Corte Costituzionale, sent. n. 351 del 25 luglio 2000, sulla legittimità
costituzionale della riduzione dell’indennità di esproprio al minor
valore risultante dall’ultima dichiarazione fiscale ai fini ICI
  
                                   
SENTENZA
 nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma
1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art.
4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
 promossi con ordinanze emesse rispettivamente il 18 dicembre 1998 dalla
Corte d'appello di Trieste nel
 procedimento civile vertente tra Fabris Palma Maria Liliana e il Comune
di Lestizza, iscritta al n. 258 del
 registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 19, prima serie speciale,
 dell'anno 1999 e il 15 aprile 1999 dalla Corte d'appello di Genova,
nel procedimento civile vertente tra la
 Ditta "Antonio Cortesia" in concordato preventivo e il Comune di La
Spezia ed altra, iscritta al n. 374 del
 registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 27, prima serie speciale,
 dell'anno 1999.
 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
 udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il Giudice relatore
Riccardo Chieppa.
                                  
Ritenuto in fatto
 1.- Nel corso di un giudizio di opposizione a stima di indennità
di espropriazione, promosso
 dall'espropriato, la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza 18 dicembre
1998 (r.o. 258 del 1999), ha
 sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.
16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre
 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma
dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992,
 n. 421), in riferimento agli artt. 42 e 53 della Costituzione.
 Premette il rimettente che l'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
504 stabilisce che l'indennità dovuta in
 caso di espropriazione di area fabbricabile deve essere ridotta al
minor valore indicato nell'ultima
 dichiarazione ICI, presentata dall'espropriato; osserva, in proposito,
che il proprietario, ai fini della
 dichiarazione ICI dovuta per l'anno 1993, aveva considerato il terreno
come agricolo e, conseguentemente,
 liquidato il tributo in base ad un valore imponibile corrispondente
a settantacinque volte il reddito
 dominicale corrispondente.
 Ciò premesso, il giudice a quo rileva che la norma in questione
si porrebbe in contrasto con gli artt. 42 e
 53 della Costituzione, in quanto, oltre a collegare l'ammontare del
ristoro patrimoniale ad una
 dichiarazione del proprietario resa a fini tributari, comporterebbe
la penalizzazione dell'interessato sul
 piano indennitario non solo in caso di dichiarazione fiscale preordinata
a fini di evasione dell'imposta, ma,
 altresì, in caso di dichiarazione dovuta a mero errore, dipendente
- come nella fattispecie in rilievo nel
 giudizio principale - da confusa ed ambigua situazione urbanistica.
 2.- Analoga questione di legittimità costituzionale è
stata sollevata, sia pure in riferimento ad ulteriori
 parametri costituzionali, dalla Corte d'appello di Genova con ordinanza
15 aprile 1999.
 Premette il giudice a quo che, ai fini della dichiarazione ICI, il proprietario
dei terreni sottoposti ad
 esproprio aveva denunciato per la maggior parte di essi un imponibile
commisurato al reddito dominicale
 e, comunque, inferiore al valore stimato dal CTU, il quale ha indicato
quale elemento di calcolo ex art.
 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella
legge 8 agosto 1992, n. 359, della
 indennità un valore venale del comparto di Lire 1.278.030.000,
che, per effetto della semisomma ex art.
 5-bis, viene calcolato in Lire 639.026.000 e con la deduzione del 40%
ridotto a Lire 383.415.000.
