FATTO
Il complesso immobiliare sito sull’isola di San Clemente, quale
ospedale psichiatrico, ospitava numerosi malati mentali di ambo i
sessi, al momento dell’entrata in vigore sia della “riforma sanitaria”
(di cui alla legge n. 833/78, sia della c.d. “legge Basaglia” (L. n.
180/78). A seguito dell’attuazione di detta legge, i pazienti vennero
dirottati verso altre sistemazioni (nelle strutture dedicate alla cura
delle malattie mentali che dovevano subentrare agli ex ospedali
psichiatrici), ovvero restituiti alle famiglie di appartenenza, con i
conseguenti pesanti disagi e problemi per i familiari, oberati
dell’assistenza a tali tipi particolari di malati. In seguito l’ASL 16
(poi confluita nell’ASL 11, succedutale nei rapporti patrimoniali
attivi e passivi), nel cui patrimonio il complesso era pervenuto ex
lege proprio dal comune- si propose di alienare l’isola con gli
immobili che vi insistono, riconosciuti “non più utilizzabili a
fini sanitari” pur avendo presente il principio di intangibilità
del patrimonio sanitario, al Comune di Venezia, con l’obbligo di
reimpiego dei proventi della gestione del complesso, e con destinazione
dei fondi, diretta o indiretta, ad attività sanitarie e/o
sociali.
Tanto si evince fin dai primi atti della procedura (delibere del
comitato di gestione n. 1391 del 31.7.85 e n. 1097 del 27.6.86
(entrambe ratificate con delibera dell’assemblea generale),
dichiarative della volontà di svincolare gli immobili e gli
spazi della sede ospedaliera. Il procedimento proseguiva, poi, con
l’individuazione di detti edifici e spazi inutilizzati, da svincolare
(id est, alienare) e con l’adozione della delibera del c.d.g. n. 1382
del 3.8.89 (dove si afferma che è iniziato il piano di
attuazione con la realizzazione di strutture alternative all’ospedale
psichiatrico, ormai superato, e che è stato raggiunto un accordo
con il Comune, comunque nel rispetto della “patrimonialità
sanitaria” e della destinazione del ricavato per miglioramento e
realizzazione di strutture sanitarie) e della delibera
dell’amministratore straordinario n. 1099 del 6.5.92. Con quest’ultima,
sull’assunto che il trasferimento dei pazienti mediante distribuzione
alle altre strutture è una realtà, si dichiara dismessa
dall’utilizzazione sanitaria l’isola di San Clemente e di procedere
allo svincolo, principalmente a cura del consiglio comunale di Venezia,
previa autorizzazione regionale. Seguivano, indi, i verbali di consegna
al Comune, in data 8 settembre e 14 ottobre 1992, e l’autorizzazione
regionale al trasferimento al patrimonio comunale, con D.G.R. n. 5435
del 25.9.92 e alla gestione sub specie di concessione et similia, e
versamento del ricavato nelle entrate del bilancio dell’ASL (ove si
danno per scontati i presupposti della chiusura del San Clemente e
della avvenuta distribuzione dei malati tra l’Ospedale al mare, San
Lorenzo e le case protette, il tutto inserito in un’ottica di
programmazione sanitaria).
Tutti questi atti –conosciuti soltanto in esito a domanda di accesso ai
documenti da parte dell’ASL 16 (il Comune, invece, ebbe a respingere
l’istanza per genericità, con nota sintomatica del denunciato
sviamento)- vengono impugnati con il ricorso in epigrafe
dall’Associazione Italiana Tutela Sanità Mentale (associazione
senza scopo di lucro fondata in Venezia- Mestre da familiari di
ammalati mentali gravati dalla presenza in famiglia di simili ammalati,
onde ottenere la dovuta attenzione da parte degli enti pubblici
preposti).
Con unico motivo –richiamati i contenuti del “Piano socio- sanitario”
(P.S.S.) e le varie strutture alternative all’ospedale psichiatrico che
avrebbero dovuto essere create - si deduce violazione della L.R. n.
21/89 di approvazione del P.S.S.; eccesso di potere per falsità
del presupposto e sviamento, sul rilievo che, contrariamente a quanto
asserito negli atti impugnati, i malati di mente non risultano inviati
in altre strutture, ma dimessi e mandati alle loro famiglie, e che le
strutture alternative previste dal P.S.S. (al punto II.5.2) non
risultano realizzate; in ogni caso, l’Ospedale San Clemente non poteva
essere dismesso, dal momento che il P.S.S. dispone per gli ex
stabilimenti ospedalieri psichiatrici l’utilizzazione in una vasta
gamma di servizi dipartimentali. Il vero scopo dell’operazione sarebbe
quello della “messa a frutto” dei proventi della vendita, e detta
finalità è illegittima perché in contrasto con il
vigente P.S.S., donde illegittimità degli altri atti impugnati.
