Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria - sentenza 3 dicembre 2008 n. 13,Danno da
ritardo e jus aedificandi.
Risarcimento e colpa P.A..
l’interesse
pretensivo connesso alla corretta
considerazione della propria posizione nell’ambito del potere di
pianificazione
(e del suo riesercizio), potrebbe in ipotesi trovare ancora un parziale
ristoro
in via di reintegrazione in forma specifica, realizzabile, in mancanza
di
spontaneo adeguamento dell’amministrazione soccombente, nell’ambito del
giudizio di ottemperanza tutt’ora pendente, in relazione ad altra
vicenda
contenziosa relativa a fatti successivi a quelli qui complessivamente
considerati.
In ogni
modo, ai fini risarcitori che qui ci
occupano, la pretesa di ordine "urbanistico" ora in esame, a seguito
della riferita ed inoppugnata statuizione del giudice di primo grado
basata
sulla rilevanza della decisione n.2592 del 2000, quindi, da un lato, si
connette al riconoscimento della spettanza del bene della vita, in una
certa
qual misura, dall’altro, una volta accertato tale presupposto, si
correla, in
ipotesi, in relazione al quantum, al danno da ritardo, poiché
l’eventuale anche
se possibile reintegrazione in forma specifica farebbe sopravvivere
solo un
residuo "vulnus", connesso al mancato ottenimento, nei tempi di
ordinaria definizione del procedimento 5.5. La stessa
configurabilità di un danno da ritardo non può che essere
commisurata, nei suoi necessari termini di rilevanza temporale, al
primo
presupposto della accertata spettanza del bene della vita.
l’accertamento
in concreto della colpa dell’amministrazione, che è
configurabile quando
l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle
regole
proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi
costituzionali
in punto di imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di
legge ordinaria
in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia
dai principi
generali dell’ordinamento, in punto di ragionevolezza,
proporzionalità ed
adeguatezza. (V, 8 settembre 2008, n.4242).
Il giudicato
doveva considerarsi così
intangibile, con riguardo all’accertamento del diritto
all’edificazione, in
omaggio al principio per cui la legge sopravvenuta è irrilevante
sulle
situazioni giuridiche istantanee definite dal giudicato (A.P. n.2
dell’11 maggio
1998).
FATTO
1. Prima di
passare all’esposizione della specifica controversia in esame, quale
risultante
dalle posizioni rispettivamente assunte dalle parti con gli atti di
appello e
con le memorie delle parti resistenti, è opportuno illustrare i
termini di
fatto che costituiscono i precedenti ed il contesto n cui si colloca la
vicenda
medesima, caratterizzata da una particolare articolazione e
complessità, anche
in relazione al tempo trascorso dall’inizio dei numerosi contenziosi
presupposti a quello qui in rilievo.
In data 9 giugno 1971, la società appellante ed il Comune di ..
hanno concluso
una convenzione di lottizzazione, avente per oggetto un’area estesa
54.500 mq.
per la realizzazione di una volumetria di circa 37.000 mc., in
attuazione dell’allora
vigente programma di fabbricazione. Successivamente, è stato
rilasciato il
nulla osta, prescritto per l’incidenza sull’area di un vincolo
idrogeologico.
Il Sindaco del Comune di .. aveva negato, con un primo provvedimento
dell’8
agosto 1975, n.1312, la licenza di costruzione richiesta dalla
società
appellante, e tale diniego era stato annullato con sentenza del Tar ..
28
ottobre 1979, n.800, sul rilievo che "la sola presenza del vincolo
idrogeologico ex art. 40 della l.r. n.51 del 1975, non comportasse una
assoluta
preclusione dell’attività edificativa", subordinandola al previo
rilascio
dell’autorizzazione di competenza regionale, mancando inoltre la
specificazione
del fondamento del diniego in riferimento alla lettera a) o b) dello
stesso art.40,
comma 2.
E’ stato, poi, dapprima adottato (nel 1977) e poi approvato, con la
citata
delibera regionale n. 3\5970 del 31 marzo 1981 il piano regolatore
generale;
questo, in sede di adozione comunale, aveva qualificato la zona come
inedificabile, perché soggetta a vincolo idrogeologico, mentre la Regione, in sede di
approvazione, aveva modificato le
norme tecniche, restituendo alle aree "una certa
edificabilità"(cfr;
pag 12, decisione IV, n.3\1988 citata).
Ritenendo di eseguire la sentenza n. 800 del 1979, il Sindaco di .. in
data 11
febbraio 1980 ha emesso un
ulteriore
diniego, rilevando che quello precedente andava inteso nel senso che
l’inedificabilità discendeva dalla presenza di alberi di alto
fusto,
rappresentanti una zona boschiva ai sensi dell’art. 40 della stessa
legge
regionale n. 51 del 1975.
In accoglimento di un ulteriore ricorso della società, il TAR –
con la sentenza
n. 385 del 1985 – ha annullato anche il secondo diniego, per la
ravvisata
incompetenza del Sindaco, poiché la gestione del vincolo
idrogeologico
rientrava tra le funzioni delegate dalla Regione alla Comunità
montana.
La stessa sentenza n. 385 del 1985 ha accolto
anche il ricorso
proposto dalla società lottizzante avverso la variante al piano
regolatore e ne
ha disposto l’annullamento per non aver tenuto conto della preesistenza
della
vigente convenzione di lottizzazione.
Tale sentenza è stata, appunto, confermata da questa Sezione con
la decisione
n. 3 del 1988, che ha respinto le censure formulate dal Comune e dalla
Regione.
La società, previa notifica di una diffida, ha proposto il
ricorso per
l’ottemperanza alla sentenza n. 385 del 1985.
Con la sentenza n. 187 del 1990, il TAR ha accolto il ricorso ed ha
nominato un
commissario ad acta (rilevando che una nota trasmessa dalla Regione
aveva
osservato che spettava al Comune eseguire il giudicato).
Il commissario ad acta con "deliberazione" del 31 gennaio 1991, n.1,
ha quindi adottato una variante al piano regolatore, tenendo conto
della
sopravvenuta legge n. 431 del 1985 e delle conseguenti normative
regionali di
coordinamento e di attuazione. La variante ha previsto la riduzione del
contenuto del precedente piano di lottizzazione, sia in termini
volumetrici
(10.000 mc. invece di oltre 30.000 mc.), sia per la concentrazione in
quattro
lotti dei volumi.
L’atto commissariale non è stato approvato dalla Regione .., che
– con la
delibera n. 39033 del 16 luglio1993 - ha ravvisato la sussistenza della
inedificabilità temporanea dell’area, ai sensi dell’art. 1 ter
della legge n.
431 del 1985.
La società ha impugnato tale delibera regionale sia con un
ricorso
d’ottemperanza, sia con un ricorso di legittimità, invocando i
principi
formulati dall’Adunanza Plenaria, con la decisione n. 1 del 1986, sui
rapporti
tra il giudicato di annullamento e l’esercizio dei poteri di
pianificazione.
Il TAR – con la sentenza n. 1146 del 1995 – ha riunito i ricorsi e li
ha
respinti, affermando la legittimità dell’atto regionale in
ragione dell’ambito
dei poteri esercitabili dalla regione.
La sentenza n. 1146 del 1995 è stata riformata da questa Sezione
con la
decisione n. 2592 del 2000, per la quale:
Regione era tenuta a rispettare i principi derivanti dalla sentenza n.
385 del
1985 del TAR, gravante dell’obbligo di ottemperanza anche la Regione medesima,
parte necessaria del giudizio di
merito e di quello di ottemperanza, nonostante la diversa e
contraddittoria
sentenza di esecuzione appellata e la precedente sentenza dello stesso
Tar,
n.187 del 1990, contenente un "parziale ordine di esecuzione"
indirizzato al solo Comune;
- in sede di approvazione della variante, la Regione non avrebbe
potuto effettuare un sindacato
sulle scelte del commissario ad acta, le cui statuizioni hanno tenuto
conto di
tutti gli interessi in conflitto, incombendo sulla Regione di far
valere in sede
di ottemperanza "l’esistenza di probabili vincoli di
inedificabilità
temporanea" legati alla subentrata disciplina paesaggistica, e
spettando
alla Regione non già un potere valutativo autonomo ma
l’esercizio, quale parte
del giudizio di merito e di ottemperanza, di un "dovere di esecuzione
implicito, ma non attuale, perché comunque condizionato dalla
preventiva
attivazione del Comune o dell’organo a quello sostituito";
- ha disposto che il medesimo commissario ad acta portasse a
conclusione il
procedimento, adottando l’approvazione del procedimento di variante e
rilasciando, ove ad essa conformi, le chieste concessioni edilizie (e
ponendo a
carico della Regione il pagamento del suo ulteriore compenso).
Tale decisione n. 2592 del 2000 è passata in giudicato,
perché sono stati
dichiarati inammissibili – dalle Sezioni Unite e dalla Quarta Sezione -
i
ricorsi proposti dal Comune e dalla Regione, rispettivamente, per
ragioni di
giurisdizione e per revocazione.
La società, quindi, con un primo ricorso, ha chiesto al TAR la
determinazione
di ulteriori misure, nel medesimo giudizio di ottemperanza già
"sospeso" a seguito della la riformata sentenza n. 1146 del 1995, ed
ha altresì presentato l’ulteriore ricorso n. 209 del 2003, volto
ad ottenere la
condanna del Comune e della Regione al risarcimento dei danni.
All’udienza del 7 giugno 2007, oltre tali due ricorsi, è stato
trattenuto dal
TAR in decisione anche il ricorso n. 2856 del 2000, proposto contro il
piano
regolatore, adottato con delibera comunale n. 15 del 1997 e approvato
con
delibera regionale n. 16 del 2000.
Il TAR ha così deciso:
- con la sentenza n. 182 del 2007, ha respinto il
ricorso
n.209 del 2003 proposto per il risarcimento danni;
- con la sentenza n. 216 del 2007, ha accolto il
ricorso n.
2856 del 2000, proposto avverso la variante approvata dalla Regione con
la
delibera n. 16 del 2000, per non aver tenuto conto della precedente
sentenza n.
385 del 1985 e delle successive pronunce rese in sede di esecuzione di
giudicato;
- con la sentenza n. 217 del 2007, ha rilevato
che il
commissario avrebbe dovuto valutare la rilevanza del piano paesistico
sopravvenuto, approvato con delibera regionale n. 197 del 2001, ed ha
nominato
un diverso commissario ad acta (nella persona del Direttore
dell’Ufficio
provinciale di Varese o funzionario da lui delegato).
