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T. A. R. Parma, sent. n. 354 del 13 giugno 2002, sui poteri del Comune e della Provincia in materia di Piano Regolatore Generale R E P U B B L I C A I T A L I A N A
contro la Provincia di Parma, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Franco Bassi, Paolo Michiara e Marcello Mendogni, ed elettivamente domiciliata nello studio legale del primo, in Parma, via Petrarca n. 20; per l'annullamento della deliberazione di Giunta n. 624 del 30/8/2001 della Provincia di Parma nella parte in cui introduce “stralci e modifiche d’ufficio” al Piano regolatore Generale adottato dal Comune di Parma con deliberazione consigliare 13/3/1998, n. 88, e “controdedotto” con deliberazione cons. 5/4/2001, n. 104/3. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della provincia di Parma;. Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 5/3/2002 il dr. Ugo Di BENEDETTO; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO E DIRITTO 1.Con deliberazione 13/3/1988, n. 88/45 il Comune di Parma ha adottato il nuovo piano regolatore generale. La Provincia con deliberazione 31/7/1998, n. 718 ha formulato, circa il piano adottato, le riserve di cui all’articolo 14 della legge regionale n. 47/1978, come sostituito dall’articolo 11 della legge regionale n. 6/1995. Con deliberazione 10/3/2001, n. 338/29 la Giunta del Comune di Parma ha approvato la proposta al Consiglio comunale di deliberazione di controdeduzioni alle osservazioni, riserve e pareri sul P. R. G. adottato e conseguenti proposte di modifica allo strumento urbanistico alla Giunta provinciale. Con deliberazione consiliare 5/4/2001, n. 104/3, il Comune di Parma ha approvato le controdeduzioni alle osservazioni, riserve e pareri sul P. R. G. adottato e conseguenti proposte di modifica allo strumento urbanistico alla Giunta provinciale. La Provincia con deliberazione 30/8/2001, n. 624 ha approvato il P. R. G. adottato e controdedotto con una molteplicità di stralci e modifiche. Avverso detta deliberazione il Comune di Parma ha presentato ricorso al TAR per i seguenti motivi: A) Violazione dell’articolo 10 della legge n. 1150/1942. Violazione dell’articolo 14 della l. r. n. 47/1978 (sostituito dall’articolo 11 della l. r. n. 6/1995). Violazione dei principi generali. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà; B) Violazione di legge. Altro eccesso di potere per illogicità: contraddittorietà e sviamento, per avere la Provincia apportato modifiche ed introdotto autoritativamente prescrizioni nuove; C) Violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione; D) Violazione dell’articolo 13 della legge n. 10/1977. Violazione dell’articolo 1 della l. r. n. 2/1978 e dell’articolo 19 della L. r. n. 47/1978. Incompetenza. Eccesso di potere per sviamento, in relazione alle modificazioni introdotte dalla provincia riguardanti il contenuto e le modalità di approvazione del piano pluriennale di attuazione. E) Inesistenza di fonti sovraordinate che comportino l’inedificabilità delle aree interessate dalle modifiche della Provincia; Il Comune di Parma ha, quindi, concluso per l’annullamento dell’atto impugnato. Si è costituita in giudizio la Provincia di Parma che ha chiesto la reiezione del ricorso, sviluppando ampiamente le proprie difese con cinque memorie difensive. Il Comune di Parma ha presentato ulteriori difese e la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 5/3/2002. 3. Successivamente alla presentazione del ricorso la Provincia di Parma ha stralciato la prescrizione impugnata con la quarta censura relative al contenuto ed alle modalità di approvazione del piano pluriennale di attuazione, con deliberazione n. 797 del 25/10/2001 per cui, in relazione a detto profilo, la materia del contendere è venuta meno con conseguente improcedibilità, in parte qua, del ricorso per il profilo sopra evidenziato (di ciò dà puntualmente atto lo stesso ricorrente con la memoria del. 22/5/2002 a pag. 25). 4. Vanno preliminarmente esaminate le questioni di rito sollevate dalla difesa provinciale. La difesa della Provincia ha in primo luogo eccepito l’inammissibilità del ricorso da parte del Comune avendo lo stesso impugnato il PRG che sarebbe un atto imputabile soggettivamente al Comune stesso. Tale prospettazione non può essere condivisa. Infatti, il Comune impugna, la deliberazione Provinciale, imputabile soggettivamente alla Provincia stessa, contestando proprio le modificazioni che derivano al PRG in conseguenza delle determinazioni assunte dalla Provincia. Ciò determina un interesse all’impugnativa da parte del Comune le cui scelte, per gli aspetti oggetto della deliberazione impugnata, sono state disattese. 