Giurisprudenza - Enti locali

Consiglio di Stato, sez.  , sent. n. 1893 del 2 aprile 2001, sui limiti del diritto di accesso dei consiglieri comunali ai pareri legali richiesti dall’Amministrazione

  REPUBBLICA ITALIANA          
     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO         
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale   Quinta  Sezione           
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9686/2000 proposto da Piergiorgio Chiera, rappresentato e difeso dall’Avv. Isabella Stoppani ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, Via Brenta, n. 2.
CONTRO
il Comune di Limone Piemonte, non costituito in giudizio.
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Prima Sezione, 27 luglio 2000, n. 873.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla camera di consiglio del 19 dicembre 2000, il Consigliere Marco Lipari;
Udito l’Avvocato Stoppani;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante, consigliere comunale di Limone Piemonte, per l’annullamento della nota 24 marzo 2000, comunicata in data 23 maggio 2000, con cui il responsabile dell’area amministrativa del Comune aveva negato l’accesso ai documenti amministrativi indicati dal richiedente.
L’appellante ripropone le censure disattese dal tribunale.
L’amministrazione, pur ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio, ma ha trasmesso una relazione illustrativa.
DIRITTO
1 L’appellante, ricorrente in primo grado, è consigliere comunale di minoranza nel comune di Limone Piemonte. In tale qualità, con istanza del 22 maggio 2000, chiedeva di conoscere la documentazione relativa al contenzioso tra l’amministrazione comunale e la società CO.GE.IM s.r.l., riguardante la costruzione del Palazzo del Ghiaccio e dell’annesso centro sportivo polivalente. In particolare, con tale istanza, l’appellante richiedeva “copia del provvedimento con il quale venivano segretati gli atti pervenuti dall’Avvocatura dello Stato”.
2 Il vice segretario comunale, responsabile dell’area amministrativa, con nota del 23 maggio 2000, n. 2784, comunicava il provvedimento adottato in data 24 marzo 2000. Con tale atto, l’amministrazione, “messo in rilievo che col provvedimento presente ci si avvale della facoltà concessa dal comma 6 dell’art. 24 della legge n. 241/1990”, stabiliva che:
“l’accesso al parere dell’Avvocatura dello Stato, espresso per il tramite della Prefettura di Cuneo, del 28/2/2000 prot. n. 713, sia differito sino alla conclusione della causa giudiziale intentata dal comune di Limone Piemonte, con delibera di giunta comunale n. 73 del 20 marzo 2000;
il differimento dovrà operare sia nei confronti di terzi che nei confronti dei consiglieri comunali”.
3 Con la sentenza appellata, il tribunale ha respinto il ricorso proposto dall’interessato contro la determinazione comunale, in quanto “l’interessato non ha chiarito uno dei presupposti della situazione soggettiva per la quale chiede tutela”. Secondo i giudici di primo grado, “la norma richiede infatti che l’accesso venga esercitato per la tutela di un interesse giuridicamente rilevante. (…) La dottrina e la giurisprudenza che vanno condivise hanno interpretato la disposizione nel senso che l’interesse deve attenere ad una posizione tutelabile in giudizio, ovvero in un procedimento amministrativo; nella specie il ricorrente chiede l’accesso per l’esplicazione di una funzione diversa.”
4 La tesi argomentativa sostenuta dalla decisione impugnata non può essere condivisa.
La Sezione ha costantemente sottolineato la peculiarità della posizione del consigliere comunale richiedente l’accesso ai documenti amministrativi, che trova titolo nell’articolo 31 della legge n. 142/1990, ora trasfuso nell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.
Al riguardo, è utile ricordare che già l’articolo 24 della legge n. 816 del 1985 aveva riconosciuto la specificità dell’interesse dei componenti delle assemblee elettive locali alla conoscenza dei documenti amministrativi, disponendo la seguente disciplina: “i consiglieri comunali, i consiglieri provinciali e i componenti delle assemblee delle unità sanitarie locali e delle comunità montane, per l’effettivo esercizio delle loro funzioni hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all’esercizio del mandato”. 
