Giurisprudenza - Ambiente

Tribunale Superiore delle Acque, sent. n. 66 del 26 maggio 2000, sull’applicabilità dell’art. 14, comma 1, della L. n. 241 del 1990, e sull’esigenza di prendere in considerazione gli interessi pubblici coinvolti in sede di imposizione del vincolo archeologico ai sensi della legge n. 1089 del 1939.

Titoletto: Demanio e patrimonio – Beni archeologici – Provvedimenti di vincolo – Interferenza con opera pubblica in corso di realizzazione- Composizione degli interessi pubblici coinvolti – Necessità – Fattispecie.
 

Testo massima: Pur nella esclusiva pertinenza all’apprezzamento tecnico alla discrezionalità dell’Amministrazione preposta alla cura dell’interesse archeologico, l’esercizio dei poteri e delle facoltà attribuite dalla legge n. 1089 del 1939 non può prescindere dal coordinamento con le competenti Autorità allorché esso interviene ad impedire la realizzazione di interessi pubblici già operativamente definiti, oltretutto sulla base di programmi espressamente indirizzati a favorire lo sviluppo di una determinata realtà territoriale e della sua popolazione, elaborati con la partecipazione dell’Amministrazione regionale competente, come, per quanto qui interessa, l’opera pubblica concesse nel quadro degli interventi speciali per il Mezzogiorno e già quasi interamente realizzata, con ingente impegno di pubblico danaro.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche

 riunito in Camera di Consiglio, composto dagli Ill.mi Sigg.ri:
1) S.E. VIOLA dr. Giuseppe            Presidente
2) CRISCUOLO dr. Alessandro
3) VITRONE dr. Ugo
4) MILLEMAGGI COGLIANI avv. Chiarenza
5) FALCONE avv. Pietro
6) FERA dr. Aldo
7) BRACCHI dr. ing. Aldo
il 1° e il 2° Consiglieri di Cassazione; il 4°, il 5° ed il 6° Consiglieri di Stato; il 7° componente effettivo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici 
        - GIUDICI -
ha pronunciato la seguente 
S E N T E N Z A 
nella causa iscritta nel Ruolo Generale dell'anno 1998 al n. 14 
 vertita 
T R A
- il Consorzio di Bonifica 7 di Caltagirone, con sede in Caltagirone,  via Arcoleo n.172,  in persona dell'Amministratore provvisorio, dott. Gaetano Aprile,  ed il Consorzio di Bonifica di Caltagirone in liquidazione, con sede in Caltagirone, via Arcoleo n.172, in persona del Commissario liquidatore ex art.4 legge regionale 27 maggio 1997, n.16, dott. Gaetano Aprile, entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Compagno ed elettivamente domiciliati nello studio del medesimo in Roma, via Isonzo n.50
C O N T R O
la Regione siciliana - Assessorato regionale in carica dei beni culturali ambientali - Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Enna – in persona dell’Assessore in carica Antonino Croce, rappresentato e difeso edagli Avv.ti Michele Arcadipane e Francesco Torre, dell’Ufficio legislativo e legale della Regione siciliana, ed elettivamente domiciliatom in Roma, via Marghera n. 36, presso l’Ufficio della Regione siciliana
E NEI CONFRONTI
- della Società Consortile Pietrarossa a r.l.. in persona del rappresentante in carica;
- della Impregilo s.p.a..  capogruppo del R.T.I. Impregilo Cogei S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica;
- del Ministero delle finanze, in persona del Ministro delle finanze in carica;
- del Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro in carica;
- del Comune di Aidone, in persona Sindaco in carica
OGGETTO DEL GIUDIZIO:
Annullamento dei seguenti atti:
- decreto dell'Assessore regionale dei beni culturali ed ambientali della Regione siciliana, n.5145 del 28 gennaio 1997, trasmesso al Consorzio con nota della Soprintendenza per beni culturali ed ambientali della Regione siciliana – sezione beni archeologici di Enna, n.4148/III del 7 ottobre 1997, ricevuta il 14 ottobre 1997;
- lettera di trasmissione del suddetto decreto;
- ordine di sospensione prot.n.4335/III del 20 ottobre 1997, emesso dal responsabile della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali della Regione siciliana - sezione beni archeologici di Enna;
- ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso.