5. Né può condividersi la seconda eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa provinciale, secondo la quale il Comune avrebbe consumato il proprio potere all’interno del procedimento di approvazione del PRG. Infatti, la partecipazione del Comune al procedimento di formazione del PRG non fa certo venir meno la legittimazione ad impugnare l’atto conclusivo per la parte in cui disattende le proprie scelte, essendo il Comune titolare di una posizione soggettiva autonoma e rilevante affinchè l’Ente Provincia, che concorre alla formazione del PRG, eserciti le proprie funzioni nel rispetto di quanto previsto dalle norme e non leda le sue competenze. Nel caso in esame, infatti, il Comune fa valere il proprio interesse affinché non siano disattese le proprie scelte attraverso un’attività che ritiene illegittima della Provincia. Naturalmente la fondatezza o meno delle censure dedotte attiene al merito della decisione. 6. Va, altresì, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Provincia con la quarta memoria difensiva e ribadita con la quinta memoria, avendo, secondo detta tesi, il Comune impugnato un mero atto interno della Provincia ossia la proposta 2001/79, come indicato nell’epigrafe del ricorso. In realtà, a prescindere dalla erronea indicazione del numero della deliberazione impugnata (tra l’altro l’erronea indicazione del numero sembrerebbe essere stata provocata dalla stessa Provincia come precisato dalla difesa del comune anche nella discussione finale) non vi è certo incertezza in ordine all’atto impugnato (la deliberazione provinciale n. 624 del 30/8/2001 e non la mera proposta interna) ancorché possa essere erroneamente indicato, per mero errore materiale, un numero di deliberazione diverso. 7. Appare preliminare, prima dell’esame delle specifiche censure dedotte, delineare il quadro normativo di riferimento, naturalmente per i soli aspetti rilevanti nel presente giudizio e concernenti le censure dedotte. La normativa di riferimento applicabile alla presente controversia, è costituita dall’articolo 11 della legge regionale 30 gennaio 1995, n. 6, che ha sostituito il testo dell’articolo 14 della legge regionale 7 dicembre 1978, n. 47. Infatti, il presente procedimento concerne uno strumento urbanistico adottato prima dell’entrata in vigore della nuova legge regionale 24 marzo 2000, n. 20, e, pertanto, ai sensi della disciplina transitoria per i procedimenti in itinere, dettata dall’articolo 42 della legge stessa, il procedimento va concluso secondo la legislazione previgente costituita dalla citata legge n. 6/1995. L’articolo 11 in parola, la cui applicazione da parte della Provincia è censurata dal Comune sotto vari profili, prevede che il Piano adottato dal Comune sia trasmesso alla Giunta Provinciale, la quale, entro un termine perentorio di centoventi giorni dal ricevimento, sulla base dell’istruttoria degli uffici e sentito il parere del Comitato Consultivo Provinciale, di cui al comma 10, può sollevare riserve relative a vizi di legittimità delle previsioni di piano ovvero alla necessità di apportare modifiche al piano per assicurare: a) l’osservanza delle prescrizioni, indirizzi e direttive contenuti negli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale e sovraordinati; b) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse statale, regionale e provinciale; c) la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici nonché delle zone di cui al successivo articolo 33; d) l’osservanza delle prescrizioni di cui al successivo articolo 46 come integrato; e) il rispetto delle norma igienico sanitarie che abbiano valenza territoriale. La norma, poi, precisa, con riferimento a tale potere provinciale, che “le riserve non formulate nella presente fase non possono essere sollevate in sede di approvazione del PRG”. Il sesto comma dispone che, entro centoottanta giorni dalla scadenza del termine per le riserve, il Consiglio Comunale controdeduce alle osservazioni presentate ed alle riserve eventualmente sollevate dalla Giunta Provinciale, proponendo l’introduzione delle modifiche necessarie. Infine, il settimo comma, recita che “La Giunta provinciale, esaminate le controdeduzioni e le proposte di modifica del Piano formulate dal Consiglio comunale, decide sulle osservazioni ed approva il PRG, introducendo le modifiche discendenti dall’accoglimento delle osservazioni presentate e quelle ritenute indispensabili a soddisfare le riserve di cui al comma 2, ove le stesse non risultano superate. La Giunta provinciale provvede all’approvazione del PRG e delle relative varianti entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di ricevimento delle controdeduzioni di cui al comma 6”. 