Giurisprudenza - Servizi pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 15 febbraio 2002, n. 902, sul riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas nel territorio comunale.
  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione           
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sul ricorso in appello n. 970/99, proposto dal Comune di Pordenone,  in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giangiacomo Martinuzzi, Ivone Cacciavillani e Luigi Manzi, e presso lo studio dell’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, v.Confalonieri  n. 5,
contro
la Società italiana per il gas (Italgas), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Guarino, ed elettivamente domiciliata presso il medesimo in Roma, p.zza Borghese n. 3, 
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli – Venezia Giulia dell’8 ottobre 1998, n. 1115, resa inter partes, con la quale sono stati accolti quattro ricorsi (riuniti) proposti dalla società appellata in relazione al riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 30 novembre 2001 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti Di Mattia, su delega di Manzi, e Guarino;
Visto il dispositivo della presente decisione n. 628 pubblicato il 3 dicembre 2001;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO  
1. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, sono stati accolti quattro ricorsi riuniti proposti in prime cure dall’Italgas avverso gli atti relativi e conseguenti alla decisione del Comune intimato di avvalersi della facoltà di riscattare anticipatamente il servizio di distribuzione del gas nel territorio comunale.
Il Tribunale di prima istanza, analizzando solo il terzo motivo del primo dei ricorsi proposti dalla società appellata, giudicato di assorbente fondatezza, ha ritenuto che l’esercizio della facoltà di riscatto sia incompatibile con l’art. 14 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, che proroga ex lege di venti anni la durata delle concessioni in favore delle imprese a partecipazione statale.
In particolare i primi giudici hanno affermato che tale proroga, che prescinde dalla scadenza convenzionalmente pattuita, si configura come un vero e proprio provvedimento di blocco dei rapporti in essere per un periodo prestabilito, di per sé quindi incompatibile con l’esercizio della facoltà di riscatto.
2. Il Comune di Pordenone, interponendo l’appello in trattazione, ha contestato che dalla richiamata disposizione legislativa derivi una situazione di blocco del rapporto concessorio in essere con il Comune e che, soprattutto, questo comporti la preclusione del riscatto anticipato da parte del Comune medesimo.
Ad avviso della difesa del Comune appellante, aderendo alle tesi proposte in primo grado dall’Italgas e fatte proprie dal Tribunale territoriale adito, si configurerebbe una evidente situazione di conflitto con le norme ed i principi della Costituzione italiana (anche a tutela dell’autonomia del Comune) e, non da ultimo, del diritto comunitario.
Conseguentemente, ritiene sempre l’appellante, ove si ritenesse che il menzionato art. 14  sia da interpretarsi nel senso prospettato dal giudice di prime cure si imporrebbe la devoluzione pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
3. La società  appellata si è costituita in giudizio per resistere all’appello, riproponendo peraltro la vasta platea dei motivi assorbiti dal giudice di prime cure. Da ultimo ha anche eccepito la sopravvenuta carenza di interesse all’appello da parte del Comune alla luce della normativa recentemente intervenuta (in particolare il d. lg. 23 maggio 2000 n. 164, di recepimento della normativa comunitaria circa la liberalizzazione del servizio di distribuzione del gas).
Le parti hanno depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 30 novembre 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. Il gravame in appello deve essere in effetti dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
La società appellata è concessionaria del servizio di distribuzione del gas nel Comune di Pordenone in virtù di un contratto di concessione di pubblico servizio (rep. n. 3820 stipulato  il 22 ottobre 1969, atto convenzionale risolto ed annullato a tutti gli effetti per mutuo consenso, e quindi in pieno sostituito, dal contratto di concessione di durata trentennale  rep. n. 185, stipulato in data 24 maggio 1988).
L’efficacia di tale convenzione, ad avviso dell’Italgas, sarebbe stata prorogata ex lege di ulteriori venti anni, fino al 2038, in virtù dell’art. 14 del citato d.l. n. 333 del 1992.