 La norma impugnata, secondo il rimettente, si porrebbe in contrasto
con gli artt. 3, 24, 42, terzo comma,
 e 97 della Costituzione, per i seguenti rilievi:
 - il criterio di determinazione dell'indennità, di cui alla norma
impugnata, apparirebbe, prima facie,
 incompatibile con il principio di adeguatezza dell'indennizzo di cui
all'art. 42, terzo comma, della
 Costituzione. Tale principio, pur rimesso alla discrezionalità
del legislatore in considerazione di finalità
 perequative con gli scopi inerenti alla funzione sociale della proprietà,
tuttavia non dovrebbe consentire
 limitazioni che, perseguendo altre finalità di tipo sanzionatorio
fiscale, possano dar luogo alla liquidazione
 di una indennità al di sotto della soglia minima di serietà
e non simbolicità dello stesso;
 - per la irragionevole disparità di trattamento tra proprietario
espropriato e proprietario che sia stato
 privato del bene per effetto di occupazione appropriativa in cui l'infrazione
fiscale non produce alcun
 effetto sulla liquidazione del danno egualmente calcolato ex art. 5-bis
del d.l. n. 333 del 1992, convertito,
 con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 (con alcuni correttivi
migliorativi: non abbattimento
 del 40%, addizione del 10%);
 - per una ulteriore disparità di trattamento - avente riflessi
anche sul diritto di difesa - sotto il profilo
 degli espropriati "evasori totali" ed espropriati "evasori parziali"
dell'ICI;
 - per l'arbitrario ed indiretto recupero consentito all'ente impositore
(sub specie di minore indennizzo) di
 un tributo non più dovuto dal proprietario spossessato del bene.
 3.- In tutti i giudizi introdotti con le ordinanze alle quali si è
fatto sopra riferimento, è intervenuto il
 Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso
 per la infondatezza della questione sollevata.
 In particolare, la difesa dello Stato osserva che la norma denunciata
assolverebbe essenzialmente ad una
 funzione dissuasiva dall'evasione dell'ICI e che, peraltro, avendo
la norma in esame un ristretto ambito di
 operatività, potendo essa trovare applicazione per le sole aree
fabbricabili, il raffronto dovrebbe essere
 posto tra "valore venale" dichiarato ai fini ICI e "valore venale"
determinato ai fini dell'indennità (e da
 assumere, secondo il vigente art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, convertito,
con modificazioni, nella legge
 8 agosto 1992, n. 359, a base della relativa liquidazione), in quanto
entrambi "riferiti" ad un immobile
 egualmente qualificato come area fabbricabile, con la conseguenza che
un divario di valori - con l'effetto
 sanzionatorio in discorso - non rileverà se non quando lo stesso
evidenzi una difformità nella stima
 dell'identico bene.
                                
Considerato in diritto
 1.- Le questioni di legittimità costituzionale sottoposte, in
via incidentale, all'esame della Corte,
 riguardano l'art. 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504 (Riordino della finanza
 degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), il quale dispone che «in caso
 di espropriazione di area fabbricabile l’indennità è
ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima
 dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini della
applicazione dell’imposta» (ICI) «qualora
 il valore dichiarato risulti inferiore all’indennità di espropriazione
determinata secondo i criteri stabiliti
 dalle disposizioni vigenti».
 Viene denunciata la violazione:
 - dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione, giacché la anzidetta
norma, oltre a collegare l'ammontare
 del ristoro patrimoniale dovuto ad una dichiarazione del proprietario
resa a fini tributari, comporterebbe
 la penalizzazione dell'interessato non solo in caso di dichiarazione
fiscale preordinata a fini di evasione
 dell'imposta, ma, altresì, in caso di dichiarazione dovuta a
mero errore ed, inoltre, sembrerebbe
 incompatibile con il principio di adeguatezza dell'indennizzo (r.o.
nn. 258 e 374 del 1999);
 - dell'art. 53 della Costituzione, in quanto si ricorrerebbe all'applicazione
di una sanzione extra-fiscale per
 inosservanza di un dovere tributario (r.o. n. 258 del 1999);
 - dell'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole disparità
di trattamento tra proprietario espropriato e
 proprietario che sia stato privato del bene per effetto di occupazione
appropriativa (r.o. n. 374 del 1999);
 - degli artt. 3 e 24 della Costituzione, per disparità di trattamento
tra espropriati "evasori totali" ed
 espropriati "evasori parziali" dell'ICI (r.o. n. 374 del 1999) avente
riflessi sul diritto di difesa;
 - dell'art. 97 della Costituzione, per l'arbitrario ed indiretto recupero,
consentito all'ente impositore, di un
 tributo non più dovuto dal proprietario spossessato del bene
(r.o. n. 374 del 1999).
