Giurisprudenza - Edilizia ed urbanistica

T. A. R. Parma, ordinanza n. 27 del 20 novembre 2003, solleva la questione di legittimità costituzionale sul condono edilizio   

REPUB B L I C A    I T A L I A N A 
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L'EMILIA-ROMAGNA
SEZIONE DI PARMA
composto dai Signori:
Dott. Gaetano Cicciò Presidente  Rel.Est  
Dott. Umberto Giovannini Consigliere.
Dott. Italo Caso Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

Sul ricorso N. 113/2003 proposto da GARULLI CARMELINA, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Foglia, ed elettivamente domiciliata nello studio dello stesso, in Parma, Strada del Conservatorio, 2;
contro
Comune di Neviano degli Arduini, non costituito in giudizio;
per 
ottenere l’esecuzione del giudicato di cui alla sentenza n. 177 del 10/04/2001 con la quale, in accoglimento del ricorso n. R.G. 752/96, si annullava la sanzione pecuniaria di € 868,33 (L. 1.681.326) disposta con ordinanza sindacale n. 23 del 12/07/1996 del Comune di Neviano degli Arduini a carico di Garulli Carmelina, per un abuso edilizio;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dalla ricorrente in data 26/09/2003 a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla camera di consiglio del 18/11/2003 l’avv. Foglia per la ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso proposto ai sensi del combinato disposto dell’art. 27, 1° comma, n. 4 della legge 6/12/1971, n. 1034, dell’art. 27, n. 4, del R.D. 26/6/1924, n. 1054 e dell’art. 90 del R.D. 17/8/1907, n. 642, Carmelina Garulli ha chiesto a questa Sezione che venga disposta, anche a mezzo della nomina di un commissario, l’ottemperanza al giudicato di cui alla sentenza n. 177/2001, che ha accolto il ricorso n. 752/96, disponendo l’annullamento di sanzione pecuniaria per abuso edilizio (esecuzione di opere in parziale difformità della concessione edilizia n. 270 del 13/12/1996) in luogo della doverosa misura demolitoria.
Lamentava la ricorrente che il Comune era rimasto sostanzialmente inerte, nonostante l’atto di diffida e di costituzione in mora ritualmente notificato, con assegnazione di un termine per l’esecuzione della sentenza.
Il Comune, al quale il ricorso era stato comunicato da questo Ufficio ai sensi di legge faceva pervenire la comunicazione del 3/4/2003, n. 3464, con la quale si faceva presente l’immediato avvio del procedimento di esecuzione coattiva del giudicato e di demolizione a cura dell’Amministrazione.
La ricorrente, da ultimo, lamentava che dopo tale avvio del procedimento di demolizione nessuna ulteriore attività era stata compiuta dal Comune, così di fatto premiandosi una strategia dilatoria, e frustandosi ogni legittima aspettativa di tutela della sua situazione soggettiva pretensiva.
DIRITTO
Osserva la Sezione che nelle more del giudizio di ottemperanza è stato emanato il D.L. 30/09/2003, n. 269 (in G.U. n. 229 del 2/10/2003 – suppl. ord. n. 157/L) recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, il quale fra l’altro, all’art. 32, formula una complessa normativa “per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali”.
Tale articolo dispone, per quanto qui interessa:
1) al primo, secondo e terzo comma il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente, nelle more dell’adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con D.P.R. 6/6/2001, n. 380, in conformità al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18/10/2001, n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio (sostanzialmente peraltro tale autonomia viene contenuta negli angusti termini nel rispetto delle condizioni, dei limiti e delle modalità del rilascio del titolo abilitativo sanante);
2) dal quattordicesimo al ventitreesimo comma la sanabilità, con alcuni limiti, oneri e autorizzazioni, delle opere abusive costruite nelle aree demaniali o patrimoniali dello Stato, anche se soggette a vincoli;
3) la proroga temporale delle disposizioni in materia di sanatoria contenute nei capi IV e V della legge 28/2/1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’art. 39 della legge 23/12/1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, proroga che consente la sanatoria delle opere abusive ultimate entro il 31/3/2003 entro taluni limiti quantitativi, soggettivi, tipologici e attinenti da ultimo alle aree vincolate sui quali esse insistono, con decorrenza dei termini previsti dalle disposizioni prorogate a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto legge; con applicazione per quanto compatibile della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 39 della legge n. 724 del 1924; con salvezza dei diritti dei terzi; con possibilità delle Regioni di disciplinare il procedimento relativo al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e di aumentare l’oblazione e gli oneri di concessione; con minuta descrizione, peraltro, del procedimento di sanatoria e della sua conclusione e dei suoi effetti; con una modifica della disciplina condonistica relativamente alle aeree vincolate (dal venticinquesimo al quarantanovesimo comma).
Orbene, appare rilevante notare, per quanto riguarda la presente controversia, che:
a) l’abuso commesso da Garulli Regina, come osservato dalla sentenza di cui si chiede l’esecuzione, consiste in sovralzo della falda del tetto dell’immobile, con costruzione di una mansarda; nell’apertura di tre finestre; nella posa in opera di una grondaia e di un comignolo sovrastante le ragioni della ricorrente, senza alcun rispetto delle distanze legali all’immobile di quest’ultima: trattasi di abusi consistenti e non condonabili ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, e ascrivibili alla tipologia di cui alla tab. C), n. 1, allegata al D.L. n. 269/2003 (opere in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici);
