Giurisprudenza - Ambiente

T. A. R. per il Veneto, Sez. I, Sent. 15 novembre 2004 n. 3929 relativa agli  interessi diffusi e interessi collettivi

 

 

FATTO

Il complesso immobiliare sito sull’isola di San Clemente, quale ospedale psichiatrico, ospitava numerosi malati mentali di ambo i sessi, al momento dell’entrata in vigore sia della “riforma sanitaria” (di cui alla legge n. 833/78, sia della c.d. “legge Basaglia” (L. n. 180/78). A seguito dell’attuazione di detta legge, i pazienti vennero dirottati verso altre sistemazioni (nelle strutture dedicate alla cura delle malattie mentali che dovevano subentrare agli ex ospedali psichiatrici), ovvero restituiti alle famiglie di appartenenza, con i conseguenti pesanti disagi e problemi per i familiari, oberati dell’assistenza a tali tipi particolari di malati. In seguito l’ASL 16 (poi confluita nell’ASL 11, succedutale nei rapporti patrimoniali attivi e passivi), nel cui patrimonio il complesso era pervenuto ex lege proprio dal comune- si propose di alienare l’isola con gli immobili che vi insistono, riconosciuti “non più utilizzabili a fini sanitari” pur avendo presente il principio di intangibilità del patrimonio sanitario, al Comune di Venezia, con l’obbligo di reimpiego dei proventi della gestione del complesso, e con destinazione dei fondi, diretta o indiretta, ad attività sanitarie e/o sociali.
Tanto si evince fin dai primi atti della procedura (delibere del comitato di gestione n. 1391 del 31.7.85 e n. 1097 del 27.6.86 (entrambe ratificate con delibera dell’assemblea generale), dichiarative della volontà di svincolare gli immobili e gli spazi della sede ospedaliera. Il procedimento proseguiva, poi, con l’individuazione di detti edifici e spazi inutilizzati, da svincolare (id est, alienare) e con l’adozione della delibera del c.d.g. n. 1382 del 3.8.89 (dove si afferma che è iniziato il piano di attuazione con la realizzazione di strutture alternative all’ospedale psichiatrico, ormai superato, e che è stato raggiunto un accordo con il Comune, comunque nel rispetto della “patrimonialità sanitaria” e della destinazione del ricavato per miglioramento e realizzazione di strutture sanitarie) e della delibera dell’amministratore straordinario n. 1099 del 6.5.92. Con quest’ultima, sull’assunto che il trasferimento dei pazienti mediante distribuzione alle altre strutture è una realtà, si dichiara dismessa dall’utilizzazione sanitaria l’isola di San Clemente e di procedere allo svincolo, principalmente a cura del consiglio comunale di Venezia, previa autorizzazione regionale. Seguivano, indi, i verbali di consegna al Comune, in data 8 settembre e 14 ottobre 1992, e l’autorizzazione regionale al trasferimento al patrimonio comunale, con D.G.R. n. 5435 del 25.9.92 e alla gestione sub specie di concessione et similia, e versamento del ricavato nelle entrate del bilancio dell’ASL (ove si danno per scontati i presupposti della chiusura del San Clemente e della avvenuta distribuzione dei malati tra l’Ospedale al mare, San Lorenzo e le case protette, il tutto inserito in un’ottica di programmazione sanitaria).
Tutti questi atti –conosciuti soltanto in esito a domanda di accesso ai documenti da parte dell’ASL 16 (il Comune, invece, ebbe a respingere l’istanza per genericità, con nota sintomatica del denunciato sviamento)- vengono impugnati con il ricorso in epigrafe dall’Associazione Italiana Tutela Sanità Mentale (associazione senza scopo di lucro fondata in Venezia- Mestre da familiari di ammalati mentali gravati dalla presenza in famiglia di simili ammalati, onde ottenere la dovuta attenzione da parte degli enti pubblici preposti).
Con unico motivo –richiamati i contenuti del “Piano socio- sanitario” (P.S.S.) e le varie strutture alternative all’ospedale psichiatrico che avrebbero dovuto essere create - si deduce violazione della L.R. n. 21/89 di approvazione del P.S.S.; eccesso di potere per falsità del presupposto e sviamento, sul rilievo che, contrariamente a quanto asserito negli atti impugnati, i malati di mente non risultano inviati in altre strutture, ma dimessi e mandati alle loro famiglie, e che le strutture alternative previste dal P.S.S. (al punto II.5.2) non risultano realizzate; in ogni caso, l’Ospedale San Clemente non poteva essere dismesso, dal momento che il P.S.S. dispone per gli ex stabilimenti ospedalieri psichiatrici l’utilizzazione in una vasta gamma di servizi dipartimentali. Il vero scopo dell’operazione sarebbe quello della “messa a frutto” dei proventi della vendita, e detta finalità è illegittima perché in contrasto con il vigente P.S.S., donde illegittimità degli altri atti impugnati.
