qualsiasi
forma di responsabilità oggettiva del proprietario.
12.Ciò non impedisce che il sindaco possa imporre specifici
comportamenti a carico del proprietario
incolpevole. Ma, in tali eventualità
è necessario appurare il carattere urgente ed indifferibile
dell’intervento, con specifico riguardo alla
incidenza sull’igiene e sulla salute pubblica.
In questa prospettiva, si è chiarito
che l'ordinanza con la quale il sindaco, ai sensi dell'art. 9 d.p.r. 10
settembre 1982 n. 915, impone al proprietario dell'area di predisporre
un piano di smaltimento dei rifiuti
speciali tossici e nocivi su essa giacenti, non ha carattere sanzionatorio,
nel senso che non è diretta ad
individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la
responsabilità civile e/o penale della situazione
abusiva, ma solo ripristinatoria, in quanto diretta ad ottenere la
rimozione dell'attuale stato di pericolo e a
prevenire ulteriori danni all'ambiente circostante e alla salute pubblica;
pertanto, detta ordinanza può
essere legittimamente indirizzata al proprietario attuale dell'area,
cioè a colui che si trova con quest'ultima
in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti
necessari al fine di eliminare la
riscontrata situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi
al precedente proprietario (T.a.r.
Emilia-Romagna, sez. Parma, 22-05-1995, n. 241).
13.La disposizione introdotta dal decreto n. 22/1997 riproduce,
nella sostanza, la previsione contenuta
nell’articolo 9 del D.P:R. n. 915/1982, secondo
cui “è vietato l'abbandono, lo scarico o il deposito
incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche
e private soggette ad uso pubblico.
Secondo tale norma, in caso di inadempienza
il sindaco, allorché sussistano motivi sanitari, igienici od
ambientali, dispone con ordinanza, previa fissazione di un termine
per provvedere, lo sgombero di dette
aree in danno dei soggetti obbligati.”
In base alla formula legislativa, l’ordine
di sgombero ha quali destinatari soltanto i soggetti inadempienti all’obbligo
di abbandonare scaricare o depositare rifiuti, e non può riguardare
i proprietari delle aree, se non viene
accertata la loro responsabilità, eventualmente anche solo colposa.
14.Del resto, la giurisprudenza ordinaria ha ripetutamente affermato
il principio secondo cui in caso di
riversamento ripetuto di rifiuti su un sito
da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque titolare in
uso di fatto del terreno non può essere
chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono/deposito
incontrollato di rifiuti sulla propria area
se non viene individuato a suo carico l'elemento soggettivo
del dolo o della colpa; conseguentemente lo
stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza
sindacale di rimozione e rimessione in pristino
ex art. 14 e 50 d.leg. n. 22/97, con sanzione penale in
caso di inosservanza; in antitesi, si tratterebbe
di caso di responsabilità oggettiva; il proprietario o
comunque titolare in uso di fatto del terreno
può essere destinatario in tal caso della ordinanza
sindacale emessa secondo i principi generali
extra d.leg. n. 22/97 e sarà semmai parte lesa nel
procedimento a carico dei terzi autori del
fatto ove individuati.
15.Nella vicenda in contestazione, il provvedimento impugnato
non evidenzia in modo adeguato
concreti pericoli attuali. Il dato oggettivo
costituito della presenza di fusti metallici con residui di
sostanze chimiche non è accompagnato
dalla puntuale specificazione della dannosità per la salute
pubblica. Senza dire, poi, che eventuali rischi
ambientali connessi a tali materiali potrebbero essere
ragionevolmente fugati mediante interventi
circoscritti alla loro eliminazione.
La Sezione ritiene dunque condivisibile il
principio secondo cui l'adozione di ordinanze contingibili e
urgenti in materia di sanità e igiene da parte del sindaco,
ai sensi dell'art. 38, 2º comma, l. 8 giugno 1990
n. 142, presuppone la ricorrenza di un grave pericolo di danno imminente
e necessita di una congrua
motivazione; la situazione di danno o di pericolo attuale e concreto
per la salute pubblica che giustifica
l'emanazione di provvedimenti contingibili e urgenti deve risultare
da inequivoci accertamenti tecnici.
16.È appena il caso di osservare, poi, che il provvedimento
contingibile ed urgente adottato
dall’amministrazione comunale non potrebbe
trovare giustificazione nemmeno nello speciale potere
di ordinanza previsto dalla normativa in materia
di rifiuti.
Infatti, l'esercizio dell'ordinanza contingibile
ed urgente ex art. 12 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, per
essere legittimo, è condizionato ad alcuni precisi presupposti:
a) una «necessità» di tutela della salute
pubblica o dell'ambiente; b) una situazione sopravvenuta e distinta
dall'ordinario e fisiologico smaltimento
dei rifiuti, che presenti però il carattere della «eccezionalità»,
come un evento naturale straordinario
(terremoto, inondazione, incendio, disastro, epidemia ecc.); c) una
situazione di «urgenza», non correlata
all'ordinario smaltimento dei rifiuti, ma all'evento straordinario
sopravvenuto; d) l'assoluta
«temporaneità», limitata cioè alla persistenza
della situazione eccezionale verificatasi; e) le necessità di
utilizzo pur sempre di «speciali forme di smaltimento di rifiuti»
ossia di tipologie anche diverse da quelle
ordinarie, ma mai di abbandono brutale dei rifiuti nell'ambiente, sempre
vietato per tutti, compreso il
sindaco, che deve addirittura attivarsi in senso contrario (ex art.
9, 1º e 2º comma, d.p.r. 915/82); f) una
motivazione specifica e dettagliata delle ragioni di pubblico interesse
e delle concrete misure adottate per
salvaguardare comunque salute e ambiente, valori assolutamente prioritari
e non disponibili neppure dai
soggetti pubblici (Cass., sez. III, 24-05-1994; Cass., sez. III, 16
ottobre 1998).
17.In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto.
Le spese, come di regola, seguono la soccombenza
e sono liquidate in dispositivo.
Per Questi Motivi
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge
l'appello;
condanna il comune appellante a rimborsare agli appellati le spese del
grado, liquidandole in lire tremilioni;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 febbraio
2001, con l'intervento dei signori:
Pasquale de Lise Presidente
Stefano Baccarini Consigliere
Corrado Allegretta Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Marco Lipari Consigliere est.
|