Giurisprudenza - Varia

T.A.R. Umbria -  Sentenza 28 ottobre 2003  n.832, in materia di risarcimento danni da mancata assegnazione di una borsa di studio, e da mancato incremento di curriculum professionale, con nota di Avv. Ottavio Carpanelli  
 
 
 

O  la “borsa”  o  (il bene del)  la vita

(Sul risarcimento del danno da mancata assegnazione di una borsa di studio,  e da mancato incremento di curriculum professionale)
 

Il fatto.

La ricorrente partecipava ad una selezione pubblica indetta dall’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche,  per l’assegnazione di una borsa di studio di 35.000.000 delle vecchie lire, ai fini dello svolgimento di attività di ricerca scientifica, finanziata dal Ministero della Sanità.

Espletata la procedura selettiva, l’istante si collocava utilmente in graduatoria, classificandosi al secondo posto.

Sennonché, il predetto Istituto,  nonostante il regolare espletamento del concorso,  e nonostante la rinuncia al beneficio economico di sostentamento da parte  della prima classificata,  negava all’istante l’assegnazione della borsa di studio mediante lo scorrimento e/o l’utilizzazione della graduatoria; a base di  detta opzione l’ente erogatore poneva  il motivo secondo cui aveva stabilito di effettuare la medesima attività di ricerca, avvalendosi delle risorse costituite dal  proprio personale interno.

Avverso tale determinazione dell’ente la ricorrente interponeva un primo gravame; quest’ultimo aveva successo, e, pertanto, in sede giurisdizionale,  veniva pronunciato l’annullamento degli atti impugnati (diniego di assegnazione della borsa di studio).

A seguito della menzionata sentenza, l’Istituto sperimentale  espletava attività amministrativa rinnovatoria, e, in asserita esecuzione del giudicato, confermava la precedente  decisione di non assegnare la borsa di studio;  poneva a presidio di tale avviso, da un lato, la legittima possibilità di non procedere all’assegnazione alla stregua della presenza nel bando di selezione della clausola secondo cui l’ente si riservava, a suo insindacabile giudizio, di revocare il concorso in qualsiasi momento, e dall’altro, l’urgenza di dare avvio all’attività di ricerca scientifica, più agevolmente  assicurata mediante il ricorso all’attività del personale interno.

Anche avverso tale attività provvedimentale rinnovatoria l’istante proponeva impugnazione, e con il ricorso giurisdizionale,  proponeva, unitamente alla domanda di annullamento del nuovo diniego di assegnazione della borsa di studio, anche istanza per ottenere il risarcimento del danno subito. 

Precisava i termini della richiesta di ristoro, con il riferimento al  mancato guadagno, in conseguenza,  sia del diniego di  assegnazione della borsa di studio, sia della  mancata possibilità di utilizzare nei pubblici concorsi e, in ogni caso, in ambito professionale, il titolo  conseguente all’attribuzione della borsa di studio,  e lo svolgimento della correlata attività di ricerca scientifica.

La decisione del T.A.R. Umbria.

Il Collegio, nell’affermare la responsabilità della P.A. ha seguito lo schema classico della responsabilità aquiliana.

In vero, i Giudici perugini, in progressione logica, hanno chiarito di aver riscontrato, nella fattispecie sottoposta alla loro attenzione, tutti gli elementi della responsabilità della P.A. ex art.2043 c.c.: 

- l’evento dannoso, ovverosia il fatto illecito, rilevato nel fatto che l’istituto aveva immotivatamente, ovvero con motivazione inadeguata, optato per la soluzione di non utilizzare la graduatoria  approvata al termine della prova selettiva; il che aveva comportato la mancata fruizione da parte della ricorrente della borsa di studio; 

-  l’ingiustizia del danno coincidente con la lesione dell’interesse legittimo pretensivo della ricorrente all’assegnazione del premio; interesse  ulteriormente qualificatosi e/o consolidatosi a seguito della collocazione utile in graduatoria dell’istante; 

