Giurisprudenza - Sanità

L’obbligo dell’autorizzazione sanitaria per l’applicazione di tatuaggi

La sentenza di seguito trascritta afferma il principio della necessità di una specifica autorizzazione sanitaria per l’attività di tatuatore. Infatti, precisa il Tar, che se pure è indubitabile che né a livello di normativa primaria, statale o regionale, né di normativa regolamentare risulta disciplinata l’attività dermografica dei “tatuatori”, così peraltro, non pare secondo logica dubitabile che tale attività – data la sua oggettiva pericolosità per la salute di chi si sottopone a tatuaggio a causa delle infezioni e delle malattie che possono svilupparsi per mezzo dell’inserimento di aghi nel derma – possa essere considerata indifferente ai fini giuridici soprattutto in relazione ai superiori interessi pubblici in materia di igiene e salute dei cittadini. In tale ottica, pertanto, pare del tutto congruente e razionale sottoporre tale attività al regime autorizzatorio proprio di attività, quale quella di estetista che più di ogni altra risulti assimilabile a quella del tatuatore. Entrambe le attività, infatti, non hanno finalità terapeutiche e mirano
entrambe sostanzialmente al miglioramento estetico del corpo umano. (Ugo Di Benedetto)

TAR Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, 25 ottobre 1999, n. 678
 FATTO

 Con il ricorso n. 601 del 1996 notificato nei termini e depositato il 12/10/1996, il ricorrente chiede l’annullamento, previa sospensiva: a) del provvedimento in data 13/9/1996 con il quale il Dirigente del Settore sviluppo economico e attività produttive lavoro e innovazione del Comune di Reggio Emilia ha ingiunto al ricorrente la cessazione ad horas dell’attività di tatuatore presso la sede dell’impresa; b) del regolamento comunale di Reggio Emilia per la disciplina delle attività di barbiere, parrucchiere uomo donna ed estetista, deliberato dal Consiglio Comunale in data 25/9/1992 n.23470/341 nei limiti di quanto in ricorso; c) della nota prot. n.36892 emessa in data 14/9/1993 dall’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia Romagna; d) della nota del Ministero della Sanità n.900.6/ I.AG 74/1697 del 11/5/1993 se e nella parte in cui possa assimilare l’attività di tatuatore a quella dell’estetista; e) del verbale d’ispezione in data 12/9/1996 redatto dai funzionari della A.S.L. di Reggio Emilia; f) di ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale a quelli impugnati.
 Il ricorrente svolge da circa tre anni l’attività di tatuatore in Reggio Emilia ed è iscritto come tatuatore alla locale C.C.I.A.A..
 Di recente l’Amministrazione Comunale di Reggio Emilia ha disposto la cessazione dell’attività, imponendo di fatto la chiusura dello studio in cui l’attività stessa è svolta
 Secondo il ricorrente i provvedimenti impugnati sono illegittimi per i seguenti motivi in diritto:
1) – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 7 e 8 della L. n.241 del 1990; Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, difetto di presupposti e di istruttoria;
In violazione delle norme di cui in epigrafe, il Comune non ha comunicato l’avvio del procedimento amministrativo al ricorrente, pur essendo tale procedimento pregiudizievole per lo stesso, né l’Amministrazione ha esternato le ragioni per le quali abbia ritenuto di operare in tale maniera.
La partecipazione al procedimento da parte del ricorrente avrebbe permesso di evidenziarne ogni aspetto, conducendo verosimilmente alla continuazione dell’attività o alla emanazione di un provvedimentodi segno opposto a quello adottato.
2) – Violazione e falsa applicazione dell’art.12 della L. n.1 del 1990, anche in relazione all’art.106 del R.D. n.383 del 1934; Violazione e falsa applicazione dell’art.1 della L. n.689 del 1980 e degli artt. 9 e 24 del Regolamento Comunale per l’esercizio dell’attività di parucchiere, estetista ed affini; Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e sviamento di potere;
Illegittimamente negli atti impugnati viene operata la riconduzione dell’attività di tatuatore a quella di estetista.
Non essendo pertanto applicabile la relativa normativa, nemmeno poteva essere applicata la sanzione della chiusura disposta dall’art.24 del Regolamento per l’esercizio dell’attività senza autorizzazione.