 2.- I giudizi, avendo per oggetto la stessa norma, vanno riuniti per
essere decisi con un'unica sentenza, in
 considerazione della evidente connessione oggettiva, ed attesa la sostanziale
identità delle questioni
 proposte.
 3.- Le questioni sono prive di fondamento.
 Giova precisare che la norma contestata non modifica il sistema di calcolo
dell’indennizzo, che per le aree
 fabbricabili resta regolato secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni
vigenti (art. 5-bis del d.l. 11 luglio
 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992,
n. 359 - sul quale è intervenuta la
 sentenza n. 283 del 1993 - e successivamente modificato dall’art. 1,
comma 65, della legge 28 dicembre
 1995, n. 549 - sul quale è intervenuta la sentenza n. 369 del
1996 - a sua volta, integrato poi dall’art. 3,
 comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
 Invece, l’art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992 prevede, per le sole aree
fabbricabili, una riduzione della
 indennità di espropriazione, quando il valore venale, dichiarato
o denunciato dall’espropriato ai fini ICI,
 risulti inferiore all’indennità, come sopra calcolata. Quale
effetto ulteriore di bilanciamento equitativo
 della nuova imposizione è prevista (senza una distinzione tra
aree fabbricabili e altri immobili) una
 maggiorazione della indennità, pari alla differenza (con l’aggiunta
degli interessi) tra l’importo della
 imposta (ICI) pagata dall’espropriato o dal suo avente causa per il
medesimo bene, negli ultimi cinque
 anni, e quello risultante dal computo dell’imposta sulla base della
indennità liquidata.
 Con tale sistema, in particolare per le aree fabbricabili, per le quali
possono verificarsi difficoltà e
 differenze di valutazione, in relazione a situazioni non omogenee che
si riflettono sul calcolo della
 semisomma tra valore venale e decuplo della rendita catastale, il legislatore
ha voluto introdurre un
 duplice correttivo: il primo - specifico per le sole aree fabbricabili
- è che la indennità non possa essere
 liquidata al di sopra del valore denunciato per l’ICI.
 In altri termini, la indennità, per le sole aree fabbricabili
(tali devono essere anche al momento della
 denuncia ICI, altrimenti la norma non è applicabile venendo
neno l'omogeneità delle posizioni valutate),
 viene ancorata, come limite massimo, al valore venale dell’area, che
ultimamente era stato dichiarato ai
 fini ICI; nello stesso tempo il contribuente è posto in condizione
di conoscere di questo ulteriore effetto
 della dichiarazione tributaria, perché la disposizione risulta
inserita sia nella legge di delega, sia nel
 decreto delegato istitutivi dell’ICI, anteriore quindi a qualsiasi
espropriazione soggetta a questa regola, in
 quanto logicamente applicabile solo con riferimento ad espropriazioni
di aree fabbricabili successive
 all’obbligo della dichiarazione ICI.
 L’altro correttivo, non applicabile alle sole aree fabbricabili, è,
invece, di maggiorazione e consente a
 favore dell’espropriato il recupero corrispondente alla eccedenza di
imposta ICI pagata per gli ultimi
 cinque anni, rispetto alla imposta che sarebbe stata calcolata sulla
base della indennità concretamente
 liquidata.
 4.- Il meccanismo (preventivo-disincentivante) di dissuasione dall’evasione
si inserisce in una manovra di
 finanza, diretta a rafforzare le capacità finanziarie delle
regioni e degli enti locali attraverso risorse
 proprie: viene istituita l’imposta comunale sugli immobili accompagnata
dalla soppressione dell’INVIM
 (imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili) e dalla
esclusione dei redditi dominicali delle
 aree fabbricabili e dei redditi dei terreni agricoli e dei fabbricati
dall’ILOR (imposta locale redditi).
