Giurisprudenza - Enti locali

Consiglio di Stato, sezione V, sentenza del 24 ottobre 2000 n. 5698,sula ripartizione di competenza tra Comuni e Autorità di Pubblica Sicurezza in materia di polizia amministrativa per la sospensione della licenza per  pubblici trattenimenti  

REPUBBLICA ITALIANA   
         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO   
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello nr. 456/95, proposto dal
 Comune di Genova, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pasquale Germani ed Enrico Romanelli, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, n. 5, presso lo studio di quest’ultimo;
CONTRO
 la s.r.l. Rainbow, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita.
per la riforma

della sentenza n.125/94 del T.A.R. Liguria, sezione seconda, del 14 marzo 1994.
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 Visti gli atti tutti della causa;
 All’udienza pubblica del 13 giugno 2000, relatore il consigliere Fabio Cintioli, udito l’avv. Romanelli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
FATTO
 Con il ricorso di primo grado la s.r.l. Rainbow ha impugnato il provvedimento n. 741 del 9.6.1989, con cui il Sindaco del Comune di Genova ha sospeso per dieci giorni gli effetti della licenza per trattenimenti danzanti relativa alla discoteca “New Paips”, sita in via Oberdan, n.211/a.
 Il T.A.R. ha accolto il ricorso ed annullato l’atto impugnato.
 Ha proposto appello il Comune di Genova, con il quale ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, venga rigettato il ricorso di primo grado.
 La s.r.l. Rainbow non si è costituita.
 Nel corso dell’udienza pubblica del 13 giugno 2000 la causa è stata posta in discussione.
DIRITTO
1. Il provvedimento impugnato ha sospeso, per la durata di dieci giorni, la licenza per trattenimenti danzanti utilizzata dalla società Rainbow s.r.l., a seguito di un sopralluogo della polizia municipale che aveva accertato la presenza nel locale di un numero di persone superiore a quello massimo consentito (pari a 200).
 Il Tribunale ha annullato l’atto sindacale per violazione dell’art.19, comma 4, del d.P.R. 24.7.1977, n. 616, ai sensi del quale il rilascio della licenza per pubblici trattenimenti dev’essere preceduto dalla comunicazione al prefetto e la relativa sospensione, annullamento o revoca deve rispettivamente avvenire per motivata richiesta dello stesso prefetto.
 In particolare, secondo il giudice di prime cure la temporanea chiusura del locale era stata imposta da una situazione di pericolo per la pubblica incolumità, così come testualmente riportata nell’ordinanza sindacale, collegata ad una più generale esigenza di pubblica sicurezza. L’autorità competente a valutare siffatta esigenza si sarebbe dovuta individuare proprio nel prefetto, cui il predetto articolo 19, del d.P.R. n.616 del 1977, demanda le opportune determinazioni preliminari. La totale estraneità alla procedura osservata dal Comune di ogni intervento del prefetto avrebbe, a parere del Tribunale, reso invalido il provvedimento finale per violazione di legge. Né sarebbe sufficiente ad escluderne l’illegittimità il richiamo all’art. 10 del r.d. 18.6.1931, n.773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), giacché l’abuso dell’autorizzazione comunale in questo specifico caso si sarebbe accompagnato a situazioni tali da coinvolgere le finalità preventive dell’attività di sicurezza pubblica.
2. L’appellante Comune censura gli argomenti utilizzati dal Tribunale, sostenendo la perfetta compatibilità del procedimento seguito con le disposizioni di legge. Secondo l’amministrazione, in specie, l’irrogata sospensione non è attratta nei provvedimenti di pubblica sicurezza, ma rimane di competenza comunale, essendo imperniata sull’accertata violazione delle prescrizioni impartite nell’autorizzazione per la conduzione dell’esercizio. Nessuna ingerenza, dunque, nella materia rimessa alla competenza statale, ma solo l’ordinaria esplicazione dei compiti di polizia amministrativa spettanti all’ente locale.
3. L’appello è fondato.
