Giurisprudenza - Ambiente

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1904  del 2 aprile 2001, sui limiti al potere di ordinanza contingibile ed urgente del sindaco in materia ambientale  

REPUBBLICA ITALIANA          
     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO         
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale   Quinta  Sezione           
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4550/1995 proposto dal comune di Mediglia, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avvocati Giovanni Mariotti ed Enrico Romanelli, presso il secondo elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria n. 5;
CONTRO
Giuseppe Gimondi ed  Isolina Pesenti Barili, ved. Gimondi, rappresentati e difesi dagli av.ti Bassano Baroni ed Eugenio Merlino p resso il secondo elettivamente domiciliati in Roma, Via A. Genovesi n. 3;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Prima Sezione, 28 aprile 1994, n. 899.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore  alla pubblica udienza del 6 febbraio 2001, il Consigliere Marco Lipari;
Uditi gli avv.ti Romanelli e Merlino;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dagli attuali appellati, Signori Giuseppe Gimondi ed Isolina Pesenti Barili, ved. Gimondi, contro l’ordinanza 22 dicembre 1988, n. 298, adottata dal sindaco di Mediglia, avente ad oggetto la “messa in sicurezza” e la bonifica di un’area adibita, secondo l’amministrazione, a “discarica abusiva”.
Il comune appellante censura la decisione del tribunale, deducendo l’infondatezza dell’originario ricorso.
Le parti appellate resistono al gravame.
DIRITTO
1 L’amministrazione appellante propone un unico motivo di gravame, censurando la sentenza del tribunale, nella parte in cui ha giudicato non sufficientemente motivata l’ordinanza impugnata, con particolare riguardo alla omessa individuazione del concreto pericolo per la salute e per l’igiene pubblica.
A sostegno del gravame, il comune espone che:
- a partire dal 1986, in esecuzione di un’ordinanza del Ministero per il coordinamento della protezione civile, emanata in seguito al ritrovamento di alcune sostanze tossiche e nocive, l’amministrazione comunale aveva avviato una complessa azione per il recupero delle zone rivierasche del fiume Lambro;
- tale attività comprendeva anche il censimento delle discariche abusive situate nel territorio comunale;
- in data 13 maggio 1986, in località Ca’ del Lambro, in un’area di proprietà degli attuali appellati, ubicata in riva al fiume Lambro, erano stati rinvenuti, interrati  in riva al fiume, diversi contenitori metallici ripieni di prodotti chimici;
- con note n. 3629 e n. 3630, il sindaco informava del fatto il pretore di Lodi ed il settore ambiente della provincia di Milano, evidenziando che, in base al rilevamento compiuto dal vigile accertatore, i rifiuti ritrovati erano di “marcata prevalenza industriale di tipo solido e non biodegradabile”;
- con ordinanza del 13 maggio 1986, il sindaco disponeva la recinzione dell’area e la rimozione dei rifiuti;
- le successive indagini svolte evidenziavano il collegamento con un’industria chimica di Melegnano;
- con lettera del 18 giugno 1986, i proprietari dichiaravano al comune che la situazione dei luoghi derivava , che avevano “l’unico scopo di rinforzare l’argine del fiume Lambro in modo da fermare la continua erosione dello stesso in direzione della Cascina;
- con nota del 30 aprile 1987, il settore servizi tecnici della Provincia di Milano trasmetteva al comune di Mediglia i risultati dei sopralluoghi effettuati, che confermavano la presenza di fusti metallici interrati, e chiedeva l’adozione di un’ordinanza nei confronti dei proprietari, al fine di effettuare i necessari ed indifferibili sondaggi nel terreno;
- in data 6 maggio 1987, l’amministrazione procedeva al campionamento delle sostanze rinvenute, costituite da una parte liquida e da una parte solida trasparente;
- in seguito all’ordinanza n. 4042/DC/ab del 1 giugno 1987, venivano effettuati gli scavi nell’area, da cui risultava che “sotto uno strato di circa 30 cm di terreno di coltura è presente del materiale di riporto costituito prevalentemente da materiali inerti di demolizione, rifiuti solidi urbani, nonché di rifiuti di matrice industriale. La presenza di questi ultimi è stata dimostrata da rinvenimento di alcuni fusti deteriorati contenente materiale in parte solidificato ed in parte simile, per l’aspetto fisico, a fanghi industriali”;
- l’amministrazione provinciale, all’esito degli accertamenti, concludeva nel senso di ritenere “auspicabile che il comune “imponga alla proprietà la presentazione di un piano di bonifica dell’area stessa, previa acquisizione dei reperti analitici dei campioni da prelevarsi da parte dell’Unità sanitaria locale”;
- in data 18 novembre 1987 l’USL comunicava i referti delle analisi effettuate, da cui emergeva la massiccia presenza di materiali metallici ferrosi e di altro materiale di natura organica, classificato come resina sintetica termoindurente.
