Giurisprudenza - Sanità

Tar Lombardia – Milano, sez. II, sent. n. 3137 del  3 maggio 2000, sulla decurtazioni del 15% dell’importo dell’indennità di tempo pieno ai sensi della l.n.724/94 e dalla l.n.662/96 ai medici che svolgono l’attività libero professionale extra murale 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione 2a ha pronunciato la seguente 
SENTENZA

sul ricorso n. 3162/98, proposto da
Gianfranco BRIGANTE, Roberto CARBONI, Giorgio TAGLIABUE, Armando BELLONI e Claudio APRUZZESE
rappresentati e difesi dall'avv. Mattia Pascale ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in Milano, via Macchi 35
contro
AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALE “L.SACCO” di MILANO
in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi in giudizio rappresentata e difesa dall'avv. Vincenzo ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Milano v.le Gian Galeazzo 16
ARAN
in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi in giudizio rappresentata e difesa dall’avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato presso gli uffici della stessa in Milano, via Freguglia 1
per l'annullamento
degli atti con i quali l’amministrazione ha disposto in danno dei ricorrenti la trattenuta del 15% dell’indennità di tempo pieno e della componente fissa della retribuzione di posizione, nonché di tutti gli atti comunque connessi, preordinati e conseguente, tra cui i recuperi effettuati con decorrenza retroattiva ed eventuali disposizioni impartite in argomento dall’ARAN
e per l’accertamento
del diritto dei ricorrenti a percepire l’indennità di tempo pieno e di posizione nella misura integrale, senza le trattenute operate
e per la condanna
dell’ente alla ricostruzione della carriera, al pagamento dei contributi previdenziali e a corrispondere tutte le differenze dovute con interessi e rivalutazione monetaria;
visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio e le memorie difensive delle amministrazioni intimate;
uditi alla pubblica udienza del 27/10/99, relatore il cons. D.Giordano, gli avv.ti Pascale per i ricorrenti e Avolio per l’azienda ospedaliera;
visti gli atti tutti della causa;
ritenuto quanto segue in:
F A T T O e D I R I T T O
1) I ricorrenti sono medici ospedalieri che prestano servizio alle dipen-denze dell’azienda intimata ed esercitano attività libero professionale esterna.
Gli stessi hanno impugnato gli atti con i quali l’azienda ospedaliera ha disposto, a carico del personale medico che esplica l’attività libero professio-nale extra murale, la sospensione del 15% dell’importo dell’indennità di tempo pieno e poi, in sostituzione di questa, ha attivato la riduzione in misura analoga della componente fissa della retribuzione di posizione; con il ricorso gli esponenti hanno chiesto il riconoscimento del diritto a percepire le inden-nità di tempo pieno e di posizione nella misura integrale, senza le decurtazioni eseguite in applicazione, rispettivamente, della l.n.724/94 e dalla l.n.662/96.
I ricorrenti sostengono che, avendo ottenuto la sospensione, in sede cautelare, della prescrizione che li obbligava ad esercitare l’opzione per l’esercizio dell’attività libero professionale interna o esterna e non essendo, quindi, tenuti ad esercitare detta scelta, sarebbe precluso all’amministrazione, in vigenza dell’ordinanza, di operare le suindicate trattenute; gli stessi osservano, inoltre, che la riduzione può disporsi soltanto dopo la scadenza del termine per esercitare l’opzione e, quindi, solo dopo l’esecuzione da parte dell’ente ospedaliero degli adempimenti previsti dalla legge; inoltre gli stessi denunciano l’illegittimità costituzionale delle norme che prevedono un deteriore trattamento giuridico ed economico per i medici che esercitano attività esterna, per violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato; da ultimo rilevano che i recuperi interessano somme riscosse in buona fede e censurano la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
L’azienda ospedaliera e l’agenzia si sono costituite in giudizio per dedurre l’infondatezza del ricorso.