2. Avverso la sentenza n. 182 del 2007, che ha respinto la domanda
risarcitoria, la società ha proposto l’appello n. 4356 del 2007,
rubricato come
n.12\2008 nel ruolo dell’A.P., deducendo le seguenti censure:
A) Travisamento dei fatti. Per la sentenza impugnata, i provvedimenti
erano
stati annullati dal giudice amministrativo per sostanziale difetto di
motivazione e da ciò non deriverebbe la colpa in capo alla P.A.,
che non
perderebbe il potere di rinnovazione dell’atto, da cui il rinvio
dell’esame
dell’elemento soggettivo all’esito del nuovo adottando provvedimento.
Deduce l’appellante che il diniego della licenza edilizia non era stato
conseguente al sopravvenire della variante al PRG annullata per difetto
di motivazione,
ma per ragioni autonome e diverse; che si era trattato non di uno, ma
di due
dinieghi, il secondo conseguente all’annullamento del primo; che la
sentenza n.
385 del 1985, a base del
giudicato, dopo
la sua conferma da parte del Consiglio di Stato, sez. IV, con decisione
n. 3
del 1988, aveva riunito e unitariamente deciso due ricorsi attinenti,
l’uno al
diniego della licenza edilizia e l’altro alla variante al PRG che aveva
obliterato la preesistente convenzione di lottizzazione.
Da ciò l’appellante fa derivare che, sotto il profilo edilizio,
si era già
verificato quel presupposto (reiterazione dell’esercizio del potere)
che la
sentenza pretende per ritenere ammissibili le domande risarcitorie.
Inoltre, l’appellante sostiene che i dinieghi di licenza edilizia,
annullati
dal TAR della .. con le sentenze nn. 800 del 1979 e 385 del 1985, non
erano
stati annullati per difetto di motivazione, ma perché il Comune
aveva ritenuto
che la sopravveniente norma di cui all’art. 40 della legge regionale n.
51 del
1975 avesse comportato un sostanziale vincolo di inedificabilità
del terreno
interessato dalla presenza di alberi di alto fusto. Il TAR, con la
sentenza n.
800 del 1979, aveva affermato che il vincolo idrogeologico non
comportava
inedificabilità, ma che era solo necessario che l’edificazione
fosse assistita
dal rinnovato nulla osta, rilasciato dalle competenti autorità
regionali. Il
Comune aveva rinnovato il diniego, nel presupposto che il primo diniego
fosse
stato reputato affetto da carenza di motivazione ed aveva integrato la
motivazione con riferimento al numero degli alberi di alto fusto
presenti sul
terreno.
Da qui il nuovo annullamento del TAR con la sentenza n. 385 del 1985,
confermata dalla decisione n. 3 del 1988 di questa Sezione.
Secondo l’appellante, il secondo diniego avrebbe fatto cattivo uso
delle norme
relative alla disciplina del vincolo idrogeologico e si sarebbe
volutamente
discostato dalla precedente decisione di cui alla sentenza n. 800 del
1979.
Da qui la sostenuta violazione delle regole di diligenza, perizia,
prudenza,
necessaria imparzialità che caratterizzano la presenza di un
comportamento
responsabilmente colposo, sanzionabile con la condanna risarcitoria.
B) Sotto il profilo urbanistico, considerata la variante al P.R.G. che
aveva
obliterato la preesistente convenzione di lottizzazione, l’appellante
sostiene
che la circostanza che il vizio caducatorio sia consistito in un
difetto di
motivazione non può far ritenere che tale vizio induca alla
mancanza di colpa
risarcibile da parte dell’Amministrazione, occorrendo valutare la
volontarietà
o meno di tale mancanza rispetto al rapporto cui la determinazione
amministrativa si riferisce.
Richiama, a favore della propria tesi, la sentenza n. 157 del 2003 Cass
civ.,
Sez. I, e quanto affermato dalla decisione n. 3 del 1988 da questa
Sezione,
resa inter partes.
C) L’appellante censura, poi, la sentenza impugnata per quel che
attiene alla
valutazione della rilevanza del pregresso giudizio di ottemperanza,
errando il
Tar nel ritenere esente da colpa l’esercizio del potere in materia
paesistica
da parte della Regione quando la stessa sentenza della IV Sezione
n.2592\2000
aveva affermato che lo stesso avrebbe dovuto essere esercitato con uno
strumento diverso (procedimento incidentale avanti il giudice
dell’esecuzione).
Ciò in quanto l’intervento regionale medesimo che aveva negato
l’approvazione
della variante proposta dal commissario ad acta, alla luce della
sentenza n.
2592 del 2000 di annullamento di detta delibera, fa emergere
l’erroneità della
sentenza impugnata, laddove sostiene che non si può configurare
una colpa
dell’amministrazione regionale nell’aver ritenuto di poter usare i
propri
poteri con il diniego di approvazione della variante, poteri del resto
ritenuti
legittimi anche dalla sentenza di I grado.
L’appello sostiene, in proposito, che la decisione n. 2592 del 2000
aveva
ritenuto che la Regione avrebbe
dovuto tenere un
comportamento consono alla decisione del TAR .. n. 187 del 1989
(ottemperanza),
rispetto alla quale l’approvazione di nuovi strumenti urbanistici da
parte
della Regione si poneva necessariamente come conseguenza non già
di un autonomo
potere valutativo, ma come esercizio di un dovere di esecuzione
implicito,
condizionato dalla preventiva attivazione del Comune o dell’organo a
quello
sostituito, e che la Regione si sarebbe
sottratta non
solo al giudicato, ma anche al giudizio di ottemperanza, all’interno
del quale
soltanto avrebbe potuto interloquire, in quanto parte necessaria ed
evocata.
La Regione si era tenuta cioè illegittimamente fuori dal
giudizio di
ottemperanza, ritenendo di poter esercitare una funzione propria ed
autonoma,
svincolata cioè dagli effetti del giudicato di annullamento e
dalla sentenza
che ne aveva disposto l’esecuzione, negando l’approvazione al disegno
urbanistico del Commissario ad acta in pretesa applicazione della legge
n. 431
del 1985, di sostanziale salvaguardia rispetto a successivi atti di
pianificazione previsti dalla medesima legge.
Tale comportamento, consistente nella sottrazione all’esecuzione di una
sentenza passata in giudicato, rappresenterebbe violazione dell’art.
2909 c.c.,
nonché scelta amministrativa di completo malgoverno del potere
poi esercitato e
violazione della regola sancita in materia urbanistica dall’Adunanza
Plenaria,
con la decisione n. 1 del 1986, che ammetteva la rilevanza dello jus
superveniens in corso di giudizio, ma con il limite dell’esigenza di
contemperamento dell’interesse pubblico sotteso alla nuova disciplina,
nel caso
paesistica, con l’interesse edificatorio in precedenza vantato dal
ricorrente
vittorioso. L’aver la Regione opposto
alla variante
urbanistica commissariale, riduttiva delle volumetrie previste dal
piano di
lottizzazione ed aderente ai canoni della tutela paesaggitica
introdotta dalla
legge n.431\1985, l’inedificabilità temporanea della zona in
attesa della
formazione dei piani paesaggistici regionali, configurava una
negligente
percezione della funzione che in concreto doveva essere esercitata.
Invero, la colpa dell’organo amministrativo ricorre tutte le volte in
cui la
illegittimità del provvedimento si ponga in rapporto con la
volontà dello
stesso organo attraverso il carattere negligente, imprudente o imperito
del suo
agire nel caso concreto. D) La società appellante contesta, poi,
in punto di
fatto la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente
una
corresponsabilità ex art. 1227 c.c. della società stessa,
per inerzia serbata
nel richiedere il nuovo intervento del Commissario ad acta.
Invero, subito dopo la decisione n. 2592 del 2000 la società ha
dovuto
contestare con una nuova impugnativa una ulteriore variante del PRG
(D.G.R.
n.16\2000), anch’essa non rispettosa della convenzione di
lottizzazione. Detto
ricorso è stato chiamato alla stessa udienza di merito e
unitariamente discusso
con quello della presente vicenda e con l’altro dell’ottemperanza,
ottenendo
l’accoglimento con la sentenza n. 216 del 2007. La presenza del nuovo
PRG si
poneva, quindi, di ostacolo alla prosecuzione del giudizio di
ottemperanza.
Inoltre, la stessa decisione n. 2592 del 2000 aveva formato oggetto di
ricorso
per revocazione e di ricorso per motivi di giurisdizione (quest’ultimo
deciso
solo con la sentenza Cass. SS. UU. n. 5730 del 2002).
E) In conclusione, la difesa della società appellante affida al
Collegio la
definizione del rapporto corrente fra il giudizio per l’ottemperanza al
giudicato e l’azione risarcitoria, ritenendo che quest’ultima,
relativamente
anche al quantum e ai titoli relativi, non possa che conseguire
all’esito del
primo, in quanto volto al riconoscimento della possibilità
edificatoria dei
terreni, sia pure nei limiti ridotti dalla variante adottata dal
commissario ad
acta.
Ripropone, quindi, le domande formulate in primo grado, con la
precisazione
della corrispondente diminuzione e diversa quantificazione all’esito
dell’ottemperanza, in caso di riunione dei due ricorsi o di sospensione
del
ricorso in esame sino alla conclusione del primo.
Quanto ai danni, sollecitando il potere del Collegio ex art. 35, comma
2,
D.Lgs. n. 80/98, la società ricorrente chiede di:
1) accertare e dichiarare la responsabilità degli Enti evocati
in giudizio
nell’adozione dei provvedimenti impugnati ed annullati in via
giurisdizionale,
nonché nel complessivo giudizio tenuto all’esito dei vari
giudizi;
2) accertare e dichiarare che in corrispondenza di detta
responsabilità sono
conseguiti danni economici a carico della società interessata,
consistenti:
a) nella preclusione dell’esercizio del diritto ad edificare e, quindi,
nella
perdita di valore del terreno; b) nell’immobilizzo in sé del
capitale investito
e rappresentato dal valore del terreno edificabile, nonché dalla
perdita di
possibili negoziazioni; c) nella cessione al Comune di un’area di
mq.500; d)
nelle spese burocratiche e gestionali della convenzione di
lottizzazione,
nonché di ordine fiscale per il mantenimento in vita della soc.
.., nonché in
ogni spesa per attività progettuali;
3) condannare gli Enti convenuti in via esclusiva o solidale al
risarcimento
dei danni secondo i titoli esposti, nell’importo che risulterà
da espletanda
C.T.U., nonché dai richiamati mezzi istruttori, esercitando, ove
occorra, il
potere di cui all’art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 80/98;
4) in via istruttoria: 1) ammettere C.T.U. affinché in
contraddittorio venga
determinato il danno risarcibile secondo i quesiti che il Collegio
vorrà
stabilire; 2) ammettere prova per testi sui capitoli indicati in
ricorso.