8. Le questioni interpretative principali, preliminari alla decisione della presente controversia, concernono i rispettivi poteri del Comune e della Provincia e precisamente quelli esercitabili da quest’ultima in ordine al Piano adottato dal Comune. A tal fine occorre distinguere, per gli aspetti rilevanti nel presente giudizio, la questione concernente il potere provinciale sulle osservazioni presentate e controdedotte dal Comune e quella correlata alle riserve di cui al citato comma 2, non superate dalla eventuali e conseguenti valutazioni comunali. 9. Per quanto concerne le osservazioni va rilevato che il dato normativo attribuisce il potere decisorio finale in ordine alle osservazioni, alla Provincia stessa, naturalmente previa controdeduzione del Comune, come avvenuto nel caso in esame. Ne’ può condividersi, sulla base del dato normativo della legge regionale applicabile alla fattispecie, l’argomento che la Provincia avrebbe un mero potere di stralcio e rinvio al Comune nel caso in cui disattenda le osservazioni dei soggetti interessati in relazione alle quali il Comune abbia espresso parere favorevole, in sede di controdeduzioni, così modificando le proprie scelte del momento di adozione del Piano. Infatti, non può ritenersi, come sostenuto dal Comune, che, esercitando detto potere decisorio, la Provincia stravolga le linee di impostazione del P. R. G.. La Provincia, disattendendo le osservazioni in parola, non fa altro di regola che confermare le scelte e le linee originarie del piano regolatore proposto dal Comune che a seguito delle numerose e sostanziali osservazioni presentate e accettate dal Comune stesso, risultano essere state (se non irrimediabilmente compromesse ) quanto meno notevolmente modificate soprattutto per quanto riguarda l’originario dimensionamento dell’edificabilità abitativa e produttiva. Al riguardo, peraltro, non sembra rilevante, ai fini di una decisione totalmente positiva per la Provincia, poichè quest’ultima non ha rifiutato di approvare il piano rimandandolo in blocco al Comune, se a seguito di tale scelta il Comune avrebbe dovuto più propriamente adottare un nuovo Piano Regolatore in modifica della precedente impostazione. Ciò premesso, giova evidenziare, sotto i profilo sistematico, per chiarire l’ambito dei poteri spettanti alla Provincia, che già a norma dell’articolo 10, secondo comma, della legge n. 1150 del 1942, potevano, da parte del Ministro per i Lavori Pubblici (e successivamente della Regione) essere apportate al Piano non soltanto modifiche conseguenti all’accoglimento di osservazioni accettate dal Comune ma anche modifiche d’ufficio che peraltro non interessassero le caratteristiche essenziali del Piano ed i suoi criteri d’impostazione, previa congrua motivazione (così ha sempre ritenuto la giurisprudenza, che ha anche precisato che in ordine alle controdeduzioni accettate la Regione è l’unica titolare del potere di modifica, rispetto al quale l’accettazione comunale funge esclusivamente da presupposto legittimante: vedi C. d. S., sez. IV, n. 525 del 1992). A seguito dell’entrata in vigore della legge della Regione Emilia – Romagna n. 6 del 1995, il potere del Comune è rimasto contenuto a quello di avanzare semplici “proposte” mentre quello della Regione, delegato alla Provincia (vedi articoli 6 e 7 , comma 11°; sostitutivo dell’articolo 14 della legge regionale n. 47 del 1978) è quello di decidere sulle osservazioni, con l’introduzione, in sede di approvazione del P. R. G., delle modifiche discendenti dall’accoglimento delle osservazioni presentate. Pertanto, sembra chiaro che la Regione, e quindi la Provincia cui è stato delegato detto potere, potrebbe perfino introdurre modifiche relative ad osservazioni non accettate dal Comune e, quindi, logicamente rifiutarsi, con adeguata motivazione, di introdurre quelle modificazioni relative ad osservazioni accolte, come nel caso di specie. Risulta, quindi, mutata, rispetto alla legge urbanistica nazionale, la portata dei poteri di modifica esclusivamente per quanto concerne il potere regionale d’introduzione di modifiche d’ufficio (che peraltro, come sopra evidenziato, non