2) L’art.4, terzo comma, della l.23 dicembre 1994 n.724 dispone che “a decorrere dal 1° gennaio 1996 la corresponsione dell’indennità di tempo pieno, di cui all’art.110 D.P.R. n.384/90, è sospesa, limitatamente al 15% del suo importo, per il personale dipendente che esercita attività libero-professionale all’esterno delle strutture sanitarie pubbliche”.
In seguito, il CCNL per l’area della dirigenza medica (la cui sottoscri-zione è stata autorizzata con atto PCM 12 settembre 1996) ha modificato la struttura della retribuzione dei dirigenti medici, integrandone la composizione delle voci elencate all’art.40, tra cui non è più compresa l’indennità di tempo pieno; in sostituzione di essa, l’art.55 del CCNL ha introdotto la “retribuzione di posizione”, composta di una parte fissa e di una variabile, la cui attribuzione è connessa alla rilevanza dell’incarico rivestito all’interno della struttura aziendale.
La parte economica del contratto per il biennio 1996/97 è stata trasfusa nell’accordo (la cui sottoscrizione è stata autorizzata con atto PCM 8 novembre 1996), il quale, all’art.5 terzo comma, disciplina la situazione dei dirigenti medici nei cui confronti sia stata applicata la sospensione del 15% dell’indennità di tempo pieno; prevede, in particolare, la norma che, perdu-rando le condizioni che ebbero a determinare la precedente decurtazione, è sospesa con decorrenza dalla stessa data (ossia dal 1° gennaio 1996) l’erogazione nella misura intera della componente fissa della retribuzione di posizione, che è erogata con le riduzioni indicate dalla norma medesima.
Successivamente, l’art.1, dodicesimo comma, della l.23 dicembre 1996 n.662, ha previsto l’attribuzione di un trattamento economico aggiuntivo, e il riconoscimento di un titolo di preferenza nel conferimento degli incarichi di direzione, in favore dei dirigenti medici con rapporto di lavoro esclusivo e, nella parte finale, ha contestualmente stabilito che “resta ferma la riduzione del 15% della componente fissa di posizione della retribuzione per i dipendenti che optano per l’esercizio della libera professione extramuraria”.
La disposizione da ultimo considerata, nel quadro delle misure preor-dinate ad incentivare l’attività libero-professionale intramuraria, ha previsto vantaggi economici e di carriera in favore del dirigente medico che avesse scelto di esercitare la propria professione al servizio esclusivo dell’azienda ospedaliera; si tratta di benefici, che sono stati introdotti per ampliare l’effetto persuasivo e per invogliare ancora il personale medico a privilegiare l’attività interna, e che si aggiungono ma non sostituiscono le misure già predisposte per disincentivare l’attività esterna, come si deduce dal rilievo che è stata comunque tenuta ferma la riduzione stipendiale a carico dei medici che, anche nel nuovo regime, avessero optato per la libera professione extramuraria. 
In esecuzione delle riferite previsioni, l’azienda ospedaliera, con effetto dal 1° gennaio 1986, ha dapprima stabilito la sospensione, nella misura percentuale indicata, dell’indennità di tempo pieno corrisposta ai dirigenti medici, che espletano attività libero professionale esterna e, quindi, in sostituzione di detta riduzione ha attivato, con decorrenza dal 1° luglio 1997, la trattenuta del 15% della componente fissa della retribuzione di posizione; le misure hanno colpito anche i ricorrenti, i quali hanno denunciato l’illegittimità costituzionale delle decurtazioni, per contrasto con gli artt.3 e 36 della Costituzione. 
3) Sostengono, in particolare, gli interessati che la previsione legislativa di detta riduzione concreta una palese disparità di trattamento tra medici a tempo pieno che esercitano attività professionale interna e medici di identica qualifica che esplicano attività professionale esterna, ciò in quanto l’art.4 l.n.412/91 ha sancito la completa equiparazione giuridica delle due attività libero professionali che devono entrambe essere prestate oltre il normale orario di servizio; per tale ragione l’esercizio dell’attività libero professionale non riveste alcuna influenza sulla quantità e sulla qualità della prestazione, per cui il diverso trattamento riservato alle due categorie di personale concreta anche la violazione del principio dell’adeguatezza della retribuzione.
