Giurisprudenza - Appalti

Consiglio di Stato, sez. V, 28 giugno 2002, n. 3566, sull’appalto concorso e sulla competenza della Commissione a valutare l’anomalia delle offerte

  REPUBBLICA ITALIANA    
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO   
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione           
ha pronunciato la seguente
decisione

 sul ricorso in appello n.r.g. 8553 del 2000, proposto dalla s.p.a. JC DECAUX COMUNICAZIONE ESTERNA ITALIA, già Avenir Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Maria Alessandra Sandulli e Maurizio Zoppolato, e con essi elettivamente domiciliata presso lo studio della prima, in Roma, corso Vittorio Emanuele, n. 349, 
contro
il Comune di Venezia, rappresentato e difeso dagli avv. Giulio Gidoni, Maria Maddalena Morino, Nicoletta Ongaro e Nicolò Paoletti, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’ultimo, in Roma, via B. Tortolini, n. 34, 
e nei confronti
della s.p.a. JOLLY PUBBLICITA’, rappresentata  e difesa dagli avv. Francesco Segantini, Fulvio Lorigiola e Luigi Manzi, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5, e
della S.C.I. SOCIETA’ CONCESSIONI INTERNAZIONALI r.l., S.M.A. SOCIETA’ MANIFESTI ED AFFISSIONI p.az., A & P AZIENDA PER L’ESERCIZIO DEI SERVIZI DI AFFISSIONI E PUBBLICITA’ a r.l., GALLO PUBBLICITA’ s.r.l., non costituite,  
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sez. I, n. 637/00, pubblicata il 19 febbraio 2000. 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti sopra indicate; 
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto il dispositivo della decisione, n. 87 pubblicato il 12/02/2002 a norma dell’art. 23-bis, comma sesto, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 5 febbraio 2002, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati difensori, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. Il ricorso n. 8553/2000 è stato notificato il 15, 19 e 20 settembre 2000 e depositato il 3 ottobre. 
E’ impugnata la sentenza specificata in epigrafe, con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento: a) della deliberazione della Giunta comunale di Venezia  n. 298 del 19 febbraio 1998, di aggiudicazione alla controinteressata Jolly Pubblicità dell’appalto-concorso per la fornitura, installazione e gestione di 400 impianti pubblicitari di grande formato e di 50 impianti tipo “trespolo”, per nove anni; b) della deliberazione n. 302 della stessa data, concernente talune modifiche al contratto da stipulare; c) di altri atti connessi. 
2. Per la riforma della decisione sono proposte queste censure: 
illegittima composizione della commissione giudicatrice; 
violazione del principio del collegio perfetto, con riguardo a talune operazioni compiute dalla commissione;
illegittimità delle operazioni compiute dalla sottocommissione nella valutazione dei progetti presentati; 
violazione dell’art. 5 del capitolato di gara; 
illegittimità della verifica sull’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria; 
erroneità della sentenza, nella parte in cui ha statuito la tardività del terzo motivo aggiunto, recante censure avverso la deliberazione n. 302 del 1998 di modifica parziale dell’oggetto del contratto, ed illegittimità della deliberazione stessa; 
illegittimità in via derivata della deliberazione n. 300 del 19 febbraio 1998, recante limitazione al 28 febbraio 1998 della possibilità, per la ricorrente, di utilizzare i cartelloni pubblicitari in sua disponibilità; 
illegittimità della clausola di rinnovo del contratto, contenuta nel capitolato; 
infondatezza del ricorso incidentale della controinteressata, ove sia riproposto in appello. 
In data 3 gennaio 2002 sono stati depositati atti. 
3. Il Comune di Venezia si è costituito il 5 ottobre 2002, depositando anche documenti. 
Con memoria del 18 gennaio 2002, confuta analiticamente tutte le censure dedotte con l’appello. 
4. La società controinteressata si è costituita con memoria depositata il 17 luglio 2001. 
Essa oppone che l’offerta dell’appellante era duplice, in violazione dell’art. 5 del capitolato speciale, sicché la società concorrente doveva essere esclusa dalla gara; che aveva fatto acquiescenza ai criteri ed ai risultati della loro applicazione, resi noti con prospetto riassuntivo consegnato il 3 febbraio 1998; che i motivi aggiunti erano inammissibili, per difetto di posizione qualificata, in quanto proposti contro la deliberazione G.M. n. 302 del 1998, e comunque tardivi. Espone, poi, le argomentazioni in virtù delle quali ritiene che le singole censure siano da disattendere. 