Men che meno, poi, poteva essere disposta la chiusura per violazione dell’art.9 del regolamento, che per le violazioni sanitarie dispone solo l’applicazione di sanzioni pecuniarie.
In via gradata si rileva poi l’illegittimità, ove ritenuto applicabile alla fattispecie, dell’art.24 del regolamento comunale richiamato, nella parte in cui attribuisce al Sindaco il potere di disporre la chiusura dell’esercizio condotto in carenza di autorizzazione.
Tale disposizione, infatti, contrasta con l’espressa previsione dell’art.12 della L. n.1 del 1990, disciplinante l’attività di estetista, per la quale in difetto di autorizzazione al più possono essere inflitte sanzioni pecuniarie. Lo stesso dicasi, quanto al tipo di sanzione, per le violazioni di tipo igienico sanitario.
Nell’applicazione della normativa comunale va ravvisato lo sviamento di potere, in quanto si evidenzia l’utilizzo per mere finalità di tipo repressivo di uno strumento regolamentare che non estende espressamente la propria applicabilità all’attività di tatuatore.
3) – Violazione e falsa applicazione dell’art.6 della L. n.1 del 1990, come interpretata dalla sentenza della Corte Costituzionale n.245 del 1990; Incompetenza; Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, perplessità ed insufficienza della moticazione; Illegittimità derivata; Sviamento di potere;
La Corte Costituzionale ha precisato, con la sentenza di cui in epigrafe, che la L. n.1 del 1990 è legge quadro.
In tale ambito la Regione, successivamente all’emanazione di tale norma, avrebbe dovuto regolamentare l’attività di tatuatore, ove avesse fondatamente ritenuto che la stessa sia affine a quella di estetista.
L’impugnata nota regionale del 1993, pertanto, laddove assimila le due attività, è illegittima, in quanto pretende di sostituire al potere legislativo concorrente una mera attività amministrativa, peraltro non motivando adeguatamente sul punto.
La nota regionale è inoltre viziata da incompetenza in quanto l’Assessorato alla Sanità pretende di attribuirsi un intervento nell’attività regolamentare dei Comuni che non rientra nelle proprie prerogative.
A sua volta, poi, lo stesso Ministero della Sanità fornisce adeguata motivazione sull’assimilazione, limitandosi a compiere una mera affermazione.
Il T.A.R. Parma ha censurato tale immotivata assimilazione, con la sentenza n.44 del 1995, ancorchè riferendosi all’attività di tricologo.
Il Comune pretende di applicare un’assimilazione non prevista espressamente dal regolamento, facendo discendere tale assimilazione direttamente dalle note, anch’esse impugnate, della Regione e del Ministero della Sanità.
Peraltro tale regolamento comunale è inapplicabile al caso di specie, in quanto esso non è stato adeguato alla normativa di cui alla L. n.1 del 1990.
Su quanto sopra si è comunque pronunciato espressamente il T.A.R. Parma che con la sopra menzionata sentenza espressamente dichiara inammissibile “che una norma regolamentare assoggetti ad un particolare onere autorizzatorio una determinata attività economica, senza previamente e chiaramente individuarne i contenuti, onde fugare qualsiasi incertezza nei confronti del cittadino che tale attività economica intenda intraprendere”.
4) – Violazione e falsa applicazione degli artt.1 e ss. L. n.1 del 1990 e degli artt. 1 e segg. L. n.161 del 1963, anche in relazione all’art. 41 Cost. e agli artt. 19 e 20 L. n.241 del 1990; Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, violazione del giusto procedimento; Violazione dell’art. 3 della L. n.241 del 1990; Eccesso di potere per difetto di motivazione;
L’assimilazione tra le due attività effettuato dalle Amministrazioni intimate, pur nel silenzio della legge, contraddice il principio costituzionale della libertà e dell’iniziativa economica.          
 Tali attività non sono assimilabili poiché nessuna delle operazioni elencate dall’art.1 della L. n.1 del 1990 rientra tra quelle compiute dal tatuatore.
 Il tatuatore opera secondo modalità sue proprie, avendo finalità che sfociano nel campo artistico, ma non opera per finalità terapeutiche o di carattere meramente estetico, come  invece fa l’estetista.