2 Con il provvedimento impugnato in primo grado, il sindaco del comune di Mediglia ordinava ai proprietari dell’area di provvedere:
a) alla presentazione di un piano di bonifica complessivo dell’area interessata dalla discarica;
b) successivamente all’approvazione del piano suddetto da parte degli Enti preposti, allo sgombero dei materiali di matrice industriale e quelli di rifiuti solidi urbani, alla relativa messa in sicurezza e conseguente bonifica generale.
3 Secondo l’amministrazione, la pronuncia di primo grado è errata, in quanto:
I) l’ordinanza si basa su un’istruttoria ampia ed attenta, la quale, pure in considerazione dell’esiguità dei mezzi tecnici a disposizione del comune, ha portato ad accertare la grave situazione di pericolo per l’ambiente, l’igiene e la sanità pubblica;
II) il potere di ordinanza del sindaco ha come suo presupposto l’esistenza di una situazione attuale di urgente necessità, la cui valutazione è rimessa all’approvazione discrezionale del sindaco;
III) il potere di ordinanza può legittimamente svolgersi anche in relazione ad una situazione di pericolo già esistente da tempo. 
L’appello è infondato, in relazione a tutti i profili in cui esso si articola.
4 Il provvedimento sindacale impugnato in primo grado si basa sulla previsione contenuta nell’articolo 38, comma 2, della legge n. 142/1990, in forza del quale “il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica.
La norma definisce i presupposti del potere di ordinanza del sindaco, attraverso il riferimento ad una pluralità di parametri, i quali, seppure elastici ed adattabili alla peculiarità dei casi concreti, devono essere tutti accertati dall’amministrazione ed adeguatamente evidenziati nella motivazione dell’atto.
In tale contesto, è indispensabile che l’ordinanza sia destinata a porre rimedio ad una situazione di grave pericolo per l’incolumità dei cittadini, non evitabile mediante il ricorso agli ordinari mezzi dell’amministrazione. Non è sufficiente, quindi, che il provvedimento miri, genericamente, a realizzare un miglioramento delle condizioni igieniche ed ambientali, occorrendo anche la dimostrazione della esistenza di una effettiva situazione di pericolo.
5 La particolare finalità dell’ordinanza, che non svolge una funzione sanzionatoria di comportamenti od omissioni, ma mira esclusivamente a salvaguardare le esigenze primarie della collettività, spiega perché essa è idonea a sacrificare anche interessi giuridicamente protetti di soggetti determinati, entro ragionevoli limiti oggettivi e temporali, e con il rispetto di rigorose garanzie sostanziali (i principi generali dell’ordinamento) e formali (la motivazione e l’adeguata istruttoria).
All’interno di queste coordinate ermeneutiche, il potere di ordinanza può svolgersi con una relativa ampiezza, correlata, fra l’altro, alla possibilità di intendere la tutela dell’igiene e dalla salute pubblica in senso estensivo ed evolutivo come protezione dell’ambiente in tutte le sue componenti essenziali.
Per le stesse ragioni, la proiezione finalistica verso la salvaguardia dei valori essenziali della comunità locali rende superflua l’individuazione delle cause del pericolo e delle responsabilità individuali dei destinatari del provvedimento. Non è nemmeno necessario che la situazione pregiudizievole si sia verificata in epoca prossima all’adozione dell’ordinanza: il requisito dell’urgenza è riferito al pericolo e non al fatto generatore del rischio. Pertanto, non è illegittimo un provvedimento contingibile in relazione ad una situazione di pericolo già in atto da tempo. 