 In relazione a talune difficoltà di definizione di area fabbricabile,
la legge delega ed il decreto delegato
 istitutivo dell’ICI (puntualmente in aderenza) offrono, ai fini della
dichiarazione della stessa imposta, una
 individuazione di area fabbricabile sulla base dei criteri previsti
agli effetti della indennità di
 espropriazione, ed attribuiscono, a favore del contribuente, la facoltà
di ottenere una attestazione dal
 Comune che definisca la natura dell'area (fabbricabile o meno), in
modo da potere rimuovere eventuali
 dubbi ed escludere errori e responsabilità, tanto maggiori in
quanto diversi sono i sistemi di calcolo
 dell’imposta, sempre basata sul valore degli immobili sottoposti all’ICI,
ma determinato alla stregua del
 valore venale in comune commercio (integrato da una serie di criteri)
per le aree fabbricabili, e degli
 estimi del catasto per tutti gli altri immobili (fabbricati e terreni
agricoli).
 Il sistema è, quindi, nel complesso diretto ad incentivare fedeli
autodichiarazioni di valore delle aree
 fabbricabili ai fini ICI e, nello stesso tempo, ad avviare una armonizzazione
tra identificazione ai fini
 tributari ed ai fini espropriativi delle aree fabbricabili, attesa
la radice comune di definizione delle stesse
 aree.
 In tale maniera si produce un incentivo, per il proprietario, a dichiarare
- la dichiarazione era annuale per
 le variazioni di ogni genere (trattasi di periodo anteriore alla ampliata
potestà regolamentare dei comuni:
 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59) - fedelmente un valore venale,
che tenga conto della
 destinazione (al momento della dichiarazione) edificabile, comportante
in genere una lievitazione rispetto
 al valore su base catastale. L’incentivo è prodotto, da un canto,
dai riflessi limitativi, in caso di
 esproprio, sulla liquidazione della indennità di esproprio (art.
16, comma 1, del d.lgs. n. 504 1992), e,
 dall’altro lato, dalla possibilità generale di un recupero (attraverso
una maggiorazione della indennità
 stessa) della imposta degli ultimi cinque anni, nel caso in cui essa
sia stata calcolata sul valore dichiarato
 in eccesso rispetto a quella risultante sulla base dell’anzidetta indennità
(art. 16, comma 2, del d.lgs. n.
 504 del 1992; art. 4, comma 1, lettera a), numero 18, della legge 23
ottobre 1992, n. 421).
 5.- Il meccanismo di aggancio (limitativo), tra indennità di
esproprio e valore dichiarato in sede di ICI,
 risulta, pertanto, tutt’altro che manifestamente irragionevole o palesemente
arbitrario, risolvendosi,
 attraverso un giusto equilibrio tra mezzo impiegato e scopo perseguito,
in un rafforzamento indiretto
 dell’adempimento di obblighi tributari ed in un incentivo alla lealtà,
correttezza e chiarezza di rapporti tra
 cittadino e pubblica amministrazione, sia nell’adempimento del dovere
di concorrere alle spese pubbliche
 (art. 53 della Costituzione), sia nel partecipare alla determinazione
di valore, anche ai fini della indennità
 di espropriazione per motivi di interesse generale (art. 42, terzo
comma, della Costituzione).
 Il disposto legislativo tende, principalmente, ad un recupero di evasione
o a disincentivarla. Il fatto che
 questa evasione sia totale o parziale, ovvero dipendente o meno da
volontà consapevole o da mero errore
 nella dichiarazione, poco interessa ai fini della legittimità
costituzionale; in ogni caso è colpevole e,
 quindi, il soggetto privato può essere assoggettato a conseguenze
di responsabilità. Infatti la legge,
 contestualmente, gli attribuisce una facoltà di tutela, consentendogli
di pretendere dal comune la
 certificazione della qualità edificatoria dell’area (definizione
di area fabbricabile) (art. 4, comma 1,
 lettera a), numero 5, della legge di delega n. 421 del 1992; art. 2,
comma 1, lettera b), ultima parte, del
 d.lgs. n. 504 del 1992). Dal combinato disposto delle anzidette norme
può trarsi l’ovvia conseguenza che
 una dichiarazione conforme alla "definizione", contenuta nella certificazione
del comune, non avrebbe
 potuto produrre per il soggetto privato conseguenze negative, mentre
sarebbe eventualmente sorta solo
 responsabilità, di altro genere, dello stesso comune per la
attestazione rilasciata.
