Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n.6007 dell'8 novembre
2000 sulla natura giuridica della sanzione indennitaria prevista dall’art.15
legge 1497/39 nonché sulla sua applicabilità agli abusi edilizi
in ambiente paesisticamente protetto anche in caso di assenza di danno
ambientale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso
in appello, n.8743/99, proposto dalla Regione Liguria, in persona del Presidente
della Giunta
regionale p.t., rappresentata e difesa, per delega a margine, autorizzata
con
delibera G.
reg. 2 settembre 1999, n.971, dall’avv. prof. Alberto Quaglia, con il quale
elettivamente
domicilia presso lo studio dell’avv. Guido Francesco Romanelli in Roma,
alla via
Cosseria, n.5,
contro
il sig. Merani
Ernesto, non costituitosi,
e nei confronti
del Comune di
Levanto, in persona del Sindaco p.t., non costituito,
per l'annullamento, previa sospensione,
della sentenza
del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sezione Prima, 27
maggio 1999,
n.230, non notificata resa fra le parti su ricorso del Merani n. di quel
T.A.R.
838/94.
Visto il ricorso
con i relativi allegati;
vista l’ordinanza
della Sezione in data 12 novembre 1999, di accoglimento dell’istanza
cautelare della
Regione;
vista la memoria
prodotta dalla parte ricorrente a sostegno delle proprie difese;
visti gli atti
tutti della causa;
data per letta,
alla pubblica udienza del 2 giugno 2000, la relazione del consigliere Paolo
Numerico e udito
per la Regione Liguria, in sostituzione del legale officiato, l’avv. Romanelli,
che ha chiesto
il passaggio in decisione della causa;
ritenuto e considerato
in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Nel dicembre
1992, il sig. Ernesto Merani ottenne dal Comune di Levanto un’autorizzazione
edilizia per
realizzare sul proprio terreno in località Lizza del Comune di Levanto
un
manufatto interrato
di 44 metri quadrati ad uso cantina e ricovero attrezzi in pertinenza
dell’immobile
principale.
Lo scavo verso
monte era condotto in fatto con maggiore profondità, con una superficie
di
50,70 metri
quadri realizzata in più dell’autorizzato.
L’istante chiedeva
nell’ottobre 1993 al Comune di Levanto un’autorizzazione in sanatoria ai
sensi dell’art.13
della legge n.47 del 1985.
In data 5 marzo
1994 perveniva al Merani ordinanza sindacale 4 marzo 1994, n.36, che gli
ingiungeva di
pagare oltre 15 milioni quale indennità ex art.15 dalla legge 1497/1939,
con
riguardo al
profitto conseguito in base alla stima 17.12.1993 dell’U.T.C., pure comunicata
all’interessato.
Nel provvedimento
si dava atto che la Commissione edilizia aveva ritenuto l’assenza di
danno ambientale,
ma che dovevano essere applicate le direttive di cui alla circolare
regionale 21
ottobre 1992, n.116577.
L’istante impugnava
gli atti comunali e le istruzioni regionali, deducendo i seguenti motivi.
A.- Contro la
circolare regionale:
1.- violazione
e falsa applicazione artt.7 e 15 L. n.1497 e dell’art.13 L. n.47/85; difetto
di
motivazione,
difetto di presupposti, travisamento dei fatti e illogicità manifesta.
La tesi assunta
dalla Regione, a ripresa di orientamenti dell’amministrazione centrale
dello
Stato (circ.
Min. beni culturali 8 luglio 1991, n.1795 II G, sulla scorta di un parere
dell’Avvocatura
generale dello Stato), secondo cui, attestandosi la sanatoria ex art.13
solo
sui dati urbanistici,
sarebbe sempre applicabile l’art.15 L. n.1497 anche nell’ipotesi di
assenza di danno
ambientale, non sarebbe condivisibile.
Il d.P.R. 12
aprile 1990, n.75, sulla concessione di amnistia escluderebbe i reati previsti
dall’art.1 sexies
D.L. n.312/85 conv. in L. 431/85, salva la sanatoria da parte delle
competenti autorità.
