Giurisprudenza - Espropriazione

Consiglio di Stato, sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1986, in materia di occupazione acquisitiva

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E

sul ricorso iscritto al NRG 8083\2001, proposto da Comune di Amantea in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gregorio Barba ed elettivamente domiciliato in Roma, via Sebino n. 11 presso lo studio dell'avvocato Francesco A. Caputo;
contro
Francesca Maria Posteraro, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Romano, elettivamente domiciliata in Roma, via Tazzoli n. 6, presso lo studio dell'avvocato Luigi Condemi Morabito;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria - Catanzaro - n. 508 del 27 marzo 2001.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio di Francesca Maria Posteraro;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 5 febbraio 2002 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli Avvocati Barba e Romano;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO
Con atto notificato l'11 luglio 2001 depositato il successivo 26 luglio, il comune di Amantea proponeva appello avverso la sentenza del T.A.R. della Calabria - Catanzaro - n. 508 del 27 marzo 2001.
Si costituiva Francesca Maria Posteraro deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Con ordinanza collegiale n. 5196 del 18 settembre 2001, veniva accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione dell'impugnata sentenza.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 5 febbraio 2002.
 DIRITTO
1. L'appello è infondato e deve essere respinto.
2. In fatto il collegio premette quanto segue.
I) Con deliberazione consiliare n. 39 del 14 novembre 1987, il comune di Amantea approvava il progetto per la realizzazione di un campo sportivo sul terreno dell'odierna appellata (indicato in catasto alla partita n. 322, f. 30, particelle 37 e 67).
II) Seguivano il decreto di occupazione d'urgenza, l'immissione in possesso e la redazione dello stato di consistenza.
III) Con deliberazioni consiliari nn. 24 del 25 maggio 1989 e 32 del 10 luglio 1990, il comune procedeva all'adeguamento del progetto ed alla sua riapprovazione. Entrambe le deliberazioni venivano annullate dal comitato regionale di controllo.
IV) Non essendo iniziati in concreto i lavori, con decreto sindacale n. 50 del 6 novembre 1991, il comune procedeva ad una nuova occupazione d'urgenza e conseguente redazione dello stato di consistenza.
V) Con deliberazione consiliare n. 144 del 12 maggio 1992, il comune approvava per l'ennesima volta il progetto dei lavori, fissando il termine conclusivo per la procedura espropriativa al 3 aprile 1994.
VI) Con decreto sindacale n. 9 del 14 febbraio 1996 era pronunciato l'esproprio dell'area in questione.
3. L'impugnata sentenza, come risulta dalla lettura della motivazione, ha annullato in accoglimento delle relative pertinenti censure, esclusivamente il decreto sindacale di esproprio - n. 9 del 14 febbraio 1996 - necessario per la costruzione di un campo sportivo. Il primo giudice ha ravvisato nella fattispecie portata alla sua cognizione, un'ipotesi di accessione invertita, essendo stato emanato il decreto di esproprio dopo lo spirare del termine massimo fissato nella dichiarazione di pubblica utilità e dopo che i lavori erano stati interamente realizzati con la conseguente perdita del diritto di proprietà sull'area oggetto della procedura ablatoria.
4. Nel dispositivo della sentenza, invece, l'annullamento è riferito a tutti gli atti indicati in epigrafe (fra cui la deliberazione consiliare - n. 144 del 12 maggio 1992 - recante la riapprovazone del progetto da valere come indicazione di pubblica utilità e il decreto sindacale - n. 50 del 6 novembre 1991 - recante l'occupazione d'urgenza dell'area).
Risulta evidente, quindi, che l'unico atto annullato dal primo giudice è il decreto di esproprio.
Né la proprietaria si è gravata con appello incidentale, o ha formalmente riproposto le censure miranti alla caducazione dei diversi atti sopra indicati.
Sotto tale angolazione, non possono trovare ingresso nel presente giudizio, perché inconferenti, le doglianze contenute nel terzo motivo di appello in cui il comune reitera l'eccezione di irricevibilità ed inammissibilità dell'originaria impugnativa proposta avverso la deliberazione di riapprovazione del progetto e l'occupazione d'urgenza del terreno.
5. Scendendo all'esame del primo motivo di appello, con cui si deduce il difetto di motivazione della sentenza sulle circostanze di fatto salienti, la sezione ne rileva l'infondatezza sulla scorta della semplice lettura della ricostruzione in fatto operata dal primo giudice.
5.1. In ordine logico segue l'esame della doglianza (sviluppata nell'ultima parte del terzo motivo di appello, pagina 9), incentrata sulla carenza di interesse della originaria ricorrente ad impugnare un decreto di esproprio quando ormai aveva perduto la proprietà dell'area a seguito della sua irreversibile trasformazione a causa della completa realizzazione dell'intervento costruttivo.
La tesi è infondata.