Successivamente, l’articolo 31, comma 5, della legge n. 142 del 1990 (poi riprodotto nel testo unico), ha riconosciuto ai consiglieri comunali e provinciali, in modo ancora più puntuale, “il diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
5 In materia, questo Consiglio ha chiarito quanto segue.
a) Il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze amministrative del Consiglio comunale ma, essendo riferito all’espletamento del mandato, investe l’esercizio del munus di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’Amministrazione comunale (Sez. V, 21 febbraio 1994, n. 119). Il diritto del consigliere comunale di ottenere tutte le notizie e le informazioni in possesso degli uffici comunali "utili all'espletamento del proprio mandato", previsto dall'art. 31 comma 5 della l. 8 giugno 1990 n. 142, fornisce una veste particolarmente qualificata all'interesse all'accesso del titolare di tale funzione pubblica, che legittima l'interessato all'esame ed all'estrazione di copia dei documenti che contengono le predette notizie ed informazioni. Tali facoltà spettano infatti a qualunque cittadino che vanti un interesse qualificato e sono, a maggior ragione, contenute nella più ampia e qualificata posizione di pretesa all'informazione spettante ratione officii al consigliere comunale.
b) Il consigliere che esercita tale diritto non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, “né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo per richiederli perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l’estensione  del controllo sul loro operato” (Sez. V, 7 maggio 1996, n. 528).
In virtù del combinato disposto dell'art. 24 l. 27 dicembre 1985 n. 816 e dell'art. 31 comma 5 l. 8 giugno 1990 n. 142, i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto d'ottenere dagli enti d'appartenenza, dalle loro aziende e dagli enti dipendenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del loro mandato elettivo - anche mercè il rilascio di copia dei documenti richiesti secondo le procedure d'accesso ex l. 7 agosto 1990 n. 241 -, senza necessità di specificare i motivi della richiesta, nè l'interesse sotteso come ogni altro privato cittadino, in caso contrario pervenendosi alla paradossale situazione per cui gli organi di governo dell'ente sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'estensione del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, Sez. V, 22 febbraio 2000, n. 940).
c) Le due norme citate, infine, “si integrano a vicenda nell’intento di assicurare ai consiglieri comunali la possibilità di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere dall’ente tutte le informazioni che siano utili all’espletamento del mandato, senza alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, dal momento che essi pure sono vincolati all’osservanza del segreto nei casi specificati dalla legge. Tale facoltà va ora integrata con le disposizioni sul diritto di accesso recate dal capo quinto della legge n. 241/1990, in cui è prevista espressamente la possibilità di ottenere copia dei documenti” (Sez. V, 20 febbraio 2000, n. 940; cfr. anche Sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2045).
6 Su tale normativa si è anche pronunciato il Garante per la protezione dei dati personali (il 20 maggio 1998) affermando, in particolare, che:
a) la legge n. 675 del 1996 non ha apportato modifiche al citato articolo 31, comma 5, della legge n. 142 del 1990, “in quanto il principio di trasparenza affermato da tale disposizione è compatibile con le nuove norme in materia di protezione dei dati personali (art. 43, comma 2)”, e dovendosi considerare il suddetto articolo 31 “una delle disposizioni che secondo l’articolo 27 della legge n. 675 del 1996 permettono di trattare dati ed informazioni per il perseguimento di finalità istituzionali”;
b) tale generale diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili per l’esercizio del mandato e ai fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto “nei casi espressamente determinati dalla legge”, e “i divieti di divulgazione dei dati personali (si pensi ad esempio all’art. 23, comma 4, della legge n. 675 del 1996, che vieta, salvo casi specifici, la diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute)”.
7 Il riconoscimento della speciale protezione della posizione del consigliere comunale, poi, è riconosciuta anche dal giudice penale e dalla magistratura contabile. Il diritto del consigliere comunale di ottenere dal comune tutte le notizie e le informazioni in possesso dell'ente medesimo ed utili all'espletamento del proprio mandato, riconosciuto dall'art. 31 comma 5 l. n. 142 del 1990, trova come corrispondente il dovere dell'ente territoriale di porre in essere le condizioni perchè venga concretamente esercitato, senza incontrare ostacoli o atteggiamenti ostruzionistici, sicchè un eventuale rifiuto, motivato in modo apparentemente legittimo, ma, in sostanza, specioso o pretestuoso, non può che risolversi in illegittima manifestazione dell'attività amministrativa. (Fattispecie nella quale è stato impedito ad un consigliere comunale di prendere visione degli atti di giunta) (Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 1997, n. 4952).
L'illegittimo diniego di accesso opposto dal sindaco al consigliere comunale integra, dato il chiaro ed inequivocabile disposto normativo in materia, un comportamento caratterizzato da colpa grave; sussiste, pertanto, responsabilità amministrativa in capo al sindaco qualora dal predetto diniego sia derivata la condanna del Comune al pagamento delle relative spese di giudizio (C. Conti, regione Umbria, sez. Giurisdiz., 5 giugno 1997, n. 284).