3. Il Comune di .., costituitosi in giudizio, ha eccepito
l’inammissibilità
della pretesa risarcitoria in quanto - (avendo la società
instaurato un
giudizio di ottemperanza contestualmente alla richiesta di risarcimento
danni)-
il risarcimento del danno non potrebbe che essere misura residuale
satisfattoria rispetto all’esecuzione in forma specifica. Pertanto,
è dalla
sorte dei suddetti gravami che dipenderebbe la pretesa risarcitoria
della
società, di cui, comunque, nel merito, si contesta la fondatezza.
Invero, il coacervo normativo verificatosi in materia, avrebbe reso da
un lato
inedificabili per molteplici profili l’area di cui trattasi e
dall’altro
avrebbe introdotto elementi di oggettiva incertezza giuridica.
Nel 1993 la Regione non aveva
approvato la
variante proposta dal Commissario ad acta in quanto contrastante con il
regime
di cui all’art.1 ter della legge n. 431 del 1985, senza che in tale
comportamento potesse essere ravvisata alcuna colpa del Comune.
D’altro canto, l’odierna appellante avrebbe dovuto attivarsi in sede di
esecuzione di giudicato, ove avesse ritenuto di avere titolo ad
edificare.
Ha segnalato, poi, che il D.Lgs. n. 157/06, modificando gli artt. 156 e
157 del
Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha fatto rivivere le cd.
misure di
salvaguardia di cui all’art. 1 ter D.L. n. 312/85, conv. in L. n.
431/85, nei
casi in cui, alla luce delle nuove disposizioni di tutela
paesaggistica, si
impone la redazione di un nuovo piano paesaggistico o la modifica di
quello
esistente, da effettuarsi entro il 1° maggio 2008. Pertanto, allo
stato
attuale, sarebbe volontà del legislatore di salvaguardare
dall’edificazione le
aree previste dall’art. 1 ter cit, quale è quella in oggetto.
4. La Regione ..,
costituitasi in
giudizio, ha eccepito la carenza d’interesse della società
ricorrente, che non
avrebbe ancora richiesto le concessioni edilizie necessarie
all’esercizio dell’attività
edificatoria. Essa ha rilevato che il Comune, con la deliberazione n. 7
del 2007, ha approvato
una variante al proprio PRG, finalizzata
all’istituzione di un’area protetta, con una delibera impugnata al TAR
della ..
con ric. n. 2208 del 2007, ma efficace. Tale delibera ha escluso in
capo alla
ricorrente qualsiasi aspettativa in relazione alla cubatura oggetto del
contendere, tantomeno sotto il profilo della risarcibilità per
equivalente,
essendo stata determinata da inerzia colpevole della ricorrente.
Né varrebbe
l’argomentazione da questa opposta che le concessioni non avrebbero
potuto
essere richieste fino al 2007 a causa
dell’effetto
ostativo della variante adottata con la delibera del Consiglio comunale
n. 15
del 1997 e approvata con la delibera regionale n. VI/4934/00, rimosse
solo con
la sentenza n. 216 del 2007, in quanto
già la sentenza
n. 2592 del 2000 di questa Sezione dava mandato al commissario ad acta
di
concludere il procedimento di variante e di rilasciare, ove ad essa
conformi,
le chieste concessioni edilizie.
La Regione, poi, in tema di causa petendi, sostiene che non vi sarebbe
stato
alcun interesse risarcibile sorgente dal giudicato, in quanto, come
osservato
dal primo giudice nella sentenza impugnata, l’amministrazione era
destinataria
di un obbligo di provvedere in merito alla materia del contendere, non
essendosi in presenza di una sentenza autoesecutiva (la n. 385 del
1985),
tant’è che il ricorrente fu costretto a promuovere al riguardo
un giudizio di
ottemperanza, terminato (sentenza n. 187 del 1998) con la nomina di un
commissario ad acta. In altre parole, tale nomina non fu provocata
dalla
inerzia delle Amministrazioni, ma dalla necessità di un
riesercizio del potere
amministrativo, cui la pretesa del privato di costruire restava
condizionata.
La Regione contesta, poi, la natura perfetta e risarcibile del diritto
sorgente
dal piano di lottizzazione sottoscritto nel 1971, dovendosi valutare in
concreto la risarcibilità della lesione arrecata agli interessi
pretensivi
(cfr. Sent. Cass.SS.UU., n. 500 del 1999), soprattutto ove, come nel
caso di
specie, sia necessario un ulteriore atto di natura discrezionale,
finalizzato a
riprovvedere sulla istanza edificatoria del privato.
La Regione esclude, poi, che, alla luce degli avvenimenti successivi,
la
ricorrente possa avere diritto ad un risarcimento fondato su un
giudizio
prognostico, del tutto slegato dalle vicende successive, oppure aver
diritto al
danno da ritardo in relazione alla ridotta cubatura poi effettivamente
concessa.
In sintesi, fermo il principio secondo cui la tutela dell’interesse
pretensivo
consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando
l’interesse
pretensivo assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali, la
tutela
prognostica potrebbe accordarsi solo come risarcimento per
l’aspettativa del
provvedimento favorevole, a questo condizionata, e comunque alternativa
ad un
eventuale risarcimento da ritardo, che invece presupporrebbe il
riconoscimento
dell’interesse, riconosciuto dal provvedimento, prima della riedizione
del
potere. Nel caso de quo nessuna prova sarebbe stata fornita circa la
possibilità che la riedizione del potere, effettuatasi solo con
la
determinazione del commissario ad acta, si sarebbe risolta in senso
favorevole
alla ricorrente. Di conseguenza, ritiene la Regione che nessun
giudizio di rimprovero potrebbe
essere effettuato a carico delle Amministrazioni resistenti.
Esclude, poi, la sussistenza, oltre al danno risarcibile, degli
elementi per la
sussistenza della responsabilità aquiliana, specificando che,
ove fossero
rimproverati comportamenti omissivi, vi sarebbe difetto di
giurisdizione del
giudice amministrativo (dec. n. 204/04 Corte cost.). Per i censurati
provvedimenti impeditivi, ne esclude la sussistenza, non potendosi
ritenere che
l’aver provveduto sfavorevolmente nei confronti della ricorrente con
riferimento alla normativa vincolistica di zona (su cui si era espresso
favorevolmente il TAR .. con sentenza n. 1146 del 1995, poi riformata
dalla
decisione n. 2592 del 2000 di questa Sezione) possa comportare una
responsabilità della amministrazione, non essendo configurabile
una culpa in re
ipsa, positivamente esclusa dal nostro ordinamento. In ogni caso, si
ricorda
come in materia extracontrattuale sia l’attore-danneggiato a dover
provare la
colpa del convenuto, come pure l’onere probatorio dell’elemento
soggettivo
(art. 2697 c.c.).
La Regione contesta, poi, l’idoneità della deliberazione di G.R.
n. VI/49343/00
del 31 marzo 2000 a ledere la
pretesa del
ricorrente: con essa venne approvata la variante di PRG adottata dal
Comune,
nell’esercizio dei poteri pianificatori di competenza.
La Regione, contesta, poi, il quantum delle richieste risarcitorie
contenute
nel ricorso in appello, riportandosi a quanto già eccepito nelle
difese di I
grado. Chiede, in via istruttoria, il rigetto della istanze
testimoniali e di
CTU perché inammissibili e irrilevanti e, nel merito, il rigetto
del ricorso
perché infondato.
5. Con il secondo ricorso, n.4537\07, rubricato al n.13\2006 presso il
ruolo di
questa Adunanza Plenaria, la medesima società ha proposto
appello avverso la
sentenza n. 217 del 2007 del TAR - intervenuta nel giudizio di
ottemperanza
alla sentenza n. 385 del 1985 del TAR, fondato sulla sentenza n.
187/89, cui è
seguita la decisione n. 2592 del 2000 della IV Sezione del Consiglio di
Stato,
riguardanti il diritto della ricorrente ad ottenere il rilascio delle
concessioni edilizie, sia pure nei termini riduttivi previsti dal nuovo
atto di
pianificazione del Commissario ad acta, che aveva tenuto conto dei
sopravvenienti valori paesaggistico-ambientali derivanti dalla legge n.
431 del
1985 - la
Società deduce la
violazione
delle regole del giudicato e sul giudizio per la sua ottemperanza,
nonché lo
sviamento.
L’affermazione contenuta in sentenza secondo cui il giudicato si
sarebbe
formato solo sull’oggetto della materia urbanistico-edilizia (sent. n.
385/85)
e per questo dispone che il commissario ad acta deve tener conto del
piano
paesaggistico sopravvenuto nel 2001, non terrebbe conto del giudicato
di cui
alla decisione di questa Sezione n. 2592 del 2000, che aveva
riconosciuto la
legittimità dell’operato del Commissario ad acta, nel quale
dovevano ritenersi
ricomprese le valutazioni di ordine paesaggistico. La sentenza,
quindi,
sarebbe errata perché i problemi paesaggistici erano sì
estranei alla materia
dedotta nella sentenza n.385 del 1985, ma da essi non aveva potuto
prescindere
il Commissario ad acta, come attestato dalla sua relazione alla
variante da
esso adottatae come rende conto la sentenza della IV Sezione n.2592 del
2000.
Il Tar non avrebbe quindi tenuto conto delle sentenze via via
succedutesi,
attestanti l’esatto e definitivo contenuto del diritto della ricorrente
ancorandolo anche alla tutela di valori paesaggistici conseguenti alla
sopravvenuta normativa di settore; perciò non avrebbe dovuto
affermare che il
nuovo commissario ad acta era tenuto a procedere in base al nuovo piano
paesistico regionale, essendosi detta fase valutativa già
esaurita in
precedenza, nel corso del procedimento conclusosi con la decisione n.
2592 del
2000 del Consiglio di Stato ed essendo tale profilo rientrante nella
formazione
c.d. progressiva del giudicato, nell’ambito temporale del giudizio di
ottemperanza, al punto da non potersi rimettere continuamente in
discussione la
pretesa del privato fondata sul giudicato, al sopravvenire di nuove
disposizioni amministrative a carattere generali, obliterando decisioni
giurisdizionali inoppugnabili. Nella sent. n. 182 del 2007 dello stesso
TAR
(impugnata con il primo dei ricorsi oggi all’esame del Collegio), nel
respingere la richiesta di risarcimento danni, si afferma che proprio
dalla
sentenza n. 2592 del 2000 cit. era derivata in capo alla società
ricorrente la
spettanza del bene della vita oggetto dell’attività
amministrativa,
contraddicendo quanto affermato con la coeva sentenza qui appellata. Il
giudicato prevarrebbe, comunque, anche sulla normativa sopravvenuta
(arg. ex AP
n. 2 del 1998, per cui il giudicato è intangibile dalla legge
sopravvenuta che
entri in conflitto con il contenuto tipico dell’accertamento, rispetto
alle
situazioni ed ai rapporti non destinati a rinnovarsi nel tempo).