 Le varie ipotesi di evasore totale o parziale formulate nelle ordinanze
di rimessione sono tutte erronee nei
 presupposti: infatti, l’evasore totale non viene affatto avvantaggiato,
in quanto è destinato a subire in
 ogni caso le sanzioni per la omessa dichiarazione, nonché l’imposizione
per l’ICI che aveva tentato di
 evadere; inoltre, la erogazione dell’indennità di espropriazione
non può intervenire, se non dopo la
 verifica che non superi il tetto massimo ragguagliato al "valore" denunciato
per l’ICI, e, quindi, solo dopo
 la presentazione della denuncia ICI e la conseguente regolarizzazione
della posizione tributaria, con
 concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni. Il che presuppone
in ogni caso che si tratti di
 area fabbricabile (tale al momento della dichiarazione) e che il soggetto
espropriato, fosse, alla data di
 riferimento dell’indennità, tenuto all’ICI.
 L’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor
valore dichiarato, potendo il
 comune - ove nei termini e sempre nel presupposto che l’ICI sia dovuta
- procedere ad accertamento una
 volta richiesto dei dati necessari ai fini del calcolo definitivo dell’indennità
di esproprio.
 6.- Sul piano più generale deve essere posto in rilievo che non
è estranea all’ordinamento giuridico la
 utilizzazione, in base a legge, di un valore dichiarato anche ad altri
fini e persino al di fuori del rapporto
 intersoggettivo in cui è reso, soprattutto quando il valore-prezzo
assuma la funzione di corrispettivo per
 trasferimenti a carattere coattivo. E’ sufficiente, a tal fine, il
richiamo esemplificativo alle ipotesi di
 prelazione legale e riscatto sia nel campo dei fondi rustici per lo
sviluppo della proprietà coltivatrice (legge
 26 maggio 1965, n. 590), sia per gli immobili urbani in locazione (legge
27 luglio 1978, n. 392, art. 39),
 sia nell’ambito delle aree protette a favore dell’ente parco (legge
6 dicembre 1991, n. 394) ed infine alla
 prelazione dello Stato ai sensi della legge 1° giugno 1939, n.
1089, in caso di alienazione di bene
 storico-artistico vincolato (sentenza n. 269 del 1995) (v. ora d.lgs.
29 ottobre 1999, n. 490).
 7.- Non esiste neppure una ingiustificata disparità di trattamento
tra espropriato in base a regolare
 procedura di esproprio e colui che abbia subito una occupazione acquisitiva
(detta anche accessione
 invertita), contemplata espressamente da una serie di disposizioni
legislative (v. art. 3 della legge 27
 ottobre 1988, n. 458; art. 6, comma 2, del d.l. 18 gennaio 1993, n.
8, convertito, con modificazioni, nella
 legge 19 marzo 1993, n. 68; art. 10, comma 3-bis, del d.l. 27 ottobre
1995, n. 444, convertito, con
 modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 20 dicembre 1995,
n. 539; art. 3, comma 65, della legge
 23 dicembre 1996, n. 662). Infatti, sono situazioni del tutto diverse,
essendo la seconda caratterizzata da
 un non legittimo agire della pubblica amministrazione, sia pure assistito
da una valida dichiarazione di
 pubblica utilità dell’opera. E’ quindi naturale che la pubblica
amministrazione subisca le conseguenze del
 proprio operato, con un risarcimento ragguagliato in modo necessariamente
superiore a quella che
 avrebbe potuto essere una indennità di espropriazione di area
fabbricabile e quindi con riferimento ad
 altri criteri meno favorevoli per la stessa amministrazione (aumento
del 10%; esclusione dell’abbattimento
 del 40%) (v. sentenza n. 148 del 1999).