Sarebbe, inoltre, aggirato il (pur ripetutamente richiamato) vincolo di destinazione a favore dell’ASL 16, segnatamente con la messa a disposizione del Comune a fini di gestione economica, donde lo sviamento (deportare i ricoverati per “liberare” l’isola e farne una “perla” del turismo lagunare). Lo sviamento sussiste, inoltre, sotto il diverso profilo della mancata stipulazione, all’uopo, di un accordo di programma e per la mancanza della voluntas accipiendi in capo al Comune, che rende illegittima la voluntas dandi (o piuttosto derelinquendi) dell’ASL
A seguito del deposito di documenti in esecuzione di ordinanza istruttoria –inerenti al numero dei ricoverati al momento della riforma, alla realizzazione delle strutture alternative e alla distribuzioni fra queste dei pazienti- parte ricorrente ha formulato una prima serie di motivi aggiunti, in relazione alla voce secondo cui l’isola de qua sarebbe stata venduta ad acquirente di cui è ignota l’identità, deducendo violazione degli art. 7 ss. della L. n. 241/90, sul rilievo che, a seguito del proposto gravame e della di lui pendenza, l’Associazione ricorrente aveva assunto la qualità di soggetto controinteressato, donde l’illegittimità della vendita ai sensi dell’art. 8.4 della medesima legge n. 241/90
Si deduce, inoltre, violazione dell’art. 7 della L. 20 marzo 1865 n. 2248 All. E, che imporrebbe alla P.A. procedente, in pendenza di un ricorso e pur in mancanza di sospensiva, un onere di trasparenza e di correttezza, vale a dire di informazione e giustificazione degli atti ulteriori.
In esecuzione di altra ordinanza presidenziale istruttoria (sollecitata nei prefati motivi aggiunti), sono stati depositati tutti gli atti del procedimento di alienazione, previa stipulazione di accordo di programma in data 11.9.97 fra Regione, Comune e ASL 12 circa l’alienazione dei beni non più funzionali all’attività sanitaria, e approvazione di variante al P.R.G. che prevede il mutamento di destinazione dell’isola da sanitaria ad attività private e di uso pubblico (mediante esperimento di asta pubblica, che si è conclusa –dopo essere andata deserta una prima volta- con l’aggiudicazione alla Compagnia Finanziaria d’investimento S.p.A., con la quale è stato stipulato il contratto di compravendita con atto di notaio in data 3.11.99).
Con ulteriori motivi aggiunti notificati anche alla società aggiudicataria vengono impugnati gli atti sopraggiunti dell’intero procedimento di aggiudicazione. Premesso che 102 fra i degenti del “San Clemente” furono inviati presso le rispettive famiglie, si deduce che tale dato avvalora la censura di sviamento per falsità di presupposto, dato che si decide di vendere un immobile per ricavarne reddito senza tenere conto del fatto che si trattava di immobile a destinazione speciale a servizio dei malati.
Viene, inoltre, formulata domanda di risarcimento “in forma specifica”. Inoltre, considerato che gli stessi atti hanno avuto esecuzione, e pur considerando che una sentenza di annullamento sarebbe autoesecutiva, tenuto conto delle finalità dell’Associazione, e che factum infectum fieri nequit, si chiede di affermare il dovere giuridico di consultazione della ricorrente nella sua funzione di cura e assistenza dei malati domiciliari, e che i proventi derivanti dal contratto concluso siano destinati alla finalità fissata dalla legge previa opportuna concertazione con l’Associazione (forma di risarcimento atipica sub specie di danno “associazionale”).
Si è costituita l’ULSS 15, preliminarmente eccependo: l’inammissibilità del gravame, per avere parte ricorrente con il medesimo inteso criticare il sistema introdotto dalla “legge Basaglia” (L. n. 180/78), finalità non perseguibile mediante un’azione giurisdizionale; irricevibilità del ricorso introduttivo rispetto alle date degli atti impugnati (risalenti a tre anni prima); carenza di interesse dello stesso rispetto agli atti sopravvenuti. Nel merito, se ne eccepisce l’infondatezza, con varie argomentazioni. Quanto ai primi motivi aggiunti, si eccepisce, oltre alla sopravvenuta carenza di interesse in seguito all’emissione dei provvedimenti sopravvenuti, che, essendo il procedimento di dismissione dell’isola (quello di vendita essendo un suo sub- procedimento) iniziato anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 241/90, le norme di questa non potevano trovare applicazione, e comunque che del procedimento era a conoscenza l’associazione ricorrente. Quanto ai secondi, la P.A. resistente ribadisce l’improcedibilità, il carattere politico- sociale della censura, inammissibilità perché si tratta di questioni inerenti al merito, e inammissibilità della domanda di risarcimento per omessa specificazione della pretesa e perché i proventi della vendita sono stati, appunto, destinati alle finalità fissata dalla legge.
Con memoria conclusionale parte ricorrente replica a tutte le eccezioni avversarie, ribadendo le censure già mosse.
All’udienza i difensori comparsi hanno svolto la discussione, ribadendo le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata spedita in decisione.