mutino le caratteristiche del piano). Tali considerazioni consentono di chiarire il quadro dei poteri che competono alla Provincia e di affermare che, nel caso in esame, la Provincia stessa si è mantenuta nell’ambito dei poteri decisori attribuitigli dalla citata legge regionale n. 6 del 1995. Al di là di alcune affermazioni generali contenute nella premessa della deliberazione impugnata, quindi, la Provincia non ha, nel concreto, esercitato un ruolo di supplenza in luogo delle scelte che avrebbe dovuto effettuare il Comune, bensì si è limitata a decidere sulle osservazioni e a valutare la conformità alle norme e piani sovraordinati, sulla base del potere attribuitogli dal citato articolo 11 della legge regionale n. 6 del 1995, come sopra riportato (naturalmente il corretto esercizio del potere su ciascuna decisione sarà di seguito valutato). Pertanto, sulla base della considerazione che la Provincia ha mantenuto l’esercizio del proprio potere nei limiti di quanto consentitogli dalla legge regionale, appare irrilevante l’espletamento di una C. T. U., richiesta dalle parti, diretta ad accertare se dall’insieme delle decisioni provinciali sia avvenuto o meno il cosiddetto stravolgimento delle linee di impostazione del P. R. G. delineate dal Comune in sede di adozione dello strumento urbanistico in parola, fermo restando ovviamente il potere del Comune stesso di adottare in futuro una variante al Piano Regolatore, ove lo ritenga opportuno e ne sussistano i presupposti di legittimità, per mutare le scelte programmatorie urbanistiche. Naturalmente il potere provinciale di decidere sulle osservazioni va esercitato nei limiti in cui è necessario apportare modifiche atte a ripristinare l’originaria formulazione del piano e non comprende la facoltà di introdurre prescrizioni che non sono presenti ne’ nel piano adottato ne’ nelle controdeduzioni comunali alle osservazioni ritenute dal Comune meritevole di accoglimento. Pertanto, sarebbero illegittime le prescrizioni che compaiono per la prima volta nel Piano approvato dalla Provincia, salvo che non siano conseguenti all’accoglimento, in tutto o in parte, alle osservazioni stesse. 10. Quanto all’asserito difetto di motivazione delle decisioni della Provincia sulle osservazioni va osservato quanto segue. Il Comune con un’unica generale ed indifferenziata censura rileva il difetto di motivazione di tutte, complessivamente, le decisioni sulle osservazioni. Orbene le decisioni sulle osservazioni della Provincia costituiscono autonome decisioni e, pertanto, il difetto di motivazione andrebbe accertato con riferimento a ciascuna delle scelte effettuate e, soprattutto, dedotta con una specifica censura per ogni osservazione decisa dalla Provincia. Sotto questo profilo, pertanto, affinché la censura dedotta non incorra in una declaratoria di inammissibilità (unica generica censura per numerose decisioni, ciascuna con una propria autonomia, concernenti diverse aree) essa va considerata soltanto sotto il profilo astratto della totale mancanza o insufficienza della motivazione che sotto questo unico profilo, potrebbe in teoria essere propria di tutte le censure nel caso in cui la Provincia non avesse speso alcuna giustificazione, o espresso solo frasi di stile o del tutto generiche, per disattendere le osservazioni presentate e, quindi, senza una motivazione specifica, le avesse tout court respinte. In questo limitato aspetto del difetto di motivazione e, quindi, sotto il profilo della mancanza o totale insufficienza, la censura è in astratto ammissibile, ferma restando l’indipendenza della presente decisione dell’esito di eventuali ricorsi pendenti su ciascuna delle singole osservazioni in cui si deduca oltre la totale mancanza di motivazione altresì una specifica insufficienza, contraddittorietà o altre carenze motivazionali o istruttorie o incoerenze di altra natura delle singole decisioni sulle specifiche osservazioni, con riferimento alle linee del piano o altri profili. Per questo limitato profilo, sopra evidenziato, la censura di difetto di motivazione è, in parte, fondata, come di seguito specificato. Infatti, gli atti provinciali impugnati contengono una motivazione talmente sintetica e talora apodittica, che non consente di ritenere assolto l’onere di motivazione imposto da un procedimento di natura decisoria quale quello concernenti le osservazioni. Ogni osservazione, infatti, dà vita ad un autonomo procedimento amministrativo, caratterizzato da una propria autonomia, sia pure nell’ambito del