4) Le questioni sollevate dai ricorrenti sono state già portate all’attenzione della Corte costituzionale, che con la sentenza n.330 del 20 luglio 1999 ne ha dichiarato l’infondatezza. In proposito la Corte, dopo aver rimarcato il carattere innovativo dell’art.4, settimo comma, della l.n.412/91, con il quale è stato affermato il principio di unicità del rapporto di lavoro dei medici ospedalieri con il servizio sanitario nazionale quale mezzo volto a realizzare l’esigenza della piena funzionalità ed efficienza della rete sanitaria pubblica, ha evidenziato come al pieno conseguimento di detti obiettivi concorresse anche la progressiva aziendalizzazione degli enti sanitari e la connessa privatizzazione del rapporto di lavoro del relativo personale. L’ingresso nel mercato delle aziende sanitarie pubbliche in concorrenza con altri operatori privati ha reso quindi inevitabile, anche in considerazione del ruolo centrale e strategico rivestito dai dirigenti sanitari, la fissazione di limiti all’esercizio da parte di questi della libera attività professionale esterna, al fine di evitare l’insorgere di situazioni di incompatibilità o di conflitto di interessi.
Nella prospettiva mirata a conferire maggiore efficienza alla sanità pubblica per renderla concorrenziale con quella privata e ad accrescere la capacità di offerta di prestazioni rese dalla rete pubblica, sono state introdotte misure dirette a favorire l’attività professionale intramuraria e, invece, a disincentivare l’attività professionale prestata in strutture esterne all’azienda. Nel quadro di dette misure, e in coerenza con le finalità perseguite, si iscrive la riduzione dell’indennità di tempo pieno, ossia di quella componente della retribuzione istituita per compensare i mancati proventi derivanti dalla rinuncia all’esercizio dell’attività esterna che, in base all’art.77 D.P.R. n.270/87, era imposta dall’adesione a quel particolare regime impiegatizio.
Così delineata la piena ragionevolezza della norma e della diversità di trattamento riservate alle situazioni a confronto, la Corte, non senza aver ribadito che la riduzione di una singola componente della retribuzione non costituisce lesione dei principi dettati dall’art.36 Cost., ha concluso per l’infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art.4, terzo comma, della l.n.724/94. 
Non avendo i ricorrenti prospettato profili idonei a introdurre un diverso scrutinio, il richiamo alle argomentazioni esposte è sufficiente a evidenziare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle norme contestate.
5) E’ invece fondata la censura con la quale i ricorrenti sostengono che, difettando le condizioni per l’esercizio dell’opzione di cui all’art.1, decimo comma, l.n.662/96, l’amministrazione non poteva dare corso alla riduzione della componente fissa della retribuzione di posizione.
Si è già accennato al valore innovativo delle previsioni contenute, in materia, nell’art.1 della l.n.662/96, in relazione ai progressi in termini economici e di carriera introdotti per indurre ancora i dirigenti sanitari ad optare per il rapporto esclusivo; esse non esauriscono l’evoluzione legislativa, la cui portata si coglie, in particolare, nelle disposizioni comprese nei commi decimo e undicesimo della norma.
Al comma decimo si dispone che i dirigenti sanitari in servizio presso strutture ospedaliere nelle quali l’attività libero professionale intramuraria sia stata già organizzata e attivata, sono tenuti, entro la data stabilita, ad esercitare l’opzione tra l’esercizio della libera professione interna o esterna e che, in assenza di indicazioni, l’opzione si presume compiuta in favore dell’esercizio interno della libera professione; il comma successivo disciplina invece la situazione dei dirigenti medici in servizio presso strutture che non hanno ancora reso operante il modello organizzativo allestito per consentire l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria, per questi ultimi l’obbligo di rendere l’opzione è differita alla scadenza del trentesimo giorno successivo all’esecuzione, da parte del direttore generale dell’azienda, degli adempimenti richiesti al comma ottavo. Ed invero, con quest’ultima disposizione, è stato sancito il dovere dei direttori generali delle aziende sanitarie di organizzare e attivare, in conformità alle previsioni contenute nel d.lgs. n.502/92, l’attività libero professionale intramuraria.