2. Cosicché la medesima società si è gravata, in prime cure, avverso la serie di provvedimenti, risalenti al 1997 ed al 1998, con cui l’Amministrazione comunale appellante ha preteso di esercitare la facoltà di riscatto anticipato del servizio, nonché di immettersi nel possesso degli impianti prima che il prezzo del riscatto fosse stato determinato e concretamente pagato.
Come accennato in narrativa, il TAR Friuli-Venezia Giulia, accogliendo - con l’impugnata sentenza - i ricorsi proposti da Italgas  sotto l’esclusivo ed assorbente profilo della violazione dell’art. 14 del d.l. 333/92, ha annullato i provvedimenti comunali assunti in materia.
3. Ma, in effetti, è da ritenersi tutt’altro che pacifica l’applicabilità al caso di specie della menzionata disposizione - in ordine alla quale peraltro in più occasioni sono stati rilevati delicati profili di compatibilità con le norme ed i principi del diritto comunitario - che ha disposto, in un momento di evidente emergenza economico-finanziaria,  la proroga ventennale di tutte le concessioni di servizi pubblici in corso con società a partecipazione statale, al fine di salvaguardare e possibilmente incrementare i proventi derivanti dalla privatizzazione di queste ultime.
Nel panorama giurisprudenziale, soprattutto di primo grado, non sono rimaste isolate affermazioni nel senso che il menzionato articolo 14,  emanato al fine di preservare la consistenza patrimoniale delle società per azioni costituite nell’ambito della c.d. privatizzazione, si riferisca esclusivamente alle attività che una norma di legge o un atto amministrativo applicativo della stessa affidino in regime di privativa alla cura dell'Amministrazione dello Stato; con l’effetto che la prorogata assegnazione in concessione ventennale di tali attività, prevista dalla detta norma, non troverebbe applicazione in relazione ai servizi pubblici locali (TAR Abruzzo, L’Aquila, 4 ottobre 2000, n. 795).
In tal senso, prendendo proprio spunto dalla considerazione  che la proroga autoritativa ventennale delle concessioni in essere è applicabile ai soli rapporti promananti direttamente dalla legge ovvero da atti amministrativi emanati dall’Amministrazione statale e, a loro volta, presupposti da una norma di legge che riserva all’Amministrazione stessa la relativa attività economica, si è esclusa  l’applicabilità dell’art. 14 al rapporto concessorio esistente tra un Consorzio comunale per la gestione di un acquedotto e la società a partecipazione pubblica concessionaria del relativo servizio idrico (TAR Piemonte 22 gennaio 2000, n. 59; cfr. anche T.A.R. Veneto 31 maggio 1995 n. 881; TAR Marche 28 maggio 1998, n. 734). 
4. Ma ad assumere consistenza decisiva ai fini della declaratoria di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse è certamente la sopraggiunta normativa di derivazione comunitaria, data dal d. lg. 23 maggio 2000, n. 164, che, in  recepimento della direttiva 98/30 CE, ha profondamente riformato il settore della distribuzione del gas naturale.
Fino alla riforma, mentre lo stoccaggio è stato  oggetto di concessione ventennale rilasciata in favore di chi già risultava titolare di una concessione di coltivazione degli idrocarburi, l’attività di distribuzione ad uso civile, pur non essendo espressamente oggetto di riserva né tra quelle da svolgersi in regime di privativa dagli enti locali – a differenza dalla produzione di energia elettrica – è stata effettuata secondo le forme organizzative previste dall’art. 22 della l. 142/90, e quindi, segnatamente, per il tramite di aziende speciali, società miste, ovvero, come nel caso di specie, in concessione a realtà industriali private, con tariffe fissate dall’Autorità di settore.
D’ora in avanti, almeno in linea di principio, le attività di importazione, trasporto e dispacciamento,  distribuzione e vendita del gas naturale, divengono libere, sia pure con i limiti indicati dal menzionato decreto legislativo, mentre il regime concessorio resta per la coltivazione dei giacimenti e lo stoccaggio.