 
CONCLUSIONI DELLE PARTI:
 All’udienza del 4 ottobre 1999, appositamente fissata, l’Avv. Michele Conte, in sostituzione dell’Avv. Compagno, per i ricorrenti e l’Avv. Arcodipane nell’interesse dell’Amminitrazione della regione siciliana, resistente, hanno precisato le rispettive conclusioni, quanto al primo riportandosi al ricorso introduttivo e pertanto chiedendo, in accoglimento del ricorso, l’annullamento degli atti impugnati , con vittoria di spese, e, quanto al secondo, riportandosi a foglio a verbale, contestualmente depositato, nel quale è fatta richiesta di reiezione del ricorso perché inammissibile ed infondato. 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 I ricorrenti in epigrafe hanno impugnato gli atti in oggetto specificati, precisando in fatto quanto segue:
- con decreto n.5145 del 28 gennaio 1997 1'Assessore regionale dei beni culturali ed ambientali della Regione siciliana ha dichiarato di importante interesse archeologico una porzione di terreno sita nel comune di Aidone (EN) e collocata nel foglio di mappa n.39, porzione della particella n.10, stabilendo alcune prescrizioni per la zona anzidetta, nonché per una contigua zona di rispetto, nel dichiarato intento di salvaguardare i reperti archeologici e il complesso locale;
  - con successivo ordine del 20 ottobre 1997 il Responsabile della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali ha ordinato la sospensione dei lavori di qualsiasi tipo "che possano comportare modifiche allo stato dei luoghi", ossia, in concreto, la sospensione dei lavori di costruzione dell'invaso Pietrarossa, realizzati dal Consorzio di bonifica di Caltagirone, su concessione della ex Agensud, affidati in appalto alla società consortile Pietrarossa - R.T.I. Impregilo-Cogei.
 Gli atti citati sarebbero illegittimi perché viziati da:
- eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento dell'azione amministrativa (per essersi consumato il potere dell'Amministrazione in ordine alla sussistenza di impedimenti per la realizzazione dei lavori) e contrasto con precedenti determinazioni, oltre che per violazione dell'art. 19, comma.3, della legge regionale 29 aprile 1985, n.21 (I motivo); 
- violazione degli artt. 13 della legge  29 giugno 1939 n.1497, 14, lettere g) ed i) e 20, comma l, dello Statuto della Regione siciliana (II motivo);
- eccesso di potere per sviamento dell’azione amministrativa, carnza assoluta di presupposi e difetto di adeguata iostruttoria (III motivo);
- incompetenza e violazione dell’art. 20 della L. n. 1089 del 1939 (IV motivo);
- eccesso e carenza di potere per carenza dei presupposti; violazione, sotto distinto profilo, dell’art. 20 L. n. 1089 del 1939.
Gli interessati illustrano le censure prospettate nel primo motivo muovendo dalla precisazione che, in sede di acquisizione dei prescritti pareri per la realizzazione del progetto relativo alla realizzazione dell’invaso di Pietrarossa, il Consorzio, nel trasmettere alla competente Soprintendenza, con nota del 23 settembre 1987, tutti gli elaborati progettuali - al fine di conseguire i nullaosta paesaggistico ed ambientale – si è anche fatto carico di sollecitando l’Ufficio a considerare il possibile interesse archeologico del sito in cui avrebbe avuto luogo l’intervento, chiedendo cautelativamente la relativa autorizzazione, ancorché nessun vincolo al riguardo fosse stato imposto e, successivamente - ottemperando alla richiesta della  stessa Soprintendenza (formulata con nota n.6586 del 4 novembre 1987) - inviando ulteriore copia degli elaborati progettuali alla Sezione Archeologica per il parere di competenza, senza che alcuna comunicazione sia poi pervenuta da detto Ufficio nel termine di 90 giorni prescritto dall’art. 19, comma 3, L. reg. siciliana 29 aprile 1985 n. 21, né successivamente, allorché, nel giugno del 1990, furono rinvenuti nella zona i primi reperti archeologici.