In questo senso, la Sezione ha puntualizzato che l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al sindaco dall'art. 153 t.u. 4 febbraio 1915 n. 148 presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibili, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento; né la circostanza che la situazione di pericolo duri da tempo rende illegittimo l'esercizio di tale potere, atteso che la situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che l'evento dannoso accada, può protrarsi anche per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (C. Stato, sez. V, 04-02-1998, n. 125).
Il decorso temporale non può comportare una sorta di consumazione del potere di ordinanza, essendo necessaria, ma anche sufficiente, la dimostrazione della attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio. L'immediatezza dell'intervento urgente del sindaco attuato attraverso ordinanze contingibili va rapportata non già all'insorgere della situazione di pericolo, ma alla sua documentata conoscenza da parte dell'autorità comunale, e comunque ciò che conta ai fini della legittimità dell'atto è l'effettiva esistenza di una situazione di pericolo imminente al momento di adozione dell'ordinanza.
6 Si è chiarito, al riguardo, che l’ordinanza contingibile ed urgente emessa dal sindaco ai sensi dell'art. 38 l. 8 giugno 1990 n. 142, quando mira alla tutela della salute pubblica, può essere adottata non solo per porre rimedi a danni già verificatisi alla salute, ma anche e soprattutto (tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32 cost.) per evitare che tale danno si verifichi (C. Stato, sez. V, 19-02-1996, n. 220).
In linea di fatto, tuttavia, non si può trascurare che la lunga distanza cronologica tra il verificarsi di un evento, senza alcun apprezzabile mutamento oggettivo della situazione di fatto, e l’adozione del provvedimento contingibile, potrebbe costituire indice significativo della mancanza di effettive ragioni di urgenza e di concreti pericoli per la salute pubblica. In tale eventualità, la motivazione sulla reale esistenza del pericolo sanitario è ancor più necessaria, perché deve dar conto di tutti gli aspetti fattuali posti a base dell’intervento cautelare del sindaco.
Nella vicenda in esame, quindi, la distanza temporale tra il verificarsi dei fatti (abbandono di rifiuti nell’area di proprietà dei ricorrenti di primo grado) e l’adozione dell’ordinanza non costituisce autonomo motivo di illegittimità del provvedimento, ma rappresenta un elemento utile per vagliare l’adeguatezza dell’istruttoria e l’idoneità della motivazione.
7 Né pare condivisibile, nella sua assolutezza, l’affermazione dell’appellante intesa ad affermare un’ampia insindacabilità dell’ordinanza sindacale di urgenza.
La Sezione ha chiarito che sussiste giurisdizione estesa al merito per i provvedimenti adottati dal sindaco ai sensi dell'art. 38, 2º comma, l. 8 giugno 1990 n. 142, per cui tali provvedimenti possono essere pienamente sindacati dal giudice amministrativo con riferimento non solo a tutti gli aspetti concernenti la legittimità, ma anche ai profili relativi alla sufficienza ed alla attendibilità delle disposte istruttorie ed alla convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni adottate (C. Stato, sez. V, 19-02-1996, n. 220).
Anche ritenendo che la cognizione in materia di ordinanze contingibili ed urgenti rientra nell’ambito della ordinaria giurisidizione di legittimità, non pare contestabile che spetti al giudice il potere di accertare l’esistenza dei presupposti sostanziali del provvedimento, seppure caratterizzati da alcuni profili strettamente tecnici.
Nel caso di specie, poi, il ricorso di primo grado non mira tanto a contestare i risultati degli accertamenti compiuti oppure a sindacare il merito delle scelte amministrative adottate dal sindaco, ma lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria e la carenza della motivazione in ordine ad uno dei presupposti fondamentali dell’atto.
In altri termini, le censure si sviluppano all’interno del tradizionale perimetro dell’eccesso di potere e del vizio di assenza (od insufficienza) della motivazione, senza prospettare un sindacato più penetrante sull’esercizio del potere.
8 In linea di fatto, va sottolineato che la pronuncia del tribunale ha individuato uno specifico profilo di inadeguatezza dell’istruttoria compiuta dal Comune, evidenziando una circoscritta, ma essenziale, carenza della motivazione del provvedimento finale, puntualmente riferita al concreto pericolo di danni alla salute od all’ambiente.
