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TAR Lombardia – Milano, sez. I, 25 ottobre 1999, n. 3512, sul potere della Regione di riconoscere la qualifica di imprenditore agricolo anche a persone giuridiche nella forma di società cooperative oltre che a persone fisiche, al fine di erogare contributi. F A T T O La Commissione statale di controllo sugli atti regionali annullava la su richiamata delibera sul presupposto del difetto, in capo al Consiglio regionale, della facoltà di modificare, in senso estensivo, le disposizioni di cui agli artt. 12 e 13 della l. n. 153 del 1975, attuativa della direttiva CEE n. 72/159, con un atto di natura regolamentare. Avverso siffatta decisione, la Regione proponeva ricorso deducendo l’illegittimità per erronea interpretazione dell’art. 13 della L. n. 153 cit. e per eccesso di potere per travisamento dei fatti. Precisava, infatti, che la statuizione della Commissione di controllo si fonda erroneamente sulla base della considerazione della innovatività dell’atto del Consiglio regionale, a fronte invece del silenzio della normativa statale in materia di persone giuridiche. Deduceva, altresì, la violazione dell’art. 3 della Direttiva CEE n. 72/159, dell’art.2 del Regolamento CEE n. 797/85 e del D.M. 12.3.1985. Evidenziava che, più volte, la Corte di giustizia europea si è pronunziata nel senso di escludere che la forma giuridica possa comportare una differenziazione ai fini del riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo e che, pertanto, l’atto dell’amministrazione deve essere considerato atto dovuto di adeguamento alla disciplina comunitaria. Ciò anche in conformità a quanto previsto dalla L. n. 86/89 – art. 9 – come modif. dall’art. 13 della l. n. 128/98, che prevede che “le regioni, anche a statuto ordinario, …nelle materie di competenza concorrente, possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie” e dall’art. 17, co. 32, della L. n. 127/97, in forza del quale sono sottoposti al controllo di legittimità gli atti amministrativi regionali che costituiscono adempimenti degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Si costituiva l’Amministrazione ed evidenziava che l’art. 2 della L. n. 153 cit. autorizza le regioni a statuto ordinario a regolare la materia in questione con proprie leggi e prescrive l’applicazione della legge statale sino a che le stesse regioni non abbiano provveduto. Sicchè dovrebbe ritenersi illegittima l’adozione di una disciplina innovativa con atto non avente natura di legge. In tale modo, peraltro, la regione si sottrarrebbe al controllo del Governo previsto per le leggi regionali. Inoltre, evidenziava che deve riconoscersi alla L. n. 153 natura speciale, non essendo, pertanto, modificabile tacitamente da una legge successiva. La causa era, pertanto, chiamata alla pubblica udienza del 21.9.99, unitamente alla domanda incidentale di sospensione, ed era trattenuta in decisione. Il regolamento comunitario 797/85, codificato con il regolamento CEE 2328/91, ha, poi, stabilito le norme base in materia di politica delle strutture agrarie ed i criteri per fruire degli aiuti agli investimenti ed ha imposto agli Stati membri di definire la nozione di riferimento. In ambito nazionale la disciplina è contenuta, in primo luogo, nella l. 9.5.1975, n. 153 che, in recepimento della normativa comunitaria, all’art. 12 dispone “Si considera titolo principale l’imprenditore che dedichi all’attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall’attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale” (co. 1) ed all’art. 13 prevede che “possono beneficiare delle provvidenze … oltre alle persone fisiche: le cooperative agricole …; le associazioni di imprenditori agricoli … sempre che i soci ritraggano dall’attività aziendale ed associata almeno il 50 per cento del proprio reddito ed impieghino nell’attività aziendale ed in quella associata almeno il 50 per cento del proprio tempo di lavoro”. L’art. 2 della stessa legge prevede che le regioni a statuto ordinario possano con proprie leggi regolare la materia di attuazione delle direttive nn. 159, 160 e 161 del 1972, per adattarla alle esigenze dei singoli territori, nel rispetto dei limiti stabiliti nelle stesse direttive e dei principi fondamentali della medesima legge, tra cui sono indicati i predetti artt. 12 e 13. Sopravvenivano ancora il d.m. del ministero dell’agricoltura e foreste 12.9.85 e la l. n. 18 del 1982 di istituzione dell’albo professionale degli imprenditori agricoli a titolo principale, avente come scopo l’agevolazione del conseguimento degli aiuti comunitari da parte degli iscritti, attraverso il riconoscimento automatico della qualità di imprenditore agricolo richiesta. Già con la sent. della Corte di giustizia europea del 15.10.92, nella causa C – 162/91 (Tenuta il Bosco e Villa Banfi) il giudice comunitario aveva precisato che il regolamento n. 797/85 deferisce agli Stati membri il compito di definire la nozione di imprenditore agricolo e non consente di escludere le società di capitali ed in generale le persone giuridiche. Sulla base di tali rilievi si è consolidato l’orientamento della giurisprudenza in materia, nel senso di affermare l’ammissibilità dell’inclusione, nella nozione di imprenditore agricolo a titolo principale, anche delle persone giuridiche. In tale senso, il Cons. St., sez. VI, con la sent. n. 1247 del 21.11.88 (di conferma della precedente n. 1057 del 1987), ha affermato che l’art. 13, l. n. 153 del 1975, laddove individua come beneficiari degli aiuti, oltre alle persone fisiche, anche le cooperative agricole e le associazioni di imprenditori, non può essere interpretata nel senso di negare