Il nulla osta
paesistico sarebbe dunque rilasciabile a sanatoria.
Ove questo avvenisse,
ne deriverebbe l’inapplicabilità dell’art.15 della legge 1497/39,
che
presupporrebbe
pur sempre un danno ambientale.
B.- Illegittimità
derivata sugli atti comunali.
B.1.-In relazione
all’ordinanza sindacale:
violazione di
legge per mancata applicazione degli artt.7 e 8 L. n.241/90 e 10 L. reg.
Liguria
6 giugno 1991,
n.8 – Difetto di istruttoria, mancanza dei presupposti e difetto di
motivazione.
B.2.- In relazione
alla perizia di stima: violazione dell’art.15 L. 1497/39; travisamento
dei
fatti; difetto
dei presupposti; difetto di motivazione; violazione della circolare 21.10.1992,
n.116577, del
Servizio beni ambientali della Regione.
Se non esisteva
il danno ambientale, alla stregua di parere comm. spec. del Consiglio di
Stato, non poteva
essere determinata l’indennità.
Si costituì
la Regione, che contestò gli assunti avversari.
Con la sentenza
27 maggio 1999, n.230, non notificata, il T.A.R. ha accolto il ricorso
per gli
assorbenti motivi
sub A.1 (illegittimità della circolare) e sub B (illegittimità
derivata),
ritenendo l’impossibilità
di irrogare la sanzione pecuniaria in assenza di un danno ambientale.
1).- Sarebbero
ammissibili, secondo una lettura evolutiva della legislazione urbanistica
e
paesaggistica,
autorizzazioni paesistiche in sanatoria per opere in assenza o difformità
dal
titolo.
A tanto non
osterebbe l’art.32 della L. n.47 del 1985 che sembrerebbe limitare l’evenienza
al
solo condono.
La sanatoria
avrebbe effetti regolarizzanti anche sotto il profilo formale, pena, altrimenti,
l’illogicità
della normativa.
Con l’autorizzazione
dell’amnistia del 1990, condizionata alla sanatoria, il legislatore si
sarebbe espresso
nel senso ritenuto dal T.A.R..
La Regione,
pur giungendo a conclusioni opposte, è partita dall’ammissione del
rilascio di
autorizzazioni
paesistiche ex post.
2) La Regione
ha ritenuto che l’autorizzazione paesistica a sanatoria produce: a) l’esclusione
della sanzione
demolitoria per ragioni solo paesistiche; b) l’obbligo di applicare l’indennità
pecuniaria ex
art.15 pur in presenza della sanatoria; c) la conseguente possibilità
di
procedere alla
definizione dell’accertamento di conformità urbanistica ex art.13
L. n.47/85.
Tutto ciò
perché: I) la sanatoria urbanistica non copre quella paesaggistica;
II) gli enti
delegati o sub
delegati non possono rilasciare autorizzazioni a sanatoria ex art.7 L.
1497/1939, ma
devono applicare le sanzioni dell’art.15 L. n.1497; III) tale sanzione,
tendendo a colpire
gli obblighi (anche formali) contenuti nella legge, vanno a colpire
chiunque abbia
commesso l’abuso; IV e V) ove non si debba giungere alla demolizione, si
deve applicare
la misura risarcitoria, che, in caso di assenza di danno ambientale, si
commisura al
profitto.
Il T.A.R. ha
giudicato irrilevante l’argomentazione sub I) e infondate le altre. L’autorità
potrebbe concedere
la sanatoria anche ai sensi dell’art.7 della legge 1497, restando escluso
che in quest’ultimo
caso l’autorità debba irrogare la sanzione c.d. risarcitoria, per
ragioni:
sistematiche
(impostazione della misura sull’esistenza di un danno); letterali (carattere
non
punitivo della
misura secondo Comm. spec. 9/5/77, n.5, per l’estraneità al profilo
penale e
per l’uso del
termine "indennità") e logiche (confronto fra danno e profitto,
impossibile ad
articolarsi
se il danno non c’è; il profitto da colpire sarebbe solo quello
differenziale ottenuto
con il mantenimento
di un’opera non autorizzata, né autorizzabile in quanto pregiudicante
l’ambiente).
