Giurisprudenza - Enti locali

Cassazione, Sez. un., 19667 del 22 dicembre 2003, sulla giurisdizione della Corte dei Conti su un Consorzio per la gestione di un acquedotto, con nota di Simona Falconieri

La sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 19667/2003 realizza una storica svolta nella disciplina giuridica degli Enti Pubblici Economici, virando in senso opposto rispetto all’orientamento consolidato della Cassazione espresso nella sentenza 1282 del 1982.
Le sezioni unite dichiarano la giurisdizione della Corte dei Conti anche per gli atti, non autoritativi, di amministratori e dipendenti degli EPE, che siano stati posti in essere nell’esercizio dell’attività imprenditoriale.
La Corte riconosce,  infatti, che, anche un atto tradizionalmente imprenditoriale quale l’investimento di capitali comporta responsabilità amministrativa in ordine ai danni posti in essere con lo stesso.
Ciò che rileva è infatti la ragione posta alla base del controllo spettante alla Corte dei Conti. Si legge nella ampia e dettagliata motivazione, ricca di richiami giurisprudenziali,  che la privatizzazione della pubblica amministrazione e la generale evoluzione dello Stato in tal senso, non possono privare di tutela i pubblici interessi comunque sottesi all’esplicazione delle attività.
A tal proposito le sezioni unite (30 marzo 2001 n.71) avevano già recepito la nozione oggettiva di “servizio pubblico” , caratterizzato dal funzionale soddisfacimento diretto dei bisogni di interesse generale, non rilevando le modalità di concreto esercizio dell’interesse stesso.
Nel 2002, poi, le sezioni Unite (8229/02) avevano chiarito che la responsabilità  non è limitata alla sola attività provvedimentale , ma a tutti i comportamenti omissivi o commissivi dai quali derivi danno per lo Stato o per l’ente Pubblico.
La sentenza in commento trae ,inoltre, ampie ulteriori argomentazioni dal dettato dell’art. 1 della L. 20/94 (disciplina della Corte dei Conti), norma, in particolare all’ultimo comma, che data appunto la sua ampia formulazione deve  riferirsi anche agli enti pubblici economici.
Il discrimen fra competenza del giudice ordinario e della Corte dei Conti è la qualità del soggetto passivo e quindi la natura delle risorse finanziarie delle quali si avvale.
Pare utile leggere tale sentenza in raccordo con Tar Toscana sez. II, 17 settembre 2003 n. 5101, sull'utilizzazione dell'ingiunzione fiscale da parte delle ASL e la loro natura di Enti Pubblici Economici  - e disciplina conseguente -  di cui sempre su questo sito.

OMISSIS   (……)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 22 marzo 2001 il P.G. presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l'Abruzzo convenne in giudizio il presidente e gli altri componenti del consiglio d'amministrazione del Consorzio comprensoriale del Cxx per la gestione delle opere acquedottistiche, i dipendenti dello stesso ente Donato Dx1 e Luca Francesco Paolo Rx2 nonché il prof. Luigi Px, e ne chiese la condanna al pagamento, in favore del Consorzio, della somma di lire 4.511.200.000, oltre accessori.
A sostegno della domanda dedusse che con deliberazione del 10 marzo 1999 il consiglio di amministrazione di detto Ente aveva affidato alla società P. & Partners - Corporate Finance, della quale il Px era presidente, un incarico di consulenza finanziaria, seguito dalla sottoscrizione di un contratto di investimento di capitali, di ritenuto sicuro alto rendimento, l'operazione - che aveva comportato il trasferimento all'estero di ingenti fondi del Consorzio, non più rientrati - era stata condotta in modo tutt'altro che limpido e con danno grave per il Consorzio stesso, tant'è che in sede penale si era proceduto contro il Px, in stato di detenzione domiciliare, in ordine al reato di truffa aggravata; agli effetti in esame, questi doveva considerarsi funzionario di fatto dell'Ente.
Nella pendenza del giudizio il Px ha proposto regolamento di giurisdizione con il quale chiede dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario; il geol. Elio Bitritto, anch'egli convenuto, controricorre con contestuale ricorso incidentale, adesivo al ricorso principale; resiste il Procuratore regionale, che chiede invece dichiararsi la giurisdizione della Corte dei conti; gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva; il P.G. presso questa Corte suprema, nella persona del dottor Vincenzo Maccarone, ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario; entrambi i ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere riuniti giacché investono il medesimo processo.