5. All’udienza del 5 febbraio 2002 il ricorso è stato introitato in decisione. 
DIRITTO
1. E’ oggetto di controversia in questa sede, attraverso l’impugnazione della sentenza in esame, la legittimità 
1.1. della deliberazione della Giunta comunale di Venezia n. 298 del 19 febbraio 1998, che aggiudica alla società controinteressata, a seguito di appalto-concorso, l’appalto novennale della fornitura, installazione e gestione, nel Comune stesso, di 400 impianti pubblicitari di grande formato (c.d. poster) e di 50 impianti di minori dimensioni, denominati “trespoli”; 
1.2. della deliberazione n. 302 della stessa data, con la quale la Giunta, vista la precedente deliberazione e vista la proposta della società aggiudicataria, ha disposto che, in sede di stipulazione, si sostituissero i 50 impianti “trespoli” con 150 di tipo “stendardo”, con pari superficie di esposizione pubblicitaria complessiva, e si concedesse di installare altri 150 “stendardi”, per l’ulteriore canone annuo di 125 milioni di lire, con riserva della metà di questi ulteriori spazi al Comune, per le sue esigenze; 
1.3. della deliberazione n. 300, della stessa data, con la quale la Giunta ha limitato al 28 febbraio 1998, l’utilizzazione dei cartelloni pubblicitari nella disponibilità dell’appellante. 
2. Il primo giudice ha respinto il ricorso ed ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale dell’aggiudicatario, mirante all’esclusione dalla gara dell’impresa ricorrente.
3. Con il primo motivo si lamenta la violazione dei principi relativi alla composizione delle commissioni aggiudicatici di gare. In concreto, si rileva che devono sussistere in capo alla maggioranza dei commissari la professionalità e competenza che qualificano la figura di esperto e che trovano, di norma, rispondenza nel possesso di titoli professionali propri di determinate discipline. Nel caso di specie, della commissione facevano parte due funzionari del settore tributario ed una del settore contratti, privi, dunque, della necessaria competenza per valutare l’impatto sull’arredo urbano e sulla viabilità, sulle qualità tecnico-costruttive, funzionali ed estetiche dei manufatti, sull’organizzazione e metodologia attivate per la loro sicurezza e manutenzione. Tutti elementi, questi, che, secondo il capitolato, formavano oggetto di valutazione. Non è decisivo il fatto – opposto dal T.A.R. nella sentenza appellata – che si trattava di valutazioni già compiute in sede di pianificazione generale sulla pubblicità e, comunque, rimesse alla successiva fase autorizzativa. Lo studio fatto non assorbe l’esame sull’impatto urbano ed ambientale degli specifici tipi di impianti e la disciplina sulle autorizzazioni non trova applicazione, nel caso di specie. Inoltre, il capitolato speciale ha espressamente previsto (art. 6, lett. b e c), tra gli elementi da valutare, quelli di cui si discute. Non è stato contestato che i commissari fossero privi delle necessarie competenze tecniche. 
La censura non merita di essere condivisa. 
La commissione giudicatrice dell’appalto-concorso in esame era composta dal dirigente del settore tributi del Comune, dalla dirigente del settore contratti e dal direttore dell’ufficio tributi di Mestre. Le mansioni istituzionalmente svolte da essi appaiono correlative e coerenti con le attività da svolgere per la gara, tenuto conto, come sottolineato dal primo giudice: che del settore tributi fanno parte, nel Comune di Venezia, i servizi pubblicità ed affissioni; che Mestre è il territorio comunale interessato in misura prevalente al servizio pubblicità; che la dirigente del settore contratti assicurava anche il corretto esame delle implicazioni giuridiche connesse con la presentazione e valutazione delle offerte e con tutto lo svolgimento della gara. 
Quanto agli specifici elementi sottolineati dall’appellante, si può considerare, alla stregua delle osservazioni esposte dalle parti resistenti e condivise dal primo giudice, sulle quali non si sofferma la stessa appellante: 
a) che il piano generale degli “impianti pubblicitari di grande formato e trespoli”, relativo, cioè, agli impianti di cui alla gara in questione, deliberato dalla Giunta comunale (n. 2080 del 31 luglio 1997) e richiamato nel provvedimento di indizione dell’appalto-concorso, reca, nell’allegato A, l’elenco dei siti di collocazione di 370 impianti di grandi dimensioni e dei 50 impianti di tipo minore (trespoli). Stabilisce, inoltre, che, per altri 30 siti, l’individuazione avvenga previo parere della “commissione per la salvaguardia di Venezia”. La valutazione di impatto urbano è stata perciò preventivamente, ed in larga misura, eseguita con puntuale riferimento alla dimensione ed alla ubicazione dei manufatti. Per l’esigua parte mancante, secondo lo stesso piano e in conformità dell’art. 11, comma 4, del regolamento comunale sulla pubblicità, la valutazione circa la collocazione non spettava alla commissione di gara, ma ad un intervento della predetta commissione di salvaguardia, della cui composizione qui non si discute. 