Altrimenti pensando,
si avrebbe profitto solo rispetto ad un risparmio di tempi burocratici.
La tesi sul
carattere afflittivo della misura non potrebbe fondarsi sull’art.13 della
L. 47/85
(dove è
prevista una sanzione speciale del raddoppio dei contributi per la concessione
in
sanatoria),
perché in quel caso si parla della natura di oblazione del versamento,
che
estingue la
contravvenzione urbanistica, laddove, nel caso dell’art.15, la sanzione
non è
oblazione, né
estingue l’illecito penale.
Non basterebbe
a sanare l’orientamento regionale neppure il sopravvenuto d. min. beni
culturali 26
settembre 1997, che standardizza i parametri e le modalità di determinazione
risarcitoria
(e che obbliga all’indennità pur se dalla valutazione emerga un
danno pari a
zero). Ciò
in quanto:
-. il decreto
è atto sopravvenuto;
-. esso tende
ad applicare la legge 28 febbraio 1997, n.30, (modificatrice dell’art.2,
comma
46, L. n.662/96)
operante ai soli fini del condono edilizio e non anche ai fini
dell’accertamento
di conformità di cui all’art.13 L. 47/85;
-. la legge
sopravvenuta sarebbe costituzionale solo se interpretabile nel senso di
rivolgersi
a determinare
indennità risarcitorie per opere non autorizzabili; diversamente
opinando, si
ammetterebbe
la sopravvenienza incostituzionale di una norma introduttiva di una sanzione
retroattiva
incidente su chi si sia autodenunciato, fidando su un assetto espressamente
escludente l’irrogazione
dell’indennità.
Avverso detta
pronuncia, chiedendone anche la previa sospensione, si è gravata
la Regione
Liguria, con
atto notificato fra il 19 ed il 20 ottobre 1999 al Merani ed al Comune
di Levanto
(nessuno dei
quali si è costituito in appello).
La tesi della
Regione (che, pur ammettendo alcune discrepanze di vedute richiama le
istruzioni ministeriali)
è che, ammessa l’autorizzazione paesistica ex post dei manufatti
eseguiti senza
titolo (urbanistico o paesaggistico), detta sanatoria implica l’impossibilità
della demolizione,
in vista della tollerabilità ambientale dell’edificato, ma non esclude
il
dovere di applicare
la misura pecuniaria, commisurabile, in caso di carenza di danno, al
profitto conseguito,
posto che la condotta di chi non abbia ricercato il preventivo assenso
di settore viola
comunque la legge n.1497 (oltre che di regola l’art.734 Cod. pen. e l’art.1
sexies L. n.431/85).
Denuncia, pertanto:
1.- erroneità
della sentenza per violazione e travisamento degli artt.7 e 15 della legge
29
giugno 1939,
n.1497, motivo articolato in diciotto complesse argomentazioni,
essenzialmente
volte ad illustrare, contro l’interpretazione della sentenza, una funzione
anche sanzionatoria
della misura pecuniaria rispetto alla mancata sottoposizione a controllo
ex ante delle
condotte costruttive in ambiente paesistico;
2.- ulteriore
erroneità della sentenza ed ulteriore violazione delle stesse disposizioni,
in
subordine, per
contestare la tesi dell’impossibilità di applicare la misura indennitaria,
in virtù
dell’argomento
dei primi Giudici che il rilascio dell’autorizzazione paesistica in sanatoria
equivarrebbe
sempre a giudizio di inesistenza del danno ambientale;
3.- erroneità
della sentenza per violazione dell’art.2, comma 46, L. 23 dicembre 1996,
n.662,
ulteriore violazione
degli artt.7 e 15 L. n.1497 e violazione dell’art.32 L. 28 febbraio 198,
n.47; il motivo
riguarda l’interpretazione fornita, sia pure in via incidentale, dal T.A.R.
sulla
L. n.662 del
1996 in tema di sanzionabilità con l’indennità in questione
degli abusi regolati ai
fini del condono;
4.- carenza
di giurisdizione.