2. Il ricorso incidentale dell'intimato Elio Bitritto, parte del giudizio promosso dal Procuratore regionale della Corte dei conti, è rituale: ancorché il regolamento di giurisdizione non costituisca mezzo di impugnazione, esso comporta nondimeno la necessità di concentrare in unico giudizio tutte le questioni attinenti alla giurisdizione, con la conseguenza che l'intimato, che intenda proporre a sua volta tale regolamento, deve farlo nelle forme e nel termine del ricorso incidentale ai sensi dell'art. 371 c.p.c., anche al quale rinvia l'art. 41 stesso codice (v. Cass., nn. 11436/1992 e 1945/2002).
3. Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente, nel dedurre, in relazione agli artt. 37 e 41 c.p.c., la violazione degli artt. 93, 113 e 114 d.lgs. 267/2000 e dell'art. 13 r.d. 1214/1934, afferma che la giurisdizione appartiene al giudice ordinario sulla duplice premessa che il suddetto Consorzio costituisce un ente pubblico economico, e che i fatti, che hanno dato luogo al giudizio di responsabilità, attengono all'attività imprenditoriale dell'Ente, e richiama al riguardo la giurisprudenza di queste Sezioni Unite.
Analoghe considerazioni e richieste svolge il ricorrente incidentale.
Mentre il P.G. presso questa Corte afferma a sua volta la giurisdizione del giudice ordinario richiamando anch'egli la giurisprudenza in tal senso formatasi, il Procuratore regionale controricorrente sollecita invece - dopo aver qualificato come "scriteriato ed irresponsabile" l'investimento finanziario all'estero operato dal Consorzio - un riesame di tale indirizzo, sostiene che la giurisdizione appartiene alla Corte dei conti ed a fondamento della propria tesi osserva: l'art. 7 della l. 97/2001 ha senso solo se si riconosce a detta Corte ampia competenza giurisdizionale a conoscere dei danni erariali arrecati da dipendenti di pubbliche amministrazioni, compresi gli enti pubblici economici; il provvedimento amministrativo è, oggi, uno solo dei possibili atti che le pubbliche amministrazioni possono adottare per il perseguimento dei propri fini, giacché ad esso si accompagnano modelli procedimentali più vicini al diritto privato; è quindi necessario accogliere una nozione oggettiva di attività amministrativa e ritenere che essa si qualifichi tale in quanto consista nello svolgimento di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, indipendentemente dalla riconducibilità dell'atto emesso all'ambito del diritto privato o del diritto pubblico; lo strumento del diritto privato consente una maggiore efficienza dell'azione amministrativa; le esigenze del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione, come disciplinate dall'art. 97 Cost., riguardano allo stesso modo l'attività volta all'emanazione di provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato, e per conseguenza l'attività amministrativa è configurabile anche quando l'amministrazione persegua le proprie finalità istituzionali mediante un'attività sottoposta in tutto od in parte alla disciplina prevista per i rapporti tra soggetti privati, come ha affermato anche il Consiglio di Stato (Adunanza plenaria 4/1999 del 22 marzo 1999); lo stesso legislatore comunitario, nella fondamentale definizione di "organismo di diritto pubblico" (ad es. art. 1 direttiva 92/50/CEE), prescinde dalla forma giuridica adottata per fondarsi invece sul duplice dato sostanziale del soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, nonché dell'influenza dominante, diretta od indiretta, da parte delle pubbliche autorità; nello stesso senso è la sentenza n. 35 del 5 febbraio 1992 della Corte costituzionale; allorquando la natura di un ente è pubblica, nel senso di pubblicità del fine perseguito - ed a prescindere dalla veste giuridica adottata -, ed è pubblica la natura dei finanziamenti, lì vi è spazio per le funzioni anche giurisdizionali della Corte dei conti.