Ne segue che, con riguardo all’elemento specifico in discussione, e cioè ai fini della valutazione di impatto indicata dal capitolato, le valutazioni della commissione di gara dovevano limitarsi alla verifica della corretta collocazione degli impianti proposti dalle singole imprese concorrenti. E, poiché dei manufatti erano stabilite anche le misure, non occorrevano, di conseguenza, specifici titoli professionali in capo ai commissari; 
b) in ordine al merito tecnico del progetto, questo si doveva articolare in quattro punti, secondo l’art. 3 del capitolato speciale. Il primo, su ubicazione e “modalità di posizionamento di ciascun impianto”, va considerato alla stregua di quanto si è sopra precisato sub a). Gli altri tre – relativi: ai termini di esecuzione; alle caratteristiche qualitative, metodologiche e tecniche e qualità costruttive, funzionali ed estetiche dei manufatti, anche in relazione alla sicurezza ed alla manutenzione; infine, alla costituzione o individuazione di una sede nel Comune, per il servizio di oscuramento o rimozione e deposito di impianti abusivi – si appalesano come elementi ragionevolmente ed adeguatamente valutabili da funzionari preposti o addetti ai servizi di affissione e pubblicità, cui, di norma, competono funzioni di verifica e di intervento in tema di caratteristiche di manufatti del genere, o da funzionari esperti di contratti e loro esecuzione. 
Si deve perciò concludere che la commissione giudicatrice è stata legittimamente composta, con riguardo alle precisate e concrete esigenze valutative, cui far fronte nel caso di specie. Appare, vale a dire, osservato il criterio di garanzia della serietà delle valutazioni da compiere (cfr. VI Sez., 30 giugno 1997, n. 991), desumibile dai princìpi di imparzialità e buon andamento della P.A., sanciti dall’art. 97 Cost., in relazione ai quali è stata enunciata la regola che le commissioni giudicatrici delle gare, per la scelta di imprenditori ai quali commettere gli appalti pubblici, debbono essere composte prevalentemente da persone scelte in virtù delle loro competenze professionali correlative all’esigenza di valutazione concorsuale (V Sez., 18 gennaio 1996, n. 61). 
4. Col secondo motivo si denuncia l’illegittimità dell’operato della commissione di gara. 
Viene premesso che questa deve essere considerata un collegio perfetto e si ammette che possano affidarsi, ad uno o più membri, operazioni preparatorie che non comportino esercizio di poteri discrezionali. Si denuncia che, però, sono state delegate ad una sottocommissione rilevanti e decisive valutazioni discrezionali, che poi la commissione ha acriticamente recepito, in una seduta “durata solo 50 minuti”. Viene perciò censurata la tesi del T.A.R., secondo la quale si sarebbe trattato di un’attività meramente istruttoria, e si sostiene che il controllo di tale operato, da parte della commissione, si sarebbe risolto in un avallo formale ed acritico. 
I princìpi richiamati dall’appellante costituiscono ferma giurisprudenza di questo Consiglio e vanno condivisi. La lettura degli atti che viene fatta non merita, invece adesione, e perciò il mezzo è da ritenere infondato. 
Nella riunione del 16 gennaio 1998 (verbale n. 3), la commissione ha esplicitato una puntuale definizione dei criteri di valutazione previsti dal bando, in espressa applicazione del d.P.C.M. 27 febbraio 1997, n. 116, cioè del regolamento sulla determinazione degli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 23, comma 1, lett. b), d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157, per taluni appalti di servizi. Dell’applicabilità di queste disposizioni non si fa questione. 
La commissione ha, poi, designato una sottocommissione tecnica per la valutazione preliminare dei singoli progetti presentati e per l’assegnazione dei relativi punteggi. Ha nel contempo stabilito che “il risultato” doveva essere “sottoposto all’esame della commissione, nel suo plenum”. 
Va chiarito che la sottocommissione è stata composta con due dei tre membri dell’intera commissione: i dirigenti del settore tributi, al quale, come si è detto, appartengono i servizi affissioni e pubblicità. 