Secondo il più recente consolidato indirizzo di questo Consiglio, che la sezione non intende rimettere in discussione, il verificarsi della c.d. accessione invertita non comporta la carenza di interesse (e prima ancora il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo), alla pronuncia sulla legittimità degli atti della sequenza ablatoria  - localizzazione, approvazione del progetto, decreto di esproprio - (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2940; sez. V, 29 luglio 1997, n. 846; sez. IV, 28 maggio 1988, n. 475; ad. plen., 21 ottobre 1980, n. 37); e ciò anche quando sia stata accettata l'indennità di esproprio che non esclude l'interesse a far riscontrare le eventuali illegittimità del procedimento di espropriazione ed occupazione d'urgenza, in vista anche del maggior ristoro che il privato può ottenere a titolo risarcitorio dall'accertata illiceità  conseguente all'annullamento degli atti di sottrazione del bene (cfr. Trib. sup. acque pubbl., 1 dicembre 2000, n. 140, Cons. Stato, ad. plen., n. 37 del 1980 cit.).
5.2. Con il secondo motivo si invoca il principio di proroga dell'efficacia degli atti della procedura espropriativa insito nel sistema e comunque discendente dalla norma sancita dall'art. 22, l. 20 maggio 1991, n. 158 che avrebbe prorogato di due anni le occupazioni d'urgenza in corso alla data del 1 gennaio 1991.
Il motivo è infondato.
Identica questione di diritto è stata affrontata e risolta di recente dalla sezione in senso negativo per l'appellante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 248). 
Il carattere obbligato della proroga dei termini per il completamento delle procedure espropriative non può discendere dalla previsione legale di cui all’art. 22 l. n. 158 del 1991.
Tale norma dispone la proroga biennale del termine per le occupazioni d’urgenza in corso al primo gennaio 1991 (cfr. Cass. sez. I, 8 settembre 1997, n. 8734).
La sezione è consapevole che tale proroga è riconosciuta, dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. 8 luglio 1998, n. 6626) come automatica; e che, del pari, si è preso coscienza, nell’assetto attuale delle procedure espropriative, che l’occupazione d’urgenza (ex art. 71, 1 comma, ultima parte, l. n. 2359 del 1865) è una fase preliminare indefettibile dell’ablazione della proprietà privata, trasformatasi da procedimento autonomo e collegato a momento normale subprocedimentale (cfr. in termini sez. un. 20 gennaio 1998, n. 493). Pur tuttavia, non è possibile sovrapporre e conformare i termini dell’una fase con quelli dell’altra. Proprio sotto tale aspetto è stata affermata l’inapplicabilità della proroga legale dei procedimenti espropriativi alle occupazioni d’urgenza, per ragioni di ordine sistematico e letterale, dovendosi necessariamente fare salva l’identità funzionale delle due fasi (cfr. Cass. sez. un., 26 gennaio 1998, n. 761, in una fattispecie inversa a quella oggetto del presente giudizio, in cui si cercava di estendere la proroga dei procedimenti ablatori per l’attuazione dei piani per l’edilizia economica e popolare, disposta dall’art. 17, d.l. n. 795 del 1984, alle occupazioni d’urgenza finalizzate all’esproprio; nel senso della perdurante autonomia del provvedimento di esproprio rispetto a quello di occupazione, cfr. da ultimo Cass. sez. I, 19 febbraio 1999, n. 1387); parimenti si è affermato che la proroga del termine di efficacia dell’occupazione d’urgenza delle aree espropriande non incide sul diverso termine indicato nella dichiarazione di pubblica utilità, entro il quale deve essere adottato il provvedimento espropriativo, anche quando il primo termine sia ancora in corso alla data di scadenza del secondo (cfr. Cass. sez. I, 2 aprile 1985, n. 2256).
Coerentemente la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla validità del su menzionato art. 22, l. 158 del 1991 e sulle disposizioni in esso contenute, ha statuito nel senso che queste << . . . pur protraendo la legittimità delle occupazioni e determinando alcune remore temporali nell’ambito del procedimento espropriativo, non producono, per la giustificazione che esse trovano nella peculiarità della situazione alla quale hanno inteso provvedere, nemmeno lesione dell’art. 42, 3 comma, in relazione all’art. 24 Cost., sotto il profilo della compressione della tutela spettante al proprietario del bene. Infatti, una volta verificata la legittimità delle proroghe, in ragione delle esigenze che le giustificano, è fuor di luogo dolerso per le remore che esse possono determinare per le azioni volte a conseguire, a seconda dei casi, l’indennità di espropriazione ovvero il risarcimento del danno>> (Corte Cost. 28 aprile 1994, n. 163).
Nel caso di specie è pacifico, risultando per tabulas, che il decreto di esproprio è stato emesso oltre il termine massimo di completamento delle procedure espropriative fissato, dalla più volte menzionata deliberazione n. 144 del 1992, al 3 aprile 1994.
6. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni l'appello del comune di Amantea deve essere respinto con le precisazioni svolte in precedenza.
Le spese del giudizio, ivi comprese quelle della fase cautelare liquidate provvisoriamente con ordinanza n. 5196 del 2001, seguono l'ordinaria regola della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta):
- respinge l'appello proposto ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe;
- condanna il comune di Amantea, a rifondere in favore di Francesca Maria Posteraro, le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio, ivi compresi quelli della fase cautelare, che liquida in complessivi Euro tremila.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 febbraio 2002, con la partecipazione dei signori:
Gaetano Trotta    - Presidente
Domenico La Medica   - Consigliere
Raffaele De Lipsis    - Consigliere
Antonino Anastasi    - Consigliere
Vito Poli Rel. Estensore  - Consigliere
 
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