4. Dallo statuto in atti - che può essere direttamente esaminato dalla Corte, giudice anche del fatto in sede di giurisdizione, ed al quale del resto si richiamano tanto il Procuratore regionale (pag. 43 controricorso) che il Bitritto - risulta (art. 1) che il Consorzio comprensoriale del Cxx per la gestione delle opere acquedottistiche è stato costituito, tra i Comuni di cui all'allegato A dello statuto, ai sensi dell'art. 25 l. 8 giugno 1990, n. 142; esso è dotato di personalità e di autonomia imprenditoriale (comma 4 stesso art. 1), ha per oggetto la gestione del servizio idrico e può compiere operazioni immobiliari, industriali, commerciali, finanziarie e mobiliari (art. 3).
L'art. 25 della citata l. 142/1990 (ora art. 31, primo comma, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) dispone che i Comuni e le Province, per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni, possono costituire un consorzio secondo le norme, in quanto compatibili, previste per le aziende speciali di cui al precedente art. 23 (ora art. 114 t.u. 267/2000): questo a sua volta stabilisce che dette aziende (uno dei possibili enti gestori di servizi pubblici ai sensi dell'art. 22, terzo comma, lett. c) stessa legge, ora art. 113 citato t.u.) sono enti strumentali dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal Consiglio comunale o provinciale.
Alla stregua di tale quadro normativo, non è seriamente contestabile la natura di ente pubblico economico del Consorzio in questione - come, del resto, questa Corte suprema ha affermato, in un caso del tutto analogo, con sentenze 9879/1997 e 124/2000 - dal che segue che, per costante giurisprudenza, la giurisdizione della Corte dei conti è limitata alla responsabilità connessa all'esercizio di poteri autoritativi o di funzioni pubbliche, ricadendo invece quella relativa all'attività gestionale nella giurisdizione ordinaria (tra le altre, Cassazione, Sezioni Unite 1282/1982; 6179/1983; 644/1985; 2489/1988; 5792/1991; 11560/1992; 12654/1997; 334/1999; 1193/2000; 9689/2001): se seguito, tale indirizzo comporterebbe l'affermazione, nella fattispecie in esame, della giurisdizione del giudice ordinario giacché i fatti, oggetto del giudizio di responsabilità, attengono allo svolgimento di un'operazione finanziaria, e dunque all'attività imprenditoriale dell'ente.
5. Il riesame della questione, sollecitato dal controricorrente Procuratore regionale, deve muovere dalla distinzione, per gli effetti che ne derivano in tema di riparto di giurisdizione, tra enti pubblici non economici ed enti pubblici economici.
Riguardo ai primi, queste Sezioni Unite sin dalla sentenza n. 363 del 1969 hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità degli amministratori e dipendenti di detti enti, ancorandola alla immediata efficacia precettiva dell'art. 103, secondo comma, Cost. nonché alla compresenza di due elementi, qualificanti la nozione di contabilità pubblica: uno soggettivo, che attiene alla natura pubblica del soggetto - ente od amministrazione - al quale l'agente sia legato da un rapporto di impiego o di servizio; l'altro oggettivo, che riflette la qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione nell'ambito della quale si è verificato l'evento, fonte di responsabilità.
Riguardo, invece, agli enti pubblici economici, con la citata sentenza 1282/1982 - la prima che ebbe a pronunciarsi nel senso sopra cennato - queste Sezioni Unite, dopo aver ribadito che la giurisdizione della Corte dei conti sussiste allorquando ricorrano i due predetti elementi, soggettivo ed oggetto, ritennero tuttavia di escluderla, in relazione a detti enti, riguardo alle attività che si collocano nell'ambito dell'esercizio imprenditoriale, loro proprio.
Nel richiamare la precedente sentenza 363/1969, già citata, le Sezioni Unite precisarono che il requisito della natura pubblica dell'ente va riferito agli enti pubblici non economici, poiché gli enti pubblici economici, pur perseguendo finalità di carattere pubblico, normalmente svolgono la loro attività nelle forme del diritto privato (artt. 2093 e 2201 c.c.) e in tale svolgimento sono soggetti alla disciplina dell'imprenditore privato; aggiunsero che alla natura, agli scopi ed al modo di operare degli enti pubblici economici mal si addice il rigore del controllo della contabilità pubblica in senso stretto, ed osservarono che detti enti sono sottratti al controllo della Corte dei conti a norma dell'art. 1 l. 20 marzo 1975, n. 70.
