Giurisprudenza - Enti locali

Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 2428 del 23 aprile 2001, sull’indennità di funzione dirigenziale nei Comuni

  REPUBBLICA ITALIANA    
     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO   
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione   
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello sub 4365/95,  proposto  dai sig.ri Gianna Rosa VANDI, Sergio URBINATI, Laura MASSARI, Raimondo CARLINI, Carlo COPIOLI, Maurizio MONTANARI, Maria Teresa BRUSCHI, Federico PLACUCCI,  tutti  rapppresentati e difesi dall’avv. Fabio Lorenzoni e presso il medesimo elettivamente domiciliati in Roma,  Via Alessandria n. 130;      
                                             contro
 il Comune di Rimini,  in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso  dagli avv.ti Wilma Marina Bernardi e Alberto Arcangeli, e con i medesimi elettivamente domiciliato in Roma,  presso lo studio dell’avv. Maria Laura di Muzio, via Val Padana 133;
                                     per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sez. Seconda n. 550 del 12 dicembre 1994;                 
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
     Relatore  alla pubblica udienza del 2 febbraio 2001 il consigliere  Vincenzo A. Borea, uditi  l’avv. Lorenzoni  per l’appellante e l’avv. Arcangeli per l’appellato;
      Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso innanzi al TAR per l’Emilia-Romagna gli odierni appellanti, nella loro veste di funzionari dirigenti f.f., con incarico formale, in servizio presso il Comune di Rimini, da un lato impugnavano una delibera di attribuzione nei loro confronti della indennità di funzione dirigenziale di cui all’art. 38 D.P.R. n. 333/90 nella parte in cui la decorrenza è fissata dal 15 giugno 1992, data di entrata in vigore dello Statuto del Comune, e, da un altro lato, chiedevano il riconoscimento del diritto alla suddetta indennità di funzione a far tempo dalla effettiva assunzione dell’incarico di mansioni dirigenziali.
Il TAR peraltro dichiarava il ricorso irricevibile, per mancata tempestiva impugnazione della delibera di cui sopra, nell’assunto che la pretesa al trattamento economico proprio delle mansioni superiori svolte attiene a interessi legittimi e non a diritti.
Insorgono in appello gli interessati (tutti gli originari ricorrenti tranne uno, Giuseppe Ravagli, che non risulta nell’atto d’appello) contestando la pronuncia di irricevibilità e insistendo nel merito  per l’accoglimento del ricorso.        
                                       DIRITTO 
A ragione, in primo luogo, gli appellanti si dolgono del fatto che i primi giudici abbiano ritenuto irricevibile per tardività il ricorso dai medesimi proposto in primo grado avverso una delibera  con la quale, dandosi atto che gli interessati erano da tempo formalmente incaricati di funzioni dirigenziali presso il Comune di Rimini, si era stabilito di attribuire loro l’indennità di funzione dirigenziale ex art. 38 D.P.R. 3 agosto 1990 n. 333 non già, come preteso, dal 1° ottobre 1990 o dal momento di assunzione dei relativi incarichi, se successivo, bensì soltanto dal 14 giugno 1992, data di approvazione dello statuto comunale.
Va precisato peraltro che alla cennata conclusione favorevole sul punto agli appellanti non si può pervenire in forza della natura della situazione giuridica fatta valere in via principale, che si assume essere di diritto soggettivo e quindi azionabile entro il normale termine prescrizionale. E’ sufficiente in proposito ricordare che agli interessati, in quanto, come si è detto, formalmente incaricati, con varie decorrenze, di funzioni dirigenziali, spettava di diritto, in base all’art. 41 del R.O.P., soltanto un compenso, pacificamente riconosciuto,  pari alla differenza tra il proprio stipendio base e quello del posto in via di incarico occupato, ma non anche l’indennità di funzione dirigenziale prevista dall’art. 38 D.P.R. n. 333/90 cit., che riguarda i soli funzionari in possesso della qualifica dirigenziale e che per di più ogni amministrazione ha il potere discrezionale di quantificare, nell’ambito di una forbice assai ampia che va dal 10% al 100% dello stipendio iniziale.    
