Giurisprudenza - Varia

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, decisione 9 gennaio 2002, n. 1, sul silenzio rifiuto della P. A.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Adunanza plenaria)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE N. 1 - DEP. 9 gennaio 2002

sul ricorso in appello nr. 6 del 2001, proposto dal Ministero della sanità e
dal Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, in
persona dei rispettivi ministri in carica, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in
Roma, via dei Portoghesi, n.12,

CONTRO

I sigg.ri ,. R.G., non costituiti;

e nei confronti

della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli
odontoiatri, non costituita,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del Lazio, sez. I/bis, 30 novembre 2000, n. 10704.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Vista l'ordinanza di rimessione della VI Sezione n. 3803/01 del 10 luglio
2001;

Viste le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla Camera di Consiglio del 29 ottobre 2001, relatore il consigliere
Marcello Borioni, udito l'avv. dello Stato Giacomo Aiello per le
Amministrazioni appellanti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Il T.A.R. del Lazio, sez. I/bis, con sentenza 30 novembre 2000, n. 10704,
accogliendo il ricorso proposto dagli attuali appellati, ai sensi
dell'art.21 bis della legge 6 dicembre 1971, n.1034, introdotto dall'art.2
della legge 21 luglio 2000, n.205, ha affermato "l'obbligo delle
amministrazioni intimate, ciascuna per quanto di competenza" di determinare,
entro trenta giorni il giorno e la sede di svolgimento della prova
attitudinale per l'esercizio della professione di odontoiatra prevista dal
D. Lgs. 13 ottobre 1998, n.386.

La sentenza è stata impugnata dal Ministero della salute, già Ministero
della sanità, e dal Ministero dell'università e della ricerca scientifica e
tecnologica, per i seguenti motivi:

errata applicazione della domanda proposta in primo grado e conseguente
errata applicazione del rito speciale introdotto dall'art.2 della legge
n.205/2000. Violazione del principio del contraddittorio. All'istanza degli
originari ricorrenti era stata data risposta dal Ministero della sanità con
nota del 4 agosto 2000, inoltre sia i ricorrenti sia il T.A.R. hanno esteso
il giudizio all'accertamento della fondatezza della pretesa, cosí
esorbitando dai limiti di cui al citato art.21 bis;

non è possibile fissare la data e il luogo della prova attitudinale neri
termini, peraltro ordinatori, stabiliti dall'art.1 del D. Lgs. n. 368/1998,
in quanto, con risoluzione n.7/00962 approvata il 29 settembre 2000 dalla
Camera dei deputati, il Governo si è impegnato a sospendere la prova e a
riformulare la normativa, previe trattative con la Commissione europea.

Con ordinanza 10 luglio 2001, n. 3803, la Sezione sesta ha rilevato che
l'appello è stato proposto oltre il termine di trenta giorni dalla
notificazione della sentenza, di cui al predetto art.21 bis; ha escluso che
con la citata nota in data 4 agosto 2000 il Ministero della sanità si sia
pronunziato sulla istanza degli originari ricorrenti; ha rimesso l'esame
dell'appello all'Adunanza plenaria considerando che la questione attinente
alla natura ed ai limiti del rito speciale di cui al citato art.21 sia
rilevante e possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali.

Le amministrazioni appellanti hanno ulteriormente illustrato con memoria le
tesi esposte nell'atto di appello.

Alla camera di consiglio del 29 ottobre 2001, il ricorso in appello veniva
trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con la sentenza impugnata il T.A.R., accogliendo il ricorso proposto ai
sensi dell'art.21 bis della legge 6 dicembre 1971, n.1034, introdotto
dall'art.2 della legge 21 luglio 2000, n.205, ha ritenuto fondata la pretesa
degli attuali appellati volta ad ottenere la fissazione del giorno e della
sede di svolgimento della prova attitudinale per l'esercizio della
professione di odontoiatra prevista dal D. Lgs. 13 ottobre 1998, n.386.

Va, anzitutto, disattesa l'eccezione con la quale si contesta la
ricevibilità dell'appello, perché notificato dopo la scadenza del termine
ridotto previsto dal citato art.21 bis, comma 1.

Come risulterà da quanto esposto di seguito, la controversia esula
dall'ambito di previsione della norma predetta, sicché con ragione le
amministrazioni appellanti obiettano che l'impugnazione resta soggetta al
termine ordinario. In ogni caso, la questione presenta profili di novità e
di incertezza tali da legittimare il riconoscimento dell'errore scusabile,
tant'è che la stessa Sezione remittente ne ha sottoposto l'esame
all'Adunanza Plenaria.