DIRITTO

1- Qualche considerazione preliminare va dedicata alla questione della legittimazione ad agire dell’associazione ricorrente, sulla quale si sofferma il patrocinio di essa ricorrente nella memoria conclusionale, per quanto detta legittimazione non venga messa esplicitamente in dubbio dalla P.A. resistente. I chiarimenti che se ne ricavano sembrano opportuni, peraltro, in relazione alle implicazioni che si possono trarre dal riconoscimento della legittimazione de futuro, dopo la sentenza (di ciò si dirà brevemente, più avanti).
Sul punto ritiene il Collegio, in primo luogo, che non si tratti di associazione portatrice di interessi diffusi, i quali, per definizione, sono privi di titolari individuali (adespoti), tanto che, per la loro protezione in sede specialmente processuale, occorre una sorta di personificazione attraverso la (pre)costituzione di organi quali comitati, associazioni, et similia, che se ne facciano portatori secondo il loro statuto, a nome della collettività che ne è la base di riferimento (e, nel suo assieme, la titolare). Nel caso dell’associazione ricorrente si versa, piuttosto, in certo modo in una figura mediana fra gli interessi individuali e quelli diffusi, potendosi più correttamente parlare di interessi collettivi. Questi trovano la loro base di riferimento non in una data collettività, bensì in un gruppo (più limitato, circoscritto e individuabile) di soggetti, e rappresentano –come osserva parte ricorrente- un coacervo di concreti interessi individuali che, senza la costituzione dell’organismo associativo, troverebbero più difficile (ma non impossibile, quanto meno in linea di principio) tutela. Va da sé che anche in simile ipotesi rilevante deve ritenersi lo statuto, il quale deve prevedere esplicitamente, tra le finalità dell’associazione, la tutela di siffatti interessi collettivi, non fosse altro che per giustificare come mai si muova l’associazione e non i singoli interessati.
In tale ottica la costituzione dell’associazione che se ne fa portatrice si configura come uno strumento atto a meglio proteggere detti interessi individuali, laddove nel caso degli interessi diffusi il comitato o associazione costituisce il tramite imprescindibile (condicio sine qua non) per la tutela processuale, in mancanza della quale non sarebbe affatto possibile difendere in giudizio detti interessi diffusi. Tanto chiarito, sembra evidente che nel caso di specie l’associazione ricorrente possegga i requisiti per potere essere correttamente considerata come legittima portatrice degli interessi collettivi rappresentati (dei familiari degli ammalati, sui quali ricade l’onere di assistenza dei medesimi), i quali trovano espressione nell’art. 2 dello statuto associativo.
2- Come riportato nella narrativa in fatto che precede, la P.A. resistente ha eccepito, in relazione al ricorso originario, la sopravvenuta carenza di interesse, dal momento che gli atti deliberativi avversati con il medesimo sono stati superati dagli atti e provvedimenti sopravvenuti, contestati con i motivi aggiunti.
Al riguardo, si osserva che, effettivamente, gli atti della serie procedimentale posti in essere dall’ULSS, impugnati con il ricorso introduttivo, sono stati –come risulta per tabulas dagli sviluppi della vicenda e dai documenti in atti, e dalle stesse allegazioni difensive della parte ricorrente nei motivi aggiunti- superati da quelli impugnati in prosieguo di tempo, con le due memorie di motivi aggiunti. Ed invero, con questi ultimi –impugnati con i motivi aggiunti- si è perfezionata la vendita dell’isola di S. Clemente, realizzandosi così le finalità già poste alla base della prima serie.
Pare evidente, dunque, che in relazione all’impugnativa mossa con il ricorso introduttivo, poiché ogni discussione o controversia non può che spostarsi sulla contestazione di questi ultimi atti e provvedimenti mediante proposizione di motivi aggiunti (come, poi, è avvenuto), deve ritenersi venuto meno l’interesse alla decisione. Il ricorso introduttivo, dunque –conformemente all’eccezione sollevata al riguardo ex adverso- va dichiarato improcedibile. Detta conclusione esime il Collegio dall’approfondimento della questione della ricevibilità di detto ricorso introduttivo, vale a dire se lo stesso possa ritenersi, o meno tempestivo.