Sarebbe, inoltre, aggirato il (pur ripetutamente richiamato) vincolo di
destinazione a favore dell’ASL 16, segnatamente con la messa a
disposizione del Comune a fini di gestione economica, donde lo
sviamento (deportare i ricoverati per “liberare” l’isola e farne una
“perla” del turismo lagunare). Lo sviamento sussiste, inoltre, sotto il
diverso profilo della mancata stipulazione, all’uopo, di un accordo di
programma e per la mancanza della voluntas accipiendi in capo al
Comune, che rende illegittima la voluntas dandi (o piuttosto
derelinquendi) dell’ASL
A seguito del deposito di documenti in esecuzione di ordinanza
istruttoria –inerenti al numero dei ricoverati al momento della
riforma, alla realizzazione delle strutture alternative e alla
distribuzioni fra queste dei pazienti- parte ricorrente ha formulato
una prima serie di motivi aggiunti, in relazione alla voce secondo cui
l’isola de qua sarebbe stata venduta ad acquirente di cui è
ignota l’identità, deducendo violazione degli art. 7 ss. della
L. n. 241/90, sul rilievo che, a seguito del proposto gravame e della
di lui pendenza, l’Associazione ricorrente aveva assunto la
qualità di soggetto controinteressato, donde
l’illegittimità della vendita ai sensi dell’art. 8.4 della
medesima legge n. 241/90
Si deduce, inoltre, violazione dell’art. 7 della L. 20 marzo 1865 n.
2248 All. E, che imporrebbe alla P.A. procedente, in pendenza di un
ricorso e pur in mancanza di sospensiva, un onere di trasparenza e di
correttezza, vale a dire di informazione e giustificazione degli atti
ulteriori.
In esecuzione di altra ordinanza presidenziale istruttoria (sollecitata
nei prefati motivi aggiunti), sono stati depositati tutti gli atti del
procedimento di alienazione, previa stipulazione di accordo di
programma in data 11.9.97 fra Regione, Comune e ASL 12 circa
l’alienazione dei beni non più funzionali all’attività
sanitaria, e approvazione di variante al P.R.G. che prevede il
mutamento di destinazione dell’isola da sanitaria ad attività
private e di uso pubblico (mediante esperimento di asta pubblica, che
si è conclusa –dopo essere andata deserta una prima volta- con
l’aggiudicazione alla Compagnia Finanziaria d’investimento S.p.A., con
la quale è stato stipulato il contratto di compravendita con
atto di notaio in data 3.11.99).
Con ulteriori motivi aggiunti notificati anche alla società
aggiudicataria vengono impugnati gli atti sopraggiunti dell’intero
procedimento di aggiudicazione. Premesso che 102 fra i degenti del “San
Clemente” furono inviati presso le rispettive famiglie, si deduce che
tale dato avvalora la censura di sviamento per falsità di
presupposto, dato che si decide di vendere un immobile per ricavarne
reddito senza tenere conto del fatto che si trattava di immobile a
destinazione speciale a servizio dei malati.
Viene, inoltre, formulata domanda di risarcimento “in forma specifica”.
Inoltre, considerato che gli stessi atti hanno avuto esecuzione, e pur
considerando che una sentenza di annullamento sarebbe autoesecutiva,
tenuto conto delle finalità dell’Associazione, e che factum
infectum fieri nequit, si chiede di affermare il dovere giuridico di
consultazione della ricorrente nella sua funzione di cura e assistenza
dei malati domiciliari, e che i proventi derivanti dal contratto
concluso siano destinati alla finalità fissata dalla legge
previa opportuna concertazione con l’Associazione (forma di
risarcimento atipica sub specie di danno “associazionale”).
Si è costituita l’ULSS 15, preliminarmente eccependo:
l’inammissibilità del gravame, per avere parte ricorrente con il
medesimo inteso criticare il sistema introdotto dalla “legge Basaglia”
(L. n. 180/78), finalità non perseguibile mediante un’azione
giurisdizionale; irricevibilità del ricorso introduttivo
rispetto alle date degli atti impugnati (risalenti a tre anni prima);
carenza di interesse dello stesso rispetto agli atti sopravvenuti. Nel
merito, se ne eccepisce l’infondatezza, con varie argomentazioni.
Quanto ai primi motivi aggiunti, si eccepisce, oltre alla sopravvenuta
carenza di interesse in seguito all’emissione dei provvedimenti
sopravvenuti, che, essendo il procedimento di dismissione dell’isola
(quello di vendita essendo un suo sub- procedimento) iniziato
anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 241/90, le norme di
questa non potevano trovare applicazione, e comunque che del
procedimento era a conoscenza l’associazione ricorrente. Quanto ai
secondi, la P.A. resistente ribadisce l’improcedibilità, il
carattere politico- sociale della censura, inammissibilità
perché si tratta di questioni inerenti al merito, e
inammissibilità della domanda di risarcimento per omessa
specificazione della pretesa e perché i proventi della vendita
sono stati, appunto, destinati alle finalità fissata dalla
legge.