procedimento di approvazione del piano e, quindi, nel caso in cui la Provincia decida, come è in suo potere, in senso difforme dall’osservazione del privato e dalle controdeduzioni comunali, deve puntualmente analizzarle e, se non le condivide, ben può disattenderle, ma pur sempre dando atto di averle valutate nella motivazione di decisione di ciascuna osservazione, come imposto dai principi generali del procedimento amministrativo ricavabili dall’articolo 10, lettera b) della legge n. 241 del 1990. Nel caso in esame in nessuna decisione sulle osservazioni della Provincia si dà conto delle ragioni del privato e delle controdeduzioni del Comune e della specificità dei singoli casi, eventualmente al fine di disattenderle, ove così ritenga la Provincia. Anzi, le decisioni possono addirittura essere riportate a tipologie di decisioni standard quali ad esempio, “incongruenza rispetto a contesto ambientale e territoriale” o altre formule proprie di gruppi di decisioni, senza neppure dare atto, nei singoli casi, di quanto richiesto dai singoli interessati e di quanto prospettato dal Comune in sede di controdeduzioni. Ad esempio, in altri casi (14) la Provincia giustifica la propria decisione rilevando la mancanza della relazione geologica che, invece, il Comune ritiene sussistente e in alcuni casi non necessaria. Di ciò, anche al fine di spiegare la diversa valutazione provinciale, occorreva dar atto caso per caso e non con un’unica formula precostituita per vari casi, evidentemente diversi secondo la prospettazione comunale, delle ragioni della necessità della relazione geologica stessa o dell’insufficienza di quella che il Comune afferma sussistere in alcune delle aree in questione. In definitiva, quindi, la Provincia neppure precisa se e quali controdeduzioni abbia effettuato il Comune in relazione alle singole osservazioni e quale fosse la osservazione originaria del privato, mentre avrebbe dovuto considerarle, valutarle specificamente una per una, eventualmente per disattenderle dandone, tuttavia, atto nella propria decisione finale su ciascuna delle osservazioni respinte. Certamente nella relazione tecnica, redatta dai Dirigenti tecnici della Provincia di Parma in merito al ricorso, depositata in giudizio, si rinviene una più dettagliata esposizione delle ragioni tecniche della decisone assunta. Tuttavia, anche se in detta relazione (comunque redatta successivamente al ricorso e, quindi, non idonea ad integrare, a posteriori, la motivazione degli atti impugnati) si forniscono maggiori spiegazioni, l’esposizione del punto di vista dei tecnici provinciale avviene generalmente per gruppi di decisioni e senza dar conto, caso per caso, dell’osservazione del privato e della controdeduzione comunale su ciascuna autonoma posizione. Per detto aspetto, ossia per mancanza, o totale insufficienza, di motivazione della decisione sulle osservazioni che la Provincia ha ritenuto di non accogliere in difformità dalla proposta comunale, il ricorso va accolto nelle parti inficiate dal vizio. 11. Naturalmente, per effetto del predetto annullamento, sussiste l’obbligo della Provincia di adottare nuove decisioni, su ciascuna osservazione, nel rispetto dei criteri formali sopra indicati, nell’ambito del proprio potere di valutazione di merito quale delineato dal citato articolo 14 della legge regionale n. 6 del 1995. Infatti, costituisce un principio generale desumibile dall’articolo 26 della legge 1034 del 1971, non derogato nel caso in esame, quello per cui, una volta annullato un atto amministrativo, sempre che ciò non avvenga per il superamento del termine perentorio previsto per la sua emanazione, l’Amministrazione, il cui atto sia stato annullato, possa riesercitare i propri poteri, siano essi di amministrazione attiva che di controllo, e ciò a maggior ragione quando l’annullamento avvenga, come nella specie, per vizi formali. La prevalente giurisprudenza, del resto, ha ritenuto sussistente un principio generale per cui anche gli atti che devono essere emanati in un termine perentorio possono essere riadottati, qualora siano annullati a seguito di ”accoglimento di un ricorso giurisdizionale o straordinario e la decisione non escluda la facoltà dell’amministrazione di rinnovare in tutto o in parte il provvedimento” (vedi l’articolo 119, comma primo, del D. P. R. 10 gennaio 1957, n. 3, concernente il rapporto tra i procedimento disciplinare ed il giudicato amministrativo). Questa norma, infatti, letta in correlazione con il citato articolo 26 della