Si sostiene che, nel caso di specie, rileverebbero le regole contenute
nella
dec. n. 1 del 1986 dell’AP, che ritiene inopponibili a chi vanta un
giudicato
le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute alla
notificazione della
sentenza di accoglimento del ricorso contro il diniego di edificazione,
nonché
la sussistenza in capo al soggetto privato di un interesse pretensivo a
che
l’autorità competente riveda in parte qua il P.R.G. vigente al
fine di
apportarvi una deroga variante che recuperi, compatibilmente con
l’interesse
pubblico, la previsione del piano esecutivo abrogato.
A tutto concedere, secondo l’appellante, la sentenza impugnata non
considera
che la normativa che ha orientato dapprima la determinazione del
Commissario ad
acta e, poi, la predisposizione del piano paesistico del 2001 da parte
della
Regione è la medesima e cioè la legge n. 431 del 1985.
6. Eccepisce il Comune di .., costituitosi in giudizio,
l’inammissibilità
dell’appello, il cui vero scopo, ancorché diretto contro
decisione resa in sede
di ottemperanza, sarebbe quello di contestare l’operato del commissario
ad acta
(avverso le cui determinazioni è stato proposto autonomo
ricorso). Eccepisce,
altresì, l’infondatezza delle censure nel merito.
Segnala, poi, sulla perdurante inedificabilità dell’area, che il
D.Lgs. n. 157
del 2006, modificando gli artt. 156 e 157 del cd. Codice n. 42 del
2004, fa rivivere
le cd. misure di salvaguardia di cui all’art. 1 ter D.L. n. 312/85,
conv. in L.
n. 431/85, nei casi in cui, alla luce delle nuove disposizioni di
tutela
paesaggistica, si impone la redazione di un nuovo piano paesaggistico o
la
modifica di quello esistente, da effettuarsi entro il 1° maggio
2008. Pertanto,
allo stato attuale, sarebbe volontà del legislatore di
salvaguardare
dall’edificazione le aree previste dall’art. 1 ter cit, quale è
quella in
oggetto.
7. Anche la Regione ..
eccepisce in via preliminare
l’inammissibilità dell’appello, mancando gli elementi, allo
stato, per un
intervento ulteriore del giudice. Solo a seguito della verifica
dell’operato
del commissario ad acta si potrà, in seguito, reintervenire in
sede di esame
della correttezza del suo operato, il che, peraltro, sarebbe già
avvenuto,
avendo la società depositato presso il TAR .. in data 4 gennaio
2008 un ricorso
per l’esecuzione di giudicato avverso la deliberazione commissariale
assunta il
30 ottobre 2007. Nel merito, l’appello sarebbe infondato, in quanto la
sentenza
n. 2592 del 2000 di questa Sezione è antecedente al piano
paesistico e la
sentenza di cui si chiede l’esecuzione (n. 385 del 1985) nulla dispone
in tema
di tutela paesistica dei luoghi, prendendo in considerazione solo il
vincolo
idrogeologico.
7. Attesi gli evidenti motivi di connessione i due ricorsi in appello
indicati
in epigrafe sono stati riuniti ai fini di un’unica rimessione al’A.P..
All’attenzione di questo Consesso, al fine di poter dirimere la
complessiva controversia
sopra illustrata, l’ordinanza prospetta le seguenti questioni:
a) l’individuazione del momento in cui può essere valutata la
domanda di
risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi nel caso di
annullamento di un provvedimento discrezionale, e precisamente se tale
valutazione possa essere effettuata soltanto all’esito del nuovo
esercizio del
potere, sicchè non potrebbe essere concesso risarcimento ove
permanessero in
capo all’Amministrazione spazi di discrezionalità
amministrativa, ovvero a
prescindere dal riesercizio del potere;
b) l’individuazione dei caratteri della colpa dell’apparato pubblico,
necessaria per accordare il risarcimento dei danni derivanti da lesione
di
interessi legittimi;
c) la determinazione del rapporto tra giudicato e residui poteri della
p.a. in
materia edilizio-urbanistica ed in particolare se la p.a. possa o meno
tener
conto delle modificazioni dei piani urbanistici sopravvenute nel corso
del
giudizio;
d) la determinazione del rapporto tra giudizio di ottemperanza e azione
risarcitoria, chiarendo se ques’ultima, anche relativamente al quantum
ed ai
titoli relativi, debba o meno conseguire all’esito del primo;
e) la sussistenza o meno della giurisdizione amministrativa in ordine
alla
responsabilità da comportamenti omissivi della p.a., potendosi
sostenere che le
inadempienze dell’Amministrazione integrerebbero "comportamenti"
omissivi, lesivi di diritti soggettivi conoscibili dal giudice
ordinario dopo
la sentenza n.204 del 2004 della Corte costituzionale.
Sulle memorie delle parti in precedenza citate, che hanno investito le
questioni complessivamente trattate in entrambi gli appelli sopra
specificati,
la causa è stata trattenuta in decisione, previa discussione,
alla pubblica
udienza del 20 ottobre 2008.
DIRITTO
1. La
riunione
dei due appelli in epigrafe, già disposta con l’ordinanza di
rimessione, può
essere mantenuta attesa la connessione soggettiva ed oggettiva tra le
due
cause.
2. Preliminarmente ad ogni altra questione, occorre individuare con
esattezza le
posizioni soggettive che muovono l’appellante nell’esercizio del suo
diritto di
azione, sia ai fini risarcitori che esecutivi di giudicato.
Avuto riguardo alla complessa vicenda contenziosa sopra illustrata e,
anzitutto, al contenuto delle sentenze n.385\1985 della I Sezione del
Tar .. e
n.3\1988 della Quarta Sezione di questo Consiglio, risulta che il
giudicato che
da esse scaturisce, e la cui proiezione in chiave di attuazione
dà luogo sia
alla pretesa risarcitoria che alla richiesta di ulteriore ottemperanza
rispettivamente contenute negli appelli in esame, riguarda due distinte
posizioni soggettive di interesse pretensivo, collegabili a ciascuno
dei due
provvedimenti oggetto del giudicato di annullamento in questione.
Esse sono, cioè, collegabili, rispettivamente, la prima, al
diniego di
licenza\concessione edilizia relativo ad istanze avanzate in base alle
previsioni edificatorie di una convenzione di lottizzazione, e, la
seconda,
alla successiva adozione di una variante al P.R.G. comunale che aveva
inciso in
senso abrogativo sulla convenzione. Ci si trova di fronte, dunque, a
due
successive serie procedimentali che configurano, in ragione dei
distinti poteri
pubblicistici esercitati, nel primo caso edilizio in senso stretto, nel
secondo
pianificatorio urbanistico, e delle distinte normative che regolano le
rispettive fattispecie, due interessi pretensivi formalmente diversi, e
insorgenti uno di seguito all’altro.
2.1. Tali interessi pretensivi, peraltro, risultano, da un lato, con
evidenza,
connessi procedimentalmente e temporalmente, per le indubbie
ripercussioni che
la preesistenza della convenzione riflette sull’esercizio del
successivo potere
pianificatorio, dall’altro, poi, hanno alla base l’aspirazione allo
stesso bene
della vita, vale a dire alla concretizzazione dello jus aedificandi
relativamente alla stessa area, prima oggetto della convenzione e poi
dello
strumento urbanistico.
Ciò che conta ai fini risarcitori, come si vedrà,
è che i due interessi
pretensivi in questione, formalmente distinti in relazione alla
segnalata
diversità dei poteri che impingono sulla posizione del privato,
una volta
proiettati sul piano degli interessi sostanziali, e quindi correlati ai
presupposti della tutela risarcitoria, convergono verso un unico bene
della vita
e, di riflesso, verso una configurazione del danno (lesione al bene
della vita)
unificabile e non duplicabile.
3. In relazione all’esame dell’appello n.12 del 2008, va anzitutto
esaminata la
questione della risarcibilità del primo interesse pretensivo,
che lo stesso
appellante definisce attinente al "profilo edilizio", nascente dalla
convenzione di lottizzazione conclusa con il Comune resistente il 9
giugno
1971, e che attiene alla realizzazione degli interventi edilizi da essa
previsti, condizionata, com’è connaturato alla disciplina in
materia, dal
successivo rilascio della concessione edilizia.
Tale interesse pretensivo è stato alla base di una duplice
richiesta di
provvedimenti permissivi edificatori da parte della società che
sono stati
riscontrati negativamente dal Comune con due atti, del 1975 e del 1980,
entrambi oggetto di annullamento.
3.1. In particolare, esaminando in primo luogo la questione
dell’ammissibilità
di una tutela risarcitoria concernente tale pretesa, va osservato che
ci si
trova di fronte ad una situazione di questo tipo:
a) l’amministrazione comunale aveva negato le concessioni edilizie
sotto il
profilo della ritenuta inedificabilità delle aree,
determinazione
esclusivamente connessa all’insistenza di un vincolo idrogeologico,
diversamente
rilevante, rispetto al quadro esistente al momento della stipula della
convenzione, a seguito del sopravvenire di una disciplina legislativa
regionale
in materia;
b) ciò il Comune aveva sostenuto con i due dinieghi (del 1975 e
del 1980)
annullati dal Tar nel 1979 e nel 1985, la cui illegittimità era
stata
rispettivamente ritenuta: prima perché non si riteneva
sufficiente il richiamo
alla disciplina regionale in tema di vincolo idrogeologico insistente
sull’area
in questione, senza specificarne le diverse ipotesi ivi contemplate,
per
ritenerne la inedificabilità, potendo, inoltre, l’istante
munirsi di un (nuovo)
nulla osta idrogeologico rilasciato dall’autorità competente
(diversa dal
Comune); poi perché, (secondo annullamento), comunque, la
gestione del vincolo
idrogeologico spettava agli organi delegati dalla regione, in base alla
stessa
disciplina, e non al Sindaco, cui competeva di operare solo la
valutazione
urbanistico-edilizia.