Con ordinanza
12 novembre 1999 la Sezione ha accolto la domanda cautelare della Regione
Liguria per
la sospensione della sentenza n.230/99.
E’ pervenuto
il fascicolo di ufficio.
Nel maggio 2000,
la Regione ha fatto depositare una diffusa memoria illustrativa.
All’udienza
la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- L’interessante
e dibattuta questione proposta all’esame di questo consesso riguarda la
possibilità
di irrogare la misura pecuniaria prevista, in alternativa alla demolizione,
dall’art.15
della L. 29
giugno 1939, n.1497, quando l’abuso edilizio commesso si trovi in ambiente
paesisticamente
protetto e sia eventualmente riscontrabile, ma solo ex post, per richiesta
di
sanatoria, l’assenza
di un danno ambientale o almeno la sanabilità in via successiva
della
condotta (perché
il danno sia sufficientemente lieve da non meritare la demolizione o perché
il danno non
sia più facilmente eliminabile).
Nel caso l’appello
è della Regione Liguria, di cui sono state annullate le direttive,
traenti
spunto da istruzioni
statali, con effetto caducante sul provvedimento di irrogazione del
Sindaco di Levanto,
comune in cui era avvenuto l’abuso, in quanto il T.A.R. ha ritenuto
essenzialmente:
- che, se si
concede la sanatoria, come il Sindaco aveva giudicato possibile, l’indennità,
che
ha carattere
solo reintegrativo, non è applicabile;
- che la sanatoria
eliminerebbe ex post le violazioni formali, come quella della mancata
sottoposizione
al preventivo controllo della Soprintendenza;
- che la legge
sopravvenuta – art.2, comma 46, L. 23 dicembre 1996, n.662, nel testo
aggiunto dall’art.10
D.L. 31 dicembre 1996, n.669, convertito nella L. 28 febbraio 1997, n.30
-, là
dove si prevede che la sanzione è da corrispondere anche in presenza
di condono,
riguarda, appunto,
le sole fattispecie di condono, è riferita a fatti successivi e,
comunque,
sarebbe da intendere,
per essere costituzionale, nel senso dell’irrogabilità dell’indennità
solo
quando il condono
non sia accordato.
2.- La questione
è stata già affrontata, recentissimamente, dalla Sezione,
sia pure con
riguardo a fattispecie
di condono, a partire dalla sentenza capostipite pubblicata nel giorno
dell’udienza
in cui è stata trattata la presente vicenda (sentenza 2 giugno 2000,
n.3184).
Vero è
che nella presente causa ci si trova di fronte ad un’ipotesi di sanatoria
semplice e
non di condono.
Ma è vero pure che la tesi, rappresentata in relazione al condono,
vale qui,
per così
dire a fortiori, perché essa è stata affermata per una previsione
normativa riferita a
periodo transitorio,
e quindi, se la tesi medesima vale in una situazione guardata dal
legislatore
con miglior favore, essa deve valere a maggior ragione se riferita ad abusi
commessi nella
fase a regime, rispetto alla quale il legislatore urbanistico ed ambientale
manifestano
una più intensa severità.
3.- La Sezione
ha adottato una serie di argomenti, di seguito riassunti, che conducono
a
giudicare fondato
l’appello regionale qui in esame.