La circostanza che soltanto ne dicembre del 1995 la Soprintendenza abbia inoltrato all’Assessorato regionale la proposta di vincolo, successivamente imposto con il provvedimento impugnato vizierebbe  grossolanamente, per i profili denunciati nel mezzo, il comportamento dell’amministrazione, sia per contrasto con precedenti determinazioni (silenzio significativo sulla richiesta di nullaosta), sia per avere consentito l’amministrazione , con la sua ingiustificabile inerzia, che fossero appaltati ed eseguiti lavori per oltre 90 miliardi di lire, per la costruzione di una diga che, ora, con i provvedimenti impugnati, si vorrebbe lasciare incompiuta. 
L’esigenza di salvaguardia dei beni archeologici andrebbe esercitata, dagli organismi preposti nel rispetto della normativa speciale e senza condizionare in maniera tanto pesante lo svolgimento dell’attività delle altre amministrazioni, per di più allorché l’Amministrazione sia stata messa in grado, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, di considerare e valutare tempestivamente la sussistenza di interessi archeologici da salvaguardare in contrapposizione a quelli alla cui soddisfazione era rivolto il disegno progettuale sottoposto al suo esame, con impegno di ingenti risorse finanziarie pubbliche.
 Con il secondo motivo, è prospettata l’esigenza che il provvedimento di vincolo fosse emanato previo concerto con il Ministero delle finanze (in qualità di titolare del demanio e del Ministero dei lavori pubblici succeduto alla Cassa per il Mezzogiorno.
 In difetto, risulterebbe in definitiva violato il disposto dell’art. 13 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, i forza del quale sarebbe richiesto il concerto con tutte le amministrazioni interessate, per tutti i provvedimenti che riguardano opere pubbliche.
 Nel caso in esame, la diga della quale si tratta era stata assentita al consorzio in concessione dalla cessata Agenzia per il Mezzogiorno e, trattandosi di opera di prevalente interesse nazionale, inerisce al demanio dello Stato, con la conseguenza che anche il Ministero delle finanze andava sentito prima della adozione dei provvedimenti impugnati.
 I ricorrenti non si nascondono la circostanza che la norma invocata non riguarderebbe la specifica materia oggetto del contendere, ma traggono da essa un principio di ordine generale applicabile anche alla bateria della tutela dei beni archeologici.
 Con riserva di motivi aggiunti, con il terzo motivo sono sollevati dubbi sulla esistenza dei presupposti per l’apposizione del vincolo, rilevandosi come la situazione di fatto non sarebbe tale da giustificare la forma di tutela adottata.
 Infine, il soggetto firmatario del provvedimento di sospensione dei lavori (affetto da illegittimità derivata) non sarebbe stato competente ad emettere l’ordine di fermo (quarto motivo), il quale, oltretutto concernerebbe lavori posti al di fuori sia dell’area archeologica, sia anche dalla fascia di rispetto, come risulterebbe del resto dal verbale di sopralluogo del 22 giugno 1990 (quinto motivo).
 Conclude, pertanto, parte ricorrente, per l’accoglimento del ricorso con consequenziale annullamento degli atti impugnati e vittoria di spese.
  2. All’udienza di prima comparizione, nessuno comparso per la Regione convenuta, veniva accordata la sospensione incidentale dei provvedimenti impugnati.
 Successivamente, comparsa l’Avvocatura generale dello Stato, deducente l’impossibilità di assumere la difesa dell’Amministrazione regionale per sussistente conflitto di interessi fra Amministrazione statale ed amministrazione regionale in ordine ai provvedimenti oggetto della controversia, con ordinanza resa all’udienza del 23 marzo 1998, il Consigliere delegato ha disposto la rinotificazione del ricorso e della relativa ordinanza nella sede reale degli organi regionali originariamente convenuti in giudizio, dando all’uopo apposito termine alla parte ricorrente, e riservando alla parte convenuta i diritti inerenti alla costituzione in giudizio.