- il nesso di causalità, ritenuto pacificamente sussistente tra comportamento omissivo (diniego assegnazione beneficio economico) dell’ente procedente e il suddetto evento dannoso; 

- la colpa dell’istituto – profilo più interessante, ad avviso di chi scrive,  della motivazione della sentenza – additata dal Collegio in una sorta di inadeguata e/o insufficiente attività istruttoria posta in essere dall’istituto procedente, riferita non soltanto al fatto della scarsa considerazione avuta verso la posizione e le rimostranze della candidata, ma anche e soprattutto, al fatto di aver omesso una disamina approfondita e completa dell’intera vicenda, anche dopo la pronuncia della sentenza definitiva del primo gravame, così incorrendo anche in una forma di elusione del giudicato.

Brevi conclusioni.

La decisione che si annota appare sostanzialmente condivisibile, sia sotto il profilo formale, sia dal punto di vista sostanziale.

Appare innanzitutto utile premettere e ricordare che, come noto, la fruizione di una borsa di studio, secondo un regolamento  negoziale  qualificabile  come contratto atipico di addestramento professionale, risponde, ex artt.9 e 34 Cost., da un lato, al precipuo scopo di sostentamento materiale in favore del beneficiario della stessa, e, dall’altro, a quello  dell'apprendimento da parte del borsista, nonché infine, all’utilizzazione, da parte dell’ente erogatore, dei risultati dell'attivita' didattico-addestrativa svolta dal  borsista medesimo.
    
E’ altrettanto noto che la fruizione di borse di studio finalizzate ad attività di ricerca,  spesso  forma oggetto di specifica e rilevante valutazione,  in sede di partecipazione a procedure concorsuali.

Per costante e nota giurisprudenza, inoltre, l'attività  espletata  da un   soggetto che abbia conseguito una borsa di studio,   concessagli   da  un  istituto  di  ricerca,  non  può  mai configurare   alcun  elemento  riconducibile  al  rapporto  d'impiego pubblico,  in quanto non solo lo specifico collegamento dell'attività del borsista con gli obiettivi di ricerca dell'istituto erogatore ne circoscrive  i  compiti  assegnandoli  un ruolo indiretto rispetto al perseguimento   delle  finalità  istituzionali  di  quest'ultimo,  ma soprattutto  la borsa di studio, pur essendo pagata in ratei continui e periodici, viene attribuita all'interessato non come sinallagmatico corrispettivo di   un  servizio  da  costui  svolto  nell'interesse dell'istituto,  bensì  all'esclusivo  e  dichiarato  scopo di aiutare economicamente  il beneficiario durante lo svolgimento di un'attività di studio e di ricerca scientifica.
 

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Ciò premesso, e venendo alla decisione in rassegna, si osserva che il T.A.R. perugino, evidentemente, ha pregiudizialmente ritenuto sussistere la propria giurisdizione, alla stregua del pacifico orientamento secondo cui, in materia di assegnazione di borse di studio va distinto il profilo dell’ammissione alla borsa di studio, connotato da una posizione di interesse legittimo, dalla presenza di una procedura selettiva e da un atto di ammissione o concessione del beneficio, dal profilo del successivo riconoscimento del diritto alla remunerazione adeguata o del diritto all’assegno, che, essendo prestabilito dalla legge e fissato in base a parametri predeterminati che escludono valutazioni discrezionali della Pubblica Amministrazione, si configura come un vero e proprio diritto soggettivo dello studente (così per tutte e da ultimo Cons. St., VI, 23 settembre 2002, n. 4824) (1)