8 Riconosciuta l’esistenza di un preciso interesse in capo all’appellante alla conoscenza dei documenti oggetto della richiesta, si tratta di stabilire se è legittima, o meno la determinazione di differimento dell’accesso, motivata con riferimento al collegamento dei documenti con una controversia giudiziaria in atto.
In linea generale, l’articolo 7 della legge 8 giugno 1990 n. 142 e gli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241 riconoscono il diritto di accesso ai documenti amministrativi a tutti i soggetti interessati alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante.
L’articolo 22 della legge n. 241/1990 individua, poi, un concetto ampio di documento amministrativo, comprensivo anche degli atti provenienti da soggetti diversi dalla stessa amministrazione. L’Adunanza Plenaria, con le decisioni n. 4 e 5 del 1999, ha chiarito che la disciplina dell’accesso si estende anche agli atti di diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura dell’amministrazione.
Peraltro, la normativa di rango statale, pur affermando l’ampia portata della regola, la quale rappresenta la coerente applicazione del principio di trasparenza, che governa i rapporti tra amministrazione e cittadini, introduce alcune limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in cui determinate categorie di documenti sono sottratte all’accesso, in ragione del loro particolare collegamento con interessi e valori giuridici protetti dall’ordinamento in modo differenziato.
9 In particolare, l’articolo 7 della legge n. 142/1990, pur affermando il principio della pubblicità degli atti comunali, introduce una rilevante eccezione, riferita ai “documenti riservati per espressa indicazione di legge”. Dunque, nello stesso ambito delle amministrazioni locali, pure caratterizzato da un accentuato livello di trasparenza, legato, fra l’altro, alle dinamiche partecipative della comunità autoamministrata, l’accessibilità ai documenti amministrativi non è indiscriminata, ma è sottoposta ad alcune puntuali limitazioni di ordine oggettivo.
10 Il principio è espresso, in modo coerente, ed in un ambito più generale, dall’art. 24 della legge n. 241/1990, il quale stabilisce che il diritto di accesso “è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento”.
Il significato della disposizione è chiaro: la legge n. 241/1990 (e, in generale, la normativa sull’accesso specificamente dedicata agli enti locali) ridimensiona la portata sistematica del segreto amministrativo, il quale, ora, non esprime più un principio generale dell’agire dei pubblici poteri, ma rappresenta un’eccezione al canone della trasparenza, rigorosamente circoscritta ai soli casi in cui viene in evidenza la necessità obiettiva di tutelare particolari e delicati settori dell’amministrazione.
Ma l’innovazione legislativa, per quanto radicale, non travolge le diverse ipotesi di segreti, previsti dall’ordinamento, finalizzati a tutelare interessi specifici, diversi da quello, riconducibile, secondo l’impostazione più tradizionale, alla mera protezione dell’esercizio della funzione amministrativa.
In tali eventualità, i documenti, seppure formati o detenuti dall’amministrazione, non sono suscettibili di divulgazione, perché il principio di trasparenza cede (o, quanto meno, viene circoscritto sul piano oggettivo o temporale) a fronte dell’esigenza di salvaguardare l’interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, quindi, la facoltà di differimento dell’accesso non è limitata soltanto alle esigenze di tutelare la riservatezza, ma concerne anche altre ipotesi di segreto, comunque previste dall’ordinamento.
11 L’esatta delimitazione delle discipline sul segreto non travolte dalla nuova normativa in materia di accesso ai documenti talvolta può risultare disagevole. Al riguardo, peraltro, possono indicarsi due criteri direttivi:
a) il “segreto” che impedisce l’accesso ai documenti non deve costituire la mera riaffermazione del tramontato principio di assoluta riservatezza dell’azione amministrativa;
b) il segreto fatto salvo dalla legge n. 241/1990 deve riferirsi esclusivamente ad ipotesi in cui esso mira a salvaguardare interessi di natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi.
12 Sulla base di queste indicazioni ermeneutiche, è possibile affermare che, nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione. 
Si tratta, infatti, di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale.
Sul piano sistematico è poi utile richiamare la previsione contenuta nell’articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio 26 gennaio 1996, n. 200 (regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso). La norma mira proprio a definire con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto professionale, fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, anche al di fuori dell’ambito della difesa erariale.
La disposizione, rubricata “categorie di documenti inaccessibili nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento”, stabilisce che, “ai sensi dell’art. 24, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)”.