L'Adunanza Plenaria è chiamata a pronunciarsi sulla seguente questione: se
la cognizione del giudice amministrativo adito con il "ricorso avverso il
silenzio" sia limitata all'accertamento della illegittimità dell'inerzia
dell'amministrazione, come si sostiene nell'appello, ovvero si estenda
all'esame della fondatezza della pretesa sostanziale del privato, come ha
ritenuto il T.A.R..

Il Collegio condivide la prima tesi.

Un primo elemento significativo in tal senso si trae dalla considerazione
che l'art. 21 bis identifica l'oggetto del ricorso nel "silenzio" (comma 1),
senza fare alcun riferimento alla pretesa sostanziale del ricorrente.
Poiché, in linea di principio, i poteri cognitori del giudice sono
delimitati dal ricorso (art.112 c.p.c.: "il giudice deve pronunciare su
tutta la domanda e non oltre i limiti di essa"), se ne deve dedurre che il
legislatore ha inteso circoscrivere il giudizio alla inattività
dell'amministrazione.

La stessa norma prevede che, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice
"ordina all'amministrazione di provvedere" e se " l'amministrazione resti
inadempiente.su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in
luogo della stessa" (comma 2). L'espressione "resti inadempiente" lascia
intendere che l'inadempimento dell'amministrazione non ha contenuto diverso
prima della sentenza, quando è condizione per l'accoglimento del "ricorso
avverso il silenzio", e dopo la sentenza, quando è condizione perché
provveda il commissario. Inoltre, la terminologia usata dal legislatore
("ordina.di provvedere"; "un commissario che provveda") definisce
nell'accezione comune in dottrina e in giurisprudenza, l'esercizio di una
potestà amministrativa, sicché sarebbe inappropriata se il giudice dovesse
spingersi a stabilire il concreto contenuto del provvedimento, poiché in tal
caso all'amministrazione e al commissario non residuerebbero altri spazi se
non per un'attività avente contenuto e funzione di mera esecuzione. La
stessa terminologia è ripetuta in seguito, quando l'attività del commissario
è configurata come diretta "all'emanazione del provvedimento da adottare in
via sostituiva" (comma 3) e quando è imposto al commissario di accertare se
"l'amministrazione abbia provveduto". Anche l'indeterminatezza circa il
contenuto (positivo o negativo) dell'eventuale provvedimento tardivo
dell'amministrazione, avvalora la tesi che l'organo competente in via
ordinaria conservi, pur dopo la sentenza e fino all'insediamento del
commissario, il potere di provvedere in senso pieno.

Le argomentazioni che precedono non sono infirmate, diversamente da quanto
prospettato nell'ordinanza di rimessione, dai riferimenti fatti nello stesso
art.23 bis ad una possibile istruttoria disposta dal collegio e ad un
possibile accoglimento parziale del ricorso, trattandosi di eventi
ipotizzabili anche se il giudizio ha per oggetto il solo accertamento
dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.

Che l'intento del legislatore fosse solo quello di indurre l'amministrazione
ad esprimersi sollecitamente sull'istanza del privato trova conferma nella
relazione al disegno di legge n.2934 (Senato), nella quale si legge, a
commento della norma sul ricorso "avverso il silenzio", redatta già in
origine in modo sostanzialmente conforme al disposto dell'art.2 della legge
n.205/2000, che la trasformazione del ricorso "in un procedimento d'urgenza"
è rivolta ad evitare che "la dichiarazione dell'obbligo di provvedere (che
di per sé non soddisfa l'interesse sostanziale al ricorso) sopraggiunga dopo
i lunghi tempi del processo ordinario".

Ciò ha trovato coerente attuazione nella previsione di un modello
processuale caratterizzato dalla brevità dei termini e dalla snellezza delle
formalità, la cui configurazione è congrua se il giudizio si incentra sul
"silenzio", non anche se il giudice dovesse estendere la propria cognizione
ad altri profili.

Sussistono, dunque, concordi elementi ermeneutici dai quali emerge che il
rito speciale è stato introdotto per pervenire, con la speditezza consentita
dal rispetto delle garanzie processuali, ad imporre all'amministrazione
"inadempiente" l'esercizio della potestà amministrativa di cui è titolare.