La relazione conclusiva della sottocommissione sui progetti, articolata sui quattro elementi previsti dal bando, riporta analiticamente i giudizi, con i correlativi punteggi, e si esprime nella proposta di attribuzione dei punteggi stessi. 
Ora, la censura in esame si sostanzia in due osservazioni, strettamente collegate: lo “spossessamento” della commissione, con riguardo a valutazioni che le erano riservate; desunto, in particolare, dalla brevità della seduta del plenum, in cui è stato approvato l’operato della sottocommissione. 
4.1. Sembra giustificato, in contrario, ritenere, innanzi tutto, che, sul piano sostanziale e formale, l’attività compiuta dalla sottocommissione possa legittimamente configurarsi come preparatoria di quella che avrebbe dovuto assumere poi la commissione. 
L’esame è stato condotto, infatti, da due dei tre componenti della commissione, non da estranei, e non è inibita, anzi è frequente nell’attività di organi collegiali, l’assegnazione ad uno o più membri-relatori degli approfondimenti necessari per il successivo vaglio del collegio. La relazione della sottocommissione si è conclusa, poi, con una proposta al plenum, sicché è arbitrario trarne la conseguenza che, nella sua composizione integrale, la commissione non avrebbe potuto discostarsene e che sia stata recepita in modo acritico. 
4.2. Né la relativa celerità dell’approvazione, da parte del plenum, si configura come elemento sintomatico del vizio dedotto. 
Da un lato, è da osservare che due dei tre componenti erano i redattori della proposta, sicché ne avevano compiuta conoscenza. Da altro lato, è da porre in rilievo che la relazione della sottocommissione è stata sottoscritta sei giorni prima della riunione nella quale è stata esaminata ed approvata, sicché il terzo componente ben aveva avuto il tempo di consultarla in modo adeguato, anche nei giorni precedenti la seduta. Osservazione, questa, che si mostra giustificata, in specie se si tiene conto che, data la comune sede di lavoro, non occorrevano formalità particolari o strumenti straordinari per rendere edotta, dell’esito degli apprezzamenti fatti, la dirigente che non aveva fatto parte della sottocommissione. Per queste considerazioni, il tempo impiegato dal plenum, per approvare a fare proprie le conclusioni della sottocommissione, non appare oggettivamente esiguo, né rivelatore di un esame approssimativo o insufficiente. 
In conclusione, le valutazioni decisive sui progetti in gara appaiono legittimamente riferibili alla commissione nella sua composizione integrale. 
5. Con il terzo motivo, l’appellante, conducendo un’analitica lettura delle valutazioni compiute sui progetti della controinteressata e proprio, lamenta: a) che non è stata rispettata la procedura ex d.P.C.M. 27 febbraio 1997, n. 116; b) che gli elementi assunti a parametro di valutazione sono stati diversi da quelli fissati dal capitolato; c) che è assente ogni motivazione o giudizio su un aspetto fondamentale della sua offerta e, precisamente, sulle caratteristiche qualitative del suo progetto, mentre sono state esposte le ragioni di merito degli altri progetti. 
Occorre precisare che il metodo del “confronto a coppie”, disciplinato nell’allegato A al regolamento n. 116 del 1997 ed applicato nella specie, prevede il raffronto “a due a due” di tutte le offerte e l’attribuzione, da parte di ogni commissario, di un punteggio per ciascun elemento posto in comparazione. Il punteggio può variare “da 1 (preferenza minima), a 2 (preferenza media), a 3 (preferenza massima)”. E’ possibile che due elementi siano ritenuti di pari qualità o valore: in tal caso è prescritta l’assegnazione di un punto ad entrambe le offerte. 
5.1. Ora, lamenta la ricorrente la violazione di tali regole, in primo luogo perché i componenti dell’organo collegiale hanno attribuito un solo punteggio. L’unanimità, ravvisata, nel caso, dal primo giudice, non sarebbe suffragata da alcuna dimostrazione e, comunque, sarebbe illegittima, perché altro è che ciascun commissario compia un’autonoma valutazione, altro è una valutazione “concordata”. Inoltre, l’assegnazione di un solo punteggio “ha dimezzato i punteggi attribuiti dalle singole voci di valutazione”. 
La censura è destituita di fondamento. 
Quando sia identica la valutazione data da ciascun commissario, l’attribuzione di un solo punteggio non appare affatto un’operazione illogica, né, per questa ragione, in conflitto col modo di procedere sopra indicato. Tanto più che, senza dissensi, sono state riportate, per ciascun confronto fatto, delle note illustrative delle preferenze date con il relativo coefficiente. Non vi sono ragioni plausibili per asserire, ed è quindi arbitrario ritenere, che la conformità di valutazioni vada a scapito dell’autonomia del giudizio singolo. 