 In sostanza le differenze tra le due attività sono le seguenti:
- espressa previsione normativa per l’una e non per l’altra attività;
- necessità di titolo professionale abilitativo per gli estetisti, ma non per i tatuatori;
- differente utilizzo di apparecchiature per gli uni e gli altri;
- gli estetisti operano sull’epidermide mentre i tatuatori operano sul derma;
- gli effetti dell’opera dell’estetista sono temporanei, mentre quelli del tatuaggio sono permanenti;
- le conoscenze di anatomia richieste al tatuatore sono paragonabili a quelle che deve possedere un artista, mentre l’estetista opera solo sull’esistente del corpo umano;
- l’estetista non svolge attività medica in quanto non può avere finalità terapeutiche e anche per il tatuatore è escluso che svolga attività medica o paramedica, in virtù della prevalenza del contenuto tecnico artistico.
Anche alla luce di ciò, non risultano elementi in base ai quali possa essere mosso rilievo dal punto di vista igienico al ricorrente, non esistendo il parametro cui conformarsi nè dal punto di vista personale, né da quello dell’idoneità igienica dei locali.
In ogni caso tali eventuali inidoneità sarebbero stati censurabili solo pecuniariamente, mai con l’ordine di cessazione dell’attività, anche perché da anni, anche perché il Comune di Reggio Emilia ormai da anni sapeva dell’esercizio dell’attività di tatuatore da parte del ricorrente.
Emerge inoltre, anche la violazione, da parte dei provvedimenti impugnati, dei principi posti dagli art.19 e 20 L. n.241 del 1990, dato che mentre il legislatore si muove verso una liberalizzazione delle attività autorizzabili, le Amministrazioni resistenti intendono assoggettare a previsioni normative e regolamentari anche attività estranee alla portata dispositiva espressa.
- Con motivi aggiunti di ricorso, notificati in data 18/12/1996 e depositati in data 30/12/1996, parte ricorrente – in esito a deposito di documentazione da parte dell’Amministrazione Comunale intimata – ribadisce e conferma sostanzialmente le censure già esposte con l’atto introduttivo del giudizio.
I motivi ricorsuali risultano ulteriormente elaborati e tratteggiati con memoria depositata in data 21/10/1996 e con la memoria conclusionale depositata in data 24/9/1999.        
 § § §
 Si è costituita in giudizio l’Amministrazione Comunale di Reggio Emilia, la quale, con controricorso e successiva memoria depositata in data 24/9/1999, si oppone alle argomentazioni ricorsuali, chiedendo il rigetto del gravame siccome infondato, con vittoria di spese, competenze e onorari legali.
 § § §
 Alla pubblica udienza del 5 ottobre 1999, la causa è stata chiamata e, su concorde richiesta delle parti, è stata trattenuta per la decisione, come da verbale. 
 DIRITTO
 La controversia posta all’esame del Collegio verte sulla legittimità del provvedimento con il quale l’Amministrazione Comunale di Reggio Emilia ha ingiunto al ricorrente la cessazione dell’attività di tatuatore, da questi esercitata senza autorizzazione presso la sede della sua impresa.
 Il ricorrente ha inoltre impugnato tutti gli atti promananti dall’Amministrazione Regionale e dal Ministero della Sanità citati nel detto provvedimento, nella parte in cui assimilano l’attività di tatuatore a quella di estetista.
 Con il primo motivo il ricorrente sostiene che il provvedimento principalmente impugnato è illegittimo in quanto l’Amministrazione Comunale non ha comunicato all’interessato l’avvio del procedimento esitato con l’ordine di cessazione dell’attività, come avrebbe dovuto in rispetto alla normativa di cui agli artt. 7 e segg. della L. n.241 del 1990.
 Il Collegio deve rilevare che il motivo è infondato, atteso che la cessazione dell’attività è stata comminata dall’Amministrazione Comunale per urgenti ragioni igienico sanitarie – chiaramente enunciate nel provvedimento – ragioni che non potevano tollerare, stante i pericoli per la salute delle persone che si sottoponevano a tatuaggio,  ulteriori procrastinazioni dell’esercizio di siffatta attività.