A questo risultato si giunge in due fasi, semplificate e contenute nell'arco
del medesimo processo, in linea con la logica ispiratrice comune agli
interventi di riforma operati dalla legge n.205 del 2000: nella prima il
giudice accerta l'esistenza e la violazione dell'obbligo di provvedere;
nella seconda, il commissario, nominato dallo stesso giudice su semplice
"richiesta della parte", adotta il provvedimento in sostituzione dell'organo
amministrativo rimasto eventualmente inadempiente.

Sul piano sostanziale, il giudizio sul "silenzio" cosí definito si collega
al "dovere" delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento
"mediante l'adozione di un provvedimento espresso" nei casi in cui esso
"consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato
d'ufficio", come prescrive l'art.2, comma 2, della legge 7 agosto 1990,
n.241.

Sul piano sistematico la scelta operata dal legislatore si allinea al
principio generale che assegna la cura dell'interesse pubblico
all'amministrazione e al giudice amministrativo, nelle aree in cui
l'amministrazione è titolare di potestà pubbliche, il solo controllo sulla
legittimità dell'esercizio della potestà. Questo schema viene superato
mediante l'attribuzione al giudice del potere di "riformare l'atto o
sostituirlo" in via diretta e immediata, in sede di accoglimento del ricorso
(art.26, comma II, della legge 6 dicembre 1971, n.1034). Tuttavia, proprio
perché derogativi del principio predetto, i casi di ingerenza del giudice
nella sfera dell'attività pubblicistica dell'amministrazione sono previsti
da esplicite norme autorizzative (art.6, comma II, e art. 7, commi I e IV,
della legge n.1034/1071). In linea astratta nulla impedisce di individuare
altri casi in via interpretativa, sebbene con il rigore imposto dalla
eccezionalità dell'istituto, ma l'analisi dell'art.21 bis della legge
n.1034/1971 anziché fornire elementi persuasivi in tal senso, accredita,
come risulta da quanto esposto in precdenza, la conclusione opposta.

Le stesse considerazioni e la stessa conclusione valgono anche quando il
provvedimento richiesto dal privato abbia, come nella specie, natura
vincolata.

In primo luogo, il citato art. 21 bis non contiene alcun elemento che
autorizzi di attribuire al sindacato del giudice amministrativo una
estensione diversa in relazione alle peculiarità sostanziali della potestà
non esercitata.

L'articolazione precettiva, al contrario, definisce una disciplina unica e
indifferenziata, valida in tutti i casi in cui l'amministrazione si
sottragga al dovere di adottare un atto autoritativo esplicito. Sotto questo
profilo sono irrilevanti i presupposti di fatto del provvedimento; è
determinante che il "silenzio" riguardi l'esercizio di una potestà
amministrativa e che la posizione del privato si configuri come un interesse
legittimo. Ed è logico e coerente che all'identità formale di situazione
soggettiva dell'amministrazione e del privato corrisponda una identità di
tutela giurisdizionale.

Senza considerare l'irrazionalità che si verificherebbe se, nel caso di
inerzia dell'amministrazione, il privato potesse ottenere, mediante il
ricorso avverso il silenzio, l'accertamento immediato, da parte del giudice,
della fondatezza della sua pretesa sostanziale, mentre, nella medesima
situazione, se l'amministrazione avesse adottato un provvedimento esplicito
di diniego, la tutela giurisdizionale sarebbe stata soggetta alle forme ed
ai limiti, oltre che ai tempi, del giudizio ordinario.

L'ordinanza di rimessione manifesta la preoccupazione che il nuovo rito
possa ridimensionare l'incisività della tutela riconosciuta al privato dal
precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale il giudice può
esprimersi sulla fondatezza della istanza presentata dal ricorrente
all'amministrazione quando il provvedimento sia espressione di potestà
amministrativa priva di contenuto discrezionale (da ultimo, Cons. Stato,
sez. IV, 22 giugno 2000, n.3526) o a basso contenuto di discrezionalità (da
ultimo, Cons. Stato, sez.V, 12 ottobre 1999, n.1446).

Sarebbe sufficiente osservare che l'indicato indirizzo della giurisprudenza,
della quale possono comprendersi le ragioni e condividersi le finalità, non
può che cedere di fronte alla normativa sopravvenuta che definisce in modo
compiuto la tutela giurisdizionale accordata al privato nei confronti del
comportamento omissivo dell'amministrazione.