In termini aritmetici, infine, l’attribuzione di tre punteggi, o di uno soltanto, mantiene integri i rapporti fra le varie valutazioni numeriche ricevute dai singoli progetti-offerta, sicché la comparazione dei totali dei punti ricevuti per le varie voci non ne subisce effetti distorsivi. I valori assoluti finali rimangono, in ambedue i casi, identicamente proporzionati. 
5.2. Con riguardo alla valutazione sul merito tecnico del progetto, la censura si impernia ancora su quella dell’impatto sull’arredo urbano e sulla viabilità, che sarebbe rimasta recessiva rispetto ad altre. E considerazioni di valutazione di elementi diversi da quelli indicati nel capitolato di gara vengono dedotte con riguardo a tutti i confronti a coppie delle parti in cui i progetti erano da scorporare. Si evidenzia, infine, l’illegittimità, nella valutazione delle caratteristiche qualitative, consistente nell’essere stato enfatizzato, nel raffronto fra le offerte dell’appellante e della controinteressata, il fatto che è stata proposta, a titolo gratuito, la disponibilità del 20% degli impianti poster, per un tempo limitato, e di una facciata degli impianti minori, per tutto l’anno.
Le critiche non hanno fondamento, perché muovono da una lettura inesatta delle schede relative all’operato raffronto a coppie. 
Per quanto riguarda l’impatto urbano ed ambientale e sulla viabilità, se ne è già trattato al par. 3, per rilevare l’infondatezza della tesi che dovesse farsene una nuova ed autonoma valutazione da parte della commissione di gara ed anche per porre in risalto il limitato peso che esso presentava nella gara in questione. 
Quanto al confronto a coppie dei singoli progetti, ciascuno dei quattro elementi di essi è stato messo a raffronto, a due a due, con attribuzione dei punteggi in ciascun confronto. I totali sono stati poi ragguagliati al punteggio massimo previsto nei criteri di massima. Si sono ottenuti così, per ciascuna offerta, quattro coefficienti ponderati (cioè proporzionati al “peso” dei punteggi massimi), che sono stati perciò sommati e dai quali è derivata la graduatoria. Con riguardo ai quattro fattori esaminati, l’aggiudicataria si è collocata al primo posto, con punti 64,11. L’appellante al quarto, con punti 17,31. 
E’ da chiarire che le note illustrative, poste in calce a ciascuna scheda, non costituiscono espressione di valutazione complessiva, data per ciascuna offerta e per ciascun fattore da confrontare. Esse, invece, ove sono date, sono espressione di valutazione comparativa, cioè giudizio sulle caratteristiche dell’elemento considerato, che lo fanno preferire rispetto a quello messo direttamente a raffronto. Le note motivate, con i punteggi attribuiti, assumono perciò rilievo, data l’impostazione logica del confronto a coppie, come evidenziazione del connotato differenziale che fa preferire l’uno all’altro elemento delle due offerte comparate. 
In altri termini, nel sistema di confronto a coppie, di cui all’allegato A del d.P.C.M. n. 116/1997, la valutazione di ciascun progetto e di ciascuna offerta è data dal totale dei punteggi attribuiti per ogni elemento posto in comparazione e, ove sia data contezza delle ragioni dei punteggi stessi per ciascuna coppia di raffronto, come nel caso in esame, queste ragioni non possono che esprimere l’apprezzamento sul connotato differenziale, che lo ha fatto preferire. 
Non era necessaria perciò l’esternazione di una valutazione globale dei progetti, essendo questa il risultato della sommatoria dei punteggi attribuiti nei confronti a coppie. 
Rimane, allora, da considerare la critica che viene fatta con riguardo al raffronto eseguito, fra appellante e controinteressata, in ordine all’elemento “caratteristiche qualitative” del progetto. Come anticipato, l’appellante lamenta che, nel raffronto fra il progetto degli altri concorrenti, e suo, in particolare, con quello dell’aggiudicataria, sia stato “enfatizzato” il fatto dell’offerta a titolo gratuito al Comune di spazi pubblicitari, per tempo limitato o per un intero anno. E ciò, fa rilevare, si pone al di fuori delle caratteristiche da esaminare. 
E’ da osservare che nel capitolato, agli artt. 3 e 6, questo elemento del progetto è descritto due volte, come insieme delle “caratteristiche qualitative, metodologiche e tecniche”. Ed era precisato che sarebbero state considerate “le qualità tecnico-costruttive, funzionali ed estetiche del manufatto” (evidentemente di ambedue i formati), nonché quel che concerneva la sicurezza nei confronti dei terzi e la manutenzione. 