 3. Regolarmente provvedutosi all’incombente da parte attrice, si è costituita la Regione siciliana, in persona dell’intimato Assessore in carica, resistendo all’impugnazione sulla base delle seguenti eccezioni di merito:
  - irrilevanza, ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di nullaosta, presentata allorché non era neppure emerso l’interesse archeologico del sito;
 - d’altra parte, la circostanza che un bene non sia stato preso in considerazione, quale possibile oggetto di tutela, ex L. 1089 del 1939, fino ad un certo periodo, non preclude all’Amministrazione una successiva differente valutazione, anche in dipendenza di nuovi orientamenti o di nuovi e più penetranti accertamenti;
 - lo stesso Consorzio, del resto, nel presentare la richiesta di nullaosta avrebbe mostrato di aver percepito l’importanza archeologica del territorio interessato dell’intervento, il che avrebbe richiesto una maggiore cautela nel portare a termine l’opera, la quale, già al tempo avrebbe dovuto essere considerata a rischio;
 - l’omesso contemperamento dei contrapposti interessi non avrebbe ragione di essere con riferimento alla unicità ed infungibilità del sito archeologico;
 - il provvedimento di vincolo impugnato avrebbe natura ricognitiva dell’interesse archeologico, attesa, fra l’altro, la natura pubblica del sito, con le conseguenza della applicabilità delle norme che ne prescrivono la tutela anche indipendentemente dalla formazione del vincolo;
 - i principi desumibili dall’art. 13 della legge n. 1497 del 1939 non troverebbero applicazione in tema di tutela dei beni artistici e storici, disciplinata dalla legge n. 1089 del 1939, in ragione, oltre tutto della natura più penetrante della tutela medesima, alla stregua delle stesse intenzioni del legislatore dell’epoca che analoga regola non ha apposto nella coeva fonte normativa;
 - la carenza di istruttoria sarebbe smentita dalla circostanza che la Soprintendenza ebbe ad avviare i suoi accertamenti nel giugno del 1990, con il    compimento di scavi che non potevano essere ignorati, per la loro evidenza, dal Consorzio;
 - l’incompetenza dedotta con il quarto motivo sarebbe poi smentita dalla circostanza che l’ordine di sospensione è firmato dal Soprintendente ed anche timbrato; né sarebbe rilevante la qualificazione di responsabile assunta dal proponente dirigente della Sezione archeologica, dal momento che il Soprintendente ha vistato (e, quindi, concordato, assumendone la responsabilità), il provvedimento di sospensione;
 - sarebbe riduttivo, in base alle finalità che presiedono al potere indicato nell’art. 20  in relazione all’art. 59 della L. n. 1089 del 1939, ritenere che l’interesse tutelato incontrerebbe il limite della estensione dell’area direttamente interessata dal ritrovamento archeologico, in quanto, seppure è vero che la struttura della diga non insiste sul sito archeologico, tuttavia essa sarebbe soltanto la parte emergente dell’intera realizzazione (l’invaso) che, una volta completata, determinerebbe l’inondamento del ritrovamento archeologico e, dunque, la sua distruzione.
 In conclusione, il ricorso andrebbe rigettato, con le conseguenze di legge.
 4. In seguito, completata l’istruttoria e precisate le conclusioni, la causa, un prima volta chiamata alla pubblica udienza del 13 dicembre 1999 e trattenuta in decisione,  veniva rimessa sul ruolo dell’udienza collegiale del 14 febbraio 2000,  con ordinanza emessa in camera di consiglio lo stesso 13 dicembre 1999, in considerazione della composizione del collegio e della partecipazione allo stesso dell’Ing. Giovanni Gugliemi, dirigente del Ministero dei lavori pubblici interessato, per ragioni del suo ufficio, alla realizzazione dell’opera incisa dai provvedimenti impugnati e, dunque, in situazione di incompatibilità in quanto, la relativa pratica, pervenuta al Ministero per i lavori pubblici dalla cessata Agenzia per il Mezzogiorno, risulta assegnata, nell’ambito della organizzazione propria di quel Ministero, alla responsabilità del suddetto ingegnere dirigente, secondo quanto dallo stesso dichiarato.
 Successivamente la causa, a seguito di due successivi rinvii ad istanza della parte ricorrente (impedita per causa di malattia), è stata chiamata alla pubblica udienza del 28 febbraio 2000 e trattenuta in decisione.   