Tali argomentazioni furono riprese ed arricchite dalle pronunce successive le quali, a conferma della limitazione della giurisdizione della Corte dei conti, riguardo agli enti pubblici economici, all'esercizio di poteri autoritativi, richiamarono anche: l'art. 409, n. 4, c.p.c.; il carattere solo tendenziale e non assoluto della giurisdizione della Corte dei conti in materia contabile (affermazione, questa, in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha più volte osservato che la concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa, richiede l'interpositio legislatoris: in tale senso, tra le altre, Corte costituzionale 24/1993 e 327/1998); la necessità della violazione di una specifica regola di condotta imposta da una norma regolatrice del maneggio e della gestione del denaro pubblico; il carattere estrinseco del fine pubblico degli enti in questione.
6. La soluzione del quesito deve muovere dalla evoluzione della nozione di pubblica amministrazione, a ragione sottolineata dal controricorrente.
Già gli artt. 2093 e 2201 c.c. disponevano, e dispongono rispettivamente, che le norme del quinto libro del codice si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni sindacali (limitatamente alle imprese da essi esercitate quanto agli enti non inquadrati), e che gli enti pubblici, i quali hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale, sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese.
In anni più recenti il processo cosiddetto di privatizzazione ha subito un'accelerazione, anche al fine di assicurare alla P.A. una maggiore efficienza, e ciò sotto due profili: dal lato della forma giuridica, per la quale si menziona qui, esemplificativamente, l'art. 15 d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla l. 8 agosto 1992, n. 359 (che ha disposto la trasformazione in società per azioni di enti pubblici economici quali l'Iri, l'Eni, l'Ina e l'Enel) e l'art. 113 d.lgs. 267/2000, già art. 22 l. 142/1990 (il quale prevede che i servizi pubblici locali possano essere gestiti anche a mezzo di società per azioni od a responsabilità limitata).
Dal punto di vista, invece, del modus operandi, l'art. 241/1990 dispone che l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo; a tali accordi si applicano, se non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili (v. al riguardo Cassazione, Sezioni Unite, n. 9130/1994); l'art. 2, comma 2, del d.lgs. 29/1993 dispone a sua volta che, salvo eccezioni, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II del libro IV del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa; la disciplina privatistica trova applicazione, per espressa disposizione di legge speciale (art. 1, ultimo comma, l. 186/1988), ad un ente pubblico considerato non economico, quale l'Agenzia spaziale italiana (Cassazione, Sezioni Unite, 19 gennaio 2001, n. 11).
I riflessi sugli equilibri costituzionali, indotti dal processo di privatizzazione (momento successivo ed eventuale del quale, e che qui peraltro non rileva, è la dismissione: d.l. 332/1994 convertito in l. 474/1994), sono stati esaminati dalla Corte costituzionale la quale - provvedendo con sentenza 28 dicembre 1993, n. 466 sul conflitto di attribuzioni tra la Corte dei conti ed il Governo della Repubblica - ha affermato che spetta a detta Corte il controllo sulla gestione delle società per azioni derivanti dalla trasformazione dell'Iri e degli altri enti di cui sopra fin quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società, osservando tra l'altro che le ragioni, che stanno alla base del controllo spettante alla Corte dei conti sugli enti pubblici economici sottoposti a trasformazione, non possono considerarsi superate in conseguenza del solo mutamento della veste giuridica degli stessi enti, e che il controllo verrà a perdere la propria ragione d'essere solo nel momento in cui il processo di privatizzazione avrà assunto connotati sostanziali tali da determinare l'uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica (sostanzialmente nello stesso senso è la definizione di impresa pubblica contenuta nell'art. 2 della direttiva 80/723/CEE del 25 giugno 1980).
In precedenza (sentenza 5 febbraio 1992, n. 35) la stessa Corte costituzionale, investita di un giudizio concernente le società finanziarie regionali siciliane, aveva avuto occasione di osservare che «lo sviluppo di questo tipo di amministrazione indiretta si collega ad una generale evoluzione dello Stato nell'epoca contemporanea, in base alla quale quest'ultimo tende a utilizzare crescentemente, soprattutto nel campo dei servizi pubblici e del rapporto d'impiego pubblico, moduli di azione e di organizzazione propri del diritto privato»: servizi pubblici in ordine ai quali, in un regolamento di giurisdizione proposto ai sensi dell'art. 33 d.lgs. 80/1998, queste Sezioni Unite (sentenza 30 marzo 2001, n. 71) hanno rilevato che il legislatore ha recepito la nozione non soggettiva ma oggettiva di essi, caratterizzati dall'elemento funzionale del soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale.