In tutti i raffronti, l’offerta della controinteressata è stata preferita con l’annotazione relativa alla soluzione tecnica nuova, o comunque migliore. Si parla, quanto ad elementi differenziatori: di “impianto monopalo centrale cilindrico”, con pannelli asportabili, per l’affissione in laboratorio attrezzato e loro rimontaggio in loco con automezzi idonei; di impianti illuminati, ove possibile, con beneficio per l’illuminazione pubblica; di proposta, in alternativa al “trespolo”, dello “stendardo”; di un miglior inserimento dell’impianto siffatto nell’arredo urbano. Prima di quest’ultima considerazione è riportata quella sull’offerta gratuita di spazi. 
Di fronte ad una così compiuta valutazione, appare discutibile affermare che la disponibilità data per gli spazi pubblicitari gratuiti sia stata “enfatizzata”, cioè abbia assunto un peso determinante. Un corretto esame del giudizio dato non può, invece, prescindere dalla sottolineatura della novità e superiorità della soluzione tecnica, rispetto a quella degli impianti tradizionali, evidentemente offerti dalle altre imprese. Sono stati considerati più fattori e, rispetto ai cinque posti in luce nei raffronti, quello degli spazi gratuiti non può avere assunto un ruolo efficiente, sì da porre in disparte gli altri quattro. Sicché, pur se esorbitante dalle caratteristiche qualitative da esaminare, non può concludersi, sul piano logico, che il fattore in discussione abbia vulnerato il raffronto con gli altri progetti in misura da ribaltare la preferenza che sarebbe stata data. 
In conclusione, l’esame complessivo delle valutazioni sui connotati differenziali del progetto vincitore, rispetto agli altri, può evidenziare un fattore estraneo allo specifico elemento da considerare, ma non tale da sminuire o annullare i rilevati aspetti tecnico-costruttivi, funzionali o estetici, che, secondo la commissione, lo rendevano superiore. 
6. Il quarto motivo, sul quale il T.A.R., dato lo specifico ed esiguo punteggio sottoposto a critica, si è pronunciato per il difetto di interesse, viene riproposto espressamente in dipendenza del possibile accoglimento di almeno una delle censure che precedono. 
L’esame che se ne è condotto ha fatto concludere per l’infondatezza di esse, sicché deve rimanere ferma la pronuncia di inammissibilità. 
7. Col quinto motivo si propongono censure sulla verifica relativa alla possibile anomalia dell’offerta della controinteressata. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha respinto, siccome infondato, il correlativo motivo proposto in primo grado. 
Le doglianze riproposte dall’appellante si riassumono nel difetto di competenza della commissione di gara a compiere la verifica e nel difetto di motivazione dell’accoglimento delle giustificazioni, per essersi limitata la commissione ad asserire l’attendibilità di esse. 
7.1. Sul primo punto, il T.A.R. ha considerato che il giudizio sull’anomalia dell’offerta spetta, secondo l’art. 25 del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157, all’Amministrazione aggiudicatrice. Ad essa è plausibilmente riconducibile la commissione di gara, quale suo organo interno, sia pure temporaneo e straordinario. Comunque, a vagliare le giustificazioni sarebbero dovuti essere l’ufficio tributario e l’ufficio contratti del Comune, ed i loro dirigenti facevano appunto parte della commissione. 
La sentenza va confermata. 
Di certo, l’art. 25 citato stabilisce che è l’amministrazione aggiudicatrice che, “prima di escluderle”, verifica tutte le spiegazioni ricevute sulle offerte anormalmente basse. Poiché l’esclusione rientra nella competenza della commissione di gara, la lettera della legge non pone alcuna inibizione ad un giudizio della stessa commissione sulle giustificazioni fornite dal prestatore di servizi. 
In difetto, poi, di un atto organizzativo specifico dell’Amministrazione in senso contrario, non richiamato dalle parti, sembra logico considerare che, se nei componenti della commissione giudicatrice risiedano le competenze professionali per il vaglio economico e tecnico delle offerte, queste competenze sono anche idonee a valutare gli aspetti correlativi alle varie giustificazioni che possono essere addotte a sostegno della serietà dell’offerta sospettata di anomalia. In questo senso si deve aderire all’orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio che riconosce l’esercizio di una discrezionalità c.d. tecnica nel vagliare l’adeguatezza dei chiarimenti forniti dall’impresa offerente (VI, n. 2908 del 19 maggio 2000 e n. 400 del 28 gennaio 2000; C. si. n. 413 del 6 settembre 2000), sicché quel che assume rilievo è il possesso, da parte di chi conduce l’esame in parola, dei necessari requisiti professionali. 