 Ha, inoltre, ritenuto che, nella specie, era configurabile, la lesione del suddetto interesse legittimo, perché l’ente erogatore del beneficio economico aveva omesso di valutare ponderatamente la situazione giuridico-soggettiva consolidatasi in capo all’istante – ritenuta capace e meritevole  (art.34 Cost.) in sede di selezione - a seguito della procedura concorsuale, non prendendo in considerazione il dato oggettivo della sua collocazione utile in graduatoria. 
Ha aggiunto che detta lesione scaturiva anche dal comportamento dell’Istituto che aveva omesso di motivare adeguatamente l’opzione da ultimo seguita di espletare l’attività di ricerca a mezzo del personale interno, dopo aver bandito e portato a conclusione regolarmente una selezione pubblica, ingenerando nei concorrenti l’affidamento nella convinzione dell’istituto medesimo di poter ottenere migliori risultati nella ricerca scientifica a mezzo di un borsista appositamente selezionato, e  non  a mezzo dell’attività del  personale interno.
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Il nesso eziologico e/ di causalità è stato ritenuto dal Collegio pacificamente sussistente, e, sul punto, pur non avendo i Giudici fornito una particolare motivazione, non sembra che  possa seriamente revocarsi in dubbio che, nella specie, vi fosse una connessione causale e/o una coincidenza fenomenologica, tra bene della vita giuridicamente protetto (interesse all’assegnazione della borsa di studio), utilità dello stesso (di cui l’istante ha preteso il risarcimento) e lesione di tale bene derivata dal comportamento dell’istituto erogante il beneficio, non avendo detto ente, nonostante la regolare conclusione del concorso,  supportato la scelta di non procedere all’assegnazione del premio economico mediante utilizzo della graduatoria,  e di attivare, invece, la ricerca con personale interno, con un’idonea ed esternata motivazione (art.3, l.n.241/1990).
In sostanza, nella specie, alla luce dello svolgimento dei fatti come rappresentati in sentenza, non sembra possa dubitarsi che, al di là di ogni considerazione, nel  comportamento del resistente sia ravvisabile un’inadeguata ponderazione delle aspettative della candidata, e, quindi, l’inosservanza di quelle norme di buona amministrazione che sottendono anche all’espletamento di un pubblico concorso, e, quindi, ancora,  del più generale principio del neminem laedere,  ex art.2043 c.c.
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Di particolare interesse, nella decisione, è l’interpretazione fornita da Collegio in ordine alla clausola inserita nel  bando di selezione, secondo cui l’Istituto offerente si riservava la possibilità di revocare, modificare o sospendere in qualsiasi momento il concorso, a proprio insindacabile giudizio”.
 Sul punto l’Organo giurisdizionale, svolgendo mirata attività ermeneutica,  ha osservato che,  in ossequio ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, e, verosimilmente, di conservazione degli atti giuridici ed amministrativi, detta clausola non poteva essere intesa se non nel senso che la facoltà discrezionale dell’istituto di porre nel nulla la selezione, era circoscritta alle sole fasi precedenti alla conclusione del concorso, atteso che,di contro,  la lex specialis prevedeva che la borsa di studio venisse in ogni caso assegnata anche a mezzo di scorrimento della graduatoria, per l’ipotesi di rinuncia del vincitore.
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In merito alla quantificazione del danno i  Giudici amministrativi hanno dato preventivamente atto che non era più possibile provvedere al riconoscimento in forma specifica, stante, da un lato, l’espletamento già avvenuto dell’attività di ricerca scientifica e, dall’altro, l’impiego e, quindi, la mancanza di disponibilità dei fondi ministeriali. Hanno quindi chiarito che la pretesa di ristoro poteva essere riconosciuta esclusivamente per equivalente monetario.
Hanno, pertanto, condannato l’istituto resistente:
-  al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento del danno per mancato guadagno,  di una somma pari al valore della borsa di studio, avendo provato l’istante – a mezzo di autocertificazione - di non aver percepito nel periodo di interesse, alcun reddito da attività lavorativa.
- al pagamento di altra somma, liquidata – alla stregua dell’assenza di parametri di riferimento - in via equitativa, a titolo di ristoro per l’impossibilità di utilizzare nei pubblici concorsi o, comunque, in ambito professionale, il titolo derivante dall’attribuzione della borsa di studio e dallo svolgimento della relativa attività di ricerca.
In merito, si osserva che, anche sotto tale specifico profilo della quantificazione del danno, la decisione appare condivisibile, se si considera che, in giurisprudenza, sia pure non recentissima, è stata sottolineata la c.d. funzione alimentare dell’istituto della borsa di studio (2).
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In conclusione, si osserva, quanto appresso.
Il richiamo, nel titolo della presente nota, in termini di metafora, del noto ordine perentorio dato, con grande e momentanea tensione, dai rapinatori a mano armata protagonisti del film western di altri tempi,  vuole dare contezza del fatto che la sentenza in commento, riconoscendo alla ricorrente il bene della vita (sub specie di equivalente monetario), e accordando alla medesima  il risarcimento del danno nella misura, per un verso,  dell’importo integrale pari alla borsa di studio messa concorso, e, per altro verso, di un importo equitativo per l’impossibilità di utilizzare in ambito professionale lo svolgimento dell’attività di ricerca negata, ha confermato e ribadito la necessità di considerare particolarmente rilevanti, nel nostro ordinamento, il diritto allo studio e  la  promozione della ricerca scientifica, valori, come noto, posti al vertice della gerarchia di quelli costituzionalmente protetti e garantiti (artt.9 e 34 Cost.), realizzabili, tuttavia, sul presupposto dell’effettiva disponibilità di idonei mezzi materiali.