A).- Una piana
lettura dell’art.15 della L. n.1497 del 1939 induce a ritenere il carattere
sanzionatorio
dell’indennità ivi prevista, dato:
A.1-. che demolizione
delle opere abusive e pagamento dell’indennità sono misure
alternative,
secondo valutazioni tecnico-discrezionali dell’Amministrazione;
A.2-. che le
due misure alternative sono connesse ad ogni ipotesi di inottemperanza
agli
obblighi e ordini
in materia di tutela del paesaggio stabiliti dalla L. n.1497, senza alcuna
distinzione
fra violazioni sostanziali (produttive di un danno ambientale effettivo)
e violazioni
formali, sicché
si tratta di misure non solo ripristinatorie, ma anche deterrenti; in proposito
si può
aggiungere, riprendendo un argomento dell’appellante, che è importante
dissuadere i
cittadini dall’evitare
il controllo preventivo, posto che, nel sistema complessivamente tuttora
vigente, il
legislatore ha inteso rafforzare il controllo preventivo ed evitare rischi
per un
bene delicato
come il paesaggio attraverso l’introduzione di uno specifico reato, giusta
l’art.1-sexies
D.L. 27 giugno 1985, n.312, conv., con modifiche, dalla L. 8 agosto 1985,
n.431;
A.3-. che la
funzione dissuasiva è propria anche delle sanzioni amministrative;
A.4-. che l’uso
del termine "indennità" non è tecnicamente significativo,
sia per la risalenza
della disposizione,
sia per la funzione distinta da un carattere risarcitorio che si usa
ricollegare
alle c.d. indennità (indennità di esproprio; indennità
come somme di danaro e
simili);
A.5-. che, del
resto, l’art.15 l. n.1497, qui applicabile, parla di indennità,
mentre solo la
legge del 1996
aggiunge l’aggettivo "risarcitoria";
A.6-. che il
carattere dissuasivo e, dunque, sanzionatorio dell’indennità si
arguisce anche
dalle modalità
del suo calcolo, fondate pure sul profitto;
A.7-. che, in
vero, il concetto di "danno arrecato" entra nella disposizione del 1939
solo per
dettare uno
dei parametri possibili della quantificazione (cioè per il quantum
e non per l’an
debeatur);
A.8-. che, pertanto,
se manca il danno, la commisurazione avverrà pur sempre con riguardo
al profitto
(qui si aggiunge, con la Regione appellante, che la nozione di profitto
è di
carattere estimativo,
come differenza fra costo e valore, e non se ne può negare l’esistenza
sol perché
il pregiudizio ambientale sostanziale non vi sia);
A.9-. che l’ordinamento,
per il risarcimento del danno ambientale, appresta il diverso e
specifico strumento
dell’azione risarcitoria ex art.18 L. 8 luglio 1986, n.349;
A.10-. che misure
risarcitorie e sanzionatorio-deterrenti ben possono concorrere fra loro
(C.g.a.R.si.,
sez. cons. 16 novembre 1993, n.452);
A.11-. che la
giurisprudenza della Cassazione e di questo Consiglio militano per il carattere
sanzionatorio
della misura pecuniaria (Cass., ss.uu., 10 agosto 1996, n.7403; idem, 18
maggio 1995,
n.5473; Cons. Stato, sez.V, 21 novembre 1985, n.419; sez.II, 4 giugno 1997,
n.2479/96; idem,
28 ottobre 1997, n.2065; idem, 29 ottobre 1997, n.2066), nel senso della
necessità
di colpire chi violi la legge del 1939, indipendentemente dal vulnus materiale
al
paesaggio, bastando,
come si diceva, la violazione formale.
B).- La Sezione
ha poi chiarito, ragionando con riguardo alla legislazione anteriore al
1996,
che la sanzione
indennitaria è dovuta perfino di fronte ad un assenso a titolo di
condono
edilizio di
manufatti in area paesaggisticamente vincolata.
Essa ha notato
la riguardo:
B.1-. che la
sospensione delle misure amministrative, disposta dagli artt.38 e 44 della
L.
n.47/85, riguarda
le sole sanzioni edilizie e non anche quelle sancite a tutela del paesaggio
(Cons. Stato,
sez.VI, 29 marzo 1987, n.140; idem, 31 maggio 1990, n.551), perché
gli abusi
paesistici sono
presi in considerazione dalla normativa non per disporne la sanabilità,
ma solo
quali cause
eventualmente ostative al condono (Cons. Stato, sez.VI, 29 settembre 1988,
n.1062);
B.2-. che, perciò,
la condonabilità edilizia, per l’appunto, non esclude la sanzione
pecuniaria
paesistica di
cui all’art.15 L. n.1497 (Cons. Stato, sez.II, 7 marzo 1990, n.189).