b) nelle more del procedimento di sanatoria e fino alla scadenza dei termini fissati dall’art. 35 della legge n. 47/1985 (come sopra rilevato, richiamati e prorogati a far tempo dalla data in vigore del decreto legge, unitamente a tutte le disposizioni che li contengono, da quest’ultimo decreto) dovrebbe operare la sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio e del presente procedimento giurisdizionale, ex art. 44 della legge n. 47/1985.
Premesso, quindi, che la predetta normativa è senza dubbio applicabile al caso qui in esame, ritiene il Collegio che vi siano fondati dubbi per sostenerne la sua non conformità ai principi costituzionali.
Vero è che, come osservato dalla Corte costituzionale (v. soprattutto le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), le norme sul condono prendono atto di una situazione di illegalità di massa che si intende ricondurre, per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze di bilancio che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse finanziarie, nell’alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice (l’autodenuncia) dell’efficacia di estinzione dell’illiceità; ma le stesse sentenze sottolineano che tale esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalità e di chiusura di un’epoca, perché in caso contrario non si giustificherebbe il contrasto insito nella natura per così dire premiale dell’abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione.
Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalità dei soggetti alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che in un prossimo futuro tale misura sarebbe senz’altro riadottata e, per altro verso, ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilità delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto perverso, generatore di ulteriori illeciti urbanistico-edilizi.
In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che la riapertura dei termini del condono, nei limiti dell’eccezionalità sopra evidenziata, non sembrava confliggere con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, non ha legittimato l’equazione fra carenza di controllo e nuova necessità di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalità qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto (come di fatto è ora avvenuto) nella forma della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia pure in un contesto – del tutto insufficiente, anche per la scarsità delle risorse stanziate – di misure di riqualificazione del territorio.
Né sembra poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la semplice considerazione delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in modo del tutto ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti risorse (che fra l’altro bilanciano le entrate del condono) necessarie agli Enti locali per oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori.
In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio, anche perché la questione del territorio sarebbe stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilità di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunità.
Un’eccezione non può quindi risolversi in un principio.
Inoltre, rilevante è la considerazione – come sopra accennato – che il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch’essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dall’altro sarebbero costretti, soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dall’illegalità edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata, con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado.
La normativa censurata non sembra poi violare soltanto i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dall’art. 117, 3° comma, della Costituzione (v. al riguardo, la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale).
Infatti, come è stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce un’eccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dell’art. 32 il D.L. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve.
Al riguardo, mentre non è ben chiaro il riferimento (che non sembra pertinente alla materia in esame) all’adeguamento delle norme regionali alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 380/2001, che infatti fissa principi e non già eccezioni – a meno che non si consideri la possibilità di una disciplina ricorrente e anzi permanente del condono che possa assorgere ai caratteri di principio –, le statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla competenza regionale per il “rispetto delle condizioni dei limiti e delle modalità del rilascio del titolo abilitativo sanante” non può che limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza dell’espressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento.
Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari.
Né può fondatamente affermarsi che nella specie si tratta di principi generali dell’ordinamento giuridico e di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie.
Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia suscettibile di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, che vengono contraddetti, sanandosi costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti, con invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, ritenuta d’ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 32 del D.L. 30/09/2003, n. 269, per contrasto con gli artt. 3, 9, 2° comma, 32, 1° comma, 97, 1° comma, 117, 3° comma, della Costituzione:
- sospende il giudizio in corso;
- ordina la trasmissione di questa ordinanza e degli atti del giudizio alla Corte Costituzionale;
- ordina la notificazione di questa ordinanza alle parti in causa e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
Così deciso in Parma, il giorno 18 novembre 2003.
f.to Gaetano Cicciò    Presidente  
Depositata in Segretaria ai sensi dell’art.55 L. 18/4/82, n.186.
Parma, lì 20 novembre 2003
f.to Raffaele Lanza    Il Segretario
fg

 

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