L’accertata lacuna dell’ordinanza sindacale si correla alla funzione essenziale del provvedimento contingibile ed urgente, e non può essere colmata attraverso il riferimento alla lunghezza della attività istruttoria, la quale, semmai, rileva la persistente incertezza in ordine ai presupposti fattuali del provvedimento, con particolare riguardo alla effettiva consistenza dei materiali ed alla loro attitudine ad incidere sui beni fondamentali della salute collettiva e della salvaguardia delle acque.
Per le stesse ragioni, il riferimento alla esiguità dei mezzi tecnici comunali non attenua affatto le carenze dagli accertamenti, ma implica una indiretta ammissione della inadeguatezza istruttoria.
Il dato obiettivo della incompletezza e della insufficienza degli accertamenti compiuti all’epoca di adozione dell’ordinanza emerge con chiarezza dalle successive determinazioni dell’amministrazione comunale. Proprio l’ordinanza adottata il 20 dicembre 1996 n. 309 afferma la necessità di una integrazione delle indagini, poiché gli accertamenti risultano incompleti.
9 È opportuno precisare che, nella struttura dell’articolo 38, il collegamento con la protezione dell’igiene e dalla salute pubblica rappresenta un presupposto necessario, ma non sufficiente, per giustificare il ricorso al potere di ordinanza.
Dunque, nell’ordinanza sindacale in contestazione, il generico collegamento con le esigenze ambientali è, a tale scopo, del tutto inadeguato, perché le relative funzioni di protezione sono comunque correlate allo svolgimento di procedimenti tipici: il ricorso ad atti contingibili ed urgenti è consentito solo in presenza di particolari requisiti ulteriori.
10 Al riguardo, occorre considerare che, in relazione alla presenza di rifiuti in aree di particolare rilievo ambientale (quali i corsi di acqua e le zone rivierasche limitrofe) ed ai conseguenti poteri di intervento delle amministrazioni competenti, possono prospettarsi diverse situazioni.
La prima ipotesi è quella in cui è accertata la responsabilità del proprietario nell’attività pregiudizievole dell’ambiente o della salute pubblica. In tale eventualità, le amministrazioni competenti hanno certamente il potere di ordinare ai soggetti responsabili le attività ripristinatorie volte ad eliminare gli inconvenienti, senza necessità di dimostrare l’urgenza dell’intervento, secondo i procedimenti previsti dalle normative di settore.
Una seconda ipotesi è invece quella in cui non risulta accertata una specifica responsabilità del soggetto. In questo caso, di regola spetta all’amministrazione il compito (con i relativi oneri organizzativi ed economici) di avviare le idonee procedure di ripristino della situazione ambientale. A meno che non emerga, con sufficiente chiarezza, l’indifferibilità di un’apposita attività, volta ad eliminare il pericolo per la tutela della salute pubblica.
11 La differenza fra le due ipotesi emerge con chiarezza dalla previsione contenuta nell’articolo 14 (rubricato Divieto di abbandono) del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio). 
La disposizione stabilisce la seguente disciplina:
“1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.”
La norma esprime il principio secondo cui, in linea di massima, l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione, mediante commissione od omissione, volontaria o colposa, escludendo qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario.
12 Ciò non impedisce che il sindaco possa imporre specifici comportamenti a carico del proprietario incolpevole. Ma, in tali eventualità è necessario appurare il carattere urgente ed indifferibile dell’intervento, con specifico riguardo alla incidenza sull’igiene e sulla salute pubblica.
In questa prospettiva, si è chiarito che l'ordinanza con la quale il sindaco, ai sensi dell'art. 9 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, impone al proprietario dell'area di predisporre un piano di smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi su essa giacenti, non ha carattere sanzionatorio, nel senso che non è diretta ad individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la responsabilità civile e/o penale della situazione abusiva, ma solo ripristinatoria, in quanto diretta ad ottenere la rimozione dell'attuale stato di pericolo e a prevenire ulteriori danni all'ambiente circostante e alla salute pubblica; pertanto, detta ordinanza può essere legittimamente indirizzata al proprietario attuale dell'area, cioè a colui che si trova con quest'ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi al precedente proprietario (T.a.r. Emilia-Romagna, sez. Parma, 22-05-1995, n. 241).
13 La disposizione introdotta dal decreto n. 22/1997 riproduce, nella sostanza, la previsione contenuta nell’articolo 9 del D.P:R. n. 915/1982, secondo cui “è vietato l'abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico.