 Nel caso di specie, inoltre, come rilevato dall’Amministrazione Comunale resistente, il ricorrente, in quanto partecipe sia del sopralluogo effettuato dal nucleo N.A.S. Carabinieri di Parma. che di quello esperito della competente Azienda U.S.L., ha potuto, in tali sedi – nel rispetto dei principi di un corretto contraddittorio – estrinsecare tutte le ragioni che lo hanno indotto ad esercitare l’attività di tatuatore in assenza di alcuna autorizzazione amministrativa.
 Con il secondo motivo parte ricorrente sostiene l’illegittimità del provvedimento di cessazione dell’attività sia perché l’Amministrazione ha assimilato l’attività di tatuatore a quella di estetista, pur in assenza, al riguardo, di qualsivoglia riferimento normativo, ritenendo così di potere applicare alla fattispecie in esame Il Regolamento Comunale disciplinante tale ultima attività e le attività ad essa affini, sia perché, anche ritenendo applicabile siffatta normativa e la normativa statale di cui alla  L. n.1 del 1990, la sanzione da irrogare non poteva essere la cessazione dell’attività ma solamente una sanzione pecuniaria come previsto dall’art.12 della citata L. n.1 del 1990 e anche dall’art. 9 del Regolamento Comunale disciplinante le attività di barbiere parrucchiere e affini.
 Il Collegio deve osservare che il divisato motivo è infondato.
 Se pure è indubitabile che né a livello di normativa primaria, statale o regionale, né di normativa regolamentare risulta disciplinata l’attività dermografica dei “tatuatori”, così peraltro, non pare secondo logica dubitabile che tale attività – data la sua oggettiva pericolosità per la salute di chi si sottopone a tatuaggio a causa delle infezioni e delle malattie che possono svilupparsi per mezzo dell’inserimento di aghi nel derma – possa essere considerata indifferente ai fini giuridici soprattutto in relazione ai superiori interessi pubblici in materia di igiene e salute dei cittadini.
 In tale ottica, pertanto, pare del tutto congruente e razionale sottoporre tale attività al regime autorizzatorio proprio di attività, quale quella di estetista che più di ogni altra risulti assimilabile a quella del tatuatore.
 Entrambe le attività, infatti, non hanno finalità terapeutiche e mirano entrambe sostanzialmente al miglioramento estetico del corpo umano.
 Sia l’estetista che il tatuatore operano, inoltre, mediante particolari attrezzature sanitarie, sulla cute umana ed il fatto – rilevato dal ricorrente – che il tatuatore operi con strumenti (aghi) più invasivi degli strumenti usati dall’estetista e sul derma (strato meno superficiale della cute) rispetto all’epidermide su cui opera invece l’estetista, anziché rimarcare le differenze tra le due attività, le assimila ulteriormente sotto l’aspetto dell’oggetto dell’intervento, sottolineando altresì la necessità che – fino a quando l’attività di tatuatore non sia normativamente disciplinata – essa sia sottoposta quanto meno al medesimo regime autorizzatorio proprio della meno invasiva e cruenta attività similare di estetista.
 Ciò premesso, il Collegio deve conseguentemente osservare che legittimamente l’Amministrazione Comunale di Reggio Emilia ha inteso assimilare l’attività di estetista a quella di tatuatore, nel rispetto e a tutela dei superiori interessi pubblici dell’igiene e della salute dei cittadini; interessi e dall’altro lato diritti, rispetto ai quali il diritto dell’imprenditore privato al libero svolgimento di un’attività economica risulta necessariamente recessivo.
 Occorre rilevare inoltre, che risulta legittimo il provvedimento di cessazione dell’attività, atteso che il relativo potere dell’Amministrazione trova espressa fonte normativa nell’art. 24 del Regolamento per la disciplina delle attività di barbiere, parrucchiere ed estetista del Comune di Reggio Emilia, laddove, al 2° comma, si stabilisce che “Qualora le attività siano esercitate senza il possesso dei vari tipi di autorizzazione prescritta dal Regolamento, il Sindaco ordina l’immediata cessazione dell’attività abusiva e la conseguente chiusura dell’esercizio”.