L'evoluzione, alla quale si è fatto cenno, rende labile, agli effetti della pronuncia sul regolamento di giurisdizione in esame, la distinzione tra enti pubblici non economici ed enti pubblici economici, e nel contempo non del tutto coerenti i criteri di riparto di cui al consolidato orientamento giurisprudenziale: riguardo ai primi, infatti, queste Sezioni Unite (sentenza 11/2001 citata), nell'affermare che spetta alla Corte dei conti di giudicare in ordine alla responsabilità amministrativo-contabile degli amministratori dell'Agenzia spaziale italiana, qualificata appunto come ente pubblico non economico, hanno considerato a tal fine irrilevante l'utilizzo di strumenti privatistici - come detto disposti per tale ente da una norma speciale - aggiungendo che il termine agenzia designa, ad imitazione di modelli anglosassoni, un organo della P.A. non inserito nella struttura ministeriale ed utilizzato in quei settori di attività amministrativa per i quali ad una riforma in senso privatistico degli enti pubblici si è preferita la realizzazione di entità sempre pubbliche, ma tali da consentire una gestione manageriale dei pubblici interessi in modo più agile e penetrante.
Sempre con riferimento al giudizio di responsabilità nei confronti dell'amministratore di un ente pubblico non economico, queste Sezioni Unite (sentenza 8229/2002) hanno affermato che tale responsabilità non è limitata alla sola attività provvedimentale, ma comprende tutti i comportamenti, commissivi od omissivi, imputabili a dolo o colpa grave, dai quali sia derivato un danno per lo Stato o l'ente pubblico.
Stante tale innovativo quadro, può conclusivamente affermarsi, condividendosi quanto argomentatamente sostenuto dal controricorrente, che l'amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto privato.
Ancorché in forme privatistiche, gli enti pubblici economici - soggetti pubblici per definizione e che perseguono fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura - svolgono dunque anch'essi attività amministrativa, rispetto alla quale tali forme costituiscono nient'altro che lo strumento a tali fini utilizzabile ed utilizzato.
7. In tema di competenza giurisdizionale nei giudizi di responsabilità nei confronti di amministratori e dipendenti pubblici, incisive innovazioni normative sono state introdotte negli anni '90 del secolo scorso.
La materia è tuttora regolata dal r.d. 2440/1923, recante nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, il quale attribuì alla Corte dei conti (art. 83) la giurisdizione sulla responsabilità dei funzionari, di cui ai precedenti artt. 81 e 82 (responsabilità, rispettivamente, contabile ed amministrativa), giurisdizione ribadita dall'art. 52 r.d. 1214/1934, recante il t.u. delle leggi sulla stessa Corte, e dall'art. 19 d.P.R. 3/1957, t.u. delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato.
Sempre nel 1934 il t.u. della legge comunale e provinciale (r.d. 383) ripartì invece la giurisdizione, quanto alla responsabilità per danni arrecati da amministratori e dipendenti degli enti locali, tra Corte dei conti e giudice ordinario, ma le norme relative (artt. 251-265) furono poi abrogate dall'art. 64, lett. c), l. 142/1990, sull'ordinamento delle autonomie locali, la quale, all'art. 58 primo comma, dispose che per gli amministratori ed il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità civile degli impiegati dello Stato.
L'art. 31 l. 335/1976, recante principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e contabilità delle Regioni, riservò del pari alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti della regione, di cui agli artt. 18 e 30 stessa legge.
L'art. 1, primo comma, d.l. 453/1993, convertito, con modificazioni, dalla l. 19/1994, ha istituito in tutte le regioni, ove non già esistenti, sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, e l'art. 1, ultimo comma, della legge in pari data n. 20 - disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, così come modificato dal d.l. 543/1996, convertito, con modificazioni, dalla l. 639/1996 - ha disposto che la Corte dei conti giudichi sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, limitatamente, tuttavia, ai "fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge".