3.2. A fronte di tale situazione, rilevano poi due circostanze
concomitanti e
di pregnante importanza.
a) La prima è che il Comune aveva avuto occasione di indicare
per ben due volte
le ragioni ostative al rilascio delle concessioni e mai aveva
individuato
motivi afferenti all’interesse pubblico edilizio, o igienico-sanitario,
la cui
tutela ad esso spettava in quella sede, sicchè è da
ritenersi che, sulla base
di tali ragioni pubblicistiche, rientranti nelle tipiche attribuzioni
comunali
in materia di rilascio delle concessioni (anche dipendente da
previgente
convenzione di lottizzazione), non vi fossero diversi motivi ostativi
al
rilascio delle concessioni.
b) La seconda è che, nel 1981, in sede di
approvazione
della variante di piano adottato dal Comune nel 1977, la Regione, con
delibera che era stata annullata solo per
difetto di motivazione, nelle sentenze da cui sorge il giudicato per
cui è
ottemperanza, aveva riconosciuto, in sede di modificazione delle norme
tecniche
di attuazione della variante medesima, un certo livello di
edificabilità delle
aree in questione, compatibile, quindi, con la nuova portata del
vincolo
idrogeologico stabilita dalla sopravvenuta disciplina regionale.
3.3. Ai fini che qui ci occupano, la premessa ora svolta consente
allora di
ritenere spettante il bene della vita in relazione al primo interesse
pretensivo qui delibato, in accoglimento del primo motivo dell’appello
n.12\2008.
Ciò non tanto sotto il profilo di un travisamento in cui sarebbe
incorso il
primo giudice, atteso che, in relazione alla mancata considerazione del
primo
annullamento, non può dirsi "verificato quel presupposto
(reiterazione
dell’esercizio del potere, nuovamente annullato) che la sentenza
pretende per
ritenere ammissibile la domanda risarcitoria".
Il Tar, in effetti, ha soltanto affermato, richiamando una
condivisibile
decisione del Consiglio di Stato (VI, 4 settembre 2002, n.4435), che
allorchè
un provvedimento di diniego viene annullato per vizi che comunque, come
nel
caso, consentono il riesercizio del potere, se l’atto negativo viene
reiterato,
per ragioni diverse dal precedente, il sopravvenuto provvedimento
negativo
esclude, allo stato, la sussistenza di un danno risarcibile derivante
dal primo
provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di
annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento (il che
è
sostanzialmente il caso qui presente, pur con sfumature attinenti al
fatto che
il Comune ha precisato, con due successive statuizioni, diversi aspetti
ostativi del vincolo idrogeologico).
Piuttosto, il Tar ha errato nell’identificare la ricorrenza, rispetto
al
secondo annullamento, proprio degli estremi del danno risarcibile, in
relazione
al complessivo contesto costituito dagli annullamenti e dalle
affermazioni
contenute nel giudicato derivante dalla decisione della Quarta Sezione
n.3\1988,
secondo quanto qui in precedenza ritenuto.
3.4. Nel caso che ci occupa, infatti, la positiva risultanza della
attribuibilità del bene della vita e la natura sostanziale e
risarcibile
dell’interesse pretensivo di tipo "edilizio" qui esaminata, risultano,
autonomamente, rispetto ad un semplice automatismo derivante
dall’esistenza di
un primo annullamento e dall’intervenuto nuovo esercizio del potere
amministrativo, proprio in relazione al confluire delle circostanze,
giudizialmente accertate, sopra segnalate; e cioè l’evidenza che
al rilascio
delle concessioni non si opponesse altro che la sopravvenuta disciplina
in tema
di vincolo idrogeologico e la, invece, sicura compatibilità di
quest’ultimo con
una "certa edificabilità", risultante dall’atto di approvazione
della
variante urbanistica del 1981, quale evidenziata dalla stessa decisione
della
Quarta Sezione n.3 del 1988 (cfr; pag.12).
E’ del pari scaturente da tali risultanze che, stante la pacifica
incidenza,
ormai irretrattabilmente verificatasi, della medesima disciplina
regionale in
materia idrogeologica, e già in relazione al momento in cui
l’istanza di
rilascio delle licenze edilizie fu avanzata, la spettanza di tale bene
della
vita non poteva dirsi incondizionata ed esattamente corrispondente alla
misura
della facoltà edificatoria prevista dalla convenzione di
lottizzazione, perché
su tale originaria previsione pattizia incombevano diverse ragioni
limitative
perfettamente legittime, in quanto corrispondenti alla stessa
disciplina ed
agli stessi interessi pubblici che governavano la materia.
In particolare, il vincolo idrogeologico, pur spettandone la gestione
alla
competenza di organi diversi dal Sindaco ed individuati dalla legge
regionale,
aveva un’incidenza ormai attuale, quale jus superveniens, sul regime
edificatorio previsto dalla convenzione, come attesta, il richiamato
passaggio
della sentenza d’appello, (IV, n.3\1988) che, confermando
l’annullamento del
secondo diniego di concessione edilizia, precisa che il Sindaco non
dovesse
"sic et simpliciter ignorare il vincolo" idrogeologico, ma, più
esattamente, "tener conto della possibilità che
l’autorità competente in
materia forestale adottasse provvedimenti tali da rendere compatibile
col
vincolo una limitata edificazione del terreno…"
La stessa sentenza, poi, precisa che "con determinazione non contestata
dal Comune", la Regione aveva
"introdotto
una modifica d’ufficio della variante al P.R.G adottato dal Comune, in
forza
della quale, la Giunta regionale,
riassumente
in sé tutti gli interessi pubblici affidati alla regione
stessa", aveva
ritenuto che l’art.40 della l.r. n.51 del 1975, non fosse d’ostacolo ad
una
"certa edificabilità" del terreno, smentendo l’assunto del
Comune,
relativo all’assolutezza ed inderogabilità del vincolo ex art.40.
3.5. Dunque, proprio nel complesso delle statuizioni d’annullamento del
secondo
diniego è dato di ricavare non solo la preclusione ad un terzo
diniego
"totale" di edificabilità, fondato sul vincolo idrogeologico,
non
solo la spettanza del bene della vita, ma pure, in quelle circostanze,
la
misura di tale spettanza, coincidente con la (minor) cubatura
edificabile
riconosciuta nella variante in sede di approvazione regionale, in
ragione della
prevalenza, sull’assetto urbanistico dedotto in convenzione di
lottizzazione,
degli interessi pubblici realizzandi mediante la sopravvenuta
disciplina
regionale in tema di vincolo idrogeologico.
Tale aspetto prescinde dalla circostanza che la stessa sentenza
n.3\1988, e
prima ancora la n.385\1985 di primo grado, avessero annullato anche lo
stesso
atto di approvazione della variante; ciò in quanto tale
annullamento non
toccava il punto della riconoscibilità di un certo livello di
edificazione
compatibile con il vincolo, anzi ne rafforzava per altra via la
configurabilità, assumendo che, comunque, in sede di variante,
sia il Comune
che la Regione dovevano
"consapevolmente ed intenzionalmente" tentare di recuperare, in tutto
o in parte, le previsioni del piano di lottizzazione.
3.6. Occorre a questo punto precisare che, a fronte del riconoscimento
sostanziale della spettanza, in tale minore misura, del bene della
vita,
(elemento che costituisce, in tema di interessi pretensivi, uno dei
presupposti
per l’utile esperimento dell’azione risarcitoria giusta A.P. n.7\2005),
al
momento del passaggio in giudicato di tale accertamento favorevole, non
era
però esperibile un giudizio di ottemperanza teso all’esecuzione
"in forma
specifica" di tale parte del dictum giudiziale.
Ciò in quanto, anzitutto, la convenzione di lottizzazione, era
ormai abrogata
dal sopravvenire di una disciplina urbanistica pianificatoria comunale.
Per
quanto contestualmente annullata, infatti, la caducazione di
quest’ultima non
poteva comportare la reviviscenza della stessa convenzione,
poiché il momento
del passaggio in giudicato della sentenza d’appello n.3\1988 era ben
successivo
allo spirare del termine di efficacia della convenzione stessa.
Questa, infatti, stipulata il 9 giugno 1971, era in quel momento (e,
invero,
anche al momento della pronuncia di annullamento di primo grado, nel
1985) già
inoperante per lo spirare del suo termine decennale di efficacia. Va in
proposito richiamata la consolidata giurisprudenza di questo Consesso
per cui
le lottizzazioni convenzionate non possono avere l’efficacia di
condizionare a
tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura, dovendosi
ritenere
vigente un termine di loro durata massima pari a 10 anni, mutuando il
termine
di cui all’art.16, comma 5, della legge urbanistica n.1150 del 1942,
applicabile al tempo dei fatti, concernente l’analoga figura dei piani
particolareggiati (cfr. IV Sezione, 16 marzo 1999, n.286).
3.7. Dunque, l’annullamento della variante di P.R.G. non poteva
più determinare
alcun effetto utile sul piano dell’attualità di una pretesa al
rilascio di concessioni
edificatorie fondata sulla convenzione edilizia, stemperandosi
quest’ultima,
nell’ambito del giudicato, nella limitata rilevanza di una previgente
disciplina di favore di cui, in base agli atti di adozione e di
approvazione
della variante, doveva comunque tenersi conto, ma, perciò, atta
a fondare una
diversa pretesa della ricorrente, quella cioè ad un’adeguata
considerazione
della propria precedente posizione in sede di esercizio del potere di
programmazione urbanistica (mancando la quale, in effetti, si era
pervenuti
all’annullamento giurisdizionale da cui scaturisce il giudicato per cui
si è
agito in sede di ottemperanza).
3.8. In disparte, per il momento, quest’ultimo aspetto, risulta allora
che il
giudicato in questione, nella parte in cui concerneva la "questione
edilizia" e quindi l’interesse pretensivo direttamente nascente dalla
convenzione di lottizzazione, non poteva più trovare
un’attuazione in sede di
ottemperanza, essendo venuto meno il presupposto stesso dello strumento
convenzionale
posto a base delle istanze originarie di rilascio dei titoli edilizi.
Convertendo tale situazione in termini di rimedi di tutela esperibili
dalla
ricorrente, ciò significa che era in radice precluso, rispetto
alla
configurabile spettanza del bene finale, lo strumento della
reintegrazione in
forma specifica, da realizzarsi all’interno del giudizio di
ottemperanza, e ciò
è tanto vero che nessuna istanza fondata sulla detta convenzione
e, tantomeno,
sulle stesse ragioni di annullamento dei due dinieghi sindacali
annullati, è
stata mai in concreto proposta davanti al giudice dell’esecuzione,
essendosi la
richiesta di tutela in quella sede da subito appuntata esclusivamente
sull’aspirazione ad un contenuto favorevole della strumentazione
urbanistica da
emanare, segnatamente in sede di riesercizio, sotto la guida del
giudice
dell’esecuzione, del relativo potere urbanistico (già cassato
con il giudicato
qui in rilievo).