MOTIVI DELLA DECISIONE
 1. Il ricorso in esame concerne l’impugnazione dei provvedimenti adottati, rispettivamente, dall’Assessore regionale dei beni culturali ed ambientali della Regione siciliana (decreto n.5145 del 28 gennaio 1997) e dal responsabile della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali della Regione siciliana - sezione beni archeologici di Enna, aventi ad oggetto la dichiarazione di importante interesse archeologico di una porzione di terreno sita nel comune di Aidone (EN) - interessata dalla realizzazione di una diga  finanziata nell’ambito degli interventi straordinari per il Mezzogiorno, in concessione al Consorzio di bonifica di Caltagirone (in liquidazione), cui è poi subentrato il Consorzio di Bonifica 7 di Caltagirone – con le connesse prescrizioni a tutela della zona direttamente interessata e della zona contigua, nonché la sospensione dei lavori delle strutture della diga in questione, ormai in stato di avanzata realizzazione, in area contigua ancorché non direttamente interessante il giacimento di reperti archeologici dei quali si tratta.
 Esso pone il delicato problema della composizione fra la funzione pubblica di tutela culturale e i concorrenti e spesso contrapposti interessi  pubblici i quali con la stessa possono entrare in conflitto.
 La questione si connota per la circostanza che, come precisato in narrativa, nel territorio nel quale sono stati rinvenuti, in epoca recente, i reperti, è stato progettato  ed, in buona misura, portato a compimento, un intervento pubblico di rilevanti dimensioni, in termini di destinazione e compromissione del sito, il quale ebbe a ricevere, nella fase della progettazione esecutiva tutti i permessi e le autorizzazioni necessari alla sua realizzazione, restando silente, sul punto, la stessa Amministrazione competente per la tutela archeologica, ancorché sollecitata con la richiesta di autorizzazione, proposta per la situazione di allerta in cui versava il concessionario per la stessa ubicazione dei terreni, in zona della Sicilia che ben poteva configurarsi come possibile sede di insediamenti storicamente e culturalmente rilevanti e che, tuttavia, all’epoca, non risultava essere stata assoggettata a vincoli di sorta.
 L’inerzia colpevole dell’Amministrazione (emergente, in punto di fatto, anche da atti provenienti dal giudice penale) ha fatto sì che l’opera pubblica –  destinata ad incidere sul regime delle acque, nel quadro di misure e programmi di interventi per le regioni del Mezzogiorno – potesse essere portata quasi  completamente a compimento, prima che il competente Assessore adottasse i provvedimenti di competenza e la Soprintendenza intervenisse con la misura cautelativa anch’essa oggetto della presente impugnazione.
 2. La difesa dei ricorrenti ha consapevolezza  che, nel disegno normativo della legge n. 1089 del 1939 non sono previsti schemi idonei a consentire l’introduzione e la ponderazione di interessi pubblici diversi da quelli di stretta natura culturale alla quale presiedono il potere di tutela culturale  e le sue modalità di esercizio.
 Essa, però, desume dall’art. 13 della legge 29 giugno 1939 n. 1497 (concernente, come è noto, la tutela delle bellezze naturali) la regola di carattere generale, secondo cui, anche nella specifica materia, tutti i provvedimenti, che riguardano opere pubbliche, andrebbero essere emessi di concerto con le singole Amministrazioni interessate.
 Il rilievo, contenuto nel secondo motivo di impugnazione, merita di essere esaminato con precedenza rispetto a tutte le ulteriori censure, ancorché il principio enunciato non possa essere desunto dall’art. 13 della L. n. 1497 del 1939.
 Al tempo in cui vennero introdotte nell’ordinamento le leggi di tutela dei beni ambientali e dei beni culturali, storici ed artistici, mancavano regole generali sul procedimento amministrativo e mancava altresì una diffusa sensibilità giuridica in ordine alla esigenza della introduzione, nel procedimento, di tutti gli interessi, pubblici e privati coinvolti. 
In più, la funzione pubblica di tutela culturale, nel disegno tracciato dalla legge n. 1089 del 1939, appare governata da giudizi di discrezionalità tecnica, che, secondo la logica del tempo, mancherebbe totalmente delle connotazioni proprie della discrezionalità amministrativa, al cui ambito è riconducibile l’esigenza di comparazione e di bilanciamento degli interessi concorrenti e contrapposti.