Con riguardo al caso specifico, poiché si è rilevato che la commissione era legittimamente composta con la presenza dei due dirigenti, nella competenza dei quali rientrava il servizio affissioni e pubblicità del Comune, e della dirigente dell’ufficio contratti, ne deriva che non è illegittima, per incompetenza, la valutazione che la commissione stessa si è accollata quanto all’anomalia dell’offerta dell’impresa vincitrice della gara e della seconda graduata. 
7.2. Sul secondo punto, va rilevato che l’anomalia dell’offerta in discussione riguardava una sua parte marginale, pari al 3,76% del prezzo complessivo, relativa ai soli impianti del tipo “trespolo”. Il T.A.R. ha esattamente messo in rilievo (doc. 9 del fascicolo dall’appellata) l’esauriente risposta dell’impresa: a) sulla non significatività della specifica offerta rispetto a quella, ben maggiore, relativa agli impianti tipo “poster”; b) sulla corrispondenza ai valori di aggiudicazione di impianti similari in altre città, espressamente citate, e perciò ai valori di mercato; c) sulle ragioni commerciali, adeguatamente specificate; d) sull’esposizione del conto dei costi e ricavi, esprimente un’eccedenza degli introiti, rispetto alle spese. Su questa risposta, la commissione ha concluso che si trattava di “giustificazioni accettabili, complete e pertinenti in riferimento a quanto richiesto”. 
La motivazione della commissione appare sufficiente. Invero, questa Sezione ha già considerato, e può riaffermare in questa controversia, che il giudizio sull’anomalia dell’offerta costituisce tipica valutazione tecnico-discrezionale e che, con esso, l’Amministrazione deve prendere specificamente in considerazione le giustificazioni e chiaramente esporre le ragioni, per le quali queste siano ritenute non soddisfacenti e non diano perciò affidamento sulla corretta esecuzione del contratto da stipulare. Quando, invece, si consideri seria l’offerta, perché è correttamente e soddisfacentemente formulato l’insieme delle spiegazioni, non occorre che tale determinazione sia basata su un’articolata motivazione, ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti. In quest’ultimo caso, sarà egualmente possibile ricorrere contro l’aggiudicazione, censurando l’accettazione delle ragioni fornite, mediante indicazione di quelle che si reputino illogiche o contraddittorie o non esaurienti (conf. V Sez., n. 1247 del 5 marzo 2001). 
Anche il motivo in esame non merita, perciò, adesione. 
8. Il sesto motivo ripropone censure contro la deliberazione della Giunta n. 302 del 1998 -di cui sopra, al n. 1.2 -, relativamente alla quale il T.A.R. si è pronunziato per la tardività dell’impugnazione. Questa è stata oggetto di motivi aggiunti, notificati nell’ottobre 1999, ma l’atto era stato pubblicato nell’albo pretorio, a decorrere dal 3 marzo 1998. 
8.1. Si sostiene che la disciplina vigente non prevede la pubblicazione all’albo pretorio degli atti relativi all’affidamento di contratti pubblici, ma la tesi è smentita dall’allora vigente art. 47 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 124 T.U. 18 agosto 2000, n. 267), recante prescrizione della pubblicazione di tutte le delibere comunali (e degli altri enti locali), salvo specifiche disposizioni di legge, che qui non sussistono. 
8.2. Si afferma, ancora, che la società ora appellante era diretta interessata, sicché, nei suoi riguardi, non poteva farsi applicazione della regola generale di conoscenza dalla scadenza del periodo di pubblicazione, decorrendo invece il termine per impugnare dalla notificazione o dalla piena conoscenza dell’atto. 
La deliberazione in questione dispone che il contratto, da stipulare a seguito della gara, preveda la sostituzione dei cinquanta impianti di tipo “trespolo” con centocinquanta impianti di tipo “stendardo”, con mantenimento della stessa superficie pubblicitaria e con attribuzione al Comune di maggiori spazi per le sue occorrenze. Consente anche che si preveda l’installazione di altri centocinquanta impianti, di questo tipo minore, per l’ulteriore canone di 125 milioni di lire, pari a quello di aggiudicazione della gara d’appalto per i primi, sempre con attribuzione al Comune della metà dei nuovi spazi. 