L'art. 274, lett. g), del d.lgs. 267/2000 (t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) ha abrogato la l. 142/1990, della quale peraltro riproduce, all'art. 93, primo comma, l'art. 58 sopra citato.
Infine, la l. 97/2001 ha stabilito (art. 7) che la sentenza penale di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel precedente art. 3 (di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica) debba essere comunicata al competente Procuratore regionale della Corte dei conti perché promuova l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.
A seguito della sentenza 55/1966 della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimità costituzionale delle norme sulla composizione ed il funzionamento dei consigli di prefettura, i relativi giudizi sono stati attribuiti alla Corte dei conti (Cassazione 2616/1968).
8. Il processo di privatizzazione dell'amministrazione pubblica, del quale s'è detto, non ha comportato una corrispondente e normativa riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti nella materia che qui interessa; al contrario, è stata attuata, dalle leggi degli anni '90, una espansione di tale sfera.
Se significativo in tal senso è anche il quinto comma dell'art. 11 della l. 241/1990 (il quale riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi procedimentali e sostitutivi, previsti dallo stesso articolo), decisiva è però la considerazione complessiva di tale evoluzione legislativa, la quale evidenzia il processo di omologazione delle condotte che radicano la giurisdizione contabile, intenti di semplificazione e razionalizzazione del sistema e, appunto, il progressivo ampliamento di tale giurisdizione in materia di responsabilità, ampliamento non a caso accompagnato o seguito dal nuovo assetto strutturale della Corte dei conti di cui alla menzionata l. 19/1994.
Particolarmente rilevanti appaiono, in tale contesto, l'abrogazione, ad opera della l. 142/1990, della distinzione, ai fini del riparto di giurisdizione, tra responsabilità formale degli amministratori e dipendenti degli enti locali e generica responsabilità amministrativa (vedasi, sul punto, Cassazione, Sezioni Unite 5789/1991), ed il superamento, introdotto dalla l. 20/1994 e successive modifiche, della responsabilità contrattuale quale limite della giurisdizione della Corte dei conti.
L'ambito della quale, ristretto per il passato, nella materia che qui interessa, a tale responsabilità (amministrativa o contabile, quest'ultima relativa agli agenti contabili, a coloro, cioè, che hanno il maneggio di denaro o di altri valori dello Stato), investe dunque, ora, anche la responsabilità extracontrattuale, peraltro nei soli confronti di amministratori od enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (così l'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994, citata).
Prima di tale legge proprio questa Corte ebbe a sollevare, con due ordinanze del 13 giugno 1991, la questione di costituzionalità dell'art. 30 l. 335/1976, nella parte in cui correlava la responsabilità patrimoniale degli amministratori e dipendenti delle regioni alla incidenza del danno, derivante dalla violazione di obblighi di funzione o di servizio, sull'erario dell'ente regione e non anche dello Stato o di altro ente pubblico: questione che fu dichiarata infondata dalla Corte costituzionale (sent. 24/1993) sul rilievo che è jus receptum che i pubblici dipendenti, per i danni cagionati nell'esercizio delle loro attribuzioni a terzi, rispondo a titolo di responsabilità extracontrattuale dinanzi al giudice ordinario, e che la devoluzione della giurisdizione alla Corte dei conti richiede l'interpositio legislatoris: ora intervenuta con e nei limiti di cui all'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994.
Data l'ampia formulazione della norma, deve ritenersi che essa faccia riferimento anche agli enti pubblici economici, oltre che a quelli non economici ed alle amministrazioni: depongono in tal senso la lettera e la ratio di essa, ed il rilievo che, allorquando il legislatore ha invece inteso introdurre delle limitazioni o delle distinzioni, lo ha fatto, come nel quasi coevo art. 1, secondo comma, d.lgs. 29/1993.
Se, in ordine alla giurisdizione, che continua ad essere attribuita al giudice ordinario, sulla responsabilità extracontrattuale di amministratori e dipendenti pubblici od enti pubblici, quel che rileva, ai sensi dell'art. 2043 c.c., è che la condotta dell'agente sia contrassegnata da dolo o colpa ed abbia prodotto un danno ingiusto ad essa causalmente collegato (v. da ultimo, Cassazione 9260/1997, 1045/1999, 3132/2001 e 3983 e 7630/2003), altrettanto è a dirsi per la stessa responsabilità dei medesimi soggetti in danno invece di amministrazioni ed enti diversi da quelli di appartenenza, devoluta invece alla Corte dei conti.