Secondo tale norma, in caso di inadempienza il sindaco, allorché sussistano motivi sanitari, igienici od ambientali, dispone con ordinanza, previa fissazione di un termine per provvedere, lo sgombero di dette aree in danno dei soggetti obbligati.”
In base alla formula legislativa, l’ordine di sgombero ha quali destinatari soltanto i soggetti inadempienti all’obbligo di abbandonare scaricare o depositare rifiuti, e non può riguardare i proprietari delle aree, se non viene accertata la loro responsabilità, eventualmente anche solo colposa.
14 Del resto, la giurisprudenza ordinaria ha ripetutamente affermato il principio secondo cui in caso di riversamento ripetuto di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l'elemento soggettivo del dolo o della colpa; conseguentemente lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino ex art. 14 e 50 d.leg. n. 22/97, con sanzione penale in caso di inosservanza; in antitesi, si tratterebbe di caso di responsabilità oggettiva; il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno può essere destinatario in tal caso della ordinanza sindacale emessa secondo i principi generali extra d.leg. n. 22/97 e sarà semmai parte lesa nel procedimento a carico dei terzi autori del fatto ove individuati.
15 Nella vicenda in contestazione, il provvedimento impugnato non evidenzia in modo adeguato concreti pericoli attuali. Il dato oggettivo costituito della presenza di fusti metallici con residui di sostanze chimiche non è accompagnato dalla puntuale specificazione della dannosità per la salute pubblica. Senza dire, poi, che eventuali rischi ambientali connessi a tali materiali potrebbero essere ragionevolmente fugati mediante interventi circoscritti alla loro eliminazione.
La Sezione ritiene dunque condivisibile il principio secondo cui l'adozione di ordinanze contingibili e urgenti in materia di sanità e igiene da parte del sindaco, ai sensi dell'art. 38, 2º comma, l. 8 giugno 1990 n. 142, presuppone la ricorrenza di un grave pericolo di danno imminente e necessita di una congrua motivazione; la situazione di danno o di pericolo attuale e concreto per la salute pubblica che giustifica l'emanazione di provvedimenti contingibili e urgenti deve risultare da inequivoci accertamenti tecnici.
16 È appena il caso di osservare, poi, che il provvedimento contingibile ed urgente adottato dall’amministrazione comunale non potrebbe trovare giustificazione nemmeno nello speciale potere di ordinanza previsto dalla normativa in materia di rifiuti. 
Infatti, l'esercizio dell'ordinanza contingibile ed urgente ex art. 12 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, per essere legittimo, è condizionato ad alcuni precisi presupposti: a) una «necessità» di tutela della salute pubblica o dell'ambiente; b) una situazione sopravvenuta e distinta dall'ordinario e fisiologico smaltimento dei rifiuti, che presenti però il carattere della «eccezionalità», come un evento naturale straordinario (terremoto, inondazione, incendio, disastro, epidemia ecc.); c) una situazione di «urgenza», non correlata all'ordinario smaltimento dei rifiuti, ma all'evento straordinario sopravvenuto; d) l'assoluta «temporaneità», limitata cioè alla persistenza della situazione eccezionale verificatasi; e) le necessità di utilizzo pur sempre di «speciali forme di smaltimento di rifiuti» ossia di tipologie anche diverse da quelle ordinarie, ma mai di abbandono brutale dei rifiuti nell'ambiente, sempre vietato per tutti, compreso il sindaco, che deve addirittura attivarsi in senso contrario (ex art. 9, 1º e 2º comma, d.p.r. 915/82); f) una motivazione specifica e dettagliata delle ragioni di pubblico interesse e delle concrete misure adottate per salvaguardare comunque salute e ambiente, valori assolutamente prioritari e non disponibili neppure dai soggetti pubblici (Cass., sez. III, 24-05-1994; Cass., sez. III, 16 ottobre 1998).
17 In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto.
Le spese, come di regola, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello;
condanna il comune appellante a rimborsare agli appellati le spese del grado, liquidandole in lire tremilioni;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 febbraio 2001, con l'intervento dei signori:
Pasquale de Lise  Presidente
Stefano Baccarini  Consigliere
Corrado Allegretta  Consigliere
Paolo Buonvino  Consigliere
Marco Lipari  Consigliere est.
 
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