Il motivo d’appello è comunque fondato perché gli interessati, in subordine, si erano azionati anche nella normale via impugnatoria, e giustamente ora rilevano che il normale termine decadenziale per ricorrere avverso atti amministrativi non può essere fatto decorrere dalla data di pubblicazione o di esecutività dell’atto impugnato nel caso in cui gli interessati siano direttamente contemplati, con conseguente necessità della notifica o comunicazione ai fini della decorrenza dei termini (cfr., sul punto, tra le tante, C.d.S., V Sez., 15 settembre 1999 n. 1076 e 11 maggio 1998 n. 543; IV Sez., 29 settembre 1997 n. 1029 e 20 maggio 1996 n. 625). Né in contrario può essere seguito il Comune resistente ove questo sottilmente tenta di dimostrare che nella specie la delibera impugnata si scinderebbe  in realtà in due distinti provvedimenti: ad un primo, di contenuto regolamentare ed impersonale, in ordine alle modalità e ai tempi di concessione della indennità di funzione agli aventi titolo, contrapponendosene un secondo, del primo meramente esecutivo, contenente i nominativi degli interessati. 
Precisato che, naturalmente, da tale scissione si deduce che la prima parte della delibera avrebbe dovuto essere impugnata entro 60 giorni dalla pubblicazione, è sufficiente osservare in contrario che la giurisprudenza sopra richiamata non impone la espressa contemplazione nell’atto dei nominativi degli interessati, essendone sufficiente la agevole individuazione sulla base delle statuizioni contenute nell’atto medesimo: il che è quanto avviene nella fattispecie, riguardando la determinazione assunta un esiguo numero di dipendenti, anche a prescindere dal fatto che i nominativi sono poi, in concreto, nella seconda parte, indicati. 
Tutto ciò premesso, poiché gli appellanti affermano, incontestatamente, di aver avuto copia della delibera impugnata (che risale all’aprile 1993) soltanto nel luglio successivo, erroneamente i primi giudici hanno ritenuto irricevibile per tardività il ricorso, notificato il 27 settembre 1993.
Nel merito è fondata la censura, dedotta in primo grado e riprodotta in appello, secondo la quale appare priva di congrua giustificazione la determinazione della P.A. di corrispondere agli interessati l’indennità di funzione dirigenziale di cui all’art. 38 D.P.R. n. 333/90, negli importi in precedenza  prefissati, con decorrenza dal 15 giugno 1992 anziché dal 1° ottobre 1990, come dispone l’ultimo comma del suddetto art. 38, ovvero dal momento del diverso, successivo inizio di svolgimento delle relative funzioni. Ragionevolmente infatti si rileva che la norma suddetta pone come unica condizione l’effettivo esercizio della funzione stessa, e che nessuna particolare rilevanza poteva essere attribuita, ai fini della decorrenza de qua,  all’entrata in vigore dello Statuto Comunale, il quale, nel prevedere le responsabilità dirigenziali (art. 23) non innova sul punto, dato che competenze e responsabilità dei dirigenti erano già  compiutamente individuate da norme di legge e regolamento al momento di entrata in vigore del D.P.R. n. 333/90 cit. (cfr. all. A. al D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347, che contiene una disciplina specifica e di dettaglio delle attribuzioni e delle responsabilità dei dirigenti degli enti locali). 
Ciò posto, considerato che è la stessa delibera impugnata ad ammettere che lo svolgimento di funzioni dirigenziali comporta assunzione totale della funzione dirigenziale, risulta in sostanza immotivata la ragione per la quale  la decorrenza  della relativa indennità, una volta che questa venga discrezionalmente attribuita agli interessati nella loro veste di incaricati dello svolgimento delle funzioni stesse, non debba coincidere con il termine voluto dalla norma (1° ottobre 1990), ovvero con la eventualmente successiva data di assunzione delle funzioni.
In conclusione l’appello deve essere accolto, per le ragioni  suindicate.
   Sussistono tuttavia validi motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
                                         P.Q.M.
     Il Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), definitivamente pronunciando:
     Accoglie l’appello proposto dalla sig.ra Gianna Rosa Vandi e dagli altri indicati in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla in parte qua il provvedimento impugnato in primo grado.
     Compensa tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
     Ordina che la presente decisione sia eseguita  dalla Autorità Amministrativa.
     Così deciso in  Roma, addì  2 febbraio 2001, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), riunito in Camera di Consiglio  con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pasquale de Lise                                  - Presidente
Stefano Baccarini                                - Consigliere
Piergiorgio Trovato                             - Consigliere
Aldo Fera                                            - Consigliere 
Vincenzo Borea                                  - Consigliere est.
 
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