legge n. 1034 del 1971, è stata ritenuta espressione di un principio generale, comunque già presente nell’ordinamento (vedi in passato Cons. Stato, sez. IV, 1° dicembre 1936, n. 506; Cons. Stato, Ad. Gen., 17 agosto 1940, n. 314; e più recentemente Cons. Stato, sez. V, n. 194 del 30 marzo 1994; Cons. Stato, sez. V, n. 242 del 1994; Cons. Stato, sez. V, n. 750 del 1994; Cons. Stato, sez. V, n. 910 del 1995; Cons. Stato, sez. V, n. 1034 del 1995), concernente l’annullamento di atti da emanare in termini perentori. Tale principio, in un primo momento esteso dalla giurisprudenza addirittura agli atti di controllo, fino all’intervento legislativo innovativo di cui all’articolo 17, comma 37°, della legge n. 127 del 1997 che per gli atti di controllo lo ha esplicitamente escluso, trova tuttora piena efficacia negli atti di amministrazione attiva, come quello in esame, in cui l’Ente Provincia concorre con il Comune alla formazione del PRG, nei limiti dei poteri conferitigli dalla citata legge regionale n. 6 del 1995. Infatti, lo stesso Consiglio di Stato, con riferimento a detta nuova disposizione, comunque concernente i soli atti di controllo e, quindi, una fattispecie diversa rispetto a quella rilevante nel presente giudizio, ha ulteriormente ribadito la portata generale del citato articolo 26 della legge TAR n. 1034 del 1971 ed ha interpretato l’articolo 17, comma 37°, della legge n. 127 del 1997 quale disposizione avente natura eccezionale (Cons. Stato, sez. V, n. 1145 del 16 ottobre 1997) e, conseguentemente, è da ritenere non applicabile ai casi di amministrazione attiva come quello in esame. Ciò consente, come evidenziato anche dalla sopra citata giurisprudenza, da un lato di evitare che il processo amministrativo sia instaurato al solo fine di dare soluzioni formali definitive alle controversie e dall’altro di evitare che il giudice amministrativo si sostituisca all’Amministrazione nelle valutazioni sostanziali di pertinenza della stessa. Il termine per l’esercizio del potere della Provincia decorrerà ex novo dalla data di comunicazione della presente sentenza in via amministrativa. 12. Quanto alle riserve della Provincia, previste dall’articolo 11 della legge regionale n. 6 del 1995, relative a vizi di legittimità delle previsioni di piano ovvero alla necessità di apportare modifiche al piano per assicurare: a)l’osservanza delle prescrizioni, indirizzi e direttive contenuti negli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale e sovraordinati; b) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse statale, regionale e provinciale; c)la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici nonché delle zone di cui al successivo articolo 33; d) l’osservanza delle prescrizioni di cui al successivo articolo 46 come integrato; e) il rispetto delle norma igienico sanitarie che abbiano valenza territoriale, ed effettuate dalla Provincia con la deliberazione n. 718 del 31/7/1998, va osservato che le stesse non costituiscono ne’ nuove linee di indirizzo per la redazione del Piano ne’ nuove disposizioni regolamentari cui il Comune debba attenersi. E’ evidente, infatti, che abbia o meno la Provincia effettuato delle riserve, le indicazioni contenute nelle lettere precedenti (che giustificano le riserve) costituiscono comunque autonome fonti che il Comune d’ufficio avrebbe dovuto considerare per la redazione del Piano Regolatore. 13. Con le riserve, quindi, la Provincia non indica nuove linee di indirizzo per la redazione del Piano ne’ impone nuove disposizioni regolamentari cui il Comune debba attenersi. Al contrario, le riserve effettuate nel caso concreto dalla Provincia costituiscono delle specifiche indicazioni, da valutare in ordine alle concrete scelte urbanistiche effettuate e dirette a prospettare il punto di vista della Provincia in ordine al rispetto dei Piani e delle norme sopra indicate e preesistenti. Infatti, la legge regionale 6 del 1995, con l’attribuire la possibilità alla Provincia di formulare le riserve ha inteso imporre ai due Enti di effettuare un contraddittorio specifico sulle concrete scelte e, quindi, riguardanti i singoli terreni o parti omogenee del Piano, per dare attuazione ai criteri di redazione del Piano Regolatore, previsti dal già citato articolo 11. Quindi, la norma regionale, precludendo alla Provincia di effettuare valutazioni divergenti da quelle del Comune su aree in relazioni alle quali non ha presentato riserve, ha inteso porre l’obbligo di anticipare, nel concreto, il punto di vista della Provincia stessa al momento della formulazione delle riserve. In definitiva vi deve essere corrispondenza tra il contenuto di ogni riserva ed il contenuto, poi, della decisione della Provincia che, con riferimento a singoli terreni o aree omogenee, assumerà con la deliberazione di approvazione finale del P. R. G.. Pertanto, in linea teorica va osservato che sarebbero inammissibili e, quindi, illegittime riserve generiche che non consentono ai due Enti di instaurare un effettivo contraddittorio su scelte concernenti singoli terreni o aree omogenee. 