Al fine di consentire, con la gradualità necessaria a garantire la salvaguardia degli interessi collettivi inerenti al settore, un approccio maggiormente concorrenziale, in ossequio alla consueta logica della separazione tra rete e servizio (cfr. in tema  anche il recentissimo apporto dell’art.35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, legge finanziaria 2002, ed in particolare l’art. 113, comma 4, del testo unico sugli enti locali,  di cui al d. lg.  267/00, dal medesimo novellato; disposizione che peraltro pur applicandosi, nella sua generalità e completezza, ai servizi pubblici locali di rilevanza industriale, fa espressamente salve le disposizioni previste per i singoli settori e quelle, come nel caso della normativa in argomento, nazionali di attuazione delle normative comunitarie), viene spezzato il tradizionale binomio vendita - distribuzione del gas, fino ad oggi riconducibile ad un unico soggetto, concessionario privato o gestore pubblico (società miste, aziende speciali).
Indubbiamente il segmento della “filiera” che qui è chiamato in causa, la distribuzione  - ovvero la veicolazione del gas naturale attraverso i gasdotti locali ai fini della consegna ai clienti finali - è quello contrassegnato dalle novità più significative.
I principi basilari enunciati, in materia, dall’art. 14 del d.lg. 164/00 possono così riassumersi:
- l’attività di distribuzione del gas costituisce servizio pubblico;
- l’affidamento di tale servizio da parte degli enti locali può avvenire unicamente mediante gara;
- gli enti locali svolgono, a regime, solo attività di indirizzo, vigilanza, programmazione e controllo;
- i rapporti con il gestore sono regolati da contratti di servizio, stipulati sulla base di uno schema tipo predisposto dall’Autorità di settore ed approvato dal Ministero competente.
Viene dunque escluso che l’ente locale possa direttamente farsi carico della produzione e gestione del servizio.
La concessione e il rapporto convenzionale accessivo fanno spazio ad un contratto di servizio con un soggetto individuato a mezzo di gara.
E’ assai dubbio se permangano poteri autoritativi incidenti sui nuovi rapporti  contrattuali di affidamento.
Anche un istituto tipico del vecchio regime, come il riscatto anticipato,  consustanziale alla previgente possibilità di optare per una gestione diretta del servizio da parte dell’Ente locale (essendo ad essa in definitiva finalizzata la predetta tipologia di  riscatto, ai sensi degli artt. 1 e 25 del r.d. 2578/1925), seppur non esplicitamente abrogato (e questo non deve meravigliare più di tanto atteso che il menzionato regio decreto riguardava tutti i pubblici servizi assunti dai Comuni e non solo la distribuzione del gas), non trova più cittadinanza e margini di applicazione nel nuovo assetto normativo, non risultando tra l’altro compatibile con un rapporto di durata limitata e definito esplicitamente come “contrattuale”.
Il potere di riscatto in argomento si incardinava in un quadro legislativo che assumeva come postulato la titolarità del servizio in capo all’Amministrazione, la quale lo gestiva direttamente ovvero l’affidava in concessione per periodi lunghissimi all’industria privata.
La titolarità del servizio spettante in ogni caso al Comune giustificava il fatto che, decorso un periodo minimo di tempo (un terzo della concessione o almeno dieci anni), il Comune medesimo disponesse della facoltà di riassumere anche la gestione del servizio, corrispondendo al concessionario un’equa indennità.
Orbene, in base alla riforma, la gestione del servizio viene ad essere ora sempre esternalizzata, per cui appare particolarmente problematico continuare ad ipotizzare un’anticipata cessazione del rapporto - per considerazioni d’ordine economico - in vista di una conduzione diretta da parte dell’ente locale. Quest’ultima, infatti, non è più ammessa, dovendo l’Ente limitarsi all’attività di indirizzo, vigilanza, programmazione e controllo. Senza contare che, come accennato, la regolamentazione  del rapporto per il tramite di un contratto di servizio riconduce alle normali ipotesi di recesso le possibilità di farne venir meno la stabilità da parte dell’ente aggiudicatore.