Ne è derivata, dunque, per i riflessi procedimentali, la mancata previsione, nella legge della quale si tratta, di modelli partecipativi, i quali non possono essere mutuati dalla differente legge sulla tutela delle bellezza naturali, proprio perché l’indipendenza del potere esercitato (tanto nella fase istitutiva dei vincoli, che in quella della loro gestione)  dal resto dei differenti interessi pubblici appare concepita e voluta, dal legislatore del tempo, in funzione della natura tecnica della discrezionalità esecitata.
In considerazione di quanto sopra, non può, dunque, annettersi alla coeva L. n. 1497 del 1939 ed ai principi in essa contenuti la portata generale generale indicata dagli interessati, neppure in relazione alle disposizioni dello Statuto della Regione siciliana che riservano alla competenza legislativa ed amministrativa dello Stato la materia relativa alla esecuzione delle opere pubbliche di prevalente interesse nazionale, da acquisirsi al demanio dello Stato, come nella specie la diga della quale si tratta. 
La censura tuttavia ha valenza autonoma rispetto alla norma di riferimento erroneamente indicata, in quanto implica l’esistenza, nell’ordinamento vigente, di un principio generale che esige l’acquisizione, anche nella specifica materia, di tutti gli interessi pubblici coinvolti nel procedimento, allorché il vincolo archeologico abbi ad interferire con opere pubbliche già deliberate.
E chiaro dunque che la prospettazione della fonte dalla quale deve ricavarsi il principio, non vincola il giudice di legittimità, così come non rileva l’indicazione della modalità attraverso cui pervenire alla composizione degli interessi confligenti (rinvenuta dai ricorrenti nell’istituto del concerto indicato del citato art. 13 della L. n. 1497 del 1939).
 Invero, la persistente vigenza di una normativa risalente al 1939, ne impone una interpretazione conforme ai canoni ai quali, in linea generale, devono oggi conformarsi le pubbliche amministrazioni, con riferimento, non soltanto ai principi fissati dalla Costituzione (art. 97), ma anche ai precetti delle legge ordinarie che a tali principi hanno data concreta attuazione, individuando e componendo puntuali precetti volti ad assicurarne l’attuazione.  
Da tempo la giurisprudenza amministrativa ha espresso indirizzi favorevoli, nella materia, alla presa in considerazione degli interessi concorrenti, specie se pubblici (si ricordano, Cons. di Stato, Adunanza plenaria 7 giugno 1973 n. 6 e Sez. VI 20 maggio 1977 n. 438).
E’ inoltre pacificamente riconosciuta, anche in questo campo, l’operatività del limite esterno derivante dal canone fondamentale secondo cui ogni scelta dell’Amministrazione deve orientarsi verso un risultato che comporti il minor sacrificio possibile di istanze diverse dall’interesse pubblico perseguito. 
In epoche diverse è stato ritenuto che la misura del rispetto di tale limite potesse essere data soltanto dalla motivazione dei provvedimenti con i quali la funzione veniva esercitata, nel senso che dovesse trasparire il procedimento logico seguito, in termini di necessità della misura imposta rispetto all’interesse pubblico perseguito.
Allo stato attuale, non può non tenersi conto della circostanza che il principio partecipativo, in termini di preventiva acquisizione degli interessi al provvedimento, è divenuto immanente all’azione della pubblica amministrazione, sia che si esprima attraverso un’attività propriamente discrezionale, sia anche che contenga, alla base, valutazioni di discrezionalità tecnica.
La regola secondo cui “qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente indice, di regola, una conferenza di servizi”  (art. 14, comma 1, L 7 agosto 1990 n. 241), già vigente al tempo della adozione del provvedimento impugnato ed ancor prima, allorché era stata avviata l’istruttoria sul ritrovamento e la sua importanza archeologica, avrebbe dovuto imporre all’Amministrazione regionale un differente modo di procedere.