Con memoria conclusionale parte ricorrente replica a tutte le eccezioni
avversarie, ribadendo le censure già mosse.
All’udienza i difensori comparsi hanno svolto la discussione, ribadendo
le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata spedita
in decisione.
DIRITTO
1- Qualche considerazione preliminare va dedicata alla questione della
legittimazione ad agire dell’associazione ricorrente, sulla quale si
sofferma il patrocinio di essa ricorrente nella memoria conclusionale,
per quanto detta legittimazione non venga messa esplicitamente in
dubbio dalla P.A. resistente. I chiarimenti che se ne ricavano sembrano
opportuni, peraltro, in relazione alle implicazioni che si possono
trarre dal riconoscimento della legittimazione de futuro, dopo la
sentenza (di ciò si dirà brevemente, più avanti).
Sul punto ritiene il Collegio, in primo luogo, che non si tratti di
associazione portatrice di interessi diffusi, i quali, per definizione,
sono privi di titolari individuali (adespoti), tanto che, per la loro
protezione in sede specialmente processuale, occorre una sorta di
personificazione attraverso la (pre)costituzione di organi quali
comitati, associazioni, et similia, che se ne facciano portatori
secondo il loro statuto, a nome della collettività che ne
è la base di riferimento (e, nel suo assieme, la titolare). Nel
caso dell’associazione ricorrente si versa, piuttosto, in certo modo in
una figura mediana fra gli interessi individuali e quelli diffusi,
potendosi più correttamente parlare di interessi collettivi.
Questi trovano la loro base di riferimento non in una data
collettività, bensì in un gruppo (più limitato,
circoscritto e individuabile) di soggetti, e rappresentano –come
osserva parte ricorrente- un coacervo di concreti interessi individuali
che, senza la costituzione dell’organismo associativo, troverebbero
più difficile (ma non impossibile, quanto meno in linea di
principio) tutela. Va da sé che anche in simile ipotesi
rilevante deve ritenersi lo statuto, il quale deve prevedere
esplicitamente, tra le finalità dell’associazione, la tutela di
siffatti interessi collettivi, non fosse altro che per giustificare
come mai si muova l’associazione e non i singoli interessati.
In tale ottica la costituzione dell’associazione che se ne fa
portatrice si configura come uno strumento atto a meglio proteggere
detti interessi individuali, laddove nel caso degli interessi diffusi
il comitato o associazione costituisce il tramite imprescindibile
(condicio sine qua non) per la tutela processuale, in mancanza della
quale non sarebbe affatto possibile difendere in giudizio detti
interessi diffusi. Tanto chiarito, sembra evidente che nel caso di
specie l’associazione ricorrente possegga i requisiti per potere essere
correttamente considerata come legittima portatrice degli interessi
collettivi rappresentati (dei familiari degli ammalati, sui quali
ricade l’onere di assistenza dei medesimi), i quali trovano espressione
nell’art. 2 dello statuto associativo.
2- Come riportato nella narrativa in fatto che precede, la P.A.
resistente ha eccepito, in relazione al ricorso originario, la
sopravvenuta carenza di interesse, dal momento che gli atti
deliberativi avversati con il medesimo sono stati superati dagli atti e
provvedimenti sopravvenuti, contestati con i motivi aggiunti.
Al riguardo, si osserva che, effettivamente, gli atti della serie
procedimentale posti in essere dall’ULSS, impugnati con il ricorso
introduttivo, sono stati –come risulta per tabulas dagli sviluppi della
vicenda e dai documenti in atti, e dalle stesse allegazioni difensive
della parte ricorrente nei motivi aggiunti- superati da quelli
impugnati in prosieguo di tempo, con le due memorie di motivi aggiunti.
Ed invero, con questi ultimi –impugnati con i motivi aggiunti- si
è perfezionata la vendita dell’isola di S. Clemente,
realizzandosi così le finalità già poste alla base
della prima serie.
Pare evidente, dunque, che in relazione all’impugnativa mossa con il
ricorso introduttivo, poiché ogni discussione o controversia non
può che spostarsi sulla contestazione di questi ultimi atti e
provvedimenti mediante proposizione di motivi aggiunti (come, poi,
è avvenuto), deve ritenersi venuto meno l’interesse alla
decisione. Il ricorso introduttivo, dunque –conformemente all’eccezione
sollevata al riguardo ex adverso- va dichiarato improcedibile. Detta
conclusione esime il Collegio dall’approfondimento della questione
della ricevibilità di detto ricorso introduttivo, vale a dire se
lo stesso possa ritenersi, o meno tempestivo.