 8.- Ai fini della contestata legittimità costituzionale, non
interessa la qualificazione dell’art. 16, comma 1,
 del d.lgs. n. 504 del 1992, nel senso che esso contenga una misura
sanzionatoria o meno, o se il
 presupposto della norma sia una dolosa evasione d’imposta o un errore,
più o meno gravemente colpevole,
 sulla natura dell’area oggetto dell’espropriazione.
 Si tratta, invece, di ragionevole applicazione del principio secondo
cui il soggetto privato, nei rapporti con
 la pubblica amministrazione, necessariamente improntati a lealtà,
correttezza e collaborazione, in quanto
 siano in gioco gli obblighi di solidarietà politici, economici
e sociali (art. 2 della Costituzione), tra i quali
 quelli in materia tributaria, non può sottrarsi alle conseguenze
di una sua dichiarazione. Ciò ovviamente
 quando questa dichiarazione sia contemplata espressamente dalla legge
in modo preciso e chiaro, con
 preventiva (e quindi consapevole) previsione di duplice valenza, negli
aspetti di valutazione del bene a fini
 tributari e come limite di liquidazione di indennità di esproprio,
e quando non vi sia un intervallo di tempo
 significativo tra dichiarazione di valore ad una certa data (1°
gennaio dell’anno, a fini tributari) e
 momento di riferimento - nello stesso anno - della valutazione e liquidazione
(di indennità).
 Da rilevare, infine, che la natura edificatoria dell’area è in
genere una rivendicazione costante dei
 soggetti privati colpiti da esproprio nel contestare la indennità
offerta e pretendere una indennità
 superiore, e lo è stato anche nelle presenti controversie, sicché
è fuori luogo ogni accenno a situazioni
 meramente ipotetiche di errore incolpevole, attesa la consapevolezza
del valore dell’area e il mancato
 esercizio della facoltà di richiesta di attestazione al comune
interessato.
 9.- Le predette considerazioni portano ad escludere la sussistenza della
denunciata violazione degli artt. 3,
 24, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione.
 Quanto all’invocato parametro dell’art. 97 della Costituzione, è
sufficiente, ai fini della infondatezza del
 profilo, il rilievo che la norma in esame non coinvolge, se non in
modo del tutto indiretto, profili
 organizzativi dell’attività della pubblica amministrazione ed,
in ogni caso, tende a finalità che non
 contrastano con il buon andamento della stessa pubblica amministrazione,
ed anzi è indirizzata ad un
 recupero della reciproca correttezza dei rapporti tra pubblica autorità
ed amministrati, presupposto di ogni
 civile convivenza.
 In ogni caso non si può configurare "un tributo non dovuto",
in quanto la norma denunciata - giova
 sottolinearlo ancora una volta - riguarda solo le aree fabbricabili
per le quali sia dovuta l’ICI all'epoca di
 riferimento dell’indennità di espropriazione.
                                 
per questi motivi
                             
LA CORTE COSTITUZIONALE
 riuniti i giudizi,
 dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 16, comma 1, del decreto legislativo
 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali,
a norma dell'art. 4 della legge 23
 ottobre 1992, n. 421), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24,
42, terzo comma, 53 e 97 della
 Costituzione, dalla Corte d'appello di Trieste e dalla Corte d'appello
di Genova, con le ordinanze indicate in
 epigrafe.
 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 12 luglio 2000.
 F:to:
 Cesare MIRABELLI, Presidente
 Riccardo CHIEPPA, Redattore
 Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
 Depositata in cancelleria il 25 luglio 2000.
 Il Direttore della Cancelleria
 F.to: DI PAOLA
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