3.9. In tale situazione, e tralasciando problemi di astratta
configurazione
della prescrizione, non posti dalle parti in causa, alla ricorrente non
residuava che il rimedio risarcitorio.
Al riguardo non sussiste, in parte qua, per una domanda cioè
che,
nell’interpretazione qui prospettata assume una sua autonomia,
l’inammissibilità eccepita dalle parti resistenti, posto che
tale interesse
pretensivo non è stato coinvolto nel giudizio di ottemperanza e
quindi non si
pone alcun problema di eventuale pregiudizialità della pronuncia
che, in tale
giudizio, concludendo l’attività sostitutiva demandata al
commissario ad acta,
pervenga ad attualizzare la spettanza del bene della vita ed a
configurare
un’interferenza tra azione risarcitoria e giudizio di ottemperanza.
Sussiste invece la concreta risarcibilità di un interesse
pretensivo il cui
sacrificio definitivo è dovuto al meccanismo causale determinato
dal duplice
diniego illegittimamente opposto dall’Amministrazione comunale, ed al
conseguente ritardo nel provvedere positivamente, cui è
subentrata, (oltre che
la l.r. n.51\1975, in tema di vincolo idrogeologico), la disciplina
paesaggistica di cui alla legge 8 agosto 1985, n.431, in corso di
giudizio, con
la connessa esigenza di adeguamento della disciplina urbanistica e,
quindi, con
la inattuabilità dell’originaria convenzione di lottizzazione,
che, in ogni modo,
nelle stesse more del giudizio, era divenuta inefficace.
3.10. La sopravvenuta cessazione di efficacia della convenzione ed
anche la
disciplina paesaggistica sopravvenuta, infatti, non possono essere
considerate
assorbenti della lesività concretamente assunta dai dinieghi in
parola, posto
che la tutela di annullamento accordata dalle sentenze favorevoli alla
ricorrente, sullo specifico punto, implicava un retroazione degli
effetti
ampliativi della sua sfera sopra segnalati e quindi una valenza
concreta ed
effettiva del riconoscimento del bene della vita oggetto dell’interesse
pretensivo azionato in quella sede.
Le segnalate circostanze risultano imputabili eziologicamente al
complessivo
comportamento provvedimentale dell’amministrazione comunale, che non
aveva
consentito una pronta e legittima definizione della posizione di
pretesa
dell’appellante, anteriore al subentrare dei segnalati fatti impeditivi
della
riedizione dello specifico potere di rilascio della concessione, e
quindi della
tutela in fase esecutiva, ma non preclusivi della spettanza, a quel
momento,
del bene della vita, e, quindi, dell’esperibilità della tutela
risarcitoria
3.11. Appurato il nesso eziologico tra provvedimenti annullati di
diniego e
lesione dell’interesse pretensivo ormai assurto a natura sostanziale,
nel senso
della sottrazione del bene della vita accertato come spettante, giusta
quanto
richiesto dalla ordinanza di rimessione, rimane da accertare l’elemento
soggettivo della colpevolezza, negato dal Tar, con la sentenza
impugnata, ma a
ben vedere, con argomentazioni non riferibili al capo di domanda e
quindi alla
parziale fattispecie qui presi in esame.
Dette argomentazioni sono tutte riferite alla delibera regionale del
1993 che
aveva negato l’approvazione della variante di P.R.G. adottata in sede
di
ottemperanza dal Commissario ad acta. Non occorre risolvere, per il
momento, la
questione della configurazione in astratto dell’elemento della colpa in
capo
all’amministrazione nell’ambito dell’illecito aquiliano determinato da
provvedimento
illegittimo, atteso che la sentenza del Tar non ha trattato tale punto
avendo
preliminarmente escluso la risarcibilità dell’interesse
pretensivo qui
considerato sul piano del mancato riconoscimento di un danno
risarcibile.
3.12. Neppure rileva stabilire se, a fronte di una precedente
convenzione di
lottizzazione, la responsabilità dell’amministrazione per
mancato rilascio
della concessione sia da ascrivere piuttosto alla responsabilità
extraquiliana,
di tipo "contrattuale". Su tale questione basti dire che la sentenza
richiamata dall’appellante (Cass Civ, Sez. I, 10 gennaio 2003, n.157)
costituisce un precedente isolato, dovendo piuttosto ribadirsi che
questo
giudice amministrativo non ha motivo di discostarsi dalla
configurazione in
termini di mero interesse legittimo della pretesa al rilascio dei
titoli
edilizi scaturente da una convenzione di lottizzazione.
3.13. Quanto all’elemento della colpa, non può negarsene il
ricorrere laddove
emerga, come nel caso, la duplice ed insistita erroneità della
posizione
assunta nei dinieghi annullati dal Comune, che ben avrebbe potuto
essere
evitata ove avesse diligentemente verificato la propria competenza a
disporre
in materia di vincolo idrogeologico, nonché l’effettiva portata
di quest’ultimo
circa la compatibilità con una residua edificabilità,
solo limitata da una
disciplina regionale che conseguiva, comunque, ad una di livello
statale, che
mai avevano coinvolto, fino ad allora, il Comune nelle relative
attribuzioni.
Emerge pure come non si pongano particolari problemi nel configurare la
colpa
dell’amministrazione nella fattispecie in esame, alla luce delle
ulteriori
allegazioni operate dall’appellante in relazione al "dictum" della
sentenza impugnata, e come non vengano in rilievo comportamenti
"omissivi" senza ulteriori qualificazioni, con connessi problemi di
giurisdizione, attesa la natura provvedimentale degli atti lesivi posti
in
essere dalla stessa p.a.
4. Per il punto ora deciso, e salvo quanto verrà in seguito
precisato, la causa
va dunque rimessa alla Sezione Quarta, affinchè provveda a
decidere in ordine
al quantum risarcitorio, esaminando la spettanza e la fondatezza, sul
piano
probatorio, delle singole voci di danno addotte dall’appellante;
ciò, fermo
restando che la misura del bene della vita (jus aedificandi) spettante
alla
stessa appellante, va identificata, sul piano delle emergenze
processuali
derivabili dalle statuizioni del giudicato, nella misura riconosciuta
dalla
(annullata) delibera di approvazione della variante al P.R.G. n.3\3970
del 31
marzo 1981 e che il danno qui considerato è quello relativo alla
lesione
totalmente soppressiva di tale bene della vita, senza coinvolgere
questioni di
danno "da ritardo".
5. Quanto all’ulteriore interesse pretensivo "urbanistico", avente
titolo solo indiretto nella convenzione di lottizzazione, cioè
all’interesse
pretensivo affermato nel giudicato qui in rilievo,- per cui, una volta
intrapresa dall’amministrazione la determinazione di provvedere alla
tutela
dell’interesse pubblico urbanistico mediante una nuova strumentazione
in
variante del P.R.G., l’esercizio del relativo potere doveva svolgersi
in modo
tale da tenere conto della precedente posizione che, in relazione a
quella
stessa area, era stata riconosciuta alla ricorrente-, va
preliminarmente ribadito
che tale posizione pretensiva aveva una consistenza più
attenuata e titolo
normativo diverso da quello in precedenza preso in esame.
La convenzione, infatti, in sede di esercizio del potere pianificatorio
successivo, degrada da atto, fonte della disciplina edificatoria, a
fatto, sia
pure giuridicamente rilevante in sede di contemperamento degli
interessi
pubblici e privati incombente sulle amministrazioni, comunale e
regionale,
coinvolte nella titolarità del potere medesimo.
5.1. Va poi considerato un altro aspetto fondamentale che si ricollega
a quanto
premesso nella presente trattazione.
Rilevando fin da ora, e salvo quanto di seguito verrà precisato,
che il giudice
di prime cure ha fissato, nell’ambito di una statuizione non gravata da
appello
incidentale, e quindi non più contestabile nella presente sede
di appello, la
spettanza del bene della vita a seguito della decisione di ottemperanza
n.2592
del 2000 assunta dalla Quarta Sezione, (negando l’addebitabilità
del relativo
danno per carenza dell’elemento soggettivo della colpa), il connesso
interesse
legittimo pretensivo, all’adeguata considerazione della propria
posizione
nell’ambito del potere di pianificazione, pur differenziato rispetto
all’originario interesse pretensivo prima esaminato, (connesso alla
vigenza
della convenzione di lottizzazione), ha, come s’è detto, ad
oggetto lo stesso
bene della vita sotteso da quest’ultimo, cioè, sul piano degli
interessi
sostanziali, il riconoscimento di una certa misura di
edificabilità riguardante
la medesima area.
Quest’ultima è, infatti, l’aspirazione finale che tutto il
susseguente
procedimento di ottemperanza ha teso a realizzare e tale è senza
dubbio la
fonte dell’interesse a ricorrere costantemente fatto valere in quella
sede.
Ma se così è, quanto all’astratta proponibilità
dell’azione risarcitoria
riferita al secondo interesse pretensivo, il riconoscimento della
fondatezza
della prima pretesa risarcitoria, nella misura precisata in precedenza,
con
riferimento appunto al preesistente interesse pretensivo derivante
dalla
convenzione, implica che, attingendo tale riconoscimento all’identico
bene
della vita, esso riduca corrispondentemente la base sostanziale di
riferimento
della stessa risarcibilità del secondo interesse pretensivo.
5.2. In altri termini, poiché la tutela degli interessi
pretensivi procede solo
dal positivo accertamento della spettanza bene della vita, e
quest’ultimo è
stato già in una certa misura compiuto e fatto oggetto di tutela
risarcitoria,
ne discende che, ai fini risarcitori ulteriori qui in rilievo,
l’eventuale
accertamento della spettanza del bene finale deve tenere, appunto,
conto di
quanto riconosciuto, con riguardo allo stesso bene, in riferimento al
preesistente interesse pretensivo suddetto, altrimenti arrivandosi ad
una illogica
ed inconfigurabile duplicazione dei rimedi risarcitori sul piano dei
beni
sostanziali al cui perseguimento mirano, in ultima analisi, gli
interessi
pretensivi qui considerati.
In concreto, dunque, nella situazione di interconnessione degli
interessi
pretensivi qui segnalata, l’azione risarcitoria relativa al secondo di
essi
potrebbe in astratto accogliersi soltanto per quella parte del bene
(jus
aedificandi, cioè cubatura ammessa sull’area), che, in ipotesi,
a seguito del
giudizio di ottemperanza, dovesse spettare all’appellante in eccedenza
alla
misura sopra stabilita con riguardo alla predetta posizione di
interesse
pretensivo derivante dalla convenzione.