E’ appena il caso di ricordare che, con specifico riferimento agli interessi privati coinvolti dalla imposizione del vincolo storico ed artistico, la giurisprudenza si è recentemente orientata sulla sussistenza dell’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 22 luglio 1999 n. 1005), rilavando come “la nuova concezione della partecipazione annette all’intervento del privato il duplice ruolo difensivo- collaborativo, in forza del quale, la determinazione provvedimentale, anche nell’ipotesi di emersione di interessi pubblici forti, ontologicamente prevalenti sull’interesse privato antagonista, costituisce portato di una scelta nella quale indispensabile è, a livello potenziale, l’apporto costitutivo del privato”, con la specifica ulteriore considerazione che “l’utilità di taòe apporto, si presente…di particolare pregnanza per procedimenti, quale quello di specie, nei quali assai rilevante è il tasso di discrezionalità tecnica connaturato alla statuizione vincolistica e , per l’effetto, evidente risulta la opportunità, anche sotto il profilo della economicità, di anticipare alla fase procedimentale il confronto, normalmente tipico del procedimento processule, tra le valutazioni dell’amministrazione e le considerazioni dell’interessato in merito ai connotati del bene”.
In linea più generale, conferendo ulteriore autorevolezza alla linea esegetica già da tempo seguita da questo Tribunale Superiore, l’Adunanza plenaria del consiglio di Stato, con decisione n. 14 del 15 settembre 1999, ha affermato (in occasione di questione relativa a dichiarazione di pubblica utilità implicante approvazione di progetto di opera pubblica) il superamento, per effetto della legge n. 241 del 1990, della definizione unilaterale del pubblico interesse, conferendo al principio del giusto procedimento la natura di criterio di orientamento, per il Legislatore e per l’interprete (Corte cost. n. 57 del 1995), tanto da diventare, per la stessa Corte costituzionale il presupposto per negare, con sentenza interpretativa di rigetto, l’illegittimità costituzionale di disposizioni che disciplinano determinati procedimenti senza prevedere il contraddittorio con gli interessati (Corte cost. n. 383 del 1996).
4. I principi e le considerazioni che precedono non possono essere privi di riflessi in tema di coinvolgimento degli interessi pubblici, rispetto ai quali è davvero inaccettabile ed in contrasto con i principi generali dell’ordinamento una concezione della gestione del bene pubblico articolata per compartimenti stagni, tali da rendere impenetrabile l’esercizio del potere a ragioni di pubblico interesse differenti da quello principale affidato alle cure di una determinata amministrazione.
Deve ritenersi al contrario che incomba ad ogni pubblica amministrazione ancorché il potere esercitato sia connotato da ampia discrezionalità tecnica, di prospettarsi il problema del coinvolgimento di una pluralità di interessi pubblici e di ricercarne la composizione nel procedimento, attraverso la conferenza dei servizi, allorché lo schema procedimentale non indiche differenti, specifici, strumenti. 
5. Nella specie, alla stregua dei suesposti principi, è, dunque, illegittimo il provvedimento di apposizione del vincolo che abbia del tutto trascurato di dare attuazione alla regola stabilita dall’art. 14, comma 1, della L. n. 241 del 1990, omettendo di prendere in considerazione l’opportunità di prendere in considerazione gli interessi pubblici coinvolti dalla misura.
Pur nella esclusiva pertinenza all’apprezzamento tecnico alla discrezionalità dell’Amministrazione preposta alla cura dell’interesse archeologico, l’esercizio dei poteri e delle facoltà attribuite dalla legge n. 1089 del 1939 non può prescindere dal coordinamento con le competenti Autorità allorché esso interviene ad impedire la realizzazione di interessi pubblici già operativamente definiti, oltretutto sulla base di programmi espressamente indirizzati a favorire lo sviluppo di una determinata realtà territoriale e della sua popolazione, elaborati con la partecipazione dell’Amministrazione regionale competente, come, per quanto qui interessa, l’opera pubblica concesse nel quadro degli interventi speciali per il Mezzogiorno e già quasi interamente realizzata, con ingente impegno di pubblico danaro.
6. Sulla base delle ragioni che precedono, prevalenti ed assorbenti, il ricorso deve essere accolto, con salvezza degli ulteriori provvedimenti.
Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate, fra le parti, le spese del giudizio. 
P.Q.M.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in sede di giurisdizione diretta di legittimità, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati ai sensi di cui in motivazione;
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio;
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 28 febbraio 2000, dal Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, in Camera di consiglio, con l'intervento dei Magistrati nominati in epigrafe.
 
 
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