l’attribuibilità dei benefici previsti ad una società, qualora questa sia in possesso dei requisiti qualificanti l’imprenditore agricolo a titolo principale, poiché diversamente opinando, si potrebbe verificare una disparità di trattamento all’interno della Comunità europea tra soggetti destinatari dello stesso beneficio. Tuttavia, la giurisprudenza precisava che l’estensione anche a soggetti che non siano persone fisiche, voluta dalla disciplina comunitaria, deve intendersi esclusivamente riferita alle condizioni di accesso alle provvidenze CEE, per l’agricoltura (v. Cass., sez. Ia, n. 8796 del 21.7.92). In tale senso Questo Tribunale affermava in materia diversa, di contributi relativi alla concessione di costruzione, che l’art. 9, lett. a), l. n. 10 del 1977 – che stabilisce che il contributo di cui all’art. 3 della stessa legge, non è dovuto per le opere da realizzare nelle zone agricole, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. n. 153 del 1975 – deve intendersi riferito al solo imprenditore persona fisica (v. Tar Lombardia, Milano, sez. Ia, 26.5.98, n. 1125). Va ricordato che con la pronunzia del 29.5.97 cit. la Corte europea precisava che, ai fini della individuazione dei beneficiari degli aiuti di cui alla direttiva n. 72/159, non può ritenersi compatibile con i principi comunitari alcun trattamento diverso tra gli imprenditori agricoli a titolo principale a seconda della forma giuridica, anche qualora la differenziazione consista in un sistema di individuazione speciale della qualità, che risulti dalla creazione in ambito nazionale di un albo. Da quanto sopra esposto deriva che la normativa interna deve ricevere una lettura conforme a quella comunitaria ed all’interpretazione fornita dalla Corte europea, cosicchè l’indicazione delle persone giuridiche individuabili quali imprenditori agricoli di cui all’art. 13, l. n. 153 cit. non può ritenersi esaustiva, mentre deve già ritenersi sussistere nell’ordinamento interno, in adeguamento ai principi comunitari, ai fini del riconoscimento dei benefici europei, una nozione allargata di imprenditore agricolo, formata sulla base degli indici ricavabili dalla direttiva comunitaria e dalla l. n. 153 di recepimento (in particolare i criteri di cui all’art. 12). Siffatta interpretazione non contrasta con la diversa competenza, meramente interna, relativa all’eventuale limitazione di ulteriori agevolazioni, sinora connesse alla disciplina dell’art. 12 cit., come esemplificativamente nel caso relativo alle esenzioni dai contributi di concessione di costruzione, che esulano dall’ambito di applicazione della direttiva n. 72/159. 2. L’annullamento operato dalla Commissione statale di controllo della deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia, che disponeva di riconoscere la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale anche alle società di persone, alle società in nome collettivo, in accomandita semplice e di capitali, che rispettassero taluni requisiti, al fine del rilascio di attestati e pareri di competenza degli uffici regionali e degli enti delegati, si fonda essenzialmente sull’erroneo presupposto del carattere innovativo della stessa e di conseguenza dell’illegittimo uso dello strumento regolamentare al posto di quello legislativo, nella modifica delle disposizioni di cui alla l. n. 153 del 1975, in violazione del disposto, sopra richiamato, di cui all’art. 2 della stessa legge. Orbene, da quanto sopra evidenziato deve ritenersi che la delibera non assume carattere innovativo rispetto alla normativa statuale, dovendo questa essere interpretata sistematicamente alla luce dei principi sopra esposti. Conseguentemente, il provvedimento annullato in sede di controllo costituisce una specificazione, in via regolamentare delle disposizioni di legge e di principi già esistenti nell’ordinamento interno a seguito dell’interpretazione conforme al diritto europeo. Esso, tutt’altro, che porsi in contrasto con la legge nazionale, costituisce, da un lato integrazione a livello subprimario delle norme vigenti in forza della fonte di livello superiore e dall’altro, adeguamento della pubblica amministrazione alla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia, nello svolgimento della sua attività, come ormai riconosciuto doveroso a seguito della sent. della Corte cost. n. 389 del 1989. In applicazione del principio esposto dalla sent. della Corte di giustizia, più volte richiamata, in merito alla non differenziabilità degli imprenditori agricoli in base alla forma giuridica dell’organizzazione degli stessi, neanche ai fini dell’iscrizione in appositi albi, la regione ha provveduto ad individuare, in forza dei criteri comunitari, i requisiti necessari per l’attribuzione della qualifica di imprenditori agricoli a titolo principale alle persone giuridiche, pertanto, riconoscendo tale qualità ai soggetti aventi le caratteristche indicate. 3. In forza delle considerazioni esposte, devono essere accolte le domande di annullamento della decisione della Commissione di controllo impugnata ed incidentale di sospensione, in considerazione del pericolo di eventuali effetti della stessa concernenti preclusioni per le persone giuridiche ad accedere ai benefici della normativa comunitaria. Tuttavia, in ragione della complessità della fattispecie esaminata, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Milano, addì 21.9.99, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sez. I) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati: Giovanni Vacirca PRESIDENTE Adriano Leo, Consigliere Solveig Cogliani, rel. Referendario Depositata il 25 ottobre 1999
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