NOTE:
1) Cons. Stato (Sez. V), 1 aprile 1996, n. 336; in Foro Amm., 1996, 1196; e in Cons. Stato, 1996, I, 578; 
     
2) Sussiste  il  requisito  dell'irreparabilità del danno allorché venga ritardata la corresponsione di una borsa di studio stante la funzione alimentare della medesima (Pret. Roma, 3 maggio 1989; in Temi Rom., 1989, 377).
Avv.Ottavio CARPARELLI 
 
 
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Umbria ha pronunciato la seguente 
SENTENZA
sul ricorso n. 204/2001, proposto da Claudia ZADRA, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio Buchicchio e Stefano Salciarini, il primo anche domiciliatario in Perugia, alla Via Bartolo n. 40;
CONTRO
l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche,in persona del direttore generale pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Rampini, anche domiciliatario in Perugia, al Viale Indipendenza n. 49;
per l'annullamento
della determinazione del direttore generale in data 21 dicembre 2000, comunicata con nota prot. 1442 in data 7 febbraio 2001; nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato, ivi comprese la nota predetta e, ove occorra, la clausola del bando di concorso in data 24 agosto 1994, secondo cui l’Istituto potrebbe revocare la selezione a proprio insindacabile giudizio;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione dell’Istituto intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del giorno 24 settembre 2003 la relazione del Dott. Pierfrancesco Ungari e udite le parti come da verbale; 
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto:
FATTO   E   DIRITTO
1. Con sentenza n. 770/2000, questo Tribunale ha annullato:
- la nota del presidente dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche in data 23 ottobre 1995, con cui era stata negata alla ricorrente l’assegnazione di una borsa di studio (di 35 milioni di lire) nell’ambito di una ricerca finanziata dal Ministero della sanità, previa utilizzazione della graduatoria del relativo concorso (nella quale era utilmente collocata al secondo posto, avendo la prima classificata rinunciato);
- gli atti successivi con i quali l’Ente aveva stabilito di espletare la ricerca mediante proprio personale interno.
In asserita esecuzione della predetta sentenza, con deliberazione del direttore generale n. 392 in data 21 dicembre 2000, l’Istituto zooprofilattico ha deliberato di non procedere all’assegnazione della borsa di studio in questione.
2. La ricorrente impugna ora detta delibera (unitamente, ove occorra, alla clausola del bando che prevedeva la facoltà dell’Istituto di revocare il concorso a proprio insindacabile giudizio) e chiede il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione del suo interesse pretensivo alla borsa di studio.
Deduce a tal fine articolate censure di difetto di motivazione, eccesso di potere per travisamento di fatto, per contraddittorietà, violazione del giudicato, sviamento, violazione dell’art. 7 della legge 241/1990 (nei confronti della delibera n. 392/2000); di violazione dell’art. 113 Cost., dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a. di cui all’art. 97 Cost., di difetto di motivazione (nei confronti della clausola del bando di concorso). 
3. L’Istituto Zooprofilattico si è costituito in giudizio, controdeducendo puntualmente.
4. Il ricorso è fondato e dev’essere accolto.
4.1. La sentenza n. 770/2000 ha annullato i precedenti atti relativi all’assegnazione della borsa di studio sulla base del rilievo che la decisione di non assegnare la borsa di studio “… che veniva a sacrificare le legittime aspettative della ricorrente, fondate sull’esito di un concorso formalmente effettuato, è stata presa in una sede non competente, e, a quanto pare, senza che l’autorità (quale che fosse) che ha preso la decisione abbia adeguatamente soppesato ed esternato le doverose motivazioni”.