D’altra parte le medesime ragioni rendono chiaro che anche i primi motivi aggiunti seguono la stessa sorte. Poiché, infatti, anche le doglianze mosse nei riguardi delle voci di avvenuta vendita degli immobili in questione rimangono assorbite dalla proposizione dei secondi motivi aggiunti avverso gli atti della serie procedimentale che ha portato all’aggiudicazione della gara appositamente bandita e alla stipulazione del contratto di compravendita con l’impresa aggiudicataria (conosciuti a seguito di ordinanza presidenziale istruttoria), deve concludersi che anche i primi motivi aggiunti divengono improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
3- Tanto premesso, si può passare all’esame delle contestazioni concernenti gli atti di tale serie procedimentale, peraltro mosse non precisamente in via autonoma, bensì mediante collegamento e anzi ripresa e sviluppo delle censure mosse al disegno della P.A. resistente (come delle altre amministrazioni evocate in giudizio ma non costituite), volto a dismettere ed anzi alienare gli immobili situati sull’isola di S. Clemente, onde farne –previa congruente modifica della destinazione di zona, mediante variante al piano regolatore- una residenza alberghiera di lusso.
Al riguardo osserva il Collegio che, se questa è l’impostazione complessiva delle censure, e se queste si appuntano, in concreto, sull’affermato “tradimento” del disposto della L.R. di approvazione del piano sanitario regionale e, in particolare, del punto II.5.2 del piano psichiatrico regionale, là dove si prevede, testualmente: “Data la cronica carenza di spazi, le vecchie strutture potranno essere riutilizzate con le necessarie ristrutturazioni, per i servizi previsti al capitolo II. In generale i ricavi di eventuali alienazioni e lo stesso patrimonio dovranno essere utilizzati o mantenuti esclusivamente per le esigenze dei servizi psichiatrici”, bisogna prendere atto che, quanto meno sul piano formale, stando alle risultanze documentali, non possa affermarsi che non è stata rispettata tale direttiva.
La P.A. resistente ha, infatti, ripetutamente affermato che i proventi incassati con la vendita in discussione sono stati in parte già utilizzati (e in parte lo sono attualmente) per fini di cura, conformemente al disposto normativo. Di ciò, in realtà, prende atto lo stesso patrocinio ricorrente –con i secondi motivi aggiunti e con la memoria conclusionale, con i quali –anche considerato che factum infectum fieri nequit, donde l’inattaccabilità del contratto di compravendita dell’immobile- è costretto a mutare, per così dire, “in corso d’opera” il petitum, chiedendo al giudice adito di dichiarare il “dovere giuridico (e non solo politico e sociale) della consultazione dell’Associazione ricorrente nella sua funzione di cura / assistenza anche domiciliare dei malati di mente, nell’attività conformativa susseguente alla sentenza di annullamento”, e di destinare i proventi alla finalità fissata dalla legge, “secondo le modalità di opportuna concertazione con l’Associazione. Tale nuovo petitum il patrocinio della ricorrente definisce come forma atipica di risarcimento in forma specifica, denominandola “danno associazionale”.
Ora, non sembra al Collegio che possa parlarsi di risarcimento di un danno siffatto, né di reintegrazione in forma specifica, in relazione a una simile domanda, la quale non può essere accolta in questi termini. Per tale ragione il ricorso (rectius: i secondi motivi aggiunti) deve ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.
Peraltro, dalla constatata piena legittimazione dell’Associazione dei familiari di malati di mente a rappresentarne gli interessi (più che legittimi, oltre che sul piano giuridico, specialmente sul piano etico, politico e sociale), le P.A. interessate -ASL in primo luogo, ma anche Regione e Comuni-, su richiesta della stessa di interloquire nei procedimenti concernenti le scelte relative alla tutela della salute dei malati di mente, ai piani relativi, alla realizzazione di strutture da destinare alla terapia psichiatrica et similia, sono tenute a consultare la medesima Associazione, eminentemente interessata alla realizzazione della tutela della salute in tale ambito.
Sussistono motivi per compensare integralmente fra le parti le spese egli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni altra contraria domanda ed eccezione, dichiara improcedibili il ricorso introduttivo e i primi motivi aggiunti; rigetta i secondi motivi aggiunti.
Compensa integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 14 ottobre 2004.
DEPOSITATO IN SEGRETERIA IL 15 NOVEMBRE 2004

 

 


 

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