 L’art. 19, comma 4, del d.P.R. n.616 del 1977 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt.5 e 128 della Costituzione, nella parte in cui non limita i poteri di intervento del prefetto ed il loro effetto vincolante ai soli casi in cui debbano fronteggiarsi esigenze di pubblica sicurezza (v. Corte Costituzionale 27 marzo 1987, n.77; nel senso della superfluità del parere prefettizio in caso di diniego di licenza amministrativa v., anche, Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 1991, n.893).
 Il giudice delle leggi ha chiarito che seguito del trasferimento di funzioni disposto dal d.P.R. n. 616 del 1977 le funzioni di pubblica sicurezza rimangono separate dalle funzioni di polizia amministrativa, devolute alla competenza comunale.
 Pur se entrambe rientranti nella generale nozione di amministrazione di polizia, la polizia di sicurezza e la polizia amministrativa comunale restano distinte per oggetto e per finalità: la prima è improntata ad una peculiare funzione preventiva, si collega a situazioni suscettibili di recare grave pregiudizio alla pubblica incolumità e si traduce nell’esercizio di poteri che la legge delega ha riservato allo Stato e che spesso si attuano con determinazioni contingibili ed urgenti e tali da coinvolgere un numero molto vasto di destinatari; la seconda è diretta emanazione delle competenze comunali per il rilascio di provvedimenti abilitativi ai privati ed è strumentale al rispetto dei limiti caso per caso imposti ai singoli operatori, di regola con finalità “specialpreventive”.
 La ratio dell’art.19, comma 4, del d.P.R. n.616 del 1977, dunque, è quella di riservare all’autorità prefettizia un ambito di intervento del tutto eccezionale, coincidente con quelle speciali situazioni nelle quali emergono effettive esigenze di pubblica sicurezza. Quando, invece, la violazione di norme regolamentari o delle singole prescrizioni inserite nelle autorizzazioni abbia creato una situazione di illegittimità e di connesso pericolo, sarà la funzione comunale di polizia amministrativa (alla quale è significativamente intitolato l’articolo 19 citato) a trovare spazio, per prevenire le possibili conseguenze lesive e per ripristinare la legalità violata.
 Il provvedimento impugnato è espressione dei poteri di polizia amministrativa e non partecipa della funzione di pubblica sicurezza. Sicché non era necessaria né la richiesta né l’audizione del prefetto.
 L’irrogazione della sospensione temporanea è stata la conseguenza di un accertamento della violazione di una prescrizione specifica dell’autorizzazione comunale: quella sul numero massimo di persone ammesse nel locale. L’intervento preventivo è, dunque, funzionalmente collegato alla concreta inosservanza del titolo abilitante e si inquadra in un’attività di controllo che, per l’entità del pericolo e per la gravità della situazione, è tipicamente ascrivibile alla polizia amministrativa dei Comuni. Non è dato apprezzare, in breve, quel carattere di eccezionalità che contraddistingue e giustifica la polizia di sicurezza.
 Né il provvedimento sindacale appare contraddittorio nella sua motivazione, giacché il richiamo ad una situazione di pericolo per la pubblica incolumità è comunque derivante dalla violazione amministrativa ed è accertato in via di tendenziale automatismo, quale conseguenza della “specialità” della trasgressione realizzata dal privato. Esso, inoltre, richiama opportunamente l’art. 10 del citato r.d. n.773 del 1931, ai sensi del quale l’autorizzazione di polizia può essere sospesa in caso di abuso da parte del suo titolare.
4. Ne segue l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto del ricorso di primo grado.
 Poiché soccombente, la società appellata è condannata a rimborsare al Comune appellante le spese processuali dei due gradi del giudizio, che liquida in dispositivo.
P.  Q.  M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, definitivamente pronunziando, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.
 Condanna la società appellata a rimborsare al Comune appellante le spese processuali dei due gradi del giudizio, che liquida in complessive lire 5.000.000 (cinquemilioni).
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 giugno 2000, con l’intervento dei signori:
 Giovanni Paleologo Presidente
 Corrado Allegretta  Consigliere
 Marcello Borioni  Consigliere
 Aldo Fera   Consigliere
 Fabio Cintioli  Consigliere relatore-estensore
 
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