5.3. Con riguardo all’interesse pretensivo ora in rilievo, il giudice
di prime
cure, ha, dapprima, affermato che per esso non fosse, in linea di
principio,
proponibile azione di risarcimento del danno, in relazione al giudicato
del
1985 e del 1988, poiché questo era fondato sul sostanziale
difetto di
motivazione dell’attività pianificatoria, anche con riferimento
all’approvazione regionale, che non aveva tenuto conto, come s’è
già detto,
della precedente convenzione di lottizzazione e della posizione di
vantaggio da
essa derivante per l’appellante.
Ciò in quanto il tipo di annullamento
così prospettato nulla dice circa la spettanza del bene della
vita connesso
all’interesse pretensivo fatto valere e l’effetto ordinatorio del
relativo
giudicato si compendiava nel mero riesercizio del potere, ovviamente
emendato
del vizio di mancata considerazione del fatto rilevante costituito
dalla
precedente convenzione di lottizzazione.
Tale iniziale affermazione del Tar è riferita peraltro
al periodo anteriore
a quello cui ha avuto riguardo la decisione di appello in sede di
ottemperanza
n.2592 del 2000 (quindi al 1993), la cui pronuncia ha portato una
cesura,
sostanziale e temporale, nella questione della risarcibilità
dell’interesse qui
in rilievo.
Su tale prima parte delle affermazioni del Tar si deve concordare, non
senza
rilevare che la pendenza del processo di ottemperanza in contemporanea
alla
presente impugnazione, (quantomeno con riguardo all’altro appello qui
riunito),
non rende direttamente inammissibile l’azione risarcitoria qui in
esame, che
non si incentra direttamente sull’ottenibilità di provvedimenti
permissivi
dell’attività edificatoria, quand’anche esclusa, in ipotesi,
anche da atti
pianificatori estranei all’oggetto iniziale del presente giudizio
(perché
subentrati dopo la sua introduzione, o successivi alla sua definizione
in primo
grado), ovvero dall’intervenire delle misure di salvaguardia ex artt.
24 e 25
del D.lgs.n.157 del 2006,(che impedirebbero il rilascio di nuove
concessioni
fino all’approvazione dei nuovi o variati piani paesaggistici da parte
delle
Regioni); l’ulteriore pretesa risarcitoria qui in rilievo si connette
piuttosto
alla risarcibilità dei danni "da ritardo" conseguente
all’illegittimo
esercizio dell’attività pianificatoria.
5.4. In proposito va infatti rilevato che l’appellata sentenza n.182
del 2007,
dopo l’iniziale affermazione di principio sopra riportata, riferita al
periodo
intercorrente tra il giudicato del 1985-1988 ed il 1993, oggetto
dell’appello
ora in esame, ha statuito, (sia pure con una certa contraddizione con
la
sentenza n.217 del 2007, contraddizione invocata a proprio favore
dall’appellante), che, la decisione della Quarta n.2592 del 2000,
-laddove
aveva ritenuto l’illegittimità del rifiuto regionale, assunto
nel 1993, di
approvazione della delibera del commissario ad acta del 1991, basato
sull’applicazione della misura soprassessoria di cui all’art.1 ter
della legge
8 agosto 1985, n.431-, avesse determinato la consistenza sostanziale
della
posizione della società ricorrente.
Va inoltre precisato che l’interesse
pretensivo connesso alla corretta considerazione della propria
posizione
nell’ambito del potere di pianificazione (e del suo riesercizio),
potrebbe in
ipotesi trovare ancora un parziale ristoro in via di reintegrazione in
forma
specifica, realizzabile, in mancanza di spontaneo adeguamento
dell’amministrazione
soccombente, nell’ambito del giudizio di ottemperanza tutt’ora
pendente, in
relazione ad altra vicenda contenziosa relativa a fatti successivi a
quelli qui
complessivamente considerati.
In ogni modo, ai fini risarcitori
che qui ci occupano, la pretesa di ordine "urbanistico" ora in esame,
a seguito della riferita ed inoppugnata statuizione del giudice di
primo grado
basata sulla rilevanza della decisione n.2592 del 2000, quindi, da un
lato, si
connette al riconoscimento della spettanza del bene della vita, in una
certa
qual misura, dall’altro, una volta accertato tale presupposto, si
correla, in
ipotesi, in relazione al quantum, al danno da ritardo, poiché
l’eventuale anche
se possibile reintegrazione in forma specifica farebbe sopravvivere
solo un residuo
"vulnus", connesso al mancato ottenimento, nei tempi di ordinaria
definizione del procedimento (qui ancorabili, come ha ritenuto il
primo
giudice, al 1993), di quel bene della vita.
5.5. Dunque, la stessa configurabilità
di un danno da ritardo non può che essere commisurata, nei suoi
necessari
termini di rilevanza temporale, al primo presupposto della accertata
spettanza
del bene della vita, sicchè a maggior ragione la statuizione
del primo
giudice che ha fissato al 1993 il momento di attribuzione del bene
stesso, e di
attualizzazione del danno da ritardo, rende ininfluenti le eccezioni di
inammissibilità della domanda risarcitoria, e dell’appello,
connesse alla
pendenza del giudizio di ottemperanza ed alle vicende in esso
intervenute anche
successivamente all’introduzione del presente giudizio.
La concreta fattispecie processuale, quindi, offre una deroga,
derivante dagli
accertamenti giurisdizionali inoppugnati di cui in questa sede si deve
tenere
conto, al principio per cui il danno " da ritardo", nel caso di
interessi pretensivi, possa essere apprezzato e risarcito solo in esito
al
riconoscimento della spettanza del bene della vita che sia stato
sancito dal
positivo rilascio, in sede di giudizio di ottemperanza, del
provvedimento
positivo.
5.6. Tuttavia, anche accedendo all’affermazione della sentenza
impugnata,
relativa alla spettanza del bene della vita a partire dal 1993 (ed ai
soli fini
del danno da ritardo), la sentenza di primo grado va comunque
confermata quanto
all’affermazione dell’assenza di colpa dell’amministrazione regionale
riferibile alla sua mancata approvazione della variante commissariale.
Nella sequenza di atti causativi, in ipotesi, del danno da ritardo,
è evidente
che l’atto su cui occorre focalizzarsi è quello regionale in
questione (D.G.R.
16 luglio 1993, n.39033), avendo questo, nelle circostanze emerse nel
giudizio
di primo grado, costituito l’unico ed essenziale ostacolo
all’attualizzazione
della pretesa sostanziale e, quindi, da un lato, alla reintegrazione in
forma
specifica, dall’altro, alla tempestiva satisfattività di questa
in riferimento
al momento di esplicazione della fase provvedimentale comunque
spettante alla
Regione.
5.7. Ma tale determinazione negativa, in effetti, non può
considerarsi
colpevolmente posta in essere, avuto riguardo ad un concetto di colpa
che,
riferito all’amministrazione come apparato, e non al singolo soggetto
agente
per conto di essa, si atteggia in un modo del tutto peculiare
nell’ambito della
responsabilità aquiliana derivante dall’emanazione di atti
illegittimi.
In tema di colpa della p.a. quale elemento costitutivo della sua
responsabilità
aquiliana, con riferimento alle affermazioni più recenti, che
incorporano
l’esperienza giurisprudenziale pregressa nella materia, va segnalato un
primo
"filone giurisprudenziale" per cui, al privato danneggiato da un
provvedimento amministrativo illegittimo non viene richiesto un
particolare
impegno probatorio per dimostrare la colpa della p.a., essendo a tal
fine
sufficiente invocare l’illegittimità del provvedimento quale
indice presuntivo
della colpa, o allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che
si è
trattato di un errore non scusabile; mentre spetta all’amministrazione
dimostrare che si sia trattato di un errore scusabile.
A tale orientamento si giustappone un enunciato di principio che,
riassuntivamente rispetto alle posizioni via via elaborate, è di
maggior
rilievo e frequenza, secondo il quale l’imputazione della
responsabilità nei
confronti della p.a. non può avvenire sulla base del mero dato
obiettivo della
illegittimità dell’azione amministrativa, giacchè
ciò si risolverebbe in
un’inammissibile presunzione di colpa, ma comporta, invece,
l’accertamento in concreto della colpa dell’amministrazione,
che è configurabile quando l’esecuzione dell’atto illegittimo
sia avvenuta in
violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili
sia dai
principi costituzionali in punto di imparzialità e buon
andamento, sia dalle
norme di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza,
efficacia e
trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, in punto di
ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza. (V, 8 settembre
2008, n.4242).
5.8. Ora, la sentenza impugnata, con gli enunciati di
principio da essa
premessi alla risoluzione della questione, ha in definitiva aderito
alla
seconda delle concezioni della colpa qui riferite, sicchè non
appare necessario
in questa sede risolvere la questione del concetto di colpa
astrattamente
riferibile alla p.a., tenuto conto del fatto che le stesse allegazioni
compiute
dall’atto di appello per contestare l’accertamento sfavorevole compiuto
in
primo grado si muovono sempre sul solco della seconda concezione di
colpa
dianzi riassunta e, quindi, sul piano delle deduzioni probatorie
incombenti su
chi agisce in via risarcitoria.
5.9. Tali allegazioni, peraltro, non sono sufficienti a superare quanto
condivisibilmente affermato dal Tar circa il difetto, in concreto,
dell’elemento della colpa.
La regione, infatti, ha fatto applicazione del principio
dell’inedificabilità
temporanea delle zone previamente individuate ai sensi della legge
n.431 el
1985, quale previsto dall’art.1 ter s.l., fino all’approvazione dei
piani
paesaggistici, influente quindi sull’approvabilità di strumenti
urbanistici che
tale edificazione avessero previsto per tali zone (nelle quali
pacificamente
rientrava l’aera per cui è causa).
L’illegittimità\inopponibilità di tale diniego
"soprassessorio" in
relazione all’obbligo di ottemperanza al giudicato è stata
ritenuta dalla
decisione del 2000 della Quarta Sezione in base al rilievo che la Regione quale parte
necessaria del giudizio di merito
e, di conseguenza, del giudizio in fase esecutiva, era anch’essa
soggetta agli
obblighi derivanti dal giudicato ed alla vincolatività di quanto
in aderenza ad
esso avesse stabilito il commissario ad acta, avendo semmai l’obbligo
di
promuovere un incidente, per far valere le sue ragioni inerenti
all’applicazione della prevalente disciplina paesaggistica, nell’ambito
dello
stesso giudizio di esecuzione.