Detta sentenza, quindi, non ha ritenuto di per sé necessariamente illegittima la non utilizzazione della graduatoria, ma ha ritenuto che tale decisione non competesse al presidente e non fosse adeguatamente motivata.
Va sottolineato che il bando prevedeva espressamente la facoltà di  “revocare, modificare o sospendere in qualsiasi momento il concorso, a proprio insindacabile giudizio”.
4.2. Con il provvedimento impugnato, l’Istituto motiva la (rinnovazione della decisione di) non assegnazione della borsa di studio con il richiamo della predetta clausola del bando, unitamente a quello della circostanza che motivi di urgenza richiedevano la pronta attivazione della ricerca, poi effettivamente espletata con personale interno e conclusa nel 1996.
Così facendo, l’Istituto non è incorso nuovamente nel vizio di incompetenza.
Tuttavia, il provvedimento non ha eliminato i profili di illegittimità connessi al difetto di motivazione.
Infatti, le considerazioni (invero, assai scarne) contenute nel provvedimento, non integrano la motivazione che sarebbe stata necessaria nella situazione specifica, poiché:
- quanto all’urgenza dell’avvio della ricerca, questa, nel provvedimento, è (esclusivamente) supportata dal mero richiamo ad una nota del direttore in data 19 aprile 1995; ma detta nota non indica affatto una simile esigenza, limitandosi a raccomandare talune cautele di dettaglio “in attesa di ulteriori determinazioni”. Peraltro, appare logico supporre che il modo più celere di avviare la ricerca fosse proprio quello di affidarla alla seconda classificata, a ciò prontamente disponibile.
- quanto alla facoltà di revocare il concorso, appare evidente che, in base ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, l’ambito di esercizio di detta facoltà doveva ritenersi circoscritto alle fasi del concorso precedenti alla sua conclusione. Viceversa, una volta approvata la graduatoria, il bando prevedeva che la borsa di studio venisse attribuita anche mediante scorrimento della graduatoria, in caso di rinuncia del vincitore.
 In conclusione sul punto, ha ragione la ricorrente a sostenere che le motivazioni addotte a posteriori appaiono insufficienti e travisate, laddove invece “… ci si doveva dar carico, da un lato, delle aspettative legittimamente maturate da chi aveva partecipato al concorso; e, dall’altro, della preesistenza di una formale determinazione con la quale si era scelto di affidare la ricerca ad un borsista appositamente selezionato, nell’implicito convincimento che per tale via si potessero ottenere risultati migliori che ricorrendo al personale interno” (sent. cit.). 
Il provvedimento merita dunque di essere annullato.
4.3. Così accertata la mancanza di provvedimenti legittimi atti a giustificare l’operato (la condotta omissiva, riguardo all’utilizzazione della graduatoria a beneficio della ricorrente) dell’Istituto, va aggiunto che sono riscontrabili tutti gli altri elementi costitutivi della responsabilità della p.a.:
- quanto all’evento dannoso, è evidente che la mancata utilizzazione della graduatoria non ha consentito alla ricorrente di fruire della borsa di studio e, conseguentemente, di ottenere la somma di lire 35 milioni ad essa connessa.
- l’ingiustizia del danno deriva dalla circostanza che incide su una situazione di interesse legittimo pretensivo della ricorrente, come tale consolidato a seguito dell’utile collocazione in graduatoria in esito a formale concorso.
- è pacifico il nesso di causalità tra l’evento dannoso e la condotta omissiva dell’Istituto.
- in ordine alla colpa, può sottolinearsi che l’Istituto non ha preso in considerazione la posizione e le istanze della ricorrente, né ha mai riesaminato funditus la questione, ed ha proceduto a formalizzare una decisione negativa soltanto a distanza di anni ed in seguito alla sentenza di questo Tribunale, per di più non seguendo le indicazioni (sulla valutazione da compiere e sugli aspetti che la relativa motivazione avrebbe dovuto considerare) ivi contenute. In questo, non giustificata da alcuna particolare complessità della questione, sotto il profilo giuridico, tale da poter ipotizzare un errore scusabile.