D’altra parte le medesime ragioni rendono chiaro che anche i primi
motivi aggiunti seguono la stessa sorte. Poiché, infatti, anche
le doglianze mosse nei riguardi delle voci di avvenuta vendita degli
immobili in questione rimangono assorbite dalla proposizione dei
secondi motivi aggiunti avverso gli atti della serie procedimentale che
ha portato all’aggiudicazione della gara appositamente bandita e alla
stipulazione del contratto di compravendita con l’impresa
aggiudicataria (conosciuti a seguito di ordinanza presidenziale
istruttoria), deve concludersi che anche i primi motivi aggiunti
divengono improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
3- Tanto premesso, si può passare all’esame delle contestazioni
concernenti gli atti di tale serie procedimentale, peraltro mosse non
precisamente in via autonoma, bensì mediante collegamento e anzi
ripresa e sviluppo delle censure mosse al disegno della P.A. resistente
(come delle altre amministrazioni evocate in giudizio ma non
costituite), volto a dismettere ed anzi alienare gli immobili situati
sull’isola di S. Clemente, onde farne –previa congruente modifica della
destinazione di zona, mediante variante al piano regolatore- una
residenza alberghiera di lusso.
Al riguardo osserva il Collegio che, se questa è l’impostazione
complessiva delle censure, e se queste si appuntano, in concreto,
sull’affermato “tradimento” del disposto della L.R. di approvazione del
piano sanitario regionale e, in particolare, del punto II.5.2 del piano
psichiatrico regionale, là dove si prevede, testualmente: “Data
la cronica carenza di spazi, le vecchie strutture potranno essere
riutilizzate con le necessarie ristrutturazioni, per i servizi previsti
al capitolo II. In generale i ricavi di eventuali alienazioni e lo
stesso patrimonio dovranno essere utilizzati o mantenuti esclusivamente
per le esigenze dei servizi psichiatrici”, bisogna prendere atto che,
quanto meno sul piano formale, stando alle risultanze documentali, non
possa affermarsi che non è stata rispettata tale direttiva.
La P.A. resistente ha, infatti, ripetutamente affermato che i proventi
incassati con la vendita in discussione sono stati in parte già
utilizzati (e in parte lo sono attualmente) per fini di cura,
conformemente al disposto normativo. Di ciò, in realtà,
prende atto lo stesso patrocinio ricorrente –con i secondi motivi
aggiunti e con la memoria conclusionale, con i quali –anche considerato
che factum infectum fieri nequit, donde l’inattaccabilità del
contratto di compravendita dell’immobile- è costretto a mutare,
per così dire, “in corso d’opera” il petitum, chiedendo al
giudice adito di dichiarare il “dovere giuridico (e non solo politico e
sociale) della consultazione dell’Associazione ricorrente nella sua
funzione di cura / assistenza anche domiciliare dei malati di mente,
nell’attività conformativa susseguente alla sentenza di
annullamento”, e di destinare i proventi alla finalità fissata
dalla legge, “secondo le modalità di opportuna concertazione con
l’Associazione. Tale nuovo petitum il patrocinio della ricorrente
definisce come forma atipica di risarcimento in forma specifica,
denominandola “danno associazionale”.
Ora, non sembra al Collegio che possa parlarsi di risarcimento di un
danno siffatto, né di reintegrazione in forma specifica, in
relazione a una simile domanda, la quale non può essere accolta
in questi termini. Per tale ragione il ricorso (rectius: i secondi
motivi aggiunti) deve ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.
Peraltro, dalla constatata piena legittimazione dell’Associazione dei
familiari di malati di mente a rappresentarne gli interessi (più
che legittimi, oltre che sul piano giuridico, specialmente sul piano
etico, politico e sociale), le P.A. interessate -ASL in primo luogo, ma
anche Regione e Comuni-, su richiesta della stessa di interloquire nei
procedimenti concernenti le scelte relative alla tutela della salute
dei malati di mente, ai piani relativi, alla realizzazione di strutture
da destinare alla terapia psichiatrica et similia, sono tenute a
consultare la medesima Associazione, eminentemente interessata alla
realizzazione della tutela della salute in tale ambito.
Sussistono motivi per compensare integralmente fra le parti le spese
egli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima,
definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni
altra contraria domanda ed eccezione, dichiara improcedibili il ricorso
introduttivo e i primi motivi aggiunti; rigetta i secondi motivi
aggiunti.
Compensa integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 14
ottobre 2004.
DEPOSITATO IN SEGRETERIA IL 15 NOVEMBRE 2004
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