14. Nel caso in esame, pertanto, occorre analizzare ciascuna censura dedotta dal Comune concernenti le parti oggetto delle riserve della Provincia per valutarne la legittimità e, conseguentemente valutare la legittimità delle scelte finale, effettuate dalla Provincia con la deliberazione impugnata, in corrispondenza con le riserve già espresse. 15. Sotto questo profilo il ricorso del Comune contesta specificamente alcuni casi in cui la Provincia si richiama a norma sopraordinate in cui ritiene l’area inedificabile rispettivamente per la presenza di elettrodotti ovvero di aree ricadenti in zone di tutela ai sensi dell’articolo 17 delle norme di attuazione del piano paesistico regionale. 16. Per quanto concerne le zone interessate dagli elettrodotti può condividersi la prospettazione del Comune, ulteriormente specificata nella memoria del 22 maggio 2002. Infatti, pur essendo irrilevante la disparità di trattamento evidenziata per avere la Provincia considerato solo alcune zone e non altre in analoga situazione rispetto agli elettrodotti, va osservato che è fuori di dubbio, e lo specifica anche il Comune (vedi pag. 28 del ricorso), che in sede di esame effettivo di domande di concessione edilizia, ossia in sede esecutiva, gli edifici dovranno essere mantenuti all’esterno delle fasce di rispetto. Tuttavia, in sede di previsioni di Piano Regolatore Generale, ciò non determina la necessità di prevedere, in sede di normativa generale, l’inedificabilità dell’area. Infatti, le norme nazionali e regionali che disciplinano le distanze dagli elettrodotti si applicano automaticamente a prescindere dalla destinazione prevista dagli strumenti urbanistici. Del resto bene ha fatto il Comune a non prevedere aprioristicamente l’inedificabilità automatica anche perché ciò avrebbe comportato la necessità di cambiare continuamente il PRG in caso di modifica della normativa sulle distanze dagli elettrodotti o di modifica della situazione di fatto degli elettrodotti stessi a seguito delle loro disattivazione o dell’adozione di diverse soluzioni progettuali, previste dalla normativa stessa anche a livello regionale, che avrebbero determinato una riduzione o l’eliminazione delle fasce di rispetto o dei corridoi. Si pensi al caso degli interramenti o di altre soluzioni progettuali tra l’altro previste in alcuni casi come obbligatorie (anche se con tempi di realizzazione scaglionati nel tempo) dalla legge regionale vigente in materia. Quindi, ferma restando la necessità di rispettare le distanze in materia di elettrodotti, vigenti al momento della richiesta di edificazione, la previsione del PRG non deve necessariamente, come rilevato dal Comune, stabilire l’assoluta inedificabilità. Per tale profilo il ricorso è fondato e va accolto con conseguente annullamento degli atti della Provincia, concernenti detto aspetto. 17. Anche per gli altri aspetti specificamente individuati dal Comune nella quinta censura del ricorso introduttivo (la presente causa non concerne la legittimità del piano in generale e di tutte le scelte provinciali ma soltanto gli aspetti contestati in modo specifico con i motivi di ricorso, in quanto, come sopra evidenziato, in astratto il potere esercitato dalla Provincia sussiste essendogli stato conferito dalla legge regionale) va osservato che appaiono illegittime tutte le modifiche apportate dalla Provincia e conseguenti alla cosiddetta rideterminazione del perimetro del territorio urbanizzato. La Provincia, infatti, ha il potere, come sopra evidenziato, di valutare la incompatibilità di previsioni di Piano con norme e piano sovraordinati e, quindi, anche con l’articolo 17 delle norme tecniche del piano territoriale paesistico ma non anche il potere, esercitato nella specie senza esternare senza alcuna motivazione, di considerare in modo diverso il perimetro del territorio urbanizzato, ancorché da tale scelta consegua, poi, l’applicazione di diverse norme (l’articolo 17 appunto), senza