5.9. Senonchè, nel caso in esame, la Regione è
stata attratta
nell’obbligo di esecuzione, in senso difforme dalla posizione che essa
aveva
ritenuto di assumere, in base a tale sofisticata elaborazione
interpretativa
della situazione conseguente al giudizio di ottemperanza, sia in
termini
processuali che sostanziali, operata dalla decisione del n.2592 del
2000.
La decisione in questione ha infatti ritenuto che fosse escluso che la Regione disponesse
di un residuo potere autonomo di
sindacato sulle scelte di fondo del Commissario ad acta, andando di
contrario
avviso a quanto ritenuto dallo stesso Tar con la sentenza di primo
grado n.1146
del 1995, che si era attenuta a quanto statuito con precedente sentenza
di
esecuzione n.187\1990, non impugnata, che aveva posto l’esecuzione solo
a
carico del Comune; la stessa decisione del 2000, nell’evidenziare tale
statuizione del giudice di primo grado, ha rilevato che l’originaria
sentenza
del 1990, n.187, la prima in sede di ottemperanza, non contenesse "che
un
parziale ordine di esecuzione".
Il superamento di tale aspetto è frutto di un’attività
interpretativa giuridica
e dei fatti processuali pregressi, che il giudice di appello ha
condotto sul
filo di principi estremamente complessi, tesi a superare le stesse
difficoltà
poste dalle precedenti pronunce di ottemperanza di primo grado,
rispetto alle
quali la Regione non aveva
motivo di
dubitare della correttezza della posizione assunta.
5.10. Sul piano sostanziale, poi, la regione aveva statuito in un senso
che,
stante il carattere ordinatorio del termine di adozione dei piani
paesaggistici
e la conseguente ultrattività oltre tale termine dei poteri
soprassessori delle
Regioni, corrispondeva ad una diffusa prassi che veniva paritariamente
seguita
dalle regioni, uniformemente investite di analoghi problemi, essendo
notoria
non solo la giurisprudenza circa il carattere ordinatorio del termine
in
questione (e di ciò dà atto la stessa decisione del
2000), ma anche la
diffusione di tale applicazione degli artt. 1 bis ed 1 ter della legge
n.431
del 1985 da parte di numerose Regioni.
La soggezione regionale ad un "ordine di esecuzione implicito", la
superabilità (ritenuta dalla decisione n.2592 del 2000) del
carattere
ordinatorio del termine di adozione dei piani paesaggistici ai fini
soprassessori,
in funzione della rilevanza del notevole trascorrere del termine in
relazione
ad una "situazione che abbia ricevuto la conformazione definitiva del
giudicato", la esigenza (esclusa dalle sentenze di ottemperanza di
primo
grado) che la Regione stessa
dovesse
necessariamente interloquire in via incidentale nel giudizio di
ottemperanza,
per far valere le proprie obiezioni alle previsioni di
edificabilità previste
dal commissario in funzione della disciplina paesaggistica, la stessa
sopravvenienza di questa ad un giudicato espressamente riconosciuto
come
estraneo a questioni di natura paesaggistica, sono tutte circostanze
che
escludono che l’illegittimità della determinazione negativa del
1993 fosse
imputabile ad una colpevole attività interpretativa posta in
essere dalla
Regione medesima.
Quest’ultima, infatti, anche facendo applicazione delle regole di buon
governo
dell’azione amministrativa desumibili dai principi sopra illustrati,
non
avrebbe potuto normalmente prevedere le illegittimità rilevate
dal giudice
d’appello dell’esecuzione, avendo richiamato la disciplina
paesaggistica
secondo un’interpretazione "normale" e diffusa, i cui limiti di
legittimità, rispetto alla materia dedotta nel giudizio di
ottemperanza, non
potevano, dunque, essere rilevati in via autonoma nell’ambito dello
sforzo di
diligenza normalmente richiesto all’apparato amministrativo
nell’esercizio
delle sue funzioni pubblicistiche.
La concreta fattispecie ora esaminata, quindi, evidenzia che l’atto
astrattamente lesivo, posto in essere dalla Regione nel 1993, era
affetto da
una illegittimità obiettivamente attribuibile ad errore
scusabile, e ciò
risulta anche dall’ampio assolvimento dell’onere di allegazione
compiuta dalla
difesa della Regione con le memorie prodotte nel presente giudizio.
5.11. Escluso l’elemento colpevole ora trattato, ne risulta un
assorbente
accertamento che consente di respingere la domanda risarcitoria in
parte qua, e
quindi di pronunciare anche la parziale corrispondente reiezione
dell’appello,
indipendentemente dalla questione della effettiva spettanza del bene
della
vita, confermandosi, sul punto, la sentenza di primo grado.
6. Va quindi di seguito esaminato l’appello relativo alla sentenza
n.217 del
2007.
Con essa il giudice di primo grado ha ritenuto che l’intervenuta
approvazione
del piano paesistico regionale, con delibera G.R n.VII\197 del 6 marzo
2001,
imponesse di rivedere le determinazioni stesse del Commissario ad acta
su cui
si incentravano il riconoscimento della spettanza del bene della vita
(una
certa aliquota di edificabilità attribuita da tale variante) e
l’assunzione del
carattere sostanziale da parte dell’interesse pretensivo qui in esame.
Ciò in quanto, per il Tar, lo jus aedificandi riconosciuto dal
giudicato qui in
rilievo, (in particolare dalla delibera del commissario da acta
adottata il 31
gennaio 1991), incentrato solo sulla considerazione di norme
urbanistico-edilizie, non poteva che recedere di fronte alla
sopravvenienza
giuridica del piano paesistico regionale di cui alla delibera n.VII\197
del 6
marzo 2001, con la conseguenza che si dovesse provvedere alla nomina di
un
nuovo commissario ad acta affinchè procedesse, in base a quanto
già elaborato,
all’approvazione della variante al P.R.G. rispetto alla zona già
oggetto del
piano di lottizzazione, tenuto conto del piano paesistico sopravvenuto.
6.1. L’appello ora in esame peraltro si incentra su una premessa solo
in
astratto condivisibile e cioè che il giudicato di ottemperanza
derivante dalla
più volta citata decisione della IV Sezione n.2592 del 2000,
-resa in riforma
di sentenza del Tar n.1146 del 1995, che aveva ritenuto, in sede di
ottemperanza, la legittimità del diniego di approvazione
regionale del 1993
della variante "adottata" dal Commissario ad acta nominato dallo
stesso Tar-, integrasse l’originario giudicato del 1985-1988,
configurando
un’ipotesi di giudicato, appunto, "a formazione progressiva", idoneo
a condizionare e ridurre progressivamente l’ambito di
discrezionalità
dell’amministrazione in sede di riedizione del potere pianificatorio.
In quella sede, la IV Sezione aveva
infatti precisato
che la delibera commissariale del 1991 aveva tenuto conto dei principi
fondamentali della tutela paesaggistica in base alla legge n.431 del
1985 e che
tale valutazione producesse un effetto vincolante, sia per il Comune
che per la Regione, parti
necessarie del giudizio di merito e di
quello esecutivo, entrambi sostituiti nei rispettivi ambiti di
attribuzioni,
anche quanto ai riflessi, sulla fattispecie di esecuzione, della
sopravvenuta
disciplina della citata legge del 1985, (costituente jus superveniens
impingente sull’esecuzione in quanto anteriore alla notifica della
sentenza
della IV Sezione del 1988 che aveva comportato il passaggio in
giudicato della
sentenza di primo grado del 1985).
6.2. Rispetto a tale statuizione, per l’appellante, deve ritenersi che,
nell’ambito temporale di pendenza del giudizio di ottemperanza, non
potesse
essere rimessa continuamente in contestazione la pretesa del privato,
fondata
sul giudicato, anche configurato dalla progressiva integrazione
derivante da
statuizioni cognitorie del giudice dell’ottemperanza, in ragione del
sopravvenire di nuove disposizioni amministrative a carattere generale.
Ciò
oltre a vanificare la certezza della posizione del beneficiario del
giudicato
favorevole, non consentiva mai di individuare esattamente il contenuto
dell’obbligo di adempimento.
Il giudicato doveva considerarsi così
intangibile, con riguardo all’accertamento del diritto
all’edificazione, in
omaggio al principio per cui la legge sopravvenuta è irrilevante
sulle
situazioni giuridiche istantanee definite dal giudicato (A.P. n.2
dell’11
maggio 1998).
6.3. Nella specie non è necessario affrontare la
complessa tematica della
rilevanza dello jus superveniens con riferimento alla valenza dei
successivi
strumenti paesaggistici, atteso che il primo de quo è stato
approvato prima che
la sentenza che ha riconosciuto il titolo alla edificazione fosse
passata in
giudicato. Detta disciplina paesaggistica era certamente opponibile
all’originaria ricorrente, nell’ambito
del giudizio di ottemperanza successivamente riattivato, atteso che la
decisione n.2592 del 2000 ha assunto
valore di giudicato, divenendo cioè
"definitiva" e "resistente" allo jus superveniens, solo a
seguito della sentenza delle SS.UU. della Cassazione 19 aprile 2002,
n.5730,
che ha respinto il ricorso per difetto di giurisdizione proposto
avverso la
decisione stessa della Quarta.
Ne
discende che correttamente il Tar ha tenuto conto del sopravvenuto
piano
paesaggistico, ai fini ordinatori dell’attività di esecuzione
posta a carico
del Commissario ad acta nuovamente nominato, onde l’appello ora
esaminato deve
considerarsi infondato. 7. In conclusione
va
parzialmente accolto l’appello n.12\1998, con rinvio alla remittente
Quarta
Sezione per le statuizioni attinenti al quantum risarcitorio,
nei termini di spettanza del bene della
vita qui accertati, e va respinto l’appello n.13\1998, secondo quanto
appena
precisato.
L’estrema complessità delle questioni di fatto e di
diritto portate
all’attenzione del Collegio, certamente indicative dell’incertezza
della
materia del contendere, e la reciproca parziale soccombenza delle parti
costituite, comporta l’integrale compensazione delle spese di giudizio
tra le
medesime, anche per il primo grado in relazione all’accoglimento
parziale
dell’appello n.12\2008 (e della conseguente parziale riforma della
sentenza di
primo grado con esso impugnata), fatta salva la determinazione in
ordine alle
ulteriori spese giudiziali spettante alla Quarta Sezione per la fase di
prosecuzione del giudizio dinnanzi ad essa.
P. Q. M.
Il Consiglio
di
Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, previa riunione dei
ricorsi
nn. 12 e 13 del 2008:
- accoglie in parte l’appello n.12\2008, rinviando alla Quarta Sezione
per
l’ulteriore prosecuzione del giudizio;
- respinge l’appello n.13\2008.
Compensa le spese tra le parti costituite nei termini di cui in
motivazione.