La giurisprudenza ha chiarito che detta regola ha una portata generale, codificando il principio, valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV, 27 agosto 1998, n. 1137). Detta pronuncia ha escluso che il diritto di accesso dell’interessato possa estendersi ai documenti formati dall’Avvocatura generale dello Stato ed indirizzati alla SACE-gestione assicurativa del commercio estero, sottolineando la loro concreta connessione con una lite in corso.
Il principio espresso dalla decisione citata e ricavato dal D.P.C.M. n. 200/1996 risponde, del resto, ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
13 Al riguardo è peraltro necessaria una puntualizzazione.
L’amministrazione può ricorrere alle consulenze legali esterne in diverse forme ed in diversi momenti dell’attività amministrativa di sua competenza. Le differenze tra i vari contesti si riflette anche sulla disciplina dell’accesso ai documenti.
Può verificarsi, in primo luogo, l’ipotesi in cui il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale. In tale eventualità, il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell’atto finale. Ne deriva che, in detta eventualità, la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetto all’accesso, perché oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo.
14 Una seconda ipotesi è invece quella in cui, dopo l’avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di raporto di lavoro, l’amministrazione si rivolga ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva (accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.).
In detta eventualità, il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per tutelare i propri interessi. Ne deriva che, in questo caso, le consulenze legali restano caratterizzate dalla nota di riservatezza, che mira a tutelare non solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell’amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.
15 Si può profilare, ancora, un terzo gruppo di ipotesi, nelle quali la richiesta della consulenza legale interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso.
Anche in casi di questo genere, il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive, in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale. Ciò avviene, in particolare, quando il soggetto interessato chiede all’amministrazione l’adempimento di una obbligazione, o quando, in linea più generale, la parte interessata domanda all’amministrazione l’adozione di comportamenti materiali, giuridici o provvedimentali, intesi a porre rimedio ad una situazione che si assume illegittima od illecita.
Con riguardo alla fattispecie in esame, il collegio osserva che la pendenza della lite rende palese l’esigenza di garantire il segreto, proprio perché il parere dell’Avvocatura pare rivolto a delineare la condotta processuale più conveniente per l’amministrazione, anche nella prospettiva eventuale di una transazione (ipotizzata negli atti depositati in giudizio).
16 Va precisato, poi, che la prevalenza del segreto professionale si manifesta con pienezza anche in relazione alle amministrazioni locali e nei riguardi delle richieste formulate dai consiglieri comunali.
Anche prescindendo dall’esame approfondito del delicato problema del coordinamento tra la legge n. 142/1990, la legge n. 241/1990 ed il decreto legislativo n. 267/2000, emerge una sostanziale coerenza dell’ordinamento, il quale afferma comunque l’esistenza di eccezioni al principio di trasparenza, direttamente desumibili da specifiche disposizioni legislative.
17 È anche possibile ritenere che nelle amministrazioni locali l’accesso ai documenti presenti un raggio di operatività complessivamente più ampio, quanto meno con riferimento alle istanze presentate dai cittadini elettori del comune o della provincia, ma nessun argomento sistematico od esegetico consente di affermare che la portata del segreto professionale possa assumere consistenza diversa, a seconda del tipo di amministrazione considerato.
18 Con riguardo alla posizione specifica dei consiglieri comunali, occorre chiarire la portata della espressione normativa “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge” (articolo 43, comma 2 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267). La norma, per la sua collocazione sistematica e per il suo significato letterale, intende ribadire la regola secondo cui, lecitamente acquisite e le informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione normativa.
In tale prospettiva si spiega, coerentemente, il rapporto tra la disciplina sulla protezione dei dati personali e la pretesa all’accesso del consigliere comunale. Questi è legittimato ad acquisire le notizie ed i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché, di norma, tale attività costituisce “trattamento” autorizzato da specifica disposizione legislativa (legge n. 675/1996; decreto legislativo n. 135/1999), secondo le regole integrative fissate dalle determinazioni ed autorizzazioni generali del Garante e dagli atti organizzativi delle singole amministrazioni.
Ma il consigliere comunale non può comunicare a terzi i dati personali (in particolare quelli sensibili) se non ricorrono le condizioni indicate dalla normativa in materia di tutela della riservatezza.
Questi principi sono alla base della decisione n. 940/2000 della Sezione, la quale ammette l’accesso del consigliere comunale anche nei casi in cui esso incide sulla riservatezza dei terzi, senza affrontare la diversa questione dell’accesso ai documenti coperti dal segreto, per la tutela di diversi interessi.