 Quanto, poi al contrasto tra tale disposizione  e quella – prevedente unicamente la sanzione pecuniaria nei casi di svolgimento dell’attività di estetista senza autorizzazione – di cui all’art.12 della L. n.1 del 1990, occorre rilevare l’insussistenza di tale contrasto, posto che la disposizione contenuta nella citata norma statale non pare preclusiva di ulteriori misure inibitorie adottate dall’Autorità Comunale.
 Sotto diverso profilo, occorre rilevare che mentre la citata normativa statale pare disciplinare unicamente l’attività “stricto sensu” di estetista, con conseguente applicazione del sistema sanzionatorio ivi previsto solo a chi eserciti tale specifica attività, la normativa regolamentare comunale,  – in un’ottica di necessaria prevenzione e di tutela da oggettivi rischi per la salute dei cittadini - trova applicazione anche per le attività assimilabili a quelle espressamente disciplinate (v. al riguardo, T.A.R. Emilia Romagna - PR – 10/2/1999 n.86, punto n.3 pagg. 8 e 9), con conseguente legittimità dell’applicazione alla fattispecie in esame dell’art. 24 del citato Regolamento Comunale.  
 Parimenti infondata, oltre che inconferente è inoltre la censura riguardante l’asserita violazione dell’art.9, in riferimento all’allegato A del citato regolamento comunale, atteso che tale ultima tabella, in cui sono riepilogate tutte le sanzioni previste dal Regolamento – punisce con la sola pena pecuniaria la ben distinta fattispecie di coloro che esercitano l’attività senza essere forniti del libretto d’idoneità sanitaria di cui alla lettera E) punto n.1) del citato art.9, mentre prevede, per l’esercizio dell’attività senza autorizzazione, oltre alla sanzione pecuniaria, l’ordine di chiusura dei locali.
 Il terzo motivo si appalesa del tutto inconferente, atteso che con esso il ricorrente sostiene l’illegittimità di atti, richiamati nel provvedimento principalmente impugnato, promananti dalla Regione Emilia Romagna e dal Ministero della Sanità e con i quali detti organismi esprimono le proprie considerazioni e il proprio parere in senso favorevole all’assimilabilità dell’attività di tatuatore a quella di estetista.
 Circa la legittimità di tale assimilazione e delle ragioni che la sostengono, il Collegio rimanda a quanto a tale proposito già ha affermato in occasione dell’esame del precedente motivo di ricorso.
 Con il quarto motivo parte ricorrente insiste ulteriormente nel sostenere l’illegittimità dell’assimilazione tra le due attività in questione, precisando le numerose differenze esistenti tra esse e ritenendo che la predetta assimilazione contraddica “il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica, unitamente all’altro principio di libertà dell’ordinamento, per il quale ciò che non è illecito è consentito, salvo il potere di regolamentazione, a sua volta esercitato solo quando una determinata attività esce fuori dal campo dell’indifferente giuridico.”.
 Il Collegio deve rilevare che anche tale motivo è infondato in quanto già in precedenza si è avuto modo di individuare i principi costituzionali di tutela della salute dei cittadini che impongono all’Amministrazione pubblica di non considerare quale “giuridicamente indifferente” l’attività dermografica di tatuatore; principi nei confronti dei quali, come già si è detto, trova un limite, coorelato all’esigenza della previa autorizzazione amministrativa, anche l’esercizio del diritto d’iniziativa economica da parte del privato.
 Con ricorso per motivi aggiunti, notificato e depositato in esito alla presentazione di documentazione da parte dell’Amministrazione Comunale resistente, il ricorrente si limita a puntualizzare alcuni aspetti delle censure già rappresentate con il primo ed il secondo mezzo d’impugnazione, per cui si rimanda alle considerazioni effettuate in sede di esame dei suddetti motivi.        
 Per quanto sopra esposto, essendo risultati infondati tutti i motivi rassegnati, il ricorso deve essere respinto.
 Il Collegio ritiene che sussistano, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
 P.Q.M
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna - Sezione di Parma -  respinge il ricorso  n. 601 del 1996 , indicato in epigrafe.
 Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del  5 ottobre 1999.
Gaetano Cicciò                           Presidente
UmbertoGiovannini                    Primo Referendario rel.est.
Depositata in Segreteria ai sensi dell’art. 55 L. 18/4/82, n.186.
Parma, lì 25 ottobre 1999
Il Segretario
 
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