indicare, caso per caso, le ragioni del diverso apprezzamento del grado di urbanizzazione del territorio stesso e senza indicare eventuali altre ragioni specifiche, caso per caso, di contrasto con il citato articolo 17 delle norme tecniche del piano territoriale paesistico. Anche per tale profilo il ricorso è fondato e va accolto, per difetto di motivazione secondo il profilo evidenziato anche in sede di ricorso, con conseguente annullamento degli atti della Provincia, concernenti detto aspetto. Naturalmente, per effetto del predetto annullamento, sussiste l’obbligo della Provincia di adottare nuove decisioni, anche per dette aree e con riferimento al suddetto aspetto, come evidenziato al punto 11 della sentenza. 18. Le ulteriori modifiche disposte dalla Provincia, non specificamente contestate con il ricorso introduttivo, ancorché talune analizzate tardivamente con la memoria finale, dovute alle sopravvenienze normative o all’individuazione delle fasce fluviali da parte dell’Autorità di Bacino o altri piani e norme, non sono coinvolte dalla presente sentenza. 19. Ne’ il quadro normativo sopra delineato, nell’interpretazione fornita, appare suscettibile di una valutazione di incompatibilità con le norme ed i principi costituzionali. Infatti l’autonomia comunale, costituzionalmente riconosciuta, anche in materia urbanistica, non implica una riserva intangibile di funzioni e non esclude che il legislatore regionale possa, nell’esercizio della sua competenza normativa, individuare le dimensioni stesse dell’autonomia, valutando la maggiore efficienza della gestione del territorio e coinvolgendo altri Enti locali a un livello sovracomunale nella gestione dei comuni interessi. Il rispetto dell’autonomia comunale, quindi, deve armonizzarsi, secondo le valutazioni del legislatore regionale, con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio e, quindi, la legislazione regionale, nell’ambito delle proprie scelte di politica legislativa può incidere su funzioni già assegnate ai Comuni (Corte Cost. 286 del 1997). Ciò anche in considerazione del fatto che la pianificazione urbanistica a livello comunale non ha carattere esaustivo e non riassorbe, con funzioni di prevalenza, le altre forme di pianificazione sovraordinate o gli altri vincoli non urbanistici, poiché qualsiasi intervento che modifica il territorio non deve porsi in contrasto con tutti gli altri vincoli su di esso esistenti (Corte Cost. n. 378 del 2000). Naturalmente, dev’essere assicurato ai Comuni un potere effettivo e congruo alla elaborazione degli strumenti urbanistici che incidono sul territorio comunale (Corte Cost. n. 357 del 1998 e 61 del 1994). Tali principi sono sicuramente rispettati dalla legislazione regionale dell’Emilia Romagna applicabile nel presente procedimento di approvazione del Piano regolatore Comunale. La questione di incostituzionalità, prospettata dal Comune, pertanto, appare manifestamente infondata. 20. In definitiva la presente sentenza concerne soltanto la controversia tra il Comune e la Provincia ed ha ad oggetto il rapporto tra le rispettive competenze, quale delineato dal quadro normativo regionale vigente al momento dell’inizio del procedimento di adozione del Piano, come emerge dalle censure dedotte, dalle tesi difensive sviluppate nelle rispettive memorie e dall’ampia discussione orale in udienza, impregiudicata ogni decisione su specifiche questioni concernenti singole aree censurate eventualmente in separati ricorsi in cui si evidenziano specifici aspetti di illegittimità non evidenziati puntualmente nel presente contenzioso. Così come rimane impregiudicato il potere comunale di rivedere in tutto o in parte le proprie scelte programmatorie di merito attraverso l’attivazione di un nuovo procedimento di variante nel caso in cui l’assetto risultante dall’intervento provinciale non sia ritenuto soddisfacente rispetto ai propri obiettivi di sviluppo urbanistico. 21. Per tali ragioni, nei limiti sopra indicati, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati, in”partibus quibus”, gli atti impugnati. Sussistono giustificate ragioni per la compensazione tra le parti delle spese di causa. Spese compensate Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Parma, il giorno 5/03/2002 f.to Gaetano Cicciò Presidente f.to Ugo Di Benedetto Consigliere Rel.Est. Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L.18/4/82, n.186 Parma, lì 13 giugno 2002 Il Segretario f.to Eleonora Raffaele |
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