Il discrimen tra le due giurisdizioni risiede infatti unicamente nella qualità del soggetto passivo, e, pertanto, nella natura - pubblica o privata - delle risorse finanziarie di cui esso si avvale, avendo il legislatore del 1994 inteso più incisivamente tutelare il patrimonio di amministrazioni ed enti pubblici, diversi da quelli cui appartiene il soggetto agente - e così, in definitiva, l'interesse pubblico -, con l'attribuzione della relativa giurisdizione alla Corte dei conti, presso la quale (a differenza di quanto invece avviene, salvo eccezioni che qui non interessano, per il giudice ordinario), è istituito il procuratore regionale abilitato a promuovere i relativi giudizi nell'interesse generale dell'ordinamento giuridico (Cassazione 12827/1982 e 9780/1998).
La devoluzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla responsabilità amministrativa extracontrattuale, nei limiti anzidetti, degli amministratori e dipendenti pubblici appare particolarmente significativa perché, per i relativi giudizi, non si pongono quei problemi di conflitti di interesse e di condizionamenti che ricorrono invece riguardo alla responsabilità amministrativa contrattuale degli stessi soggetti: per la quale questa Corte suprema (sentenza 9780/1998) manifestò il timore che la "finora timida attività giudiziaria dell'ente danneggiato nei confronti dei pretesi responsabili" (amministratori o dipendenti dello stesso ente) potesse risolversi in un sostanziale esonero da responsabilità, rimettendo peraltro al legislatore la soluzione del problema.
Per i giudici di responsabilità extracontrattuale, così attribuiti al giudice contabile, sono sicuramente inutilizzabili gli argomenti (artt. 2093 e 2201 c.c., art. 409, n. 4, c.p.c., assenza di controlli, inesistenza di norme pubblicistiche) come sopra addotti a sostengo del riparto di giurisdizione all'interno della categoria degli enti pubblici economici, di cui al risalente indirizzo sopra richiamato, non avendo il legislatore ritenuto di attribuire altresì rilevanza alle modalità della condotta del soggetto agente - e, in concreto, se essa violi norme di diritto pubblico o di diritto privato -, se non per i riflessi che esse comportano in tema di elemento soggettivo: indagine, peraltro, questa, che attiene ai limiti interni della giurisdizione e che, dunque, non rileva in questa sede.
Né può trascurarsi di considerare che l'argomento tratto dal citato art. 409, n. 4, è contrastato dal n. 5 della stessa norma e dalla successiva legislazione speciale (art. 68 d.lgs. 29/1993 e successive modifiche), la quale ha devoluto al giudice ordinario tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, salvo le eccezioni previste dalla legge, devoluzione che non ha di certo inteso incidere anche sulla materia in esame della giurisdizione sulla responsabilità.
Orbene, la norma innovativa di cui all'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994 ha una sua evidente ricaduta anche in tema di responsabilità contrattuale: se, infatti, nella responsabilità extracontrattuale in danno di amministrazioni od enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, le modalità della condotta (violatrice di norme tanto di diritto pubblico che di diritto privato) del soggetto agente sono giuridicamente irrilevanti quanto alla giurisdizione, a maggior ragione esse lo sono divenute allorquando il danno sia stato cagionato alla stessa amministrazione di appartenenza, non essendo pensabile che il legislatore abbia voluto tutelare in misura meno incisiva quest'ultima.
Non a caso, del resto, l'art. 1 l. 20/1994 fa riferimento al "comportamento" degli amministratori e dipendenti pubblici soggetti a giudizio di responsabilità, nonché al "fatto dannoso" ed al "danno": è, dunque, l'evento verificatosi in danno di un'amministrazione pubblica il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più, il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso.
Deve, pertanto, affermarsi che sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa, per fatti commessi dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, l. 20/1994, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità contabile, per la quale l'art. 45 r.d. 1214/1934 dispone che la presentazione del conto costituisce l'agente dell'amministrazione in giudizio e, dunque, presuppone l'applicabilità di norme pubblicistiche, generalmente escluse, invece, per detti enti).