6) Come è reso evidente dal tenore delle disposizioni in esame, l’esistenza e l’operatività all’interno dell’ente ospedaliero di strutture allestite per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria è configurato quale presupposto per l’insorgere dell’obbligo di opzione del medico; la disciplina risponde alla finalità di consentire al personale interessato la facoltà di compiere una scelta consapevole tra due concrete possibilità: quella di avvalersi delle strutture aziendali predisposte per svolgere attività intramuraria con il vantaggio di essere ammesso a benefici economici e di poter accedere agli incarichi più prestigiosi, ovvero, al contrario, di esercitare in piena autonomia l’attività libero professionale esterna, esponendosi tuttavia a significative limitazioni stipendiali e di carriera.
Ne discende che, nel sistema configurato dalla l.n.662/96, la possibilità di obbligare il personale medico all’esercizio della scelta tra dette opzioni è subordinata all’attivazione di strutture dedicate all’esercizio dell’attività intramuraria, con la conseguenza che, in mancanza di queste, il medico non è posto in condizioni di compiere una scelta meditata, per cui nessuna opzione può essere pretesa dall’ente.
E poiché, nel sistema della legge, la riduzione stipendiale è delineata quale misura volta a penalizzare l’opzione per l’attività extramuraria, ne deriva che, non sussistendo le condizioni per l’esercizio della facoltà di scelta, è illegittima l’esecuzione della ritenuta prevista dall’art.1, dodicesimo comma, della l.n.662/96, nei confronti dei medici che, come i ricorrenti, operino in aziende ospedaliere che non hanno attivato le strutture operative dedicate all’esercizio dell’attività libero-professionale interna.
7) Alla riconosciuta fondatezza del ricorso consegue l’obbligo dell’azien-da di corrispondere ai ricorrenti gli importi corrispondenti alla riduzione operata da luglio 1997 sulla componente fissa della retribuzione di posizione. Trattandosi di crediti di lavoro, l’amministrazione ospedaliera va altresì condannata a corrispondere gli interessi nella misura legale con decorrenza dalle singole scadenze fino al saldo effettivo; giusto il divieto di cumulo introdotto per i crediti retributivi, l’importo dovuto a titolo di interessi legali deve essere detratto dalle somme spettanti a titolo di rivalutazione monetaria, come previsto dal decreto del Ministero del tesoro 1 settembre 1998 n.352 adottato in applicazione dell’art.22, comma 36 ultima parte, della l.n.724/94.
Deve altresì dichiararsi l’obbligo dell’ente ospedaliero alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale dei ricorrenti con decorrenza da luglio 1997.
Deve invece dichiararsi inammissibile l’impugnazione, che i ricorrenti hanno proposto, peraltro in via del tutto subordinata, avverso la circolare ARAN 1 aprile 1998 che ha valore interpretativo ed è quindi priva di portata lesiva.
Nei termini suindicati il ricorso deve quindi essere accolto, con le conseguenti statuizioni di cui al dispositivo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3162/98 così dispone:
-accoglie il ricorso in epigrafe nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto condanna l’azienda ospedaliera al pagamento, in favore dei ricorrenti, degli importi indicati in motivazione, maggiorati degli interessi nella misura legale;
-condanna l’amministrazione medesima al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in £.3.000.000.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano il 27/10/99 in camera di consiglio con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano-pres.est.
Carmine Spadavecchia-cons.
Riccardo Savoia-cons.
 
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