19 Non è plausibile, invece, la tesi secondo cui il consigliere comunale, in tale veste, potrebbe accedere a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie.
In tal modo, l’accesso ai documenti del consigliere comunale, ritenuto prevalente anche sul segreto professionale, assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale). Il mandato politico-amministrativo affidato al consigliere esprime certamente il principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, ma, nell’attuale contesto normativo, non può autorizzare un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati alla conoscenza dei documenti amministrativi e con sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.
In senso contrario, non potrebbe assumere rilievo la complessa ed articolata disciplina riguardante l’attività di sindacato ispettivo svolta dal Parlamento nazionale nei confronti del governo, e, in generale, la funzione conoscitiva esercitata dalle Camere nei riguardi di materie giudicate di particolare rilievo. In tal senso, si possono indicare le disposizioni contenute negli articoli 143, commi 1 e 2, del regolamento della Camera dei deputati e l’articolo 46, commi 1 e 2, del regolamento del Senato. Dette disposizioni prevedono la richiesta a ministri e rappresentanti del Governo volta ad ottenere ufficialmente la trasmissione di “informazioni, notizie e documenti” utili all’attività delle commissioni parlamentari, o la relazione, eventualmente anche scritta, circa l’attuazione e la esecuzione data a leggi, mozioni, risoluzioni ed ordini del giorno approvati dalle Camere.
Dette norme:
a) sono contenute in disposizioni di rango almeno pari alla fonte legislativa ed esprimono la particolare posizione costituzionale del Parlamento;
b) attribuiscono il potere di “accesso” ai documenti non al singolo parlamentare di minoranza, ma all’organo collegiale, secondo le procedure autonomamente stabilite da ciascun ramo del Parlamento;
c) stabiliscono che la violazione dell’obbligo di comunicare le notizie richieste è fonte di responsabilità politica del Governo, ma non pare suscettibile di riparazione coattiva, secondo modalità analoghe a quelle previste dall’articolo 25 della legge n. 241/1990.
Dunque, la circostanza che, anche in ambito parlamentare, l’interesse all’accesso non è protetto in modo generalizzato ed indifferenziato induce a ritenere coerente la previsione di alcune circoscritte limitazioni del diritto di accesso spettante al consigliere comunale o provinciale.
20 Non si può trascurare, poi, che, nella presente vicenda, la salvaguardia del segreto si connette anche alla specifica disciplina prevista dal regolamento dell’Avvocatura generale dello Stato, in materia di accesso. La richiesta del consigliere, incidendo su documenti formati da un’amministrazione diversa da quella locale di appartenenza, incontra i limiti previsti dalla disciplina fissata in tale ambito. Non è un caso, del resto, che numerosi regolamenti individuano come esplicito caso di esclusione dall’accesso la circostanza che il documento, utilizzato nel procedimento amministrativo, ma formato da un altro soggetto pubblico, è da quest’ultimo sottratto all’accesso.
21 Ciò chiarito, nella presente fattispecie il differimento dell’accesso riguarda il solo parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato in relazione ad una lite ancora non definita, ed alle possibilità di una soluzione di carattere transattivo. Pertanto, si tratta, di una determinazione conforme all’assetto normativo che tutela il segreto professionale, anche nei riguardi delle pretese all’accesso formulate dai consiglieri comunali.
22 L’infondatezza sostanziale della pretesa all’accesso relativa a documenti coperti dal segreto professionale rende superfluo l’esame approfondito della ritualità del ricorso di primo grado, non notificato all’Avvocatura dello Stato, soggetto pubblico autore degli atti richiesti e titolare dell’interesse al segreto. In tale duplice veste, l’Avvocatura dovrebbe assumere la posizione di contraddittore necessario nel presente giudizio, con la conseguente inammissibilità del ricorso di primo grado.
23 In definitiva, quindi, l'appello deve essere respinto. Ne consegue la conferma della sentenza impugnata, con motivazioni diverse da quelle enunciate dalla pronuncia del tribunale.
Nulla va disposto in ordine alle spese di lite, non essendosi la parte appellata costituita in giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello;
nulla per le spese;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre 2000, con l'intervento dei signori:
RAFFAELE IANNOTTA  - Presidente
PIERGIORGIO TROVATO   - Consigliere
ALDO FERA     - Consigliere
CLAUDIO MARCHITIELLO   - Consigliere
MARCO LIPARI    - Consigliere Estensore
L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE
F.to MARCO LIPARI    F.to RAFFAELE IANNOTTA
 
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