Non rileva in senso contrario a tale conclusione la mancata conversione in legge del d.l. 47/1995 - che all'art. 1, quarto comma, prevedeva espressamente la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di tali soggetti - dovendosi ritenere che essa sia derivata proprio dalla consapevolezza della non necessità di introdurre una norma, resa inutile dalla introduzione della giurisdizione contabile anche sulla responsabilità extracontrattuale e dagli effetti da essa prodotti anche in tema di responsabilità contrattuale.
Pur non avendo inteso ampliare la competenza giurisdizionale di detta Corte, come lo stesso controricorrente puntualmente osserva, l'art. 7 l. 97/2001 si inserisce tuttavia coerentemente nell'ambito delle sostanziali innovazioni legislative, di cui s'è detto.
La soluzione raggiunta è anche conforme alla costante giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte, le quali hanno più volte affermato che la trasformazione di amministrazioni pubbliche in enti pubblici economici e poi in società per azioni non ne fa venir meno la natura pubblicistica (Cassazione, sezione prima penale, 10027/2000, Aalam, per l'Ente Ferrovie dello Stato, e Cassazione sezione sesta penale, 20118/2001, Di Bartolo, per l'Ente poste), con il conseguente persistere, per i rispettivi dipendenti, della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Conclusivamente: così come, con il d.lgs. 80/1998 e la l. 205/2000, la giurisdizione amministrativa esclusiva è stata attribuita per blocchi di materia (essendo stato trasferito il criterio di riparto dal soggetto all'oggetto, come queste Sezioni Unite hanno precisato con sentenza 40/2000), allo stesso modo ha, in definitiva, inteso operare il legislatore relativamente alla giurisdizione in materia di responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici, e sia pure attraverso un iter non altrettanto organico, ma al fine di dare concreta e puntuale applicazione al secondo comma dell'art. 103 Cost., alla stregua del quale le norme ordinarie sopra indicate devono essere interpretate.
9. Il Px, non amministratore né dipendente del Consorzio, ma presidente della società che curò l'investimento finanziario in questione, è stato citato in giudizio quale funzionario di fatto del Consorzio stesso: sul punto, l'atto di citazione evidenzia il suo «ruolo di esclusivo dominus assoluto dell'operazione da lui condotta in assenza di alcuna seria valutazione e conoscenza dei fatti da parte degli organi di amministrazione del Consorzio, che si erano spogliati di ogni possibilità di scelta e di intervento anche in conseguenza della delega a rappresentare l'Ente con procura illimitata, conferita ad un funzionario ignaro di questioni finanziarie, a firmare impegni e contratti di cui paradossalmente ignorava il contenuto essendo redatti in lingua a lui sconosciuta».
A tale riguardo, e con il secondo motivo del proprio ricorso, lo stesso Px, nel denunciare la violazione degli artt. 2472, 2487, 2392 e 2394 c.c. e dell'art. 93 t.u. 267/2000, rileva che egli non ha mai agito in proprio, ma solo quale presidente della società, e che non ricorrono i presupposti per potersi ravvisare un rapporto di servizio con il Consorzio.
Il motivo è inammissibile.
L'atto di citazione non ha infatti trascurato di considerare la qualità rivendicata dal ricorrente, ma afferma che, nonostante essa, il Px è egualmente assoggettabile alla giurisdizione contabile per le ragioni sopra esposte.
Essendo lo stesso atto ispirato a criteri giuridici in astratto del tutto esatti, l'accertamento della effettiva sussistenza dei relativi presupposti involge una questione di fatto che dovrà essere esaminata e decisa dal giudice investito dalla competenza giurisdizionale.
10. Dichiara, pertanto, la giurisdizione della Corte dei conti essendo stati commessi i fatti, di cui all'atto di citazione, successivamente all'entrata in vigore dell'art. 1, primo comma, l. 20/1994 e successive modifiche che non deve provvedersi sulle spese del presente procedimento, essendo, il resistente vittorioso, parte di esso in senso soltanto formale.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, dichiara la giurisdizione della Corte dei conti.
 
 
 

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