La tesi della ricorrente è che si trattava di un nuovo appalto, oppure che la deliberazione concerneva lo stesso rapporto. Da qui il diretto interesse degli altri concorrenti alla cognizione di essa, perché il progetto aggiudicatario sarebbe risultato difforme da quello previsto nel bando. 
V’è, in contrario, da osservare che la sostituzione dei piccoli impianti con altri, di diverso tipo, ma con identica complessiva superficie utilizzabile, si rivela una modifica marginale, sul piano tecnico, e insussistente, sul piano economico, del progetto inizialmente previsto. Non è configurabile perciò una sostanziale difformità del progetto, intervenuta con la deliberazione in esame, ma una modesta variante di esso e del contenuto del contratto da stipulare. Si tratta di un atto che si colloca, di conseguenza, per il suo oggetto, nella fase successiva all’aggiudicazione, relativamente alla quale la società ricorrente non è da considerare diretta interessata. 
Per la stessa ragione, e cioè perché l’ampliamento della prestazione ad altri centocinquanta “stendardi”, allo stesso prezzo dei primi, pari ad un ulteriore 3,76% dell’importo a base d’asta, non può, ancor meno, essere considerato elemento di alterazione di un progetto, cui era seguita una regolare aggiudicazione, non si può definire diretta interessata, per tale deliberazione, l’impresa concorrente e non aggiudicataria. 
Queste conclusioni si ricollegano al principio affermato da una costante giurisprudenza di questo Consiglio, secondo il quale il sistema dell’appalto-concorso per l’aggiudicazione di un contratto della P.A. si caratterizza sia per il particolare metodo di scelta del contraente privato, sia per una procedura distinta in due fasi. Nella prima, il contraente non viene individuato in base a graduatoria fondata su meri valori monetari, ma con valutazione dell’offerta tanto sotto l’aspetto tecnico, quanto sotto quello economico, condotta in base a criteri prefissati nel bando e nella lettera d’invito, metodo di scelta che riserva all’amministrazione un potere di apprezzamento discrezionale, sindacabile, ove, nel suo esercizio, incorra in vizi logici. Questa prima fase della procedura è intesa ad individuare il progetto ritenuto più conveniente, ed in essa deve essere osservato il principio della par condicio dei concorrenti. La seconda fase attiene all’esame del progetto prescelto, che può comportare l’introduzione di modifiche o di varianti, anche d’intesa con l’aggiudicatario, e quindi su sua proposta, ed alla conseguente stipulazione del contratto. In essa, pertanto, per essere intervenuta la scelta, non occorre tutelare una uguale partecipazione delle imprese concorrenti, che quindi non hanno titolo a dolersi delle dette modifiche ed intese dinanzi al giudice amministrativo (VI, n. 886 del 14.12.1979; VI, n. 666 del 10.11.1981; V, n. 1233 del 11.10.1996; IV, n. 1159 del 28.10 1996; IV, n. 1212 del 10.7.1999; VI, n. 860 del 14.2.2002). 
Ne segue che, correttamente disconosciuto il ruolo di diretta interessata della società concorrente in ordine alla deliberazione in parola, altrettanto correttamente è stata giudicata tardiva l’impugnazione con riguardo al periodo della sua intervenuta pubblicazione. 
9. Il settimo motivo denuncia l’illegittimità, in via derivata dall’illegittimità della procedura di aggiudicazione, della deliberazione di Giunta n. 300 del 1998, che ha limitato al 28 febbraio 1998 (v. n. 1.3) alla ricorrente l’utilizzo dei cartelloni, che erano in sua disponibilità prima dell’espletamento della gara. 
Le considerazioni che precedono escludono la fondatezza della censura. 
10. L’ottavo motivo lamenta l’illegittimità della clausola n. 4 del capitolato speciale, in quanto “prevede la rinnovabilità oltre al diritto di prelazione per la concessionaria”. 
Esattamente il primo giudice ne ha dichiarato l’inammissibilità per carenza di un interesse attuale all’impugnazione. La rinnovabilità della concessione è infatti subordinata a future determinazioni dell’Amministrazione comunale, così come la prelazione è subordinata sia alla determinazione futura di procedere ad una nuova gara, sia all’accettazione delle condizioni offerte nella gara stessa.
11. Con la reiezione dell’appello, può farsi luogo, per giusti motivi, alla compensazione delle spese del grado. 
P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) respinge l’appello. 
           Spese compensate. 
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
 Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 5 febbraio 2002, con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone    Presidente 
Giuseppe Farina    Consigliere rel. est.
Aldo Fera     Consigliere 
Francesco D’Ottavi   Consigliere 
Claudio Marchitiello   Consigliere 
 

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