Pertanto, deve essere accolta la domanda risarcitoria.
4.4. Il Collegio osserva che la pretesa risarcitoria può essere soddisfatta soltanto per equivalente monetario, risultando impraticabile il risarcimento in forma specifica stante l’impossibilità pratica di attribuire ormai la borsa di studio in questione, attinente ad una ricerca già espletata e per la quale, secondo quanto desumibile dagli atti acquisiti al giudizio, i relativi fondi ministeriali sono stati impiegati o non sono più disponibili.
Ciò premesso, il danno risarcibile comprende:
- l’importo pari alla borsa di studio (Euro 18.175,99 equivalenti a 35 milioni di lire), a titolo di mancato guadagno, non risultando che la ricorrente abbia percepito, nel periodo in questione, alcun reddito derivante da attività lavorative (come è confermato anche dalla autocertificazione sulla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per il 1995, a fronte del non raggiungimento del minimo imponibile, e dalla circostanza che risulta aver iniziato un corso di dottorato retribuito soltanto nel 1997);
- un ulteriore importo, per la mancata possibilità di utilizzare nei pubblici concorsi o, comunque, in ambito professionale, il titolo derivante dall’attribuzione della borsa di studio e dallo svolgimento della ricerca relativa. Tale importo, liquidabile in via equitativa, può essere quantificato in Euro 2.500.
Non può essere invece riconosciuto l’importo di lire 4.520.000, pure richiesto a titolo di danno emergente, e pari alla differenza tra le spese legali corrisposte per i precedenti giudizi (come risultanti dalle fatture versate in atti) e quelle liquidate da parte dell’Istituto in esito alla sentenza n. 770/2000. Ogni valutazione in ordine alla spettanza ed entità delle spese  del precedente giudizio è stata compiuta (attraverso la condanna alle spese) con la sentenza n. 770/2000, e non può essere riesaminata in questa sede.
5. In conclusione, in accoglimento del ricorso devono essere annullati gli atti impugnati e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche deve essere condannato al pagamento dei danni, nella misura indicata al punto precedente, oltre alla rivalutazione ed agli interessi legali sulla somma equivalente alla borsa di studio (a far data dal 23 ottobre 1995, momento in cui l’Istituto ha per la prima volta esternato una decisione in ordine alla borsa di studio in questione, denegandone l’attivazione anziché attribuirla alla ricorrente) e sulla somma riconosciuta per il mancato incremento del curriculum professionale (a decorrere dalla data in cui, secondo le previsioni del bando, la ricerca avrebbe dovuto essere consegnata), nonché delle spese di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo dell'Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto:
- annulla i provvedimenti impugnati;
- condanna l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento danni, delle somme di Euro 18.175,99 e di Euro 2.500,00, maggiorate della rivalutazione e degli interessi legali fino al momento dell’effettivo soddisfo, con le decorrenze rispettivamente indicate in parte motiva;
- condanna il predetto Istituto al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 2.500,00, per spese ed onorari del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia, nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2003, con l'intervento dei magistrati: 
Avv.  Pier Giorgio  Lignani Presidente
Avv.  Annibale  Ferrari   Consigliere
Dott.  Pierfrancesco  Ungari Consigliere, estensore.
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
F.to Pierfrancesco Ungari                F.to Pier Giorgio Lignani
 
 

                                     IL SEGRETARIO
                                 F.to Francesca Bianconi
 

 

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