5. In più, a corroborare ulteriormente l’assunto della sopravvenuta improcedibilità del gravame, pervengono le disposizioni atte  a regolamentare il periodo transitorio, in particolare l’art. 15 del d.lg. 164/00, peraltro, quanto alla previsione del comma 10 (che qui non interessa direttamente), recentemente rimesso al vaglio della Corte Costituzionale in ordine all’aspetto della prevista possibilità di partecipazione, senza limitazioni, alle gare per l’affidamento del servizio delle imprese già  titolari degli affidamenti e delle concessioni al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo, escluse invece nel sistema a regime delle gare predette (ordinanza di rimessione  n. 963 emessa in data 21 dicembre 2000 dal TAR Liguria).
Il predetto regime transitorio stabilisce le scansioni temporali circa la cessazione dei rapporti in atto.
Tutte le gestioni dirette decadono con il 1° gennaio 2003, e sono sostituite tramite affidamento a seguito di gara ovvero costituzione di società miste.
Gli affidamenti e le concessioni in essere nei confronti dell’industria privata proseguono fino alla data stabilita nei singoli disciplinari, sempre che questa venga a cadere entro il 31 dicembre 2005 (termine prorogabile solo in relazione agli indici fissati dal comma 7 della disposizione in esame).
Come può vedersi la nuova regolamentazione riduce, a volte in maniera drastica, la durata delle concessioni in corso (nella fattispecie la scadenza naturale del rapporto sarebbe stata il 2018), ma nel contempo garantisce un tempo ragionevole di permanenza, in via transitoria, del regime concessorio in atto. 
Nello stesso tempo viene ridimensionata anche l’indennità cui i gestori avrebbero avuto altrimenti diritto in caso di cessazione anticipata.
Nell’assetto così delineato, considerando anche che ai Comuni non mancano gli ordinari mezzi per incidere, motivatamente, in via autoritativa sui rapporti di affidamento del servizio in corso, non sembra più trovare  spazio l’istituto tradizionale del riscatto anticipato, finalizzato a quella gestione diretta da parte dell’Ente locale  (di un servizio riservato) definitivamente eliminata nel settore della distribuzione del gas naturale.
Nella specie poi, ed è l’elemento chiave ai fini della declaratoria di improcedibilità, non risulta che il Comune reclamante, che pur aveva optato per il riscatto anticipato quando ancora era teoricamente possibile, si sia messo nelle condizioni (sussistenza di un’azienda speciale all’atto di entrata di vigore del d.lg. 164/00) per poter fruire del periodo, fino al 1° gennaio 2003, per la trasformazione (dell’azienda speciale) in società mista, così da poter ancora godere della gestione diretta nel periodo transitorio senza effettuazione di gara.
A fronte, infatti,  di un riscatto eventualmente finalizzato al conferimento del servizio ad una società pubblica, deve ribadirsi che un simile affidamento senza gara è consentito solo per porre fine alle gestioni dirette già esistenti alla data di entrata in vigore del d.lg. 164, e non può dunque essere invocato per supportare una nuova assunzione diretta da parte del Comune, preclusa a regime ed inibita anche dal regime transitorio, che disciplina puntualmente la sorte delle concessioni esistenti.
6. Il complesso degli elementi riportati portano il Collegio a convenire con l’eccezione di improcedibilità del gravame, alla stregua della sopravvenuta carenza di interesse ad appellare in virtù della normativa sopraggiunta, sollevata dalla difesa della società concessionaria appellata.   
Le spese di lite relative al presente grado di giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
 Così deciso in Roma, il 30 novembre 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Alfonso Quaranta   Presidente 
Giuseppe Farina   Consigliere
Corrado Allegretta   Consigliere  
Paolo Buonvino   Consigliere
Gerardo Mastrandrea  Consigliere est.
L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE
f.to Gerardo Mastrandrea  f.to Alfonso Quaranta
 
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