Va, però, osservato che la valutazione del rito speciale sotto il profilo
della capacità di offrire una piú efficace tutela al privato in attesa di
provvedimento va effettuata con riferimento all'obiettivo sollecitatorio
postosi dal legislatore e considerando il risultato conseguibile al
compimento delle due fasi, e cioé tenendo conto sia dell'abbreviazione dei
termini sia della possibilità di ottenere la nomina del commissario ad acta,
nel corso dello stesso giudizio, senza necessità di promuovere un giudizio
di ottemperanza. Visto in questa prospettiva, il nuovo modello processuale
assicura pur sempre al privato un significativo vantaggio anche rispetto
all'indirizzo giurisprudenziale anzidetto.

Quanto alla distinzione fra casi di agevole o meno agevole conoscibilità
della fondatezza della pretesa sostanziale, ovvero di maggiore o minore
ampiezza della discrezionalità dell'amministrazione, deve osservarsi che non
è ammissibile far discendere l'estensione dei poteri cognitivi e dispositivi
del giudice dal grado di complessità dalla controversia. Si tratta di un
criterio empirico che poteva semmai trovare spazio nella soluzione elaborata
dalla giurisprudenza, ma non piú dopo l'entrata in vigore della nuova
disciplina, nel cui contesto, come già osservato, nulla autorizza ad
effettuare simili distinzioni.

Dalle considerazioni svolte emerge, in via riepilogativa, che: il giudizio
disciplinato dall'art. 21 bis è diretto ad accertare se il "silenzio" violi
l'obbligo dell'amministrazione di adottare un provvedimento esplicito
sull'istanza del privato; il giudice non si sostituisce all'amministrazione
in nessuna fase del giudizio, ma accerta se il "silenzio" sia o non sia
illegittimo e, nel caso di accoglimento del ricorso, impone
all'amministrazione di provvedere sull'istanza entro il termine assegnato;
il commissario ad acta esercita, in via sostitutiva, la potestà
amministrativa appartenente all'organo rimasto inadempiente.

Tutto ciò premesso, con ragione le amministrazioni appellanti contestano la
sentenza impugnata nella parte in cui impone ad esse di provvedere in senso
positivo sulla istanza dei ricorrenti originari fissando data e luogo della
prova attitudinale. E per questa parte l'appello va accolto.

La sentenza merita, invece, conferma nella parte in cui afferma che il
comportamento omissivo "è senz'altro in contrasto con il dovere
dell'amministrazione di concludere il procedimento con sollecitudine".
Dall'art.1 del D. Lgs. n.368/1998 risulta che la fissazione della prova
attitudinale consegue ad un procedimento che deve essere iniziato d'ufficio
a cura del Ministro della salute; risulta, altresí, che i ricorrenti
originari, quali laureati in medicina e chirurgia in possesso dei requisiti
di cui all'art.1, comma 1, del D. Lgs. n.386/1998, avrebbero titolo a
partecipare alla prova. Sussistono, pertanto, le condizioni (interesse
qualificato degli istanti all'adozione del provvedimento; competenza delle
amministrazioni adite) per la pronunzia dell'obbligo di provvedere, ai sensi
dell'art.21 bis della legge n.205/2000.

L'accoglimento parziale dell'appello determina la riforma della sentenza di
primo grado nei limiti sopra indicati. Resta fermo l'obbligo per le
amministrazioni appellanti di provvedere sull'istanza dei ricorrenti
originari entro un termine che, in considerazione della articolazione del
procedimento (concerto fra il Ministro della salute e il Ministro
dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica; parere della
federazione nazionale dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri),
si reputa di fissare in novanta giorni dalla notificazione o comunicazione
della presente decisione.

Sussistono ragioni per compensare fra le parti le spese dei due gradi di
giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria),
pronunziandosi sull'appello nei sensi di cui in motivazione, lo accoglie in
parte. Ordina alle amministrazioni appellanti di provvedere sull'istanza
degli appellati nel termine indicato in motivazione.

Spese dei due gradi di giudizio compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Cosí deciso in Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella
camera di consiglio del 29 ottobre 2001, con l'intervento dei sigg.ri

Alberto de Roberto presidente,

Sergio Santoro consigliere,

Domenico La Medica consigliere,

Costantino Salvatore consigliere,

Giuseppe Farina consigliere,

Anselmo Di Napoli consigliere,

Corrado Allegretta consigliere,

Luigi Maruotti consigliere,

Chiarenza Millemaggi Cogliani consigliere,

Marcello Borioni consigliere estensore,

Pietro Falcone consigliere,

Paolo Buonvino consigliere,

Goffredo Zaccardi consigliere.
 

 

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