C).- Quanto
al sopravvenire della L. n.662 del 1996, che ha imposto, a lettere patenti,
il
pagamento dell’indennità
(risarcitoria) pur di fronte al pagamento dell’oblazione, sempre la
Sezione ha evidenziato
che la disposizione non intende attribuire carattere risarcitorio
all’indennità
di cui si tratta, ma vuole soltanto che essa rimanga applicabile nonostante
la
concessione
del condono edilizio.
4.- Per le considerazioni
esposte l’appello regionale è fondato nelle sue parti principali
di cui
alle censure
prima, seconda e terza; non per la dedotta carenza di giurisdizione, perché
il
ricorrente di
prime cure, con le censure accolte in modo assorbente (uniche qui da
esaminare in
assenza della costituzione della parte appellata), aveva dedotto la cattiva
interpretazione
della legge del 1939 e dunque il cattivo esercizio dei poteri di direttiva
da
parte della
Regione.
Se la sanzione
indennitaria, per tale riconoscibile, colpisce, indipendentemente dal danno
ambientale,
ogni violazione della legge, anche quelle formali – specie la mancata
sottoposizione
al controllo preventivo, per il carattere centrale nel sistema che tuttora
questo assetto
procedurale rappresenta, anche alla luce della L. n.431 dell’agosto 1985
-, la
sanabilità
dell’abuso paesaggistico e la stessa assenza del danno ambientale (danno
pari a
zero) non precludono
l’irrogazione.
La legge 662
del 1996 ha soltanto carattere chiarificatore di un assetto già
in precedenza
articolabile
nel modo ivi disciplinato.
Essa non può
che riferirsi ai casi in cui le opere sono condonabili e siano condonate,
pena
l’assurdità
dell’opposta esegesi del T.A.R., che funzionalizzerebbe la previsione ad
abusi non
condonabili;
perché allora si dovrebbe pagare un’indennità, per un’opera
che dovrebbe
essere demolita?
Infine, il sopravvenire
di detta legge costituisce un segnale dell’esattezza delle posizioni
regionali riguardo
alla sanatoria, per così dire, semplice ex art.13 L. n.47, ove connessa
ad
abusi perpetrati
in zona tutelata: se, infatti, come si accennava al paragrafo 2, la sanzione
pecuniaria va
pagata pur di fronte ad opere condonate, il medesimo trattamento deve
essere registrato
verso opere abusive realizzate dopo la fase transitoria.
Ciò tanto
più in un assetto normativo che, in sede edilizia, consente, sì,
la sanatoria, ma
obbliga al raddoppio
dei contributi di concessione, con un istituto parallelo ed analogo a
quello dell’art.15
della legge del 1939. Esattamente osserva sul tema la Regione essere
irrilevante
la differenza segnalata dal T.A.R., vale a dire la funzione di eliminazione
del rilievo
penale dell’abuso
nel caso dell’art.13 L. n.47. Ed infatti il pagamento è previsto
pur in caso
di semplice
carenza di autorizzazione, la cui fattispecie non dà luogo ad un
aspetto
penalmente rilevante.
L’osservazione vale indipendentemente dall’argomento che gli abusi
paesistici appaiono
più gravi di quelli semplicemente edilizi; il che può spiegare
la ragione di
una diversa
portata della sanatoria edilizia a confronto della sanatoria paesistica
(più
onerosa per
il bene tutelato), almeno secondo la norma originaria dell’art.15 della
legge del
1939; il tutto
pure alla stregua di una specifica garanzia per le zone paesisticamente
vincolate accordata
dall’art.9 Cost..
Per tutte le
considerazioni esposte, l’appello dev’essere accolto e, per l’effetto,
in riforma
della sentenza
in epigrafe, va respinto il ricorso originario del sig. Ernesto Merani
n. del
T.A.R. Liguria
838/94.
Le spese del
giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta:
- accoglie il
ricorso della Regione Liguria;
- per l’effetto,
in riforma della sentenza in epigrafe del T.A.R. Liguria, respinge il ricorso
del
sig. Ernesto
Merani n. di quel T.A.R. 